INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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martedì 31 dicembre 2019

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA CELEBRAZIONE DELLA 53° GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 1° GENNAIO 2020 LA PACE COME CAMMINO DI SPERANZA: DIALOGO, RICONCILIAZIONE E CONVERSIONE ECOLOGICA - MESSAGE OF HIS HOLINESS POPE FRANCIS FOR THE CELEBRATION OF THE 53rd WORLD DAY OF PEACE 1 JANUARY 2020 PEACE AS A JOURNEY OF HOPE: DIALOGUE, RECONCILIATION AND ECOLOGICAL CONVERSION


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
53°  GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2020

LA PACE COME CAMMINO DI SPERANZA:
DIALOGO, RICONCILIAZIONE E CONVERSIONE ECOLOGICA
 -
MESSAGE OF HIS HOLINESS POPE
FRANCIS
FOR THE CELEBRATION OF THE
53rd WORLD DAY OF PEACE
1 JANUARY 2020

PEACE AS A JOURNEY OF HOPE:
DIALOGUE, RECONCILIATION AND ECOLOGICAL CONVERSION


After the Italian text, the English text follows: both are taken from the website www.vatican.va

1. La pace, cammino di speranza di fronte agli ostacoli e alle prove
  La pace è un bene prezioso, oggetto della nostra speranza, al quale aspira tutta l’umanità. Sperare nella pace è un atteggiamento umano che contiene una tensione esistenziale, per cui anche un presente talvolta faticoso «può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino».[1] In questo modo, la speranza è la virtù che ci mette in cammino, ci dà le ali per andare avanti, perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili.
  La nostra comunità umana porta, nella memoria e nella carne, i segni delle guerre e dei conflitti che si sono succeduti, con crescente capacità distruttiva, e che non cessano di colpire specialmente i più poveri e i più deboli. Anche intere nazioni stentano a liberarsi dalle catene dello sfruttamento e della corruzione, che alimentano odi e violenze. Ancora oggi, a tanti uomini e donne, a bambini e anziani, sono negate la dignità, l’integrità fisica, la libertà, compresa quella religiosa, la solidarietà comunitaria, la speranza nel futuro. Tante vittime innocenti si trovano a portare su di sé lo strazio dell’umiliazione e dell’esclusione, del lutto e dell’ingiustizia, se non addirittura i traumi derivanti dall’accanimento sistematico contro il loro popolo e i loro cari.
  Le terribili prove dei conflitti civili e di quelli internazionali, aggravate spesso da violenze prive di ogni pietà, segnano a lungo il corpo e l’anima dell’umanità. Ogni guerra, in realtà, si rivela un fratricidio che distrugge lo stesso progetto di fratellanza, inscritto nella vocazione della famiglia umana.
  La guerra, lo sappiamo, comincia spesso con l’insofferenza per la diversità dell’altro, che fomenta il desiderio di possesso e la volontà di dominio. Nasce nel cuore dell’uomo dall’egoismo e dalla superbia, dall’odio che induce a distruggere, a rinchiudere l’altro in un’immagine negativa, ad escluderlo e cancellarlo. La guerra si nutre di perversione delle relazioni, di ambizioni egemoniche, di abusi di potere, di paura dell’altro e della differenza vista come ostacolo; e nello stesso tempo alimenta tutto questo.
  Risulta paradossale, come ho avuto modo di notare durante il recente viaggio in Giappone, che «il nostro mondo vive la dicotomia perversa di voler difendere e garantire la stabilità e la pace sulla base di una falsa sicurezza supportata da una mentalità di paura e sfiducia, che finisce per avvelenare le relazioni tra i popoli e impedire ogni possibile dialogo. La pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale; sono possibili solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana di oggi e di domani».[2]
  Ogni situazione di minaccia alimenta la sfiducia e il ripiegamento sulla propria condizione. Sfiducia e paura aumentano la fragilità dei rapporti e il rischio di violenza, in un circolo vizioso che non potrà mai condurre a una relazione di pace. In questo senso, anche la dissuasione nucleare non può che creare una sicurezza illusoria.
  Perciò, non possiamo pretendere di mantenere la stabilità nel mondo attraverso la paura dell’annientamento, in un equilibrio quanto mai instabile, sospeso sull’orlo del baratro nucleare e chiuso all’interno dei muri dell’indifferenza, dove si prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi dello scarto dell’uomo e del creato, invece di custodirci gli uni gli altri.[3] Come, allora, costruire un cammino di pace e di riconoscimento reciproco? Come rompere la logica morbosa della minaccia e della paura? Come spezzare la dinamica di diffidenza attualmente prevalente?
  Dobbiamo perseguire una reale fratellanza, basata sulla comune origine da Dio ed esercitata nel dialogo e nella fiducia reciproca. Il desiderio di pace è profondamente inscritto nel cuore dell’uomo e non dobbiamo rassegnarci a nulla che sia meno di questo.
2. La pace, cammino di ascolto basato sulla memoria, sulla solidarietà e sulla fraternità
  Gli Hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, sono tra quelli che oggi mantengono viva la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde nell’agosto del 1945 e le sofferenze indicibili che ne sono seguite fino ad oggi. La loro testimonianza risveglia e conserva in questo modo la memoria delle vittime, affinché la coscienza umana diventi sempre più forte di fronte ad ogni volontà di dominio e di distruzione: «Non possiamo permettere che le attuali e le nuove generazioni perdano la memoria di quanto accaduto, quella memoria che è garanzia e stimolo per costruire un futuro più giusto e fraterno».[4]
  Come loro molti, in ogni parte del mondo, offrono alle future generazioni il servizio imprescindibile della memoria, che va custodita non solo per non commettere di nuovo gli stessi errori o perché non vengano riproposti gli schemi illusori del passato, ma anche perché essa, frutto dell’esperienza, costituisca la radice e suggerisca la traccia per le presenti e le future scelte di pace.
  Ancor più, la memoria è l’orizzonte della speranza: molte volte nel buio delle guerre e dei conflitti, il ricordo anche di un piccolo gesto di solidarietà ricevuta può ispirare scelte coraggiose e persino eroiche, può rimettere in moto nuove energie e riaccendere nuova speranza nei singoli e nelle comunità.
  Aprire e tracciare un cammino di pace è una sfida, tanto più complessa in quanto gli interessi in gioco, nei rapporti tra persone, comunità e nazioni, sono molteplici e contradditori. Occorre, innanzitutto, fare appello alla coscienza morale e alla volontà personale e politica. La pace, in effetti, si attinge nel profondo del cuore umano e la volontà politica va sempre rinvigorita, per aprire nuovi processi che riconcilino e uniscano persone e comunità.
  Il mondo non ha bisogno di parole vuote, ma di testimoni convinti, di artigiani della pace aperti al dialogo senza esclusioni né manipolazioni. Infatti, non si può giungere veramente alla pace se non quando vi sia un convinto dialogo di uomini e donne che cercano la verità al di là delle ideologie e delle opinioni diverse. La pace è «un edificio da costruirsi continuamente»,[5] un cammino che facciamo insieme cercando sempre il bene comune e impegnandoci a mantenere la parola data e a rispettare il diritto. Nell’ascolto reciproco possono crescere anche la conoscenza e la stima dell’altro, fino al punto di riconoscere nel nemico il volto di un fratello.
Il processo di pace è quindi un impegno che dura nel tempo. È un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune, più forte della vendetta. In uno Stato di diritto, la democrazia può essere un paradigma significativo di questo processo, se è basata sulla giustizia e sull’impegno a salvaguardare i diritti di ciascuno, specie se debole o emarginato, nella continua ricerca della verità.[6] Si tratta di una costruzione sociale e di un’elaborazione in divenire, in cui ciascuno porta responsabilmente il proprio contributo, a tutti i livelli della collettività locale, nazionale e mondiale.
  Come sottolineava San Paolo VI, «la duplice aspirazione all’uguaglianza e alla partecipazione è diretta a promuovere un tipo di società democratica […]. Ciò sottintende l’importanza dell’educazione alla vita associata, dove, oltre l’informazione sui diritti di ciascuno, sia messo in luce il loro necessario correlativo: il riconoscimento dei doveri nei confronti degli altri. Il significato e la pratica del dovere sono condizionati dal dominio di sé, come pure l’accettazione delle responsabilità e dei limiti posti all’esercizio della libertà dell’individuo o del gruppo».[7]
  Al contrario, la frattura tra i membri di una società, l’aumento delle disuguaglianze sociali e il rifiuto di usare gli strumenti per uno sviluppo umano integrale mettono in pericolo il perseguimento del bene comune. Invece il lavoro paziente basato sulla forza della parola e della verità può risvegliare nelle persone la capacità di compassione e di solidarietà creativa.
  Nella nostra esperienza cristiana, noi facciamo costantemente memoria di Cristo, che ha donato la sua vita per la nostra riconciliazione (cfr Rm 5,6-11). La Chiesa partecipa pienamente alla ricerca di un ordine giusto, continuando a servire il bene comune e a nutrire la speranza della pace, attraverso la trasmissione dei valori cristiani, l’insegnamento morale e le opere sociali e di educazione.
3. La pace, cammino di riconciliazione nella comunione fraterna
  La Bibbia, in modo particolare mediante la parola dei profeti, richiama le coscienze e i popoli all’alleanza di Dio con l’umanità. Si tratta di abbandonare il desiderio di dominare gli altri e imparare a guardarci a vicenda come persone, come figli di Dio, come fratelli. L’altro non va mai rinchiuso in ciò che ha potuto dire o fare, ma va considerato per la promessa che porta in sé. Solo scegliendo la via del rispetto si potrà rompere la spirale della vendetta e intraprendere il cammino della speranza.
  Ci guida il brano del Vangelo che riporta il seguente colloquio tra Pietro e Gesù: «“Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”» (Mt 18,21-22). Questo cammino di riconciliazione ci chiama a trovare nel profondo del nostro cuore la forza del perdono e la capacità di riconoscerci come fratelli e sorelle. Imparare a vivere nel perdono accresce la nostra capacità di diventare donne e uomini di pace.
  Quello che è vero della pace in ambito sociale, è vero anche in quello politico ed economico, poiché la questione della pace permea tutte le dimensioni della vita comunitaria: non vi sarà mai vera pace se non saremo capaci di costruire un più giusto sistema economico. Come scriveva Benedetto XVI, dieci anni fa, nella Lettera Enciclica Caritas in veritate: «La vittoria del sottosviluppo richiede di agire non solo sul miglioramento delle transazioni fondate sullo scambio, non solo sui trasferimenti delle strutture assistenziali di natura pubblica, ma soprattutto sulla progressiva apertura, in contesto mondiale, a forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e comunione» (n. 39).
4. La pace, cammino di conversione ecologica
  «Se una cattiva comprensione dei nostri principi ci ha portato a volte a giustificare l’abuso della natura o il dominio dispotico dell’essere umano sul creato, o le guerre, l’ingiustizia e la violenza, come credenti possiamo riconoscere che in tal modo siamo stati infedeli al tesoro di sapienza che avremmo dovuto custodire».[8]
  Di fronte alle conseguenze della nostra ostilità verso gli altri, del mancato rispetto della casa comune e dello sfruttamento abusivo delle risorse naturali – viste come strumenti utili unicamente per il profitto di oggi, senza rispetto per le comunità locali, per il bene comune e per la natura – abbiamo bisogno di una conversione ecologica.
  Il recente Sinodo sull’Amazzonia ci spinge a rivolgere, in modo rinnovato, l’appello per una relazione pacifica tra le comunità e la terra, tra il presente e la memoria, tra le esperienze e le speranze.
  Questo cammino di riconciliazione è anche ascolto e contemplazione del mondo che ci è stato donato da Dio affinché ne facessimo la nostra casa comune. Infatti, le risorse naturali, le numerose forme di vita e la Terra stessa ci sono affidate per essere “coltivate e custodite” (cfr Gen 2,15) anche per le generazioni future, con la partecipazione responsabile e operosa di ognuno. Inoltre, abbiamo bisogno di un cambiamento nelle convinzioni e nello sguardo, che ci apra maggiormente all’incontro con l’altro e all’accoglienza del dono del creato, che riflette la bellezza e la sapienza del suo Artefice.
  Da qui scaturiscono, in particolare, motivazioni profonde e un nuovo modo di abitare la casa comune, di essere presenti gli uni agli altri con le proprie diversità, di celebrare e rispettare la vita ricevuta e condivisa, di preoccuparci di condizioni e modelli di società che favoriscano la fioritura e la permanenza della vita nel futuro, di sviluppare il bene comune dell’intera famiglia umana.
  La conversione ecologica alla quale facciamo appello ci conduce quindi a un nuovo sguardo sulla vita, considerando la generosità del Creatore che ci ha donato la Terra e che ci richiama alla gioiosa sobrietà della condivisione. Tale conversione va intesa in maniera integrale, come una trasformazione delle relazioni che intratteniamo con le nostre sorelle e i nostri fratelli, con gli altri esseri viventi, con il creato nella sua ricchissima varietà, con il Creatore che è origine di ogni vita. Per il cristiano, essa richiede di «lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo».[9]
5. Si ottiene tanto quanto si spera[10]
  Il cammino della riconciliazione richiede pazienza e fiducia. Non si ottiene la pace se non la si spera.
  Si tratta prima di tutto di credere nella possibilità della pace, di credere che l’altro ha il nostro stesso bisogno di pace. In questo, ci può ispirare l’amore di Dio per ciascuno di noi, amore liberante, illimitato, gratuito, instancabile.
  La paura è spesso fonte di conflitto. È importante, quindi, andare oltre i nostri timori umani, riconoscendoci figli bisognosi, davanti a Colui che ci ama e ci attende, come il Padre del figlio prodigo (cfr Lc 15,11-24). La cultura dell’incontro tra fratelli e sorelle rompe con la cultura della minaccia. Rende ogni incontro una possibilità e un dono dell’amore generoso di Dio. Ci guida ad oltrepassare i limiti dei nostri orizzonti ristretti, per puntare sempre a vivere la fraternità universale, come figli dell’unico Padre celeste.
  Per i discepoli di Cristo, questo cammino è sostenuto anche dal sacramento della Riconciliazione, donato dal Signore per la remissione dei peccati dei battezzati.     Questo sacramento della Chiesa, che rinnova le persone e le comunità, chiama a tenere lo sguardo rivolto a Gesù, che ha riconciliato «tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,20); e chiede di deporre ogni violenza nei pensieri, nelle parole e nelle opere, sia verso il prossimo sia verso il creato.
  La grazia di Dio Padre si dà come amore senza condizioni. Ricevuto il suo perdono, in Cristo, possiamo metterci in cammino per offrirlo agli uomini e alle donne del nostro tempo. Giorno dopo giorno, lo Spirito Santo ci suggerisce atteggiamenti e parole affinché diventiamo artigiani di giustizia e di pace.
  Che il Dio della pace ci benedica e venga in nostro aiuto.
  Che Maria, Madre del Principe della pace e Madre di tutti i popoli della terra, ci accompagni e ci sostenga nel cammino di riconciliazione, passo dopo passo.
E che ogni persona, venendo in questo mondo, possa conoscere un’esistenza di pace e sviluppare pienamente la promessa d’amore e di vita che porta in sé.
Dal Vaticano, 8 dicembre 2019
Francesco




[1] Benedetto XVI, Lett. enc. Spe salvi (30 novembre 2007), 1.
[2] Discorso sulle armi nucleari, Nagasaki, Parco “Atomic Bomb Hypocenter”, 24 novembre 2019.
[3] Cfr Omelia a Lampedusa, 8 luglio 2013.
[4] Discorso sulla Pace, Hiroshima, Memoriale della Pace, 24 novembre 2019.
[5] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 78.
[6] Cfr Benedetto XVI, Discorso ai dirigenti delle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, 27 gennaio 2006.
[7] Lett. ap. Octogesima adveniens (14 maggio 1971), 24.
[8] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 200.
[9] Ibid., 217.
[10] Cfr S. Giovanni della Croce, Notte Oscura, II, 21, 8.


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MESSAGE OF HIS HOLINESS POPE
FRANCIS
FOR THE CELEBRATION OF THE
53rd WORLD DAY OF PEACE
1 JANUARY 2020

PEACE AS A JOURNEY OF HOPE:
DIALOGUE, RECONCILIATION AND ECOLOGICAL CONVERSION

1. Peace, a journey of hope in the face of obstacles and trial
  Peace is a great and precious value, the object of our hope and the aspiration of the entire human family. As a human attitude, our hope for peace is marked by an existential tension that makes it possible for the present, with all its difficulties, to be “lived and accepted if it leads towards a goal, if we can be sure of this goal, and if this goal is great enough to justify the effort of the journey”.[1] Hope is thus the virtue that inspires us and keeps us moving forward, even when obstacles seem insurmountable.
  Our human community bears, in its memory and its flesh, the scars of ever more devastating wars and conflicts that affect especially the poor and the vulnerable. Entire nations find it difficult to break free of the chains of exploitation and corruption that fuel hatred and violence. Even today, dignity, physical integrity, freedom, including religious freedom, communal solidarity and hope in the future are denied to great numbers of men and women, young and old. Many are the innocent victims of painful humiliation and exclusion, sorrow and injustice, to say nothing of the trauma born of systematic attacks on their people and their loved ones.
  The terrible trials of internal and international conflicts, often aggravated by ruthless acts of violence, have an enduring effect on the body and soul of humanity. Every war is a form of fratricide that destroys the human family’s innate vocation to brotherhood.
  War, as we know, often begins with the inability to accept the diversity of others, which then fosters attitudes of aggrandizement and domination born of selfishness and pride, hatred and the desire to caricature, exclude and even destroy the other. War is fueled by a perversion of relationships, by hegemonic ambitions, by abuses of power, by fear of others and by seeing diversity as an obstacle. And these, in turn, are aggravated by the experience of war.
  As I observed during my recent Apostolic Journey to Japan, our world is paradoxically marked by “a perverse dichotomy that tries to defend and ensure stability and peace through a false sense of security sustained by a mentality of fear and mistrust, one that ends up poisoning relationships between peoples and obstructing any form of dialogue. Peace and international stability are incompatible with attempts to build upon the fear of mutual destruction or the threat of total annihilation. They can be achieved only on the basis of a global ethic of solidarity and cooperation in the service of a future shaped by interdependence and shared responsibility in the whole human family of today and tomorrow”.[2]
  Every threatening situation feeds mistrust and leads people to withdraw into their own safety zone. Mistrust and fear weaken relationships and increase the risk of violence, creating a vicious circle that can never lead to a relationship of peace. Even nuclear deterrence can only produce the illusion of security.
  We cannot claim to maintain stability in the world through the fear of annihilation, in a volatile situation, suspended on the brink of a nuclear abyss and enclosed behind walls of indifference. As a result, social and economic decisions are being made that lead to tragic situations where human beings and creation itself are discarded rather than protected and preserved.[3] How, then, do we undertake a journey of peace and mutual respect? How do we break the unhealthy mentality of threats and fear? How do we break the current dynamic of distrust?
We need to pursue a genuine fraternity based on our common origin from God and exercised in dialogue and mutual trust. The desire for peace lies deep within the human heart, and we should not resign ourselves to seeking anything less than this.
2. Peace, a journey of listening based on memory, solidarity and fraternity
  The Hibakusha, the survivors of the atomic bombs dropped on Hiroshima and Nagasaki, are among those who currently keep alive the flame of collective conscience, bearing witness to succeeding generations to the horror of what happened in August 1945 and the unspeakable sufferings that have continued to the present time. Their testimony awakens and preserves the memory of the victims, so that the conscience of humanity may rise up in the face of every desire for dominance and destruction. “We cannot allow present and future generations to lose the memory of what happened here. It is a memory that ensures and encourages the building of a more fair and fraternal future”.[4]
  Like the Hibakusha, many people in today’s world are working to ensure that future generations will preserve the memory of past events, not only in order to prevent the same errors or illusions from recurring, but also to enable memory, as the fruit of experience, to serve as the basis and inspiration for present and future decisions to promote peace.
  What is more, memory is the horizon of hope. Many times, in the darkness of wars and conflicts, the remembrance of even a small gesture of solidarity received can lead to courageous and even heroic decisions. It can unleash new energies and kindle new hope in individuals and communities.
  Setting out on a journey of peace is a challenge made all the more complex because the interests at stake in relationships between people, communities and nations, are numerous and conflicting. We must first appeal to people’s moral conscience and to personal and political will. Peace emerges from the depths of the human heart and political will must always be renewed, so that new ways can be found to reconcile and unite individuals and communities.
  The world does not need empty words but convinced witnesses, peacemakers who are open to a dialogue that rejects exclusion or manipulation. In fact, we cannot truly achieve peace without a convinced dialogue between men and women who seek the truth beyond ideologies and differing opinions. Peace “must be built up continually”;[5] it is a journey made together in constant pursuit of the common good, truthfulness and respect for law. Listening to one another can lead to mutual understanding and esteem, and even to seeing in an enemy the face of a brother or sister.
  The peace process thus requires enduring commitment. It is a patient effort to seek truth and justice, to honour the memory of victims and to open the way, step by step, to a shared hope stronger than the desire for vengeance. In a state based on law, democracy can be an important paradigm of this process, provided it is grounded in justice and a commitment to protect the rights of every person, especially the weak and marginalized, in a constant search for truth.[6] This is a social undertaking, an ongoing work in which each individual makes his or her contribution responsibly, at every level of the local, national and global community.
  As Saint Paul VI pointed out, these “two aspirations, to equality and to participation, seek to promote a democratic society… This calls for an education to social life, involving not only the knowledge of each person’s rights, but also its necessary correlative: the recognition of his or her duties with regard to others. The sense and practice of duty are themselves conditioned by the capacity for self-mastery and by the acceptance of responsibility and of the limits placed upon the freedom of individuals or the groups”.[7]
  Divisions within a society, the increase of social inequalities and the refusal to employ the means of ensuring integral human development endanger the pursuit of the common good. Yet patient efforts based on the power of the word and of truth can help foster a greater capacity for compassion and creative solidarity.
  In our Christian experience, we constantly remember Christ, who gave his life to reconcile us to one another (cf. Rom 5:6-11). The Church shares fully in the search for a just social order; she continues to serve the common good and to nourish the hope for peace by transmitting Christian values and moral teaching, and by her social and educational works.
3. Peace, a journey of reconciliation in fraternal communion
  The Bible, especially in the words of the Prophets, reminds individuals and peoples of God’s covenant with humanity, which entails renouncing our desire to dominate others and learning to see one another as persons, sons and daughters of God, brothers and sisters. We should never encapsulate others in what they may have said or done, but value them for the promise that they embody. Only by choosing the path of respect can we break the spiral of vengeance and set out on the journey of hope.
  We are guided by the Gospel passage that tells of the following conversation between Peter and Jesus: “Lord, how often shall my brother sin against me, and I forgive him? As many as seven times?” Jesus said to him, “I do not say to you seven times, but seventy times seven” (Mt 18:21-22). This path of reconciliation is a summons to discover in the depths of our heart the power of forgiveness and the capacity to acknowledge one another as brothers and sisters. When we learn to live in forgiveness, we grow in our capacity to become men and women of peace.
  What is true of peace in a social context is also true in the areas of politics and the economy, since peace permeates every dimension of life in common. There can be no true peace unless we show ourselves capable of developing a more just economic system. As Pope Benedict XVI said ten years ago in his Encyclical Letter Caritas in Veritate, “in order to defeat underdevelopment, action is required not only on improving exchange-based transactions and implanting public welfare structures, but above all on graduallyincreasing openness, in a world context, to forms of economic activity marked by quotas of gratuitousness and communion” (No. 39).
4. Peace, a journey of ecological conversion
  “If a mistaken understanding of our own principles has at times led us to justify mistreating nature, to exercise tyranny over creation, to engage in war, injustice and acts of violence, we believers should acknowledge that by so doing we were not faithful to the treasures of wisdom which we have been called to protect and preserve”.[8]
  Faced with the consequences of our hostility towards others, our lack of respect for our common home or our abusive exploitation of natural resources – seen only as a source of immediate profit, regardless of local communities, the common good and nature itself – we are in need of an ecological conversion. The recent Synod on the Pan-Amazon Region moves us to make a pressing renewed call for a peaceful relationship between communities and the land, between present and past, between experience and hope.
  This journey of reconciliation also calls for listening and contemplation of the world that God has given us as a gift to make our common home. Indeed, natural resources, the many forms of life and the earth itself have been entrusted to us “to till and keep” (Gen 1:15), also for future generations, through the responsible and active participation of everyone. We need to change the way we think and see things, and to become more open to encountering others and accepting the gift of creation, which reflects the beauty and wisdom of its Creator.
  All this gives us deeper motivation and a new way to dwell in our common home, to accept our differences, to respect and celebrate the life that we have received and share, and to seek living conditions and models of society that favour the continued flourishing of life and the development of the common good of the entire human family.
  The ecological conversion for which we are appealing will lead us to a new way of looking at life, as we consider the generosity of the Creator who has given us the earth and called us to a share it in joy and moderation. This conversion must be understood in an integral way, as a transformation of how we relate to our sisters and brothers, to other living beings, to creation in all its rich variety and to the Creator who is the origin and source of all life. For Christians, it requires that “the effects of their encounter with Jesus Christ become evident in their relationship with the world around them”.[9]
5. “We obtain all that we hope for”[10]
  The journey of reconciliation calls for patience and trust. Peace will not be obtained unless it is hoped for.
  In the first place, this means believing in the possibility of peace, believing that others need peace just as much as we do. Here we can find inspiration in the love that God has for each of us: a love that is liberating, limitless, gratuitous and tireless.
Fear is frequently a source of conflict. So it is important to overcome our human fears and acknowledge that we are needy children in the eyes of the One who loves us and awaits us, like the father of the prodigal son (cf. Lk 15:11-24). The culture of fraternal encounter shatters the culture of conflict. It makes of every encounter a possibility and a gift of God’s generous love. It leads us beyond the limits of our narrow horizons and constantly encourages us to a live in a spirit of universal fraternity, as children of the one heavenly Father.
  For the followers of Christ, this journey is likewise sustained by the sacrament of Reconciliation, given by the Lord for the remission of sins of the baptized. This sacrament of the Church, which renews individuals and communities, bids us keep our gaze fixed on Jesus, who reconciled “all things, whether on earth or in heaven, by making peace through the blood of his cross” (Col 1:20). It requires us to set aside every act of violence in thought, word and deed, whether against our neighbours or against God’s creation.
  The grace of God our Father is bestowed as unconditional love. Having received his forgiveness in Christ, we can set out to offer that peace to the men and women of our time. Day by day, the Holy Spirit prompts in us ways of thinking and speaking that can make us artisans of justice and peace.
  May the God of peace bless us and come to our aid.
  May Mary, Mother of the Prince of Peace and Mother of all the peoples of the earth, accompany and sustain us at every step of our journey of reconciliation.
And may all men and women who come into this world experience a life of peace and develop fully the promise of life and love dwelling in their heart.
From the Vatican, 8 December 2019

Franciscus



[1] BENEDICT XVI, Encyclical Letter Spe Salvi (30 November 2007), 1.
[2] Address on Nuclear Weapons, Nagasaki, Atomic Bomb Hypocenter, 24 November 2019.
[3] Cf. Homily at Lampedusa, 8 July 2013.
[4] Address on Peace, Hiroshima, Peace Memorial, 24 November 2019.
[5] SECOND VATICAN ECUMENICAL COUNCIL, Pastoral Constitution Gaudium et Spes, 78.
[6] Cf. BENEDICT XVI, Address to the Italian Christian Workers’ Associations, 27 January 2006.
[7] Apostolic Letter Octogesima Adveniens (14 May 1971), 24.
[8] Encyclical Letter Laudato Si’ (24 May 2015).
[9] Ibid., 217.
[10] Cf. SAINT JOHN OF THE CROSS, Noche obscura, II, 21,8