Manuale pratico di sinodalità
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Libertà –
democrazia – popolo/dèmos e popolo ètnos – sinodalità democratica
Noi vogliamo solo ciò che nella nostra società di
riferimento è ritenuto plausibile: la libertà è quindi una costruzione sociale. Questa
mentalità ci definisce addirittura
come specie e nessun singolo individuo è capace di affrancarsene.
Quindi, quando l’uomo moderno è accusato di voler fare tutto ciò vuole, si dice una cosa senza senso. L’uomo
moderno vuole secondo un ordine
sociale diverso dal passato più antico, ma il suo volere, la sua libertà,
rimane una costruzione sociale.
Ciò che viene principalmente in rilievo nelle questioni del volere e delle libertà è l’evoluzione sociale.
Le società cambiano, questo è sotto gli occhi di tutti. Per quanto le forze
sociali più influenti cerchino di programmarne il cambiamento, esso, almeno
finora, non è mai storicamente avvenuto
secondo i progetti, anche quelli che si vogliono normativi. Anche questo è sotto
gli occhi di tutti.
In particolare, la deliberazione di una norma secondo una certa
procedura non garantisce mai che essa sia osservata. Questo è molto chiaro ai teorici e pratici del
diritto: la norma giuridica, vale a dire deliberata secondo una procedura
corretta, non ha lo stesso valore di una norma sociale o di una norma della
natura. Le ultime due sono regolarità che vanno trovate studiando i
fenomeni di riferimento, la prima va deliberata.
La devianza da una norma giuridica dipende dall’universo sociale in cui
il deviante è inserito. Anche la devianza è una costruzione sociale. Di questo nella
scienza del diritto italiano si prese consapevolezza con l’opera del giurista Santi
Romano (1875-1947). Anche deviando, vogliamo solo ciò che la società di
riferimento rende plausibile. L’indole personale incide solo nella propensione
ad accettare rischi.
Tutto questo ha molta importanza ragionando di democrazia e di
sinodalità.
La prima è un sistema di procedure di governo, la seconda è una
procedura di decisione.
Nessuna società umana può
sussistere se non è governata. Il governo si fa deliberando norme secondo
procedure.
Quando parliamo di democrazia, dobbiamo essere consapevoli che
questo concetto non ha avuto nella storia sempre lo stesso significato. Ha però
sempre denotato un governo collettivo. Ma storicamente ha significato il
governo dei liberi, il governo dei maggiorenti, il governo dei
più, il governo di tutti.
Elementi comuni sono stati: riconoscere pari dignità sociale ai
decisori, la volontà di accettare le deliberazioni prese secondo
procedure predefinite e condivise anche se dissenzienti. Questi elementi
collegano il concetto di democrazia a quello di sinodalità.
Ai tempi nostri, in Occidente, democrazia
viene intesa come governo in cui tutti possono aver parte limitando ogni
potere sociale secondo valori. Il primo e fondamentale valore è
quello di non accettare nessun potere illimitato. Quindi democrazia come sistema di limiti secondo valori. In
questo contesto ci si riconosce pari dignità sociale in quanto tutti decisori e il popolo, inteso come tutti, governa limitando ogni potere sociale: questo
comporta la costruzione di un sistema di diritti fondamentali della persona, che costituiscono uno dei principali sistemi di limiti
caratterizzanti la democrazia come oggi la intendiamo. Sottolineo oggi, perché, ad esempio, ciò che oggi chiamiamo democrazia è molto diverso da ciò che
veniva ritenuta tale nell’antica civiltà ateniese, anche se ancora ne usiamo la
concettuologia, ad esempio quando parliamo di popolo – dèmos. Va
osservato che, quando parliamo di popolo
riferendoci all’idea di nazione, non pensiamo al popolo – dèmos
ma a ciò che gli antichi greci
definivano popolo
– ètnos (da cui etnikòi, appartenenti al popolo), quindi a una popolazione con determinate
caratteristiche sociali e culturali, e in genere antropologiche, per cui, ad esempio,
parliamo di italiani. La distinzione mi pare molto importante in
teologia (ne parlo però da non teologo), dove noto che si si ragiona in
italiano traducendo con pagani ciò che nel greco evangelico era ἐθνικοὶ [le genti, i non giudei], ad esempio
in Mt 5,47:
καὶ ἐὰν ἀσπάσησθε τοὺς ⸀ἀδελφοὺς ὑμῶν μόνον, τί περισσὸν ποιεῖτε; οὐχὶ καὶ οἱ ⸀ἐθνικοὶ ⸂τὸ αὐτὸ⸃ ποιοῦσιν;
traendone conclusioni che non mi paiono
esattamente in linea con il messaggio evangelico. In particolare, nei detti
evangelici con etnikòi si
riconosce il pluralismo dei
popoli.
Quando
nella Costituzione conciliare Luce per le genti, del Concilio Vaticano 2°, si usa l’espressione
Popolo di Dio, si intende il popolo – dèmos. Quest’ultimo, a
differenza del popolo – ètnos, è un concetto politico, secondo il quale
il popolo è la popolazione soggetta a un governo, ma nel contempo quella
popolazione è anche riconosciuta come proprio popolo da quel governo. Nella teologia cattolica, come
in altre confessioni cristiane, il concetto
di popolo – dèmos è costruito in
base a un sistema di verità. In quest’ordine di idee, verità è ciò che deve essere creduto per essere riconosciuti come popolo. Credere,
in questo contesto, significa manifestare convinzioni che corrispondono ad
un sentire interiore. L’acculturazione alla fede richiede innanzi tutto la
costruzione di quel sentire interiore, che invece non era richiesto nei culti
pubblici politeistici precristiani diffusi nel bacino del Mediterraneo. L’idea
di verità come discrimine del popolo di Dio, quindi come criterio di
riconoscimento ecclesiale, spiega l’idea teologica di gerarchia della verità, che altrimenti non avrebbe senso. Le verità
teologiche possono essere pensate
come gerarchizzate in relazione
alla loro forza come discrimine
ecclesiale.
Quando
nella politica di governo degli Stati Uniti d’America o della Federazione russa
si fa riferimento a una missione storica dei rispettivi popoli,
si parla di popolo nel senso di popolo
– ètnos. Questo è molto importante per comprendere la neo-ideologia del
fascismo putiniano, assecondata dal patriarcato ortodosso di Mosca, che assegna
alla Russia, come popolo – ètnos, un ruolo missionario per la difesa della fede
cristiana.
Quando nell’attuale
Occidente si parla di democrazia si fa anche qui riferimento al popolo –
dèmos. La caratteristica fondamentale della democrazia come oggi la si
intende è che è un sistema di governo in
cui il concetto di popolo – dèmos non è costruito solo in base alla soggezione
ad un governo, ma anche al potere del popolo, mediante specifiche procedure, di
limitare il potere del governo e, in genere, ogni potere sociale. Come, però,
si diventa parte del popolo-dèmos? Qui vi è ancora una interferenza tra
l’idea di popolo – dèmos e quella
di popolo – ètnos. In questo senso, ad esempio, si parla di popolo
italiano come della popolazione alla quale è riconosciuta la cittadinanza
italiana, in base ad una legge nazionale, ma la linea evolutiva
finora dell’idea democratica è nel senso di riconoscere come popolo tutti,
sulla base della sola appartenenza alla specie umana, riconoscendo a tutti determinati diritti fondamentali, che sono
correlativamente limiti ai poteri
sociali. Quest’idea è espressa, ad esempio, nell’art.2 della nostra
Costituzione:
La
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e
richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale.
Al secondo comma dell’art.1 si parla di una sovranità
che appartiene al popolo, ma
solo nelle forme e nei limiti della Costituzione. Un popolo che, come è scritto nel primo comma dell’art.3,
è composto di uguali senza distinzione di razza e di lingua, concezione
che si distacca marcatamente dall’idea di popolo – ètnos. Tanto che la
sovranità appartiene al popolo, è scritto, non al popolo italiano. Sovranità, poi,
significa non riconoscere altri poteri sopra di sé, ma, se deve essere
esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione, non è più tale,
perché si riconosce soggetta ai principi fondamentali, tra i quali i diritti
inviolabili dell’uomo. Questo, dei ripudio della sovranità, per il quale
anche il potere del popolo è limitato, diventa quindi il principio fondamentale di queta concezione
della democrazia. Esso, la base ideologica e politica della costruzione democratica
del popolo – dèmos, non è però
una verità, ma un impegno
etico reso plausibile dal contesto sociale europeo contemporaneo. Non
richiede di essere creduto, ma solo praticato.
Come si capisce c’è una forte tensione tra il
concetto di popolo – dèmos ecclesiastico, in particolare cattolico, e quello
di popolo – dèmos democratico. E’
essa sostanzialmente a creare i maggiori problemi di compatibilità ecclesiale
della democrazia. Questo perché il sistema di verità ecclesiastico è stato
costruito nel Quarto secolo a sostegno di un’ecclesiologia che voleva sottomettere
un solo popolo, fatto di tutta
l’umanità, ad un unico imperatore, elevato a Vicario del Cristo e quindi a
unico mandatario del Cielo. Nel Secondo millennio questa sovranità
imperiale venne rivendicata, con un certo successo pur tra alterne vicende,
dal Papato romano. L’impianto ideologico che sorregge questa concezione è ciò
che in teologia è definito cristologia, e ve ne sono state diverse, a
seconda dell’evoluzione sociale e politica delle società cristianizzate. Anche
i documenti del Concilio Vaticano 2° ne contengono alcune, che vennero
presentate, in modo immaginifico, come un ritorno alle origini, pur essendo in alcuni punti piuttosto
innovative. Come talvolta accade nelle ideologie, si trattò prevalentemente di
un ritorno a un neo-passato.
Quando parliamo di riforma sinodale della nostra Chiesa, come fa il Papa, deve
intendersi che si vuole incidere sull’idea normativa di popolo – dèmos
in senso propriamente democratico. E’ per questo che il cammino sinodale è stato proposto a tutti. Coloro che
pregiudizialmente, in base al sistema di verità ecclesiali, sanciscono l’incompatibilità
tra democrazia e sinodalità in quel senso si mettono di traverso per bloccare la
via. Accusano di voler mettere in questione Cristo, ma in realtà difendono un
sistema di potere immaginificamente costruito su una cristologia ideata nel
Quarto secolo e riformata nell’Undicesimo per sostenere quelle che propriamente
sono autocrazie. Le autocrazie cristianizzate non scendono dal Cielo ma cercano
di salirvi, per sacralizzarsi e rendersi indiscutibili. Il processo contrario è
la secolarizzazione: essa è alla base dei processi democratici, che non
riconoscono nulla di indiscutibile.
Storicamente la sinodalità iniziò ad essere praticata,
dall’inizio del Terzo secolo (il primo sinodo documentato è quello di Cartagine
del 225) come forma di intesa tra gerarchi ecclesiastici, quindi tra detentori di un potere
sacrale, su verità normative, per definire chi potesse essere riconosciuto,
continuare a essere riconosciuto, riammesso, come popolo – dèmos della Chiesa e su problemi disciplinari. Nella
Chiesa cattolica rimase sostanzialmente questo fino alla riforma deliberata durante
il Concilio Vaticano 2°. Le presunte virtù di questa sinodalità mi sembrano
essere piuttosto sovrastimate. In realtà le cose non si misero sempre bene e ciò può dirsi anche per
l’esperienza millenaria dei concili ecumenici, che su quella forma di
sinodalità si basarono, con la differenza che dal Quarto al Quindicesimo secolo
vi ebbero parte determinante poteri politici non propriamente ecclesiastici. Ma
ciò che costituisce il principale problema nell’ispirare la nostra attuale
esperienza sinodalità a quella sinodalità tra gerarchi è che quest’ultima è
centrata sulla deliberazione di verità normative, cosa che non rientra
nel campo della sinodalità che invece ai tempi nostri si vorrebbe sviluppare. E
tuttavia il sistema normativo di quelle verità la limita abbastanza nella sua
pretesa di apertura alla democraticità, intesa nel senso che tutti debbano avere voce nelle decisioni che li
riguardano, innanzi tutto limitando ogni potere che pretenda assolutezza. Il
problema principale è la costruzione di una gerarchia che si vuole sacra, quindi
indiscutibile. Nel sistema della gerarchia ecclesiastica, come in quella delle
verità, la forza scende dall’alto, mentre nel sistema democratico dal basso
scaturisce una forza che costituisce il limite di ogni altra. E’ paradossale
però che proprio dal potere che, almeno per il diritto canonico, ha riconosciuta
quell’assolutezza al massimo grado, quello del Papa, provenga ora l’esortazione a quella che
potrebbe definirsi sinodalità democratica. Questo si spiega con il
mutamento delle società in cui il cristianesimo è ancora diffuso, a cui devono conformarsi
le istituzioni sociali, anche ecclesiali, se non vogliono perire,
dissolvendosi. L’autocrazia è divenuta socialmente obsoleta e serve sempre meno
come collante sociale, soprattutto nelle realtà di base, dove la gente ha rapporti
faccia a faccia. E’ molto significativa anche l’evoluzione che mi pare di
cogliere in teologia da un’idea di appartenenza basata su procedure liturgiche formali ad una
fondata sulla comune umanità, per cui si è figli in quanto appartenenti alla specie umana.
Va detto, che come da più parti si osserva,
la crisi delle democrazie europee, resa manifesta ad esempio nel conflitto che
si sta combattendo in Ucraina tra stati formalmente democratici e
cristianizzati, potrebbe comportare un arretramento di quest’idea di popolo
dèmos verso una più rispondente a
concetto di popolo – ètnos, come
appare nei sovranismi europei,
dei quali il fascismo russo putiniano può essere considerato una sottospecie.
Mario
Ardigò