INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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mercoledì 29 novembre 2023

Popolo, popoli, populismo, pacificazione – 7 –

 

Popolo, popoli, populismo, pacificazione – 7 –

 

  La strategia populista nasce sempre da un ristretto centro di potere, spesso coagulato intorno ad una singola persona che ne rende la rappresentazione pubblica. Non scaturisce mai  dalla gente, dalla popolazione.

  Come insegna Loris Zanatta nel suo libro Populismo, Carocci editore 2013, il populista non si presenta in genere come guida ma come colui che segue  il suo popolo. Questo è il carisma a cui tiene particolarmente. Come un albero cresce dalla terra, egli sostiene di scaturire dal suo popolo per interpretarne ed eseguirne la volontà. In realtà è proprio lui che crea  il suo popolo, definendo chi ne fa parte e inculcandovi paure e voglie. Tuttavia vuole essere considerato uno dei tanti, in mezzo a loro.

 Il populismo ecclesiastico non fa eccezione. Ne è espressione anche la relativa teologia che ispirò il capitolo 2° della Costituzione sulla Chiesa Luce per le genti – Lumen gentium, che inizia con il definire che cosa sia  il Popolo  e chi ne faccia parte.

  Si volle coinvolgere di più la gente di fede, ma mantenendo intatto il sistema di potere ecclesiastico dal quale dipendeva la creazione del Popolo: il tentativo non poteva riuscire, e infatti non è riuscito.

 Nell’attuale processo sinodale si sta seguendo una via diversa da quella del Concilio Vaticano 2°: si creano occasioni di incontro della gente perché faccia tirocinio dello stare insieme e da questo sorgano nuove relazioni sociali. E sono appunto queste ultime che ci servono per trasformare la società in un modo mai tentato prima d’ora.

  In queste cose non si può mai sapere come finirà. Certo è che il processo sinodale è veramente molto più esteso di quello che si manifestò negli anni Sessanta, con il Concilio Vaticano 2°  e poi con i movimenti nella fase attuativa della riforma conciliare.

  La teologia che ha ispirato il Papa a ordinare la sinodalità è certamente populista, è il populismo gesuita di cui Loris Zanatta ha scritto in Il populismo gesuita. Peron, Fidel, Bergoglio, Laterza 2020, ma, nel promuovere il processo sinodale globale tra i cattolici, egli tuttavia non si sta comportando come un populista, in particolare non sfrutta paure e avidità della gente, ma induce a scelte libere. In questo si è discostato marcatamente dal populismo espresso dalla dottrina sociale contemporanea almeno fino al regno del papa Pio 12°, negli anni della polemica con il Regno d’Italia.

  Nella sua degenerazione assolutista, manifestatasi nel corso dell’Ottocento, il Papato romano ha trovato sempre problematico il confronto con la libertà delle persone, vedendovi insieme un dono superno ma anche un’occasione di peccato, l’unico rimedio essendo il seguire  il pastore al  modo di un gregge.

  Il populismo conduce fatalmente a confermare l’affidamento nel populista autocrate, ma il movimento sinodale che è stato innescato dall’ottobre 2021 va in altra direzione. Tuttavia mi pare che ancora non sia stata scritta una teologia adeguata a sorreggerlo. E’ in questione l’idea di Regno al quale quella di popolo mi pare essere strettamente collegata.

  Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

martedì 28 novembre 2023

Popolo, popoli, populismo, pacificazione

 

Popolo, popoli, populismo, pacificazione

 

  Dalla Costituzione Luce per le genti – Lumen gentium, del Concilio Vaticano 2° (1962-1965)

 L'unico popolo di Dio è universale

13. Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l'intenzione della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi (cfr. Gv 11,52). A questo scopo Dio mandò il Figlio suo, al quale conferì il dominio di tutte le cose (cfr. Eb 1,2), perché fosse maestro, re e sacerdote di tutti, capo del nuovo e universale popolo dei figli di Dio. Per questo infine Dio mandò lo Spirito del Figlio suo, Signore e vivificatore, il quale per tutta la Chiesa e per tutti e singoli i credenti è principio di associazione e di unità, nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere (cfr. At 2,42).

  In tutte quindi le nazioni della terra è radicato un solo popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i cittadini del suo regno non terreno ma celeste. E infatti tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli altri nello Spirito Santo, e così « chi sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra ». Siccome dunque il regno di Cristo non è di questo mondo (cfr. Gv 18,36), la Chiesa, cioè il popolo di Dio, introducendo questo regno nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le ricchezze, le risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che esse hanno di buono e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva. Essa si ricorda infatti di dover far opera di raccolta con quel Re, al quale sono state date in eredità le genti (cfr. Sal 2,8), e nella cui città queste portano i loro doni e offerte (cfr. Sal 71 (72),10; Is 60,4-7). Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l'umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo, nell'unità dello Spirito di lui.

  In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, in modo che il tutto e le singole parti si accrescono per uno scambio mutuo universale e per uno sforzo comune verso la pienezza nell'unità. Ne consegue che il popolo di Dio non solo si raccoglie da diversi popoli, ma nel suo stesso interno si compone di funzioni diverse. Poiché fra i suoi membri c'è diversità sia per ufficio, essendo alcuni impegnati nel sacro ministero per il bene dei loro fratelli, sia per la condizione e modo di vita, dato che molti nello stato religioso, tendendo alla santità per una via più stretta, sono un esempio stimolante per i loro fratelli. Così pure esistono legittimamente in seno alla comunione della Chiesa, le Chiese particolari, con proprie tradizioni, rimanendo però integro il primato della cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale di carità, tutela le varietà legittime e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non pregiudichi l'unità, ma piuttosto la serva. E infine ne derivano, tra le diverse parti della Chiesa, vincoli di intima comunione circa i tesori spirituali, gli operai apostolici e le risorse materiali. I membri del popolo di Dio sono chiamati infatti a condividere i beni e anche alle singole Chiese si applicano le parole dell'Apostolo: « Da bravi amministratori della multiforme grazia di Dio, ognuno di voi metta a servizio degli altri il dono che ha ricevuto» (1 Pt 4,10).

  Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale; a questa unità in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini senza eccezione, che la grazia di Dio chiama alla salvezza.

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  Per la prima volta nella storia dell’umanità, pensiamo a una pacificazione di tutte le popolazioni della Terra come a un obiettivo politico concreto, non come una fantasia proiettata in un lontanissimo futuro. Ce lo figuriamo come politico nel senso che riteniamo di poterci lavorare su con le nostre mani, tessendo relazioni sociali e costruendo istituzioni adeguate allo scopo. Ne va della sopravvivenza del genere umano, che ormai ha raggiunto gli otto miliardi di persone. Questa nuova nostra condizione, mai vissuta prima da quando gli umani sono emersi dal resto della biologia animale, richiede un’integrazione globale tra le società, le economie, le culture e, quindi, il progressivo superamento delle frontiere e dei sistemi politici che le hanno tracciate, trincerandosi dietro di esse. Quindi anche dell’idea di popolo.

  Anche la nostra Chiesa è stata coinvolta in questo grandioso processo. Ha cercato di adattare la sua teologia, ma il risultato non è ancora soddisfacente, perché è costruita ancora sull’idea e sul mito del popolo.

  Il ragionamento che si segue è quello sintetizzato nel numero 13, inserito nel capitolo 2° sul Popolo di Dio, della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti – Lumen gentium, deliberata durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965).

  Il problema è che la costruzione del popolo santo come descritta negli scritti biblici si fa per estrazione: da questo processo esitano il nuovo popolo, che esce dal vecchio, e poi quest’ultimo. La gente del popolo nuovo è scelta  in mezzo al vecchio, che non viene soppresso, anche se è destinato alla rovina. Noi però avremmo bisogno di costruire il popolo nuovo per trasformazione  integrale di ciò che c’era prima, non per estrazione,  senza che residui nulla di vecchio. Se cerchiamo di lavorare utilizzando l’idea di popolo, troviamo delle serie difficoltà sulla via della pacificazione, poiché, come abbiamo visto, l’idea di popolo è strettamente connessa con quella di potere politico, perché ogni potere si costruisce il suo  popolo che estrae da una popolazione umana. Voler organizzare un popolo universale, destinato a riunire tutte le genti della Terra, significa anche pensare a un unico potere mondiale. Questo obiettivo, però, non solo si manifesta irrealizzabile, sulla base di ciò che s’è tentato finora, ma sarebbe anche molto pericoloso, perché un potere di quel genere finirebbe fatalmente per farsi dispotico: infatti, quanta più gente si tenta di assoggettare a un potere, tanta più violenza politica occorre. Questa è una legge per così dire naturale dell’evoluzione delle società umane.

  Negli scorsi anni Sessanta si costruì la teologia del Popolo di Dio per cercare di riformare quella che era diventata un’autocrazia assolutistica, in un’evoluzione che aveva seguito la legge che dicevo. Ma popolo  e potere  sono strettamente legati e non può essere definito un popolo senza far riferimento al potere che lo ha creato. E infatti quella via si è rivelata sostanzialmente inefficace allo scopo che ci si era prefissi e si constata amaramente che tutto è rimasto più o meno come primo. Lo ha detto lo stesso Papa in diverse occasioni, lamentandosene.

 Leggiamo nella Luce per le genti – Lumen gentium:

 Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale; a questa unità in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini senza eccezione, che la grazia di Dio chiama alla salvezza.

 Questa asserzione, che è teologia ma ha anche un contenuto politico, si è rivelata molto problematica in concreto. La difficoltà è  che non tutti gli uomini  accettano di essere coinvolti in quel tipo di unificazione, ma non per questo li possiamo considerare cattivi o ribelli.

  Unità  e unificazione  non comportano necessariamente pacificazione, vale a dire ciò che ci serve. La pacificazione  comincia a manifestarsi quando le relazioni sociali migliorano e questo accade quando la gente trova più conveniente non ricorrere alla violenza. I tentativi di assimilazione la provocano. Negli ultimi anni si è cominciato a capire anche nella nostra Chiesa che per pacificare è necessario accettare un certo pluralismo sociale. Ma in questo modo  quell’unità di tipo organico della gente in un unico  popolo non si manifesta. Il populismo teologico si è rivelato non essere la via giusta. Non perché non scaturisca da un’affascinante costruzione razionale su base scritturistica, ma semplicemente perché l’esperienza ha chiaramente dimostrato che non funziona. E’ una teologia che è invecchiata presto, perché l’umanità alla quale si pretendeva di applicarla è cambiata molto velocemente.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

lunedì 27 novembre 2023

Presepe

 

Presepe

 

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Da: Joseph Ratzinger, L’infanzia di Gesù, Libreria editrice vaticana 2012

 

Torniamo al grande contesto del momento storico in cui è avvenuta la nascita di Gesù. Con il riferimento all’imperatore Augusto e «all’intera ecumene» Luca ha creato consapevolmente  un quadro insieme storico e teologico per gli avvenimenti da raccontare.

  Gesù è nato in un’epoca determinabile con precisione. All’inizio dell’attività pubblica di Gesù, Luca offre ancora una volta una datazione dettagliata ed accurata di quel momento storico: è il quindicesimo anno dell’impero di Tiberio Cesare; vengono inoltre menzionati il governatore romano di quell’anno e i tetrarchi della Galilea dell’Iturea e della Traconitide, come anche dell’Abilene, e poi capi dei sacerdoti (Lc 3, 1s).

  Gesù non è nato e comparso in pubblico nell’imprecisato «una volta» del mito. Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda. In lui, il Logos, la Ragione creatrice di tutte le cose, è entrato nel mondo. Il Logos si è fatto uomo, e di questo fa parte il contesto di luogo e tempo. La fede è legata a questa realtà concreta, anche se poi, in virtù delle Risurrezione, lo spazio temporale e geografico viene superato e il «precedere in Galilea» (cfr. Mt 28,7) da parte del Signore introduce nella vastità aperta dell’intera umanità (cfr Mt 28, 16ss) [pag.27].

[…]

  Al termine di questo lungo capitolo si pone la domanda: come dobbiamo intendere tutto ciò [la narrazione dell’Adorazione dei Magi]? Si tratta veramente di storia avvenuta, o è soltanto una meditazione teologica espressa in forma di storie? Al riguardo Jean Daniélou, a ragione osserva: «A differenza del racconto dell’Annunciazione [a Maria], l’adorazione da parte dei Magi non tocca alcun aspetto essenziale per la fede. Potrebbe essere una creazione di Matteo, ispirata da un’idea teologica; in quel caso niente crollerebbe» (Les Èvangeles de l’Enfance, p.105). Daniélou stesso, però, giunge alla convinzioneche si tratti di avvenimenti storici il cui significato è stato teologicamente interpretato dalla comunità giudeo-cristiana e da Matteo.

  Per dirla in modo semplice: questa è anche la mia convinzione. Bisogna però constatare che, nel corso degli ultimi cinquant’anni, nella valutazione della storicità, si è verificato un cambiamento d’opinione, che non si fonda su nuove conoscenze storiche, ma su un atteggiamento diverso di fronte alla Sacra Scrittura e al messaggio cristiano nel suo insieme. Mentre Gerhard Delling, nel quarto volume del Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament (1942), riteneva la storicità del racconto sui Magi ancora assicurata in modo convincente dalla ricerca storica (cfr. p. 362, nota 11), ormai anche esegeti di chiaro orientamento ecclesiale come Ernst Nellessen o Rudolf Pesch sono contrari alla storicità o per lo meno lasciano aperta la questione.

 Di fronte a tutto ciò, merita di essere considerata attentamente la presa di posizione, ponderata con cura di Klaus Berger nel suo commento del 2011 all’intero Nuovo Testamento: «Anche nel caso di un’unica attestazione […] bisogna supporre – fino a prova contraria – che gli evangelisti non intendono ingannare i loro lettori, ma vogliono raccontare fatti storici […] Contestare per puro sospetto la storicità di questo racconto va al di là di ogni immaginabile competenza di storici». (Kommentar zum Neuen Testament, p.20).

  Non posso che concordare con quest’affermazione. I due capitoli del racconto dell’infanzia in Matteo non sono una meditazione espressa in forme di storie. Al contrario: Matteo ci racconta la vera storia, che è stata meditata ed interpretata teologicamente, e così ci aiuta a comprendere fino a fondo il mistero di Gesù. [137s].

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 Di questi tempi, quando le mie figlie erano bambine e ragazze, iniziavo a preparare il presepe grande (in famiglia ne teniamo uno più piccolo sempre allestito in soggiorno). Ora ci pensano loro e io ci metto mano qua e là: una tradizione è passata di generazione in generazione. Io ho imparato da mia madre, che ne faceva uno molto grande in terrazzo, che poi guardavamo dal finestrone del soggiorno.

   A Roma, nelle festività natalizie, c’è l’usanza di girare di chiesa in chiesa per ammirare i presepi. Mia moglie da giovane abitava nel quartiere San Saba – Aventino e da fidanzati ci piaceva molto andare a vedere il grande presepio a Sant’Alessio, a fianco del Giardino degli Aranci: era composto in più scene che partivano addirittura dalla creazione e aveva molti elementi mobili. L’accendersi e lo spegnersi delle luci guidavano i visitatori da uno scenario all’altro. Lo facevano nella cripta, ma adesso non è più possibile,  perché, a ciò che mi hanno riferito, ci sono problemi di statica del grande locale.

  Si organizzano anche recite ispirate alla Natività e all’Adorazione dei Magi. Lo facciamo anche noi in parrocchia.

  Cominciò, si racconta, Francesco d’Assisi a Greccio, nel Duecento, con un presepe vivente.

   Si tratta sempre di spiegare e spiegarsi gli uni gli altri il senso di quella nascita in mezzo all’umanità. E’ quindi catechesi nel rivolgersi alle altre persone e meditazione e ascesi per chi organizza e costruisce ma anche per chi assiste. C’è anche arte, ma non si tratta tanto di fare un bello spettacolo, quanto di avvicinare alla gente e avvicinarsi personalmente a ciò di cui i teologi parlano come del «mistero di Gesù».

  Aver questo sempre ben presente è necessario soprattutto quando partecipano i più piccoli. Penso che sarebbe veramente utile che, insieme alla regia per così dire artistica, ci fosse una particolare attenzione e collaborazione da parte del prete, del diacono o del catechista.

  Quando avevo le figlie piccole, mi avvantaggiavo in questo perché io e mia moglie partecipavamo, con amici di gioventù, ad un ritiro natalizio. Questo è avvenuto fino a che l’epidemia di  Covid 19 lo ha sconsigliato.

   Penso che non sarebbe male, nell’accingersi ad organizzare presepe e recita in occasione delle festività natalizie, partecipare a un ritiro, per chiarirsi bene sul senso di ciò che si sta facendo e del messaggio che si vuole diffondere.

  Ho sempre avuto ben chiaro, fin da piccolo, perché me lo hanno spiegato molto bene, che il protagonista di tutto è appunto colui che nacque. Non Giuseppe, non Maria, non i pastori, non i Magi, né gli angeli e tutti gli altri personaggi. Al centro non è la maternità e il parto, che nel Vangelo di Luca sono trattati molto sobriamente, né quindi la paternità.

  Di solito si mette in risalto, sulla scia di Francesco d’Assisi, che si trattò di un parto in povertà, ma questo nella narrazione evangelica non c’è. Fu, si legge,  un parto nel corso di un viaggio.  Della sacra famiglia i Vangeli non ci narrano che fosse povera. Il Maestro durante gli anni del suo ministero pubblico disse di non avere dove posare il capo, ma questa espressione non necessariamente significa che fosse indigente, anzi venne accusato di non esserlo e, in particolare, di frequentare gente ricca, ma forse più che altro che non possedeva qualcosa come un tempio, o simili. E questo anche se c’è indubbiamente chi, e tra questi Francesco d’Assisi, intese il detto come riferito alla povertà materiale. Nelle narrazioni evangeliche il Maestro non ci viene presentato come un povero mentre si muove per la Palestina del suo tempo, predicando e guarendo le persone malate.

  Colui che la teologia chiama anche Logos, «la Ragione creatrice di tutte le cose», secondo l’espressione del Ratzinger, venne nella  nostra storia, nell’umanità di allora, umano come noi, non nelle nostra fantasie. La Natività è dunque un modo di presentare l’Incarnazione del divino. Una realtà grandiosa alla quale si è gradualmente introdotti nella catechesi e nella liturgia e nella comprensione della quale si prosegue per tutta la vita. Ad essa un grande teologo come Ratzinger dedicò gli ultimi suoi anni, con grande amore, non per parlare da teologo a teologi, ma per parlare a tutti noi del suo e nostro Signore: una delle missioni di un Papa.

  Penso che particolare attenzione si debba avere quando si coinvolgono i più piccoli. Bisognerebbe sempre ricordare che, in tal caso, si lavora principalmente per loro, e non per gli spettatori. Importa più ciò che si riesce a far comprendere a loro che la resa per chi assiste. Chi partecipa capisce meglio, ma è necessario che sia ben definito ciò che si vuole comunicare. Non di rado ho visto presepi e recite un po’ pasticciati quanto a questo. Va poi scoraggiato il divismo tra più piccoli, che sempre deriva da non aver ben compreso, da parte degli organizzatori, l’obiettivo del lavoro che si fa. Insomma, la direzione per così dire pastorale  è molto più importante di quella artistica, altrimenti il vero scopo della cosa rischia di venire mancato od offuscato.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

giovedì 23 novembre 2023

Popolo, popoli, populismo, costruzione della pace

Popolo, popoli, populismo, costruzione della pace

  Di solito, quando si parla di costruzione della pace si fa osservare che la pace non significa "non-guerra". La pace è una situazione politica, prima di essere un valore morale, e richiede di tessere relazioni collaborative, consensuali.
   Nel Cinquecento, gli europei si resero conto di aver raggiunto un nuovo continente, che c'era, navigando verso Occidente, tra l'Europa e le estreme propaggini dell'Asia, terra che poi venne chiamata America. In quella che oggi chiamiamo America Latina si erano già costituiti stati e sofisticate civiltà, che nel giro dei successivi tre secoli vennero quasi completamente annientati dalle guerre di aggressione e rapina scatenate dai regni di Spagna, Portogallo, Francia e Inghilterra.  Prima della "scoperta" del "Nuovo mondo" non c'era stata guerra tra europei e le popolazioni che era giunte molto prima in quel continente, dall'Asia. Ma questo non significa che c'era stata "pace". Semplicemente non c'erano state occasioni di confitto, perché le culture dei due continenti erano state inconsapevoli dell'esistenza di ciò che c'era al di là dell'Oceano Pacifico, dunque non erano entrate in relazione.
  Nelle popolazioni umane i conflitti sono endemici: tra le singole persone come tra i gruppi. In base all'esperienza storica non è ragionevole che vada diversamente in futuro. Si potrà solo cercare di controllare la violenza. Essa tuttavia non può essere considerata guerra se non quando viene organizzata e ordinata da un centro di potere pubblico che pretende l'egemonia esclusiva  su un suo popolo  e su un certo territorio. Ciò significa rivendicare la sovranità in quell'ambito. Al di fuori di questo, anche la violenza organizzata dai gruppi non può essere considerata propriamente guerra, ma solo come manifestazione di delinquenza, in riferimento alle norme penali di un ordinamento con pretesa di sovranità, e, a seconda dei casi, come pura e semplice criminalità organizzata, oppure come criminalità terroristica, quando punta a spaventare le popolazioni per allontanarle da un dominio sovrano che si vuole contrastare, o anche come resistenza, nel caso che, invece, le si voglia organizzare perchè collaborino ad ostacolare l'effettività di quel dominio. In tutti questi casi, infatti, i combattenti mantengono la possibilità di staccarsi dai gruppi che promuovono quella violenza.
  La guerra, propriamente intesa, è una strategia politica di un centro di potere che rivendica sovranità su un popolo e su un territorio, e consiste nell'ordinare la violenza pubblica al proprio popolo, che non vi si può sottrarre se non subendo sanzioni criminali. 
  All'inizio di una guerra c'è sempre quello, anche se non sempre vi è una formale dichiarazione di guerra, secondo le consuetudini internazionali. Una guerra è possibile solo quando centri di potere con rivendicazione di sovranità hanno occasione di relazioni e, a un certo punto,  entrano in contrasto, in genere per questioni che riguardano l'egemonia su parti di popolazioni e di territorio, il controllo di risorse naturali o degli scambi commerciali,  o il tentativo di assumere il controllo su altri ordinamenti pubblici sovrani, rendendoli vassalli o tributari, o di respingere tale tentativo.
 Quando in Italia c'era il servizio militare maschile obbligatorio e poi venne istituita la possibilità di esercitare l'obiezione di coscienza al servizio armato, per potere servire in altre mansioni, gli obiettori di coscienza dovevano passare lo scrutinio di apposite commissioni, che vagliavano se l'obiezione di coscienza avesse le caratteristiche richieste dalla legge in materia. E, a ciò che ho saputo, veniva spesso, chiesto all'obiettore che avrebbe fatto se qualcuno avesse minacciato di uccidere una persona della sua famiglia. Non avrebbe utilizzato un'arma per difenderla? Questo per valutare la forza della convinzione contro l'uso della violenza. 
 In realtà, quella prospettata, si trattava di una situazione completamente diversa da quella bellica, in quanto, in quel caso, si conservava sempre la possibilità di decidere se usare la violenza o non. In guerra, invece, non si ha mai, in genere,   la possibilità di sottrarsi alla partecipazione al conflitto, anche se poi viene consentito di servire non in armi. 
  E' consentita l'obiezione contro il servizio armato, ma non contro la guerra come tale. In una situazione di guerra, insomma, non ci si può chiamare fuori, benché obiettori di coscienza.
  L'obiezione contro la guerra come tale è radicale ed ha un contenuto prettamente politico, come del resto è politico l'ordine di fare guerra, la mobilitazione contro un nemico. 
  L'Italia, come gli altri stati membri dell'Unione Europea,  di fatto è cobelligerante con la Repubblica dell'Ucraina contro la Federazione russa nella guerra iniziata da quest'ultima dal febbraio dello scorso anno, anche se da noi  non è stata ordinata (ancora) la mobilitazione generale e nemmeno, a ciò che si sa, abbiamo mandato truppe in Ucraina, per ora. A quello che si è saputo, si è collaborato fornendo informazioni sui movimenti dell'armata avversaria con gli apparti di ricognizione di ci dispone la NATO.  Sui  mezzi di comunicazione di massa abbiamo assistito a una crescente insofferenza contro le persone che obiettano contro quella guerra. Sono accusate di codardia, l'accusa che veniva rivolta contro gli obiettori contro il servizio militare armato prima della legge sull'obiezione di coscienza (e purtroppo anche dalla gerarchia cattolica), o di intelligenza con il nemico, quindi addirittura di alto tradimento. Insomma i pacifisti non godono di buona fama e questo, per uno che come me ha vissuto consapevolmente negli scorsi anni '70, è piuttosto sorprendente. 
  Il pacifismo  è un strategia politica che si propone il mantenimento, o nel caso di guerra, il ripristino, di una condizione di pace, quindi, per ciò che s'è detto prima, di agire collettivamente perché non venga ordinata la guerra  o perché, una volta che lo sia stata,  venga ordinata la cessazione del conflitto
  Posta una condizione di  guerra tra due schieramenti con pretese di sovranità, la guerra, infatti,  cessa quando almeno uno di essi ordina la pace. In  questo modo cessò, nel 1943, la nostra guerra contro Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Unione Sovietica e loro alleati, e, nel 1945, la guerra della Germania contro quello stesso schieramento, al quale si era aggregata anche l'Italia.  Ordinata la pace, essa fu praticata subito da italiani  e tedeschi, prova del fatto che  la guerra non aveva più il favore popolare. Dal '43 al '45 Mussolini cercò di costruirsi un proprio popolo nelle regioni d'Italia occupate all'armata tedesca, staccandosi dalla monarchia dei Savoia, ma con scarso successo: ampie fasce della popolazione resistettero in varie modo, attivamente o disobbedendo all'ordine di mobilitazione.
  Non è detto, però, che il pacifista  sia anche una  persona pacifica
  Bisogna tener conto, anzi, che, tra le strategie del pacifismo, vi  è anche la lotta nonviolenta, che, benché non violenta, è pur sempre lotta e, come tale, non è assolutamente  pacifica
   Fondamentale, nelle politiche pacificiste, è cercare di sottrarre la gente all'influsso dei poteri pubblici che inclinano verso la guerra o l'hanno dichiarata e la stanno conducendo, quindi cercare di allontanare la gente dal popolo costruito intorno a un centro di potere pubblico con pretese di sovranità che inclini verso la guerra o l'abbia ordinata, innanzi tutto contrastando culturalmente il populismo  di guerra. Questo populismo di guerra fu caratteristico, ad esempio, del fascismo mussoliniano. 
   Naturalmente da quello che ho argomentato discende una conseguenza su cui richiamo la vostra attenzione: vale a dire che un movimento pacifista ha la massima efficacia politica se lotta contro il proprio governo  che inclini alla guerra o l'abbia dichiarata. 
 Di questo si è avuto un esempio eclatante nei moti che negli Stati Uniti d'America, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, contrastarono la guerra americana nel Viet-Nam, in Indocina, dove gli statunitensi si erano cacciati succedendo all'occupazione coloniale dei francesi, per contrastare il controllo di quella regione da parte dei comunisti locali, appoggiati dall'Unione Sovietica. 
  Quella guerra cessò quando il Presidente statunitense ordinò la pace, e lo fece, benché negoziando con il Nord Viet-Nam il disimpegno bellico, sostanzialmente unilateralmente, perchè i nordvietnamiti e i gruppi resistenziali del Sud Vietnam, che si definivano vietcong, continuarono la guerra fino all'abbattimento dello stato sudvietnamita. La crescente pressione, mediante durissime lotte nonviolente, dei pacifisti statunitensi fu fondamentale per produrre questo risultato. Ma certamente cooperò anche l'intuizione di Henry Kissinger, nel 1973 Consigliere per la Sicurezza Nazionale del Presidente statunitense Richard Nixon, delle incredibili opportunità che sarebbero derivate da accordi con la Repubblica popolare di Cina, all'epoca sotto l'egemonia del regime comunista di stampo leninista\stalinista di Mao Zedong. 
   Oggi il Viet Nam è completamente integrato nell'economia capitalista globale e intrattiene rapporti cordiali con gli Stati Uniti d'America.
  La pacificazione dell'Estremo Oriente si è rivelata un vantaggio enorme anche per noi europei: possiamo facilmente constatare che gran parte degli oggetti di nostro uso comune ci viene da laggiù, a basso costo, e l'Italia è rimasta uno dei sistemi economici più ricchi del mondo (nonostante ciò che in genere si pensa). E si ridusse notevolmente l'inquinamento ambientale che ci derivava dall'industria pesante,in particolare da quella  della lavorazione dei metalli, trasferitasi quasi del tutta in Oriente. Tuttavia, negli Stati Uniti d'America come nell'Unione Europea, i movimenti pacifisti hanno molto meno forza nei confronti dei rispettivi governi, che ora praticano un populismo bellico, in particolare presentando l'impegno bellico come l'unica via onorevole e conveniente. 
  Una regione del mondo in cui il pacifismo oggi ha poca forza è la Palestina controllata dallo Stato di Israele e dalle entità palestinesi di Cisigiordania e Gaza, la prima riconosciuta come stato dall'Assemblea e dal Segretariato generale delle Nazioni Unite, ma non, tra molti altri stati, dall'Italia. Vediamo ciò che ne consegue. In realtà mi pare che movimenti pacifisti si siano sviluppati quasi  solo in Israele, con dinamiche analoghe a quelle dei gruppi dell'Occidente. E tuttavia lo Stato di Israele mi pare sia stato controllato, praticamente fin dalla sua fondazione, dai militari, così come, specularmente, accadde nell'entità palestinese ritagliata e segregata nella striscia di Gaza. 
  I populismi bellici cercano di indurre un loro popolo nelle popolazioni che pretendono di controllare. Ci riuscì il Mussolini negli scorsi anni '30, comandando guerre coloniali e poi la partecipazione alle guerre del nazismo tedesco hilteriano. Dagli anni '43, tuttavia, le popolazioni italiane iniziarono a staccarsi dal popolo  indotto dal fascismo.
  Il populismo bellico può prendere piede in una popolazione se quest'ultima viene terrorizzata o se si riesce a farle credere che conseguirà rapidamente grandi vantaggi a basso costo. In genere chi comanda una guerra la presenta come una scelta che rapidamente condurrà alla vittoria e ciò contrariamente ai moniti degli esperti di queste cose, i quali avvertono che, comandata una guerra, non si sa mai veramente come finirà. 
  Di solito un governo comanda la pace solo quando trova conveniente farlo. E la pressione interna si può rivelare una forza molto efficace in questo. 
    La sorte degli attuali pacifisti europei mi pare possa essere accomunata a quella del profeta Geremia, che entrò in contasto con il re Sedecia sulla questione della guerra contro gli invasori babilonesi: fu considerato un disfattista e un traditore perchè la sconsigliava. Ma, almeno in quell'occasione, si narra che il Cielo fosse dalla sua parte. 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

  

mercoledì 22 novembre 2023

Popolo, popolo, populismo - 4 -

          

Popolo, popoli, populismo - 4 

   È molto importante acquisire consapevolezza della differenza tra popolazione popolo. Il forte legame emotivo che abbiamo con l'ambiente sociale in cui ci troviamo meglio, e che assimiliamo alla casa intesa come gruppo dei familiari, riguarda la popolazione. Quello di popolo è invece un concetto politico che ci riguarda tutte le volte che siamo coinvolti in questioni relative al governo della società, anche solo per denunciare all'ufficio comunale dello Stato civile un nuovo nato. L'immaginarci come parte di un popolo è mediato dal mito, costruito culturalmente dai gruppi egemoni in società: se troviamo conveniente sottometterci a un certo ordinamento politico, o non possiamo fare altrimenti, lo assimiliamo. 

  Questo risalta molto bene nel mito biblico della costituzione del popolo degli antichi israeliti per estrazione dalla sottomissione alla monarchia egiziana, quella dei Faraoni. La narrazione (il mito è una narrazione) inizia con una vocazione divina rivolta alla popolazione degli israeliti stanziata in Egitto, che giunse mediante Mosè, che in quell'occasione fu profeta. Durante la fuga e le successive peregrinazioni nel deserto fu poi condottiero. Consolidatosi un ordinamento sociale per via di prassi e cultura, quest'ultima a marcato sfondo religioso data la natura della vocazione fondativo, e accettata la "Legge", strutturata come un Patto con l'Onnipotente, da quelle peregrinazioni emerse un popolo. L'episodio biblico cruciale è quello narrato nel libro dell'Esodo, al capitolo 24, dove troviamo costituito un collegio di governo, il gruppo dei settanta anziani. Il popolo venne poi destinato ad invadere la Palestina, ciò che, secondo il mito, in questo confermato da testimonianze archeologiche e storiche affidabili, si fece con una lunga serie di guerre contro gli altri popoli (e i loro re) che l'occupavano. Con il consolidarsi di un potere territoriale in quella regione, troviamo integrati tutti gli elementi che oggi riteniamo caratterizzare lo stato: governo, popolo soggetto a quel governo, territorio. Questo mito si è rivelato tanto potente  da sorreggere, dalla fine dell'Ottocento, il movimento sionista dal quale originò lo stato ebraico contemporaneo. In qualche modo gli attuali israeliani sembrano sentire  di essere lo stesso mitico  popolo che invase e conquistò la Palestina secondo la narrazione biblica.

  Anche l'Italia visse un analogo processo di costituzione di un popolo dalla metà dell'Ottocento, quando mediante una fase di sanguinosi conflitti, la monarchia (ormai) costituzionale dei Savoia riuscì ad estendere il suo dominio su gran parte della Penisola e sulle varie popolazioni che l'abitavano, veramente molto diverse tra loro, in particolare per cultura e lingua, nonostante che gli irredentisti le immaginassero come un unico popolo. In questa fase il populismo. praticato dal Papato romano in reazione alla sconfitta militare e politica subita nel 1870, si rivelò un fattore fondamentale di unificazione culturale e politica, ben oltre e anche talvolta contro le intenzioni dei Pontefici. 

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

 

lunedì 20 novembre 2023

Popolo, popoli, populismo - 3 -

 Popolo, popoli, populismi – 3 –

 

  Si definisce populismo la strategia politica per ottenere o mantenere l’egemonia su un regime sfruttando il favore di quella a parte della popolazione che rileva politicamente e che costituisce il popolo secondo un determinato ordinamento pubblico. Per quanto manifestazioni populistiche si siano avute fin dall’antichità, il populismo, come ai tempi nostri lo si intende, si è sviluppato quando ad un certo punto, a partire dall’Europa, gli strati della popolazione meno favoriti dal sistema sociale di distribuzione delle risorse contarono di più in politica, mentre in precedenza erano stati prevalentemente oggetto di poteri altrui, quindi diciamo a partire all’incirca dagli anni Venti dell’Ottocento, con il radicarsi di processi democratici e con lo sviluppo del socialismo, due movimenti che, almeno fino agli scorsi anni Cinquanta furono spesso in polemica tra loro. Furono però populisti anche la dottrina sociale cattolica  contemporanea, sviluppatasi nell’Europa occidentale nella seconda metà dell’Ottocento, e i fascismi europei che emersero dopo la Prima guerra mondiale, movimenti nettamente antidemocratici e antisocialisti. 

  Ai tempi nostri, in Italia, il populismo è praticato,  in maggiore o minore  misura, da quasi  tutti i gruppi candidati ad egemonizzare la politica, in un regime ancora di democrazia avanzata, in particolare dopo che, dagli scorsi anni Novanta, il socialismo marxista ha perso presa sulle masse. Le ideologie politiche di ispirazione marxista non furono populiste fondamentalmente perché pretendevano di basarsi su un’osservazione realistica delle dinamiche sociali e si proponevano di rendere le masse degli sfruttati protagoniste nell’agone politico. Il populismo, invece, si propone sempre, come detto, di sfruttarne strumentalmente il favore, mantenendole soggette. Per questo il populismo può manifestarsi anche in movimenti antidemocratici.

  Secondo ciò che accade sempre nell’emergere e stabilizzarsi dei sistemi di potere pubblico, i gruppi che lottano per l’egemonia creano innanzi tutto la propria definizione di popolo, ed è a partire da essa che poi costruiscono il loro populismo, se si pensa che possa essere vantaggioso e nei limiti in cui lo si ritenga tale. Questo ritagliarsi il proprio popolo dalla popolazione insediata su un territorio fa spesso riferimento ad elementi naturalistici, ma è essenzialmente di tipo culturale e spesso mitologico. 

   È appunto ciò che accadde nelle guerre scatenate dal nazionalismo irredentista italiano nell’Ottocento, delle quali fece le spese il Papato romano, che vi perse lo stato che ancora aveva nel Centro Italia, abbattuto mediante conquista militare dall’esercito del Regno d’Italia nel 1870.  A questo il Papato reagì sviluppando politiche populiste, nella specie presentandosi come difensore del popolo a lui rimasto  fedele, visto come una maggioranza assoggettata con la violenza dal liberalismo apostata, che all’epoca animava la democrazia elitaria (basata sul censo) delle istituzioni politiche del Regno d’Italia,  che certamente coinvolgeva solo una minoranza dei maschi italiani. Altra immagine del popolo era configurata nelle leggi del nuovo stato italiano, in particolare nello Statuto del Regno. Nella realtà le popolazioni italiane erano ancora molto diverse da come venivano rappresentate nelle idee di popolo degli opposti schieramenti.  Quanto al Regno d’Italia si disse che, fatta l’Italia bisognava fare gli italiani. Per dirne una: in Italia solo una minoranza colta era in grado di parlare (e anche solo di intendere) l’italiano. Questo problema venne superato solo nel corso degli scorsi anni Sessanta con il diffondersi tra le masse degli apparecchi televisivi e con l’organizzazione di un servizio pubblico televisivo che si proponeva specificamente anche l’alfabetizzazione. Dalla metà dei successivi anni Ottanta l’imprenditoria nel settore della televisione ebbe un ruolo centrale nelle politiche populiste che da allora e fino al primo decennio del nuovo Millennio si svilupparono. Successivamente il populismo si valse delle reti sociali costituite sul Web, l’ambiente virtuale a cui si è connessi via internet e che è governato mediante sistemi di intelligenza artificiale, con un successo travolgente, in particolare negli Stati Uniti d’America, in Italia e in Brasile.

   Caratteristico del populismo contemporaneo è il presentare un circolo ristretto, spesso manifestato pubblicamente da una singola persona, che ambisce o già esercita l’egemonia in un certo regime come difensore e vindice delle masse sfruttate e nel richiedere a queste ultime, non la partecipazione consapevole e responsabile, ma il semplice consenso pubblico acritico. La proposta populista è sempre un pacchetto offerto con la formula lasciare o perdere. Se la strategia riesce, si costituisce un legame unidirezionale: le masse popolari si legano al populista, ma quest’ultimo conserva, e pretende di conservare, piena libertà d’azione. Risponde alle aspettative generate solo nella misura che gli occorre per conservare il favore del proprio popolo e per farne un fattore determinante di pressione sociale.  Il popolo creato dal populista rimane dipendente da quest’ultimo, contrariamente a quanto ci si propone nello sviluppare una democrazia popolare, vale a dire che coinvolga realmente la partecipazione responsabile dei più. Tipicamente il leader populista non accetta di essere messo in questione dal suo popolo. Anche il populismo espresso dal Papato romano fino ad epoca molto recente ebbe queste caratteristiche. Il moto di riforma sinodale promosso da papa Francesco nell’ottobre 2021 vorrebbe cambiarle e questo anche se il pensiero del Papa è ancora connotato da elementi populisti, del resto sulla base del populismo teologico manifestato nei documenti del Concilio Vaticano 2º (1962-1965).  

   Che cosa ne emergerà? Non lo si può ancora sapere. Si sta costruendo un’altra concezione di popolo-Chiesa, diversa da quella populista e, in particolare, basata su una reale partecipazione della gente ai processi deliberativi.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

  

domenica 19 novembre 2023

Popolo, popoli, populismo - 2 –

 

Popolo, popoli, populismo  - 2 –

 

  Il popolo è quella parte della popolazione di un territorio che rileva politicamente.

  La popolazione varia continuamente. In essa si colgono tendenze, regolarità, aggregazioni, consuetudini, costumi, tradizioni, liturgie, gerarchie, alleanze e conflitti, corporazioni e altre manifestazioni del genere. L’antropologo ci vive in mezzo  e le studia.

  Le persone e i gruppi si spostano e possono capitare in mezzo ad altre popolazioni e, finché ci rimangono in mezzo, ne fanno parte e le connotano. A seconda delle loro capacità di integrazione può andare bene o può finire male. Lo vediamo con la gente che ci raggiunge via mare senza osservare le procedure amministrative previste (passaporto e visto ove sia richiesto). Possiamo considerare la popolazione come un fatto naturale.

  Dalle popolazioni emergono gli ordinamenti sociali e, in particolare, quelli politici. Chiamiamo ordinamenti pubblici quelli che riescono a imporsi su un determinato territorio a prescindere dalla volontà di chi li subisce. E’ a questo punto che, da una popolazione, emerge il popolo, che è la gente che conta per i poteri pubblici. Il popolo è quindi parte di un ordinamento politico. Un regime politico è democratico se la gente che  è considerata popolo può in qualche modo influire, con procedure formali, sull’esercizio dei poteri pubblici a cui è soggetta. Chi non è considerato parte del popolo è straniero. Se non fa parte di nessun popolo è detto straniero apolide. Può accadere ai rifugiati che ci giungono da popolazioni che per vari motivi non li riconoscono più come parte dei loro popoli o nelle quali si sono dissolti gli ordinamenti pubblici che  ne individuavano i popoli.

  Nella dottrina dello stato si distinguono quattro elementi che lo costituiscono: un potere pubblico sovrano, un territorio, un popolo e l’effettività di quel potere su quel popolo stanziato su quel territorio. E’ sovrano quel potere pubblico che non riconosce altri poteri sopra di sé: fino all’istituzione  delle Nazioni Unite e di diversi altri organismi internazionali che si impongono agli stati, era considerato tale quello degli stati. Erano dette sovrane le monarchie assolutistiche di un tempo, che esprimevano sovrani,  i  monarchi, e da lì l’espressione si è estesa agli stati in genere, anche con diversa struttura di vertice. Di fatto nessun potere riesce mai ad essere veramente sovrano. Nell’ordinamento internazionale si tende oggi a negare la pretesa di sovranità degli stati, in particolare perché si vogliono riconosciuti universalmente diritti fondamentali della persona. Negli ordinamenti democratici questi ultimi entrano nelle costituzioni degli stati e, in realtà, la sovranità è abolita anche verso i cittadini. Nella nostra Costituzione repubblicana il potere supremo è attribuito al popolo, ma si scrive che anch’esso deve essere esercitato nei limiti di legge: però una sovranità limitata non è più tale.

  E’ la struttura politica che riesce a dominare una società a definire chi fa parte del suo popolo, della gente caduta sotto il suo dominio. E’ in base a questo che si diventa cittadini, e quindi parte di un popolo. Un dominio sul popolo caratterizza sempre il potere pubblico, che senza un popolo non è riconosciuto come tale. Gli ordinamenti pubblici sono necessari alla convivenza, ma chi pretende di dominarli lo fa soprattutto nell’interesse proprio e del proprio gruppo sociale di riferimento.  Nei regimi democratici queste dinamiche di dominio sono limitate, e innanzi tutto regolate, dalle procedure parlamentari e dal riconoscimento costituzionale di un sistema di libertà politiche dei cittadini e dei gruppi e, in genere, anche di certi altri principi di etica pubblica, e tuttavia sono sempre presenti. Un limite agli abusi di potere  molto importante che caratterizza i regimi democratici è la temporaneità delle cariche elettive, che consente al popolo dei cittadini di influire realmente sull’esercizio dei poteri di governo. La svalutazione del ruolo dei parlamenti e delle altre assemblee  elettive  è uno dei marcatori più significativi del degrado di un regime democratico.

  Una legge generale dei regimi politici, che può essere formulata in base all’osservazione di ciò che è accaduto e ancora accade,  è che quanto più è esteso il popolo, quindi la popolazione che un sistema politico pretende di dominare, tanto maggiore è la violenza pubblica necessaria a mantenerlo soggetto a quel dominio. Marcate differenze culturali o economiche all’interno del popolo o l’accentramento del controllo di ingenti fonti di ricchezza nelle mani di gruppi ristretti richiedono maggiore violenza pubblica. Questo accade anche nei regimi democratici.

  In base a questo principio, un ordinamento pubblico mondiale che considerasse proprio popolo l’intera popolazione della Terra, e agisse per mantenerne il dominio, non potrebbe che essere un regime autoritario, non democratico, connotato da un’intensissima violenza pubblica.

  Ogni ordinamento pubblico che riesce a crearsi un popolo sviluppa ad un certo punto  una propria mitologia di legittimazione, per stabilizzare e perpetuare il proprio potere dopo la prima fase, in genere connotata da più intensa violenza, in cui si lotta per imporlo ad una popolazione. Dal Quarto secolo al Diciannovesimo la strategia che ebbe maggior successo in questo fu di costruirla sulla religione cristiana. Si disse quindi che i sovrani governavano  per Grazia di Dio. In particolare come suoi vicari. Presentare un regime politico come voluto da un dio  significa sacralizzarlo. In questo modo chi lo contrasta viene perseguito anche come eretico e viene colpito da uno stigma morale molto forte.

  Se consideriamo l’ideale di popolo espresso nel capitolo 2° della Costituzione Luce per le genti – Lumen gentium  del Concilio Vaticano 2° è proprio alla realizzazione di un solo popolo dalle popolazioni di tutta la Terra che sembra puntarsi.

 

13.Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l'intenzione della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi […]

 

 Questo obiettivo è presentato come legato alla volontà divina: vi è dunque una sacralizzazione  del processo. Per il resto è facilmente constatabile, leggendo il documento, che l’ideologia del popolo che viene sviluppata è del tutto conforme ai principi generali che ho sopra esposto. L’ordinamento politico-religioso che ne dovrebbe conseguire è presentato come fortemente accentrato e autocratico, in cui le cariche ecclesiastiche vengono attribuite per cooptazione dall’alto. Fino al Settecento il tentativo di imporlo alle popolazioni europee e americane generò forme di violenza pubblica intensissima, addirittura stragista.

  Il problema è costituito proprio dal volere fare di tutte le popolazioni del mondo un solo popolo.

  La teologia cattolica relativa è stata costruita sulla base delle concezioni dell’antico giudaismo, nelle quali però il popolo era limitato a quello degli israeliti, un popolo tra molti.

  Così è sintetizzata quella antica fase nella Costituzione Luce per le genti:

 

9. […] Scelse quindi per sé il popolo israelita, stabilì con lui un'alleanza e lo formò lentamente, manifestando nella sua storia se stesso e i suoi disegni e santificandolo per sé. Tutto questo però avvenne in preparazione e figura di quella nuova e perfetta alleanza da farsi in Cristo, e di quella più piena rivelazione che doveva essere attuata per mezzo del Verbo stesso di Dio fattosi uomo. « Ecco venir giorni (parola del Signore) nei quali io stringerò con Israele e con Giuda un patto nuovo... Porrò la mia legge nei loro cuori e nelle loro menti l'imprimerò; essi mi avranno per Dio ed io li avrò per il mio popolo... Tutti essi, piccoli e grandi, mi riconosceranno, dice il Signore » (Ger 31,31-34). 

 

  Ed ecco invece come, nel medesimo documento, subito dopo, si sintetizza la teologia dell’unico popolo universale:

 

Cristo istituì questo nuovo patto cioè la nuova alleanza nel suo sangue (cfr. 1 Cor 11,25), chiamando la folla dai Giudei e dalle nazioni, perché si fondesse in unità non secondo la carne, ma nello Spirito, e costituisse il nuovo popolo di Dio. Infatti i credenti in Cristo, essendo stati rigenerati non di seme corruttibile, ma di uno incorruttibile, che è la parola del Dio vivo (cfr. 1 Pt 1,23), non dalla carne ma dall'acqua e dallo Spirito Santo (cfr. Gv 3,5-6), costituiscono « una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa, un popolo tratto in salvo... Quello che un tempo non era neppure popolo, ora invece è popolo di Dio » (1 Pt 2,9-10).

[…]

13. In tutte quindi le nazioni della terra è radicato un solo popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i cittadini del suo regno non terreno ma celeste. E infatti tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli altri nello Spirito Santo, e così « chi sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra ». Siccome dunque il regno di Cristo non è di questo mondo (cfr. Gv 18,36), la Chiesa, cioè il popolo di Dio, introducendo questo regno nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le ricchezze, le risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che esse hanno di buono e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva. Essa si ricorda infatti di dover far opera di raccolta con quel Re, al quale sono state date in eredità le genti (cfr. Sal 2,8), e nella cui città queste portano i loro doni e offerte (cfr. Sal 71 (72),10; Is 60,4-7). Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l'umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo, nell'unità dello Spirito di lui.

 

   Il problema dell’umanità di oggi, che conta ormai circa otto miliardi di persone, è quello di istituire un nuovo ordinamento politico mondiale che consenta la convivenza e il benessere di questa moltitudine di gente senza dinamiche distruttive. In base ai principi che ho sintetizzato all’inizio, enunciati in base alla consapevolezza storica di ciò che accadde in passato e all’osservazione di come vanno oggi le cose, questo obiettivo non può essere ottenuto facendo di tutte le popolazioni della Terra un unico popolo, perché questo porterebbe fatalmente a un impero mondiale autocratico, caratterizzato da una violenza pubblica intensissima. Quando, come nella dottrina sociale, si pensa a un potere mondiale  che imponga la pace alle potenze in guerra, è più o meno a questo che si pensa, e non è cosa che può funzionare (e infatti non funziona già oggi).

  Si può però farmi osservare che nella Costituzione Luce per le genti  si parla di ordinamento religioso e non politico: bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare. Ma nella nostra Chiesa la distinzione tra politica e religione non è così netta come viene presentata: ad esempio in Italia la nostra gerarchia ecclesiastica esercita anche un rilevantissimo ruolo politico, arrivando con successo a porre il veto  su progetti di legge dello Stato,  ben oltre quello che si è messo nero su bianco negli sciagurati Patti Lateranensi  del 1929, dei quali il Concordato, la parte che riguarda l’influenza specificamente sugli affari italiani, revisionato quasi interamente nel 1984, in particolare con l’istituzione di un ingente, automatico e incomprimibile finanziamento pubblico delle strutture ecclesiastiche, ciò che le ha rese indipendenti dal loro popolo.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

sabato 18 novembre 2023

Popolo, popoli, populismo - 1 -

 

Popolo, popoli, populismo  - 1 -

 

1.  Praticando la tessitura sociale  inevitabilmente ci si deve confrontare con l’idea di popolo.

  Non dobbiamo dare per scontato che in società ci sia un sentire ampiamente condiviso in merito, e questo anche se in genere lo si dà per assodato.

   Da una ventina d’anni l’argomento è ridiventato di grande attualità politica in Europa e se ne sente sempre più parlare.

   Nei programmi elettorali sempre più spesso si calca la mano sui propositi di dare voce al popolo, di fare gli interessi del popolo, di ridare dignità al popolo affrancandolo dalle prepotenze di poteri forti  espressi da minoranze di privilegiati. Quest’orientamento è riassunto dalla parola populismo, non di rado usata in senso negativo, ma che, di per sé, non merita questa connotazione, quando significa proporsi di tener conto dei più, rinunciando a prevaricarli, umiliarli, sfruttarli, prenderli per il naso.

  Il concetto di popolo ha un posto molto importante anche in teologia, sia nella teologia biblica che in quella fondamentale e dogmatica. Quindi chiarirsi su di esso potrebbe utilmente trovare posto del tutto legittimamente anche nella formazione religiosa.

  E’ alla base del rinnovamento religioso promosso durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965), in particolare mediante il secondo capitolo, appunto sul Popolo di Dio, della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti – Lumen gentium:

 

CAPITOLO 2°

IL POPOLO DI DIO

Nuova alleanza e nuovo popolo

9. In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la giustizia (cfr. At 10,35). Tuttavia Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità.

Scelse quindi per sé il popolo israelita, stabilì con lui un'alleanza e lo formò lentamente, manifestando nella sua storia se stesso e i suoi disegni e santificandolo per sé. Tutto questo però avvenne in preparazione e figura di quella nuova e perfetta alleanza da farsi in Cristo, e di quella più piena rivelazione che doveva essere attuata per mezzo del Verbo stesso di Dio fattosi uomo. « Ecco venir giorni (parola del Signore) nei quali io stringerò con Israele e con Giuda un patto nuovo... Porrò la mia legge nei loro cuori e nelle loro menti l'imprimerò; essi mi avranno per Dio ed io li avrò per il mio popolo... Tutti essi, piccoli e grandi, mi riconosceranno, dice il Signore » (Ger 31,31-34). Cristo istituì questo nuovo patto cioè la nuova alleanza nel suo sangue (cfr. 1 Cor 11,25), chiamando la folla dai Giudei e dalle nazioni, perché si fondesse in unità non secondo la carne, ma nello Spirito, e costituisse il nuovo popolo di Dio. Infatti i credenti in Cristo, essendo stati rigenerati non di seme corruttibile, ma di uno incorruttibile, che è la parola del Dio vivo (cfr. 1 Pt 1,23), non dalla carne ma dall'acqua e dallo Spirito Santo (cfr. Gv 3,5-6), costituiscono « una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa, un popolo tratto in salvo... Quello che un tempo non era neppure popolo, ora invece è popolo di Dio » (1 Pt 2,9-10).

  Questo popolo messianico ha per capo Cristo « dato a morte per i nostri peccati e risuscitato per la nostra giustificazione » (Rm 4,25), e che ora, dopo essersi acquistato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, regna glorioso in cielo. Ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio. Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (cfr. Gv 13,34). E finalmente, ha per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra (cfr. Col 3,4) e « anche le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio » (Rm 8,21). Perciò il popolo messianico, pur non comprendendo effettivamente l'universalità degli uomini e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce tuttavia per tutta l'umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cfr. Mt 5,13-16), è inviato a tutto il mondo.

  Come già l'Israele secondo la carne peregrinante nel deserto viene chiamato Chiesa di Dio (Dt 23,1 ss.), così il nuovo Israele dell'era presente, che cammina alla ricerca della città futura e permanente (cfr. Eb 13,14), si chiama pure Chiesa di Cristo (cfr. Mt 16,18); è il Cristo infatti che l'ha acquistata col suo sangue (cfr. At 20,28), riempita del suo Spirito e fornita di mezzi adatti per l'unione visibile e sociale. Dio ha convocato tutti coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia agli occhi di tutti e di ciascuno, il sacramento visibile di questa unità salvifica [15]. Dovendosi essa estendere a tutta la terra, entra nella storia degli uomini, benché allo stesso tempo trascenda i tempi e i confini dei popoli, e nel suo cammino attraverso le tentazioni e le tribolazioni è sostenuta dalla forza della grazia di Dio che le è stata promessa dal Signore, affinché per la umana debolezza non venga meno alla perfetta fedeltà ma permanga degna sposa del suo Signore, e non cessi, con l'aiuto dello Spirito Santo, di rinnovare se stessa, finché attraverso la croce giunga alla luce che non conosce tramonto.

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Il senso della fede e i carismi nel popolo di Dio

12. Il popolo santo di Dio partecipa pure dell'ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità, e coll'offrire a Dio un sacrificio di lode, cioè frutto di labbra acclamanti al nome suo (cfr. Eb 13,15). La totalità dei fedeli, avendo l'unzione che viene dal Santo, (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando « dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici » mostra l'universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio (cfr. 1 Ts 2,13), il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte (cfr. Gdc 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l'applica nella vita.

  Inoltre lo Spirito Santo non si limita a santificare e a guidare il popolo di Dio per mezzo dei sacramenti e dei ministeri, e ad adornarlo di virtù, ma « distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui » (1 Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa secondo quelle parole: « A ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio » (1 Cor 12,7). E questi carismi, dai più straordinari a quelli più semplici e più largamente diffusi, siccome sono soprattutto adatti alle necessità della Chiesa e destinati a rispondervi, vanno accolti con gratitudine e consolazione. Non bisogna però chiedere imprudentemente i doni straordinari, né sperare da essi con presunzione i frutti del lavoro apostolico. Il giudizio sulla loro genuinità e sul loro uso ordinato appartiene a coloro che detengono l'autorità nella Chiesa; ad essi spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cfr. 1 Ts 5,12 e 19-21).

L'unico popolo di Dio è universale

13. Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l'intenzione della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi (cfr. Gv 11,52). A questo scopo Dio mandò il Figlio suo, al quale conferì il dominio di tutte le cose (cfr. Eb 1,2), perché fosse maestro, re e sacerdote di tutti, capo del nuovo e universale popolo dei figli di Dio. Per questo infine Dio mandò lo Spirito del Figlio suo, Signore e vivificatore, il quale per tutta la Chiesa e per tutti e singoli i credenti è principio di associazione e di unità, nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere (cfr. At 2,42).

  In tutte quindi le nazioni della terra è radicato un solo popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i cittadini del suo regno non terreno ma celeste. E infatti tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli altri nello Spirito Santo, e così « chi sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra ». Siccome dunque il regno di Cristo non è di questo mondo (cfr. Gv 18,36), la Chiesa, cioè il popolo di Dio, introducendo questo regno nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le ricchezze, le risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che esse hanno di buono e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva. Essa si ricorda infatti di dover far opera di raccolta con quel Re, al quale sono state date in eredità le genti (cfr. Sal 2,8), e nella cui città queste portano i loro doni e offerte (cfr. Sal 71 (72),10; Is 60,4-7). Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l'umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo, nell'unità dello Spirito di lui.

  In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, in modo che il tutto e le singole parti si accrescono per uno scambio mutuo universale e per uno sforzo comune verso la pienezza nell'unità. Ne consegue che il popolo di Dio non solo si raccoglie da diversi popoli, ma nel suo stesso interno si compone di funzioni diverse. Poiché fra i suoi membri c'è diversità sia per ufficio, essendo alcuni impegnati nel sacro ministero per il bene dei loro fratelli, sia per la condizione e modo di vita, dato che molti nello stato religioso, tendendo alla santità per una via più stretta, sono un esempio stimolante per i loro fratelli. Così pure esistono legittimamente in seno alla comunione della Chiesa, le Chiese particolari, con proprie tradizioni, rimanendo però integro il primato della cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale di carità, tutela le varietà legittime e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non pregiudichi l'unità, ma piuttosto la serva. E infine ne derivano, tra le diverse parti della Chiesa, vincoli di intima comunione circa i tesori spirituali, gli operai apostolici e le risorse materiali. I membri del popolo di Dio sono chiamati infatti a condividere i beni e anche alle singole Chiese si applicano le parole dell'Apostolo: « Da bravi amministratori della multiforme grazia di Dio, ognuno di voi metta a servizio degli altri il dono che ha ricevuto» (1 Pt 4,10).

  Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale; a questa unità in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini senza eccezione, che la grazia di Dio chiama alla salvezza.

 

  Penso che questo brano potrebbe utilmente costituire la base per un approfondimento catechistico per la formazione religiosa di secondo livello, in particolare per le persone che si sentano portate ad agire in società.

  Il movimento per un rinnovamento ecclesiastico in senso sinodale, al quale papa Francesco ha dato un grande impulso dal 2015 e che da adesso e  fino all’ottobre 2024 vivrà una stagione emozionante, è centrato sul concetto di Popolo di Dio.

  Tra i molti testi in italiano, accessibili al vasto pubblico, che sono stati pubblicati in questi ultimi anni, segnalo:

DIZIONARIO DI FILOSOFIA TRECCANI on line  - voce Popolo https://www.treccani.it/enciclopedia/popolo_%28Dizionario-di-filosofia%29/

DIZIONARIO DI STORIA TRECCANI on line – voce Popolo  https://www.treccani.it/enciclopedia/popolo_%28Dizionario-di-Storia%29/ 

 HOBSBAWN Eric J., Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito e realtà, Einaudi 1990, ristampato nel 2002;

MÜLLER Jan-Werner, Che cos’è il populismo, Università Bocconi editore 2017k, anche in ebook e Kindle;

 SCURATI Antonio, Fascismo e populismo. Mussolini oggi, Bompiani 2023, anche in ebook e Kindle;

 ZANATTA Loris, Populismo, Carocci editore 2013, anche in ebook e Kindle.

2. Di solito, parlando di popolo, comincio sempre con l’osservare che esso non esiste in natura, è un concetto di carattere culturale. Questo risalta, ad esempio, nella definizione della parola popolo  che troviamo nel Vocabolario Treccani on line https://www.treccani.it/vocabolario/popolo/

 

Un POPOLO è un insieme di individui che condividono origini, lingua, tradizioni religiose e culturali e leggi, e formano un gruppo etnico e nazionale con una propria identità e coscienza di sé, indipendentemente dall’unità politica

 

  In natura non esistono popoli ma popolazioni, che sono studiate da sociologia e antropologia.

  Il concetto di popolo è stato invece creato, approfondito e studiato dalle discipline giuridiche, in particolare nel diritto pubblico, e teologiche e da esse è passato nella pratica politica. Lo troviamo impiegato, ad esempio, nell’art.1 della nostra Costituzione:

 

Articolo 1

 L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

 La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

 

  La delimitazione di un popolo dipende dall’ordinamento politico che in esso è stato costituito. A tal fine si scelgono di volta in volta alcuni elementi caratterizzanti di una popolazione, ad esempio la lingua, la religione, l’etnia, quest’ultima definita da molteplici elementi  culturali oltre che di tipo biologico, la collocazione geografica. Quindi si può sostenere che ogni sistema politico si sceglie  un  suo popolo, ma anche che lo crea quando ancora non risponde alle sue aspettative.

 E’ questo anche l’ordine di idee della teologia cristiana, come sintetizzata nel brano della Costituzione Luce per le genti che ho sopra trascritto:

 

Tuttavia Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità.

 

  L’idea di popolo è centrale nella nostra Bibbia, sia negli scritti che ricevemmo dall’antico giudaismo, sia in quelli formati nelle comunità cristiane delle origini, all’incirca nel primo secolo dopo la morte del Maestro. Tuttavia nei primi ha un connotato etnico che manca del tutto nei secondi: e questa è una differenza fondamentale che ci separa nettamente dall’ebraismo nostro contemporaneo, con il quale certamente, e nonostante ciò che in genere superficialmente si dice e si scrive,  condividiamo solo un importante patrimonio culturale, che ci può far vivere da amici, ma che, per come lo si interpretò fino ad un recente passato, ci rese acerrimi nemici proprio sulla questione di chi dovesse essere considerato Popolo di Dio.

 Definiamo popolazione la gente che vive stabilmente in una certa area geografica. Siamo viventi che costituiscono società e questo conduce le popolazioni, per lo svilupparsi di più intense relazioni di ogni genere, a manifestare alcune specifiche caratteristiche molto diffuse. Alcune di queste vengono prese come riferimento politico nell’ordinare le società e da questo lavoro viene creato, in una popolazione, un popolo. Esso è parte dell’ordinamento sociale dal quale scaturisce il sistema politico dominante. Ogni potere politico che emerge al vertice di una società si crea quindi, a proprio uso e consumo, un popolo, a partire dalle popolazioni ad esso soggette. In progresso di tempo di questa origine culturale si perde consapevolezza e allora quello di popolo diventa un concetto mitico. In ogni popolazione sono sempre diffusi miti sul proprio essere diventata popolo. Quelli ancestrali contemplavano un’origine nella quale aveva a che fare una divinità.

  E’ molto importante convincersi dell’origine non naturalistica ma politica dei popoli, in particolare ora che il problema più grande è quello di  integrare pacificamente tutte le popolazioni della Terra che hanno raggiunto gli otto miliardi circa di persone e che giungono dalla storia divise in molti popoli (in senso politico e anche religioso). In questo è ora attivamente coinvolta anche la nostra Chiesa, che, più o meno dagli anni Sessanta, ha inteso divenire una potenza di pace. Nel mese scorso abbiamo potuto vedere all’opera questo processo, nell’Assemblea del Sinodo dei vescovi che si è tenuta qui a Roma – Città del Vaticano, con la partecipazione di membri da ogni parte del mondo. Ora  lo chiamiamo sinodalità  e ha un senso profondamente diverso da ciò che la sinodalità significò fin a un recente passato.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli