Popolo, popoli, populismo - 2 –
Il popolo è quella parte della popolazione di
un territorio che rileva politicamente.
La popolazione varia continuamente. In essa
si colgono tendenze, regolarità, aggregazioni, consuetudini, costumi,
tradizioni, liturgie, gerarchie, alleanze e conflitti, corporazioni e altre
manifestazioni del genere. L’antropologo
ci vive in mezzo e le studia.
Le persone e i gruppi si spostano e possono
capitare in mezzo ad altre popolazioni e, finché ci rimangono in mezzo, ne
fanno parte e le connotano. A seconda delle loro capacità di integrazione può
andare bene o può finire male. Lo vediamo con la gente che ci raggiunge via
mare senza osservare le procedure amministrative previste (passaporto e visto
ove sia richiesto). Possiamo considerare la popolazione come un fatto naturale.
Dalle popolazioni emergono gli ordinamenti
sociali e, in particolare, quelli politici. Chiamiamo ordinamenti pubblici
quelli che riescono a imporsi su un determinato territorio a prescindere dalla
volontà di chi li subisce. E’ a questo punto che, da una popolazione, emerge il
popolo, che è la gente che conta per i poteri pubblici. Il popolo è quindi
parte di un ordinamento politico. Un regime politico è democratico se la gente che è considerata popolo può in qualche modo
influire, con procedure formali, sull’esercizio dei poteri pubblici a cui è
soggetta. Chi non è considerato parte del popolo è straniero. Se non fa parte
di nessun popolo è detto straniero apolide. Può accadere ai rifugiati che ci
giungono da popolazioni che per vari motivi non li riconoscono più come parte
dei loro popoli o nelle quali si sono dissolti gli ordinamenti pubblici che ne individuavano i popoli.
Nella dottrina dello stato si distinguono quattro
elementi che lo costituiscono: un potere pubblico sovrano, un territorio, un
popolo e l’effettività di quel potere su quel popolo stanziato su quel
territorio. E’ sovrano quel potere pubblico che non riconosce altri poteri
sopra di sé: fino all’istituzione delle
Nazioni Unite e di diversi altri organismi internazionali che si impongono agli
stati, era considerato tale quello degli stati. Erano dette sovrane le
monarchie assolutistiche di un tempo, che esprimevano sovrani, i
monarchi, e da lì l’espressione si è estesa agli stati in genere, anche
con diversa struttura di vertice. Di fatto nessun potere riesce mai ad essere
veramente sovrano. Nell’ordinamento internazionale si tende oggi a negare la
pretesa di sovranità degli stati, in particolare perché si vogliono riconosciuti
universalmente diritti fondamentali della persona. Negli ordinamenti
democratici questi ultimi entrano nelle costituzioni degli stati e, in realtà,
la sovranità è abolita anche verso i cittadini. Nella nostra Costituzione
repubblicana il potere supremo è attribuito al popolo, ma si scrive che
anch’esso deve essere esercitato nei limiti di legge: però una sovranità limitata
non è più tale.
E’ la
struttura politica che riesce a dominare una società a definire chi fa parte
del suo popolo, della gente caduta sotto il suo dominio. E’ in base a questo
che si diventa cittadini, e quindi parte di un popolo. Un dominio sul popolo
caratterizza sempre il potere pubblico, che senza un popolo non è riconosciuto
come tale. Gli ordinamenti pubblici sono necessari alla convivenza, ma chi
pretende di dominarli lo fa soprattutto nell’interesse proprio e del proprio
gruppo sociale di riferimento. Nei
regimi democratici queste dinamiche di dominio sono limitate, e innanzi tutto
regolate, dalle procedure parlamentari e dal riconoscimento costituzionale di un
sistema di libertà politiche dei cittadini e dei gruppi e, in genere, anche di
certi altri principi di etica pubblica, e tuttavia sono sempre presenti. Un
limite agli abusi di potere molto importante che caratterizza i regimi democratici è la temporaneità
delle cariche elettive, che consente al popolo dei cittadini di influire
realmente sull’esercizio dei poteri di governo. La svalutazione del ruolo dei parlamenti
e delle altre assemblee elettive è uno
dei marcatori più significativi del degrado di un regime democratico.
Una
legge generale dei regimi politici, che può essere formulata in base all’osservazione
di ciò che è accaduto e ancora accade, è
che quanto più è esteso il popolo, quindi la popolazione che un sistema
politico pretende di dominare, tanto maggiore è la violenza pubblica necessaria
a mantenerlo soggetto a quel dominio. Marcate differenze culturali o economiche
all’interno del popolo o l’accentramento del controllo di ingenti fonti di ricchezza nelle mani di gruppi ristretti richiedono maggiore violenza pubblica. Questo accade
anche nei regimi democratici.
In base a questo principio, un ordinamento pubblico
mondiale che considerasse proprio popolo l’intera popolazione della Terra, e agisse per mantenerne il dominio, non
potrebbe che essere un regime autoritario, non democratico, connotato da un’intensissima
violenza pubblica.
Ogni ordinamento pubblico che riesce a crearsi un popolo sviluppa ad un certo punto una propria mitologia di legittimazione, per stabilizzare e perpetuare il proprio potere dopo la prima fase, in genere connotata da più intensa violenza, in cui si lotta per imporlo ad una popolazione. Dal Quarto secolo al Diciannovesimo la strategia che ebbe maggior successo in questo fu di costruirla sulla religione cristiana. Si disse quindi che i sovrani governavano per Grazia di Dio. In particolare come suoi vicari. Presentare un regime politico come voluto da un dio significa sacralizzarlo. In questo modo chi lo contrasta viene perseguito anche come eretico e viene colpito da uno stigma morale molto forte.
Se consideriamo l’ideale di popolo espresso nel
capitolo 2° della Costituzione Luce per le genti – Lumen gentium del Concilio Vaticano 2° è proprio alla
realizzazione di un solo popolo dalle popolazioni di tutta la Terra che sembra
puntarsi.
13.Tutti gli uomini sono
chiamati a formare il popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e
unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si
adempia l'intenzione della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura
umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi […]
Questo obiettivo è presentato
come legato alla volontà divina: vi è dunque una sacralizzazione del processo. Per il resto è facilmente constatabile,
leggendo il documento, che l’ideologia del popolo che viene sviluppata è del
tutto conforme ai principi generali che ho sopra esposto. L’ordinamento politico-religioso
che ne dovrebbe conseguire è presentato come fortemente accentrato e autocratico, in cui le cariche ecclesiastiche vengono attribuite per cooptazione dall’alto. Fino al Settecento il tentativo di imporlo alle popolazioni europee e americane
generò forme di violenza pubblica intensissima, addirittura stragista.
Il
problema è costituito proprio dal volere fare di tutte le popolazioni del mondo
un solo popolo.
La
teologia cattolica relativa è stata costruita sulla base delle concezioni dell’antico
giudaismo, nelle quali però il popolo era limitato a quello degli israeliti, un popolo tra molti.
Così è sintetizzata
quella antica fase nella Costituzione Luce per le genti:
9. […] Scelse quindi per
sé il popolo israelita, stabilì con lui un'alleanza e lo formò lentamente,
manifestando nella sua storia se stesso e i suoi disegni e santificandolo per
sé. Tutto questo però avvenne in preparazione e figura di quella nuova e
perfetta alleanza da farsi in Cristo, e di quella più piena rivelazione che
doveva essere attuata per mezzo del Verbo stesso di Dio fattosi uomo. « Ecco
venir giorni (parola del Signore) nei quali io stringerò con Israele e con
Giuda un patto nuovo... Porrò la mia legge nei loro cuori e nelle loro menti
l'imprimerò; essi mi avranno per Dio ed io li avrò per il mio popolo... Tutti
essi, piccoli e grandi, mi riconosceranno, dice il Signore » (Ger 31,31-34).
Ed ecco invece come, nel medesimo documento, subito
dopo, si sintetizza la teologia dell’unico popolo universale:
Cristo istituì questo nuovo patto cioè la nuova
alleanza nel suo sangue (cfr. 1 Cor 11,25), chiamando la folla dai Giudei e
dalle nazioni, perché si fondesse in unità non secondo la carne, ma nello
Spirito, e costituisse il nuovo popolo di Dio. Infatti i credenti in Cristo,
essendo stati rigenerati non di seme corruttibile, ma di uno incorruttibile,
che è la parola del Dio vivo (cfr. 1 Pt 1,23), non dalla carne ma dall'acqua e
dallo Spirito Santo (cfr. Gv 3,5-6), costituiscono « una stirpe eletta, un sacerdozio
regale, una nazione santa, un popolo tratto in salvo... Quello che un tempo non
era neppure popolo, ora invece è popolo di Dio » (1 Pt 2,9-10).
[…]
13. In tutte quindi le
nazioni della terra è radicato un solo popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte
le stirpi egli prende i cittadini del suo regno non terreno ma celeste. E
infatti tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli altri
nello Spirito Santo, e così « chi sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra ».
Siccome dunque il regno di Cristo non è di questo mondo (cfr. Gv 18,36), la
Chiesa, cioè il popolo di Dio, introducendo questo regno nulla sottrae al bene
temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le
ricchezze, le risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che esse hanno di
buono e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva. Essa si ricorda
infatti di dover far opera di raccolta con quel Re, al quale sono state date in
eredità le genti (cfr. Sal 2,8), e nella cui città queste portano i loro doni e
offerte (cfr. Sal 71 (72),10; Is 60,4-7). Questo carattere di universalità, che
adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la
Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta
l'umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo, nell'unità dello Spirito di
lui.
Il
problema dell’umanità di oggi, che conta ormai circa otto miliardi di persone, è
quello di istituire un nuovo ordinamento politico mondiale che consenta la
convivenza e il benessere di questa moltitudine di gente senza dinamiche
distruttive. In base ai principi che ho sintetizzato all’inizio, enunciati in base
alla consapevolezza storica di ciò che accadde in passato e all’osservazione di
come vanno oggi le cose, questo obiettivo non può essere ottenuto facendo di
tutte le popolazioni della Terra un unico popolo, perché questo porterebbe
fatalmente a un impero mondiale autocratico, caratterizzato da una violenza pubblica intensissima. Quando, come nella dottrina sociale, si pensa a un potere mondiale
che imponga la pace alle potenze
in guerra, è più o meno a questo che si pensa, e non è cosa che può funzionare (e
infatti non funziona già oggi).
Si può però farmi osservare che nella
Costituzione Luce per le genti si
parla di ordinamento religioso e non politico: bisogna dare a Cesare quel
che è di Cesare. Ma nella nostra Chiesa la distinzione tra politica e
religione non è così netta come viene presentata: ad esempio in Italia la nostra
gerarchia ecclesiastica esercita anche un rilevantissimo ruolo politico,
arrivando con successo a porre il veto su progetti di legge dello Stato, ben oltre
quello che si è messo nero su bianco negli sciagurati Patti Lateranensi del 1929, dei quali il Concordato, la
parte che riguarda l’influenza specificamente sugli affari italiani, revisionato
quasi interamente nel 1984, in particolare con l’istituzione di un ingente, automatico e incomprimibile finanziamento pubblico delle strutture ecclesiastiche, ciò che le ha rese indipendenti dal loro popolo.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli