INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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domenica 1 dicembre 2019

LETTERA APOSTOLICA ADMIRABILE SIGNUM / IL MIRABILE SEGNO DEL SANTO PADRE FRANCESCO SUL SIGNIFICATO E IL VALORE DEL PRESEPE - APOSTOLIC LETTER ADMIRABILE SIGNUM / ADMIRABLE SIGN OF THE HOLY FATHER FRANCIS ON THE MEANING AND IMPORTANCE OF THE NATIVITY SCENE


LETTERA APOSTOLICA
ADMIRABILE SIGNUM / IL MIRABILE SEGNO
DEL SANTO PADRE
FRANCESCO

SUL SIGNIFICATO E IL VALORE DEL PRESEPE
-
APOSTOLIC LETTER
ADMIRABILE SIGNUM /  ADMIRABLE SIGN
OF THE HOLY FATHER
FRANCIS
ON THE MEANING AND IMPORTANCE
OF THE NATIVITY SCENE

Note: follows the official Anglo-American text

1. Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia. Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il presepe, infatti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura. Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo. E scopriamo che Egli ci ama a tal punto da unirsi a noi, perché anche noi possiamo unirci a Lui.
Con questa Lettera vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze... È davvero un esercizio di fantasia creativa, che impiega i materiali più disparati per dare vita a piccoli capolavori di bellezza. Si impara da bambini: quando papà e mamma, insieme ai nonni, trasmettono questa gioiosa abitudine, che racchiude in sé una ricca spiritualità popolare. Mi auguro che questa pratica non venga mai meno; anzi, spero che, là dove fosse caduta in disuso, possa essere riscoperta e rivitalizzata.
2. L’origine del presepe trova riscontro anzitutto in alcuni dettagli evangelici della nascita di Gesù a Betlemme. L’Evangelista Luca dice semplicemente che Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (2,7). Gesù viene deposto in una mangiatoia, che in latino si dice praesepium, da cui presepe.
Entrando in questo mondo, il Figlio di Dio trova posto dove gli animali vanno a mangiare. Il fieno diventa il primo giaciglio per Colui che si rivelerà come «il pane disceso dal cielo» (Gv 6,41). Una simbologia che già Sant’Agostino, insieme ad altri Padri, aveva colto quando scriveva: «Adagiato in una mangiatoia, divenne nostro cibo» (Serm. 189,4). In realtà, il presepe contiene diversi misteri della vita di Gesù e li fa sentire vicini alla nostra vita quotidiana.
Ma veniamo subito all’origine del presepe come noi lo intendiamo. Ci rechiamo con la mente a Greccio, nella Valle Reatina, dove San Francesco si fermò venendo probabilmente da Roma, dove il 29 novembre 1223 aveva ricevuto dal Papa Onorio III la conferma della sua Regola. Dopo il suo viaggio in Terra Santa, quelle grotte gli ricordavano in modo particolare il paesaggio di Betlemme. Ed è possibile che il Poverello fosse rimasto colpito, a Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dai mosaici con la rappresentazione della nascita di Gesù, proprio accanto al luogo dove si conservavano, secondo un’antica tradizione, le tavole della mangiatoia.
Le Fonti Francescane raccontano nei particolari cosa avvenne a Greccio. Quindici giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo del posto, di nome Giovanni, e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Appena l’ebbe ascoltato, il fedele amico andò subito ad approntare sul luogo designato tutto il necessario, secondo il desiderio del Santo. Il 25 dicembre giunsero a Greccio molti frati da varie parti e arrivarono anche uomini e donne dai casolari della zona, portando fiori e fiaccole per illuminare quella santa notte. Arrivato Francesco, trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello. La gente accorsa manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. Poi il sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente l’Eucaristia, mostrando il legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucaristia. In quella circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano presenti.
È così che nasce la nostra tradizione: tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero.
Il primo biografo di San Francesco, Tommaso da Celano, ricorda che quella notte, alla scena semplice e toccante s’aggiunse anche il dono di una visione meravigliosa: uno dei presenti vide giacere nella mangiatoia Gesù Bambino stesso. Da quel presepe del Natale 1223, «ciascuno se ne tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia».
3. San Francesco, con la semplicità di quel segno, realizzò una grande opera di evangelizzazione. Il suo insegnamento è penetrato nel cuore dei cristiani e permane fino ai nostri giorni come una genuina forma per riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità. D’altronde, il luogo stesso dove si realizzò il primo presepe esprime e suscita questi sentimenti. Greccio diventa un rifugio per l’anima che si nasconde sulla roccia per lasciarsi avvolgere nel silenzio.
Perché il presepe suscita tanto stupore e ci commuove? Anzitutto perché manifesta la tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla nostra piccolezza. Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi, ci affascina ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di ogni vita. In Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando siamo disorientati e perdiamo la direzione; un amico fedele che ci sta sempre vicino; ci ha dato il suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato.
Comporre il presepe nelle nostre case ci aiuta a rivivere la storia che si è vissuta a Betlemme. Naturalmente, i Vangeli rimangono sempre la fonte che permette di conoscere e meditare quell’Avvenimento; tuttavia, la sua rappresentazione nel presepe aiuta ad immaginare le scene, stimola gli affetti, invita a sentirsi coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali.
In modo particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi (cfr Mt 25,31-46).
4. Mi piace ora passare in rassegna i vari segni del presepe per cogliere il senso che portano in sé. In primo luogo, rappresentiamo il contesto del cielo stellato nel buio e nel silenzio della notte. Non è solo per fedeltà ai racconti evangelici che lo facciamo così, ma anche per il significato che possiede. Pensiamo a quante volte la notte circonda la nostra vita. Ebbene, anche in quei momenti, Dio non ci lascia soli, ma si fa presente per rispondere alle domande decisive che riguardano il senso della nostra esistenza: chi sono io? Da dove vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro? Perché morirò? Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è fatto uomo. La sua vicinanza porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti attraversano le tenebre della sofferenza (cfr Lc 1,79).
Una parola meritano anche i paesaggi che fanno parte del presepe e che spesso rappresentano le rovine di case e palazzi antichi, che in alcuni casi sostituiscono la grotta di Betlemme e diventano l’abitazione della Santa Famiglia. Queste rovine sembra che si ispirino alla Legenda Aurea del domenicano Jacopo da Varazze (secolo XIII), dove si legge di una credenza pagana secondo cui il tempio della Pace a Roma sarebbe crollato quando una Vergine avesse partorito. Quelle rovine sono soprattutto il segno visibile dell’umanità decaduta, di tutto ciò che va in rovina, che è corrotto e intristito. Questo scenario dice che Gesù è la novità in mezzo a un mondo vecchio, ed è venuto a guarire e ricostruire, a riportare la nostra vita e il mondo al loro splendore originario.
5. Quanta emozione dovrebbe accompagnarci mentre collochiamo nel presepe le montagne, i ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo ricordiamo, come avevano preannunciato i profeti, che tutto il creato partecipa alla festa della venuta del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che noi pure siamo chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore.
«Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15): così dicono i pastori dopo l’annuncio fatto dagli angeli. È un insegnamento molto bello che ci proviene nella semplicità della descrizione. A differenza di tanta gente intenta a fare mille altre cose, i pastori diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che viene donata. Sono i più umili e i più poveri che sanno accogliere l’avvenimento dell’Incarnazione. A Dio che ci viene incontro nel Bambino Gesù, i pastori rispondono mettendosi in cammino verso di Lui, per un incontro di amore e di grato stupore. È proprio questo incontro tra Dio e i suoi figli, grazie a Gesù, a dar vita alla nostra religione, a costituire la sua singolare bellezza, che traspare in modo particolare nel presepe.
6. Nei nostri presepi siamo soliti mettere tante statuine simboliche. Anzitutto, quelle di mendicanti e di gente che non conosce altra abbondanza se non quella del cuore. Anche loro stanno vicine a Gesù Bambino a pieno titolo, senza che nessuno possa sfrattarle o allontanarle da una culla talmente improvvisata che i poveri attorno ad essa non stonano affatto. I poveri, anzi, sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi.
I poveri e i semplici nel presepe ricordano che Dio si fa uomo per quelli che più sentono il bisogno del suo amore e chiedono la sua vicinanza. Gesù, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), è nato povero, ha condotto una vita semplice per insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso. Dal presepe emerge chiaro il messaggio che non possiamo lasciarci illudere dalla ricchezza e da tante proposte effimere di felicità. Il palazzo di Erode è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio di gioia. Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Dal presepe, Gesù proclama, con mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale strada verso un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed emarginato.
Spesso i bambini – ma anche gli adulti! – amano aggiungere al presepe altre statuine che sembrano non avere alcuna relazione con i racconti evangelici. Eppure, questa immaginazione intende esprimere che in questo nuovo mondo inaugurato da Gesù c’è spazio per tutto ciò che è umano e per ogni creatura. Dal pastore al fabbro, dal fornaio ai musicisti, dalle donne che portano le brocche d’acqua ai bambini che giocano…: tutto ciò rappresenta la santità quotidiana, la gioia di fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni, quando Gesù condivide con noi la sua vita divina.
7. Poco alla volta il presepe ci conduce alla grotta, dove troviamo le statuine di Maria e di Giuseppe. Maria è una mamma che contempla il suo bambino e lo mostra a quanti vengono a visitarlo. La sua statuetta fa pensare al grande mistero che ha coinvolto questa ragazza quando Dio ha bussato alla porta del suo cuore immacolato. All’annuncio dell’angelo che le chiedeva di diventare la madre di Dio, Maria rispose con obbedienza piena e totale. Le sue parole: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), sono per tutti noi la testimonianza di come abbandonarsi nella fede alla volontà di Dio. Con quel “sì” Maria diventava madre del Figlio di Dio senza perdere, anzi consacrando grazie a Lui la sua verginità. Vediamo in lei la Madre di Dio che non tiene il suo Figlio solo per sé, ma a tutti chiede di obbedire alla sua parola e metterla in pratica (cfr Gv 2,5).
Accanto a Maria, in atteggiamento di proteggere il Bambino e la sua mamma, c’è San Giuseppe. In genere è raffigurato con il bastone in mano, e a volte anche mentre regge una lampada. San Giuseppe svolge un ruolo molto importante nella vita di Gesù e di Maria. Lui è il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia. Quando Dio lo avvertirà della minaccia di Erode, non esiterà a mettersi in viaggio ed emigrare in Egitto (cfr Mt 2,13-15). E una volta passato il pericolo, riporterà la famiglia a Nazareth, dove sarà il primo educatore di Gesù fanciullo e adolescente. Giuseppe portava nel cuore il grande mistero che avvolgeva Gesù e Maria sua sposa, e da uomo giusto si è sempre affidato alla volontà di Dio e l’ha messa in pratica.
8. Il cuore del presepe comincia a palpitare quando, a Natale, vi deponiamo la statuina di Gesù Bambino. Dio si presenta così, in un bambino, per farsi accogliere tra le nostre braccia. Nella debolezza e nella fragilità nasconde la sua potenza che tutto crea e trasforma. Sembra impossibile, eppure è così: in Gesù Dio è stato bambino e in questa condizione ha voluto rivelare la grandezza del suo amore, che si manifesta in un sorriso e nel tendere le sue mani verso chiunque.
La nascita di un bambino suscita gioia e stupore, perché pone dinanzi al grande mistero della vita. Vedendo brillare gli occhi dei giovani sposi davanti al loro figlio appena nato, comprendiamo i sentimenti di Maria e Giuseppe che guardando il bambino Gesù percepivano la presenza di Dio nella loro vita.
«La vita infatti si manifestò» (1 Gv 1,2): così l’apostolo Giovanni riassume il mistero dell’Incarnazione. Il presepe ci fa vedere, ci fa toccare questo evento unico e straordinario che ha cambiato il corso della storia, e a partire dal quale anche si ordina la numerazione degli anni, prima e dopo la nascita di Cristo.
Il modo di agire di Dio quasi tramortisce, perché sembra impossibile che Egli rinunci alla sua gloria per farsi uomo come noi. Che sorpresa vedere Dio che assume i nostri stessi comportamenti: dorme, prende il latte dalla mamma, piange e gioca come tutti i bambini! Come sempre, Dio sconcerta, è imprevedibile, continuamente fuori dai nostri schemi. Dunque il presepe, mentre ci mostra Dio così come è entrato nel mondo, ci provoca a pensare alla nostra vita inserita in quella di Dio; invita a diventare suoi discepoli se si vuole raggiungere il senso ultimo della vita.
9. Quando si avvicina la festa dell’Epifania, si collocano nel presepe le tre statuine dei Re Magi. Osservando la stella, quei saggi e ricchi signori dell’Oriente si erano messi in cammino verso Betlemme per conoscere Gesù, e offrirgli in dono oro, incenso e mirra. Anche questi regali hanno un significato allegorico: l’oro onora la regalità di Gesù; l’incenso la sua divinità; la mirra la sua santa umanità che conoscerà la morte e la sepoltura.
Guardando questa scena nel presepe siamo chiamati a riflettere sulla responsabilità che ogni cristiano ha di essere evangelizzatore. Ognuno di noi si fa portatore della Bella Notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia.
I Magi insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo. Sono uomini ricchi, stranieri sapienti, assetati d’infinito, che partono per un lungo e pericoloso viaggio che li porta fino a Betlemme (cfr Mt 2,1-12). Davanti al Re Bambino li pervade una gioia grande. Non si lasciano scandalizzare dalla povertà dell’ambiente; non esitano a mettersi in ginocchio e ad adorarlo. Davanti a Lui comprendono che Dio, come regola con sovrana sapienza il corso degli astri, così guida il corso della storia, abbassando i potenti ed esaltando gli umili. E certamente, tornati nel loro Paese, avranno raccontato questo incontro sorprendente con il Messia, inaugurando il viaggio del Vangelo tra le genti.
10. Davanti al presepe, la mente va volentieri a quando si era bambini e con impazienza si aspettava il tempo per iniziare a costruirlo. Questi ricordi ci inducono a prendere sempre nuovamente coscienza del grande dono che ci è stato fatto trasmettendoci la fede; e al tempo stesso ci fanno sentire il dovere e la gioia di partecipare ai figli e ai nipoti la stessa esperienza. Non è importante come si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita. Dovunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore di Dio, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi.
Cari fratelli e sorelle, il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita, ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e credere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria. E a sentire che in questo sta la felicità. Alla scuola di San Francesco, apriamo il cuore a questa grazia semplice, lasciamo che dallo stupore nasca una preghiera umile: il nostro “grazie” a Dio che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli.

Dato a Greccio, nel Santuario del Presepe, 1° dicembre 2019, settimo del pontificato.
 
                                                                           FRANCESCO

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APOSTOLIC LETTER
ADMIRABILE SIGNUM /  ADMIRABLE SIGN
OF THE HOLY FATHER
FRANCIS
ON THE MEANING AND IMPORTANCE
OF THE NATIVITY SCENE

1. The enchanting image of the Christmas crèche, so dear to the Christian people, never ceases to arouse amazement and wonder. The depiction of Jesus’ birth is itself a simple and joyful proclamation of the mystery of the Incarnation of the Son of God. The nativity scene is like a living Gospel rising up from the pages of sacred Scripture. As we contemplate the Christmas story, we are invited to set out on a spiritual journey, drawn by the humility of the God who became man in order to encounter every man and woman. We come to realize that so great is his love for us that he became one of us, so that we in turn might become one with him.
With this Letter, I wish to encourage the beautiful family tradition of preparing the nativity scene in the days before Christmas, but also the custom of setting it up in the workplace, in schools, hospitals, prisons and town squares. Great imagination and creativity is always shown in employing the most diverse materials to create small masterpieces of beauty. As children, we learn from our parents and grandparents to carry on this joyful tradition, which encapsulates a wealth of popular piety. It is my hope that this custom will never be lost and that, wherever it has fallen into disuse, it can be rediscovered and revived.
2. The origin of the Christmas crèche is found above all in certain details of Jesus’ birth in Bethlehem, as related in the Gospels. The evangelist Luke says simply that Mary “gave birth to her firstborn son and wrapped him in swaddling cloths, and laid him in a manger, because there was no place for them in the inn” (2:7). Because Jesus was laid in a manger, the nativity scene is known in Italian as a presepe, from the Latin word praesepium, meaning “manger”.
Coming into this world, the Son of God was laid in the place where animals feed. Hay became the first bed of the One who would reveal himself as “the bread come down from heaven” (Jn 6:41). Saint Augustine, with other Church Fathers, was impressed by this symbolism: “Laid in a manger, he became our food” (Sermon 189, 4). Indeed, the nativity scene evokes a number of the mysteries of Jesus’ life and brings them close to our own daily lives.
But let us go back to the origins of the Christmas crèche so familiar to us. We need to imagine ourselves in the little Italian town of Greccio, near Rieti. Saint Francis stopped there, most likely on his way back from Rome where on 29 November 1223 he had received the confirmation of his Rule from Pope Honorius III. Francis had earlier visited the Holy Land, and the caves in Greccio reminded him of the countryside of Bethlehem. It may also be that the “Poor Man of Assisi” had been struck by the mosaics in the Roman Basilica of Saint Mary Major depicting the birth of Jesus, close to the place where, according to an ancient tradition, the wooden panels of the manger are preserved.
The Franciscan Sources describe in detail what then took place in Greccio. Fifteen days before Christmas, Francis asked a local man named John to help him realize his desire “to bring to life the memory of that babe born in Bethlehem, to see as much as possible with my own bodily eyes the discomfort of his infant needs, how he lay in a manger, and how, with an ox and an ass standing by, he was laid upon a bed of hay”. At this, his faithful friend went immediately to prepare all that the Saint had asked. On 25 December, friars came to Greccio from various parts, together with people from the farmsteads in the area, who brought flowers and torches to light up that holy night. When Francis arrived, he found a manger full of hay, an ox and a donkey. All those present experienced a new and indescribable joy in the presence of the Christmas scene. The priest then solemnly celebrated the Eucharist over the manger, showing the bond between the Incarnation of the Son of God and the Eucharist. At Greccio there were no statues; the nativity scene was enacted and experienced by all who were present.
This is how our tradition began: with everyone gathered in joy around the cave, with no distance between the original event and those sharing in its mystery.
Thomas of Celano, the first biographer of Saint Francis, notes that this simple and moving scene was accompanied by the gift of a marvellous vision: one of those present saw the Baby Jesus himself lying in the manger. From the nativity scene of that Christmas in 1223, “everyone went home with joy”.
3. With the simplicity of that sign, Saint Francis carried out a great work of evangelization. His teaching touched the hearts of Christians and continues today to offer a simple yet authentic means of portraying the beauty of our faith. Indeed, the place where this first nativity scene was enacted expresses and evokes these sentiments. Greccio has become a refuge for the soul, a mountain fastness wrapped in silence.
Why does the Christmas crèche arouse such wonder and move us so deeply? First, because it shows God’s tender love: the Creator of the universe lowered himself to take up our littleness. The gift of life, in all its mystery, becomes all the more wondrous as we realize that the Son of Mary is the source and sustenance of all life. In Jesus, the Father has given us a brother who comes to seek us out whenever we are confused or lost, a loyal friend ever at our side. He gave us his Son who forgives us and frees us from our sins.
Setting up the Christmas crèche in our homes helps us to relive the history of what took place in Bethlehem. Naturally, the Gospels remain our source for understanding and reflecting on that event. At the same time, its portrayal in the crèche helps us to imagine the scene. It touches our hearts and makes us enter into salvation history as contemporaries of an event that is living and real in a broad gamut of historical and cultural contexts.
In a particular way, from the time of its Franciscan origins, the nativity scene has invited us to “feel” and “touch” the poverty that God’s Son took upon himself in the Incarnation. Implicitly, it summons us to follow him along the path of humility, poverty and self-denial that leads from the manger of Bethlehem to the cross. It asks us to meet him and serve him by showing mercy to those of our brothers and sisters in greatest need (cf. Mt 25:31-46).
4. I would like now to reflect on the various elements of the nativity scene in order to appreciate their deeper meaning. First, there is the background of a starry sky wrapped in the darkness and silence of night. We represent this not only out of fidelity to the Gospel accounts, but also for its symbolic value. We can think of all those times in our lives when we have experienced the darkness of night. Yet even then, God does not abandon us, but is there to answer our crucial questions about the meaning of life. Who am I? Where do I come from? Why was I born at this time in history? Why do I love? Why do I suffer? Why will I die? It was to answer these questions that God became man. His closeness brings light where there is darkness and shows the way to those dwelling in the shadow of suffering (cf. Lk 1:79).
The landscapes that are part of the nativity scene also deserve some mention. Frequently they include the ruins of ancient houses or buildings, which in some instances replace the cave of Bethlehem and become a home for the Holy Family. These ruins appear to be inspired by the thirteenth-century Golden Legend of the Dominican Jacobus de Varagine, which relates a pagan belief that the Temple of Peace in Rome would collapse when a Virgin gave birth. More than anything, the ruins are the visible sign of fallen humanity, of everything that inevitably falls into ruin, decays and disappoints. This scenic setting tells us that Jesus is newness in the midst of an aging world, that he has come to heal and rebuild, to restore the world and our lives to their original splendour.
5. With what emotion should we arrange the mountains, streams, sheep and shepherds in the nativity scene! As we do so, we are reminded that, as the prophets had foretold, all creation rejoices in the coming of the Messiah. The angels and the guiding star are a sign that we too are called to set out for the cave and to worship the Lord.
“Let us go over to Bethlehem and see this thing that has happened, which the Lord has made known to us” (Lk 2:15). So the shepherds tell one another after the proclamation of the angels. A beautiful lesson emerges from these simple words. Unlike so many other people, busy about many things, the shepherds become the first to see the most essential thing of all: the gift of salvation. It is the humble and the poor who greet the event of the Incarnation. The shepherds respond to God who comes to meet us in the Infant Jesus by setting out to meet him with love, gratitude and awe. Thanks to Jesus, this encounter between God and his children gives birth to our religion and accounts for its unique beauty, so wonderfully evident in the nativity scene.
6. It is customary to add many symbolic figures to our nativity scenes. First, there are the beggars and the others who know only the wealth of the heart. They too have every right to draw near to the Infant Jesus; no one can evict them or send them away from a crib so makeshift that the poor seem entirely at home. Indeed, the poor are a privileged part of this mystery; often they are the first to recognize God’s presence in our midst.
The presence of the poor and the lowly in the nativity scene remind us that God became man for the sake of those who feel most in need of his love and who ask him to draw near to them. Jesus, “gentle and humble in heart” (Mt 11:29), was born in poverty and led a simple life in order to teach us to recognize what is essential and to act accordingly. The nativity scene clearly teaches that we cannot let ourselves be fooled by wealth and fleeting promises of happiness. We see Herod’s palace in the background, closed and deaf to the tidings of joy. By being born in a manger, God himself launches the only true revolution that can give hope and dignity to the disinherited and the outcast: the revolution of love, the revolution of tenderness. From the manger, Jesus proclaims, in a meek yet powerful way, the need for sharing with the poor as the path to a more human and fraternal world in which no one is excluded or marginalized.
Children – but adults too! – often love to add to the nativity scene other figures that have no apparent connection with the Gospel accounts. Yet, each in its own way, these fanciful additions show that in the new world inaugurated by Jesus there is room for whatever is truly human and for all God’s creatures. From the shepherd to the blacksmith, from the baker to the musicians, from the women carrying jugs of water to the children at play: all this speaks of the everyday holiness, the joy of doing ordinary things in an extraordinary way, born whenever Jesus shares his divine life with us.
7. Gradually, we come to the cave, where we find the figures of Mary and Joseph. Mary is a mother who contemplates her child and shows him to every visitor. The figure of Mary makes us reflect on the great mystery that surrounded this young woman when God knocked on the door of her immaculate heart. Mary responded in complete obedience to the message of the angel who asked her to become the Mother of God. Her words, “Behold I am the handmaid of the Lord; let it be to me according to your word” (Lk 1:38), show all of us how to abandon ourselves in faith to God’s will. By her “fiat”, Mary became the mother of God’s Son, not losing but, thanks to him, consecrating her virginity. In her, we see the Mother of God who does not keep her Son only to herself, but invites everyone to obey his word and to put it into practice (cf. Jn 2:5).
At Mary’s side, shown protecting the Child and his Mother, stands Saint Joseph. He is usually depicted with staff in hand, or holding up a lamp. Saint Joseph plays an important role in the life of Jesus and Mary. He is the guardian who tirelessly protects his family. When God warned him of Herod’s threat, he did not hesitate to set out and flee to Egypt (cf. Mt 2:13-15). And once the danger had passed, he brought the family back to Nazareth, where he was to be the first teacher of Jesus as a boy and then as a young man. Joseph treasured in his heart the great mystery surrounding Jesus and Mary his spouse; as a just man, he entrusted himself always to God’s will, and put it into practice.
8. When, at Christmas, we place the statue of the Infant Jesus in the manger, the nativity scene suddenly comes alive. God appears as a child, for us to take into our arms. Beneath weakness and frailty, he conceals his power that creates and transforms all things. It seems impossible, yet it is true: in Jesus, God was a child, and in this way he wished to reveal the greatness of his love: by smiling and opening his arms to all.
The birth of a child awakens joy and wonder; it sets before us the great mystery of life. Seeing the bright eyes of a young couple gazing at their newborn child, we can understand the feelings of Mary and Joseph who, as they looked at the Infant Jesus, sensed God’s presence in their lives.
“Life was made manifest” (1 Jn 1:2). In these words, the Apostle John sums up the mystery of the Incarnation. The crèche allows us to see and touch this unique and unparalleled event that changed the course of history, so that time would thereafter be reckoned either before or after the birth of Christ.
God’s ways are astonishing, for it seems impossible that he should forsake his glory to become a man like us. To our astonishment, we see God acting exactly as we do: he sleeps, takes milk from his mother, cries and plays like every other child! As always, God baffles us. He is unpredictable, constantly doing what we least expect. The nativity scene shows God as he came into our world, but it also makes us reflect on how our life is part of God’s own life. It invites us to become his disciples if we want to attain ultimate meaning in life.
9. As the feast of Epiphany approaches, we place the statues of the Three Kings in the Christmas crèche. Observing the star, those wise men from the East set out for Bethlehem, in order to find Jesus and to offer him their gifts of gold, frankincense and myrrh. These costly gifts have an allegorical meaning: gold honours Jesus’ kingship, incense his divinity, myrrh his sacred humanity that was to experience death and burial.
As we contemplate this aspect of the nativity scene, we are called to reflect on the responsibility of every Christian to spread the Gospel. Each of us is called to bear glad tidings to all, testifying by our practical works of mercy to the joy of knowing Jesus and his love.
The Magi teach us that people can come to Christ by a very long route. Men of wealth, sages from afar, athirst for the infinite, they set out on the long and perilous journey that would lead them to Bethlehem (cf. Mt 2:1-12). Great joy comes over them in the presence of the Infant King. They are not scandalized by the poor surroundings, but immediately fall to their knees to worship him. Kneeling before him, they understand that the God who with sovereign wisdom guides the course of the stars also guides the course of history, casting down the mighty and raising up the lowly. Upon their return home, they would certainly have told others of this amazing encounter with the Messiah, thus initiating the spread of the Gospel among the nations.
10. Standing before the Christmas crèche, we are reminded of the time when we were children, eagerly waiting to set it up. These memories make us all the more conscious of the precious gift received from those who passed on the faith to us. At the same time, they remind us of our duty to share this same experience with our children and our grandchildren. It does not matter how the nativity scene is arranged: it can always be the same or it can change from year to year. What matters is that it speaks to our lives. Wherever it is, and whatever form it takes, the Christmas crèche speaks to us of the love of God, the God who became a child in order to make us know how close he is to every man, woman and child, regardless of their condition.
Dear brothers and sisters, the Christmas crèche is part of the precious yet demanding process of passing on the faith. Beginning in childhood, and at every stage of our lives, it teaches us to contemplate Jesus, to experience God’s love for us, to feel and believe that God is with us and that we are with him, his children, brothers and sisters all, thanks to that Child who is the Son of God and the Son of the Virgin Mary. And to realize that in that knowledge we find true happiness. Like Saint Francis, may we open our hearts to this simple grace, so that from our wonderment a humble prayer may arise: a prayer of thanksgiving to God, who wished to share with us his all, and thus never to leave us alone.
                                                                                    
                                                                                FRANCISCUS

Given in Greccio, at the Shrine of the Nativity, on 1 December in the year 2019, the seventh of my Pontificate.