LETTERA APOSTOLICA
ADMIRABILE
SIGNUM / IL MIRABILE SEGNO
DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
SUL SIGNIFICATO E IL VALORE DEL PRESEPE
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APOSTOLIC LETTER
ADMIRABILE SIGNUM / ADMIRABLE SIGN
OF THE HOLY FATHER
FRANCIS
ON THE MEANING AND IMPORTANCE
OF THE NATIVITY SCENE
Note: follows the official Anglo-American text
1. Il mirabile
segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e
meraviglia. Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare
il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il
presepe, infatti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra
Scrittura. Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci
spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo
per incontrare ogni uomo. E scopriamo che Egli ci ama a tal punto da unirsi a
noi, perché anche noi possiamo unirci a Lui.
Con questa
Lettera vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei
giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo
nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle
piazze... È davvero un esercizio di fantasia creativa, che impiega i materiali
più disparati per dare vita a piccoli capolavori di bellezza. Si impara da
bambini: quando papà e mamma, insieme ai nonni, trasmettono questa gioiosa
abitudine, che racchiude in sé una ricca spiritualità popolare. Mi auguro che
questa pratica non venga mai meno; anzi, spero che, là dove fosse caduta in
disuso, possa essere riscoperta e rivitalizzata.
2. L’origine
del presepe trova riscontro anzitutto in alcuni dettagli evangelici della
nascita di Gesù a Betlemme. L’Evangelista Luca dice semplicemente che Maria
«diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in
una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (2,7). Gesù
viene deposto in una mangiatoia, che in latino si dice praesepium,
da cui presepe.
Entrando in
questo mondo, il Figlio di Dio trova posto dove gli animali vanno a mangiare.
Il fieno diventa il primo giaciglio per Colui che si rivelerà come «il pane
disceso dal cielo» (Gv 6,41). Una simbologia che già Sant’Agostino,
insieme ad altri Padri, aveva colto quando scriveva: «Adagiato in una
mangiatoia, divenne nostro cibo» (Serm. 189,4). In realtà, il presepe
contiene diversi misteri della vita di Gesù e li fa sentire vicini alla nostra
vita quotidiana.
Ma veniamo
subito all’origine del presepe come noi lo intendiamo. Ci rechiamo con la mente
a Greccio, nella Valle Reatina, dove San Francesco si fermò venendo
probabilmente da Roma, dove il 29 novembre 1223 aveva ricevuto dal Papa Onorio
III la conferma della sua Regola. Dopo il suo viaggio in Terra Santa, quelle
grotte gli ricordavano in modo particolare il paesaggio di Betlemme. Ed è
possibile che il Poverello fosse rimasto colpito, a Roma, nella Basilica di
Santa Maria Maggiore, dai mosaici con la rappresentazione della nascita di
Gesù, proprio accanto al luogo dove si conservavano, secondo un’antica
tradizione, le tavole della mangiatoia.
Le Fonti
Francescane raccontano nei particolari cosa avvenne a Greccio.
Quindici giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo del posto, di nome
Giovanni, e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio: «Vorrei
rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli
occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose
necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul
fieno tra il bue e l’asinello». Appena l’ebbe ascoltato, il fedele amico
andò subito ad approntare sul luogo designato tutto il necessario, secondo il
desiderio del Santo. Il 25 dicembre giunsero a Greccio molti frati da varie
parti e arrivarono anche uomini e donne dai casolari della zona, portando fiori
e fiaccole per illuminare quella santa notte. Arrivato Francesco, trovò la
greppia con il fieno, il bue e l’asinello. La gente accorsa manifestò una gioia
indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. Poi il
sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente l’Eucaristia, mostrando il
legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucaristia. In quella
circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e
vissuto da quanti erano presenti.
È così che
nasce la nostra tradizione: tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza
più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del
mistero.
Il primo
biografo di San Francesco, Tommaso da Celano, ricorda che quella notte, alla
scena semplice e toccante s’aggiunse anche il dono di una visione meravigliosa:
uno dei presenti vide giacere nella mangiatoia Gesù Bambino stesso. Da quel
presepe del Natale 1223, «ciascuno se ne tornò a casa sua pieno di ineffabile
gioia».
3. San
Francesco, con la semplicità di quel segno, realizzò una grande opera di
evangelizzazione. Il suo insegnamento è penetrato nel cuore dei cristiani e
permane fino ai nostri giorni come una genuina forma per riproporre la bellezza
della nostra fede con semplicità. D’altronde, il luogo stesso dove si realizzò
il primo presepe esprime e suscita questi sentimenti. Greccio diventa un
rifugio per l’anima che si nasconde sulla roccia per lasciarsi avvolgere nel
silenzio.
Perché il
presepe suscita tanto stupore e ci commuove? Anzitutto perché manifesta la
tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla nostra
piccolezza. Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi, ci affascina
ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di
ogni vita. In Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando
siamo disorientati e perdiamo la direzione; un amico fedele che ci sta sempre
vicino; ci ha dato il suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato.
Comporre il
presepe nelle nostre case ci aiuta a rivivere la storia che si è vissuta a
Betlemme. Naturalmente, i Vangeli rimangono sempre la fonte che permette di
conoscere e meditare quell’Avvenimento; tuttavia, la sua rappresentazione nel
presepe aiuta ad immaginare le scene, stimola gli affetti, invita a sentirsi
coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e
attuale nei più diversi contesti storici e culturali.
In modo
particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a
“toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione.
E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della
povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla
Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e
nelle sorelle più bisognosi (cfr Mt 25,31-46).
4. Mi piace
ora passare in rassegna i vari segni del presepe per cogliere il senso che
portano in sé. In primo luogo, rappresentiamo il contesto del cielo stellato
nel buio e nel silenzio della notte. Non è solo per fedeltà ai racconti
evangelici che lo facciamo così, ma anche per il significato che possiede.
Pensiamo a quante volte la notte circonda la nostra vita. Ebbene, anche in quei
momenti, Dio non ci lascia soli, ma si fa presente per rispondere alle domande
decisive che riguardano il senso della nostra esistenza: chi sono io? Da dove
vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro? Perché
morirò? Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è fatto uomo. La
sua vicinanza porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti attraversano le
tenebre della sofferenza (cfr Lc 1,79).
Una parola
meritano anche i paesaggi che fanno parte del presepe e che spesso
rappresentano le rovine di case e palazzi antichi, che in alcuni casi
sostituiscono la grotta di Betlemme e diventano l’abitazione della Santa
Famiglia. Queste rovine sembra che si ispirino alla Legenda Aurea del
domenicano Jacopo da Varazze (secolo XIII), dove si legge di una credenza
pagana secondo cui il tempio della Pace a Roma sarebbe crollato quando una
Vergine avesse partorito. Quelle rovine sono soprattutto il segno visibile
dell’umanità decaduta, di tutto ciò che va in rovina, che è corrotto e
intristito. Questo scenario dice che Gesù è la novità in mezzo a un mondo
vecchio, ed è venuto a guarire e ricostruire, a riportare la nostra vita e il
mondo al loro splendore originario.
5. Quanta
emozione dovrebbe accompagnarci mentre collochiamo nel presepe le montagne, i
ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo ricordiamo, come avevano
preannunciato i profeti, che tutto il creato partecipa alla festa della venuta
del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che noi pure siamo
chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore.
«Andiamo fino
a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15):
così dicono i pastori dopo l’annuncio fatto dagli angeli. È un insegnamento
molto bello che ci proviene nella semplicità della descrizione. A differenza di
tanta gente intenta a fare mille altre cose, i pastori diventano i primi
testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che viene donata. Sono i più
umili e i più poveri che sanno accogliere l’avvenimento dell’Incarnazione. A
Dio che ci viene incontro nel Bambino Gesù, i pastori rispondono mettendosi in
cammino verso di Lui, per un incontro di amore e di grato stupore. È proprio
questo incontro tra Dio e i suoi figli, grazie a Gesù, a dar vita alla nostra
religione, a costituire la sua singolare bellezza, che traspare in modo
particolare nel presepe.
6. Nei nostri
presepi siamo soliti mettere tante statuine simboliche. Anzitutto, quelle di
mendicanti e di gente che non conosce altra abbondanza se non quella del cuore.
Anche loro stanno vicine a Gesù Bambino a pieno titolo, senza che nessuno possa
sfrattarle o allontanarle da una culla talmente improvvisata che i poveri
attorno ad essa non stonano affatto. I poveri, anzi, sono i privilegiati di
questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la
presenza di Dio in mezzo a noi.
I poveri e i
semplici nel presepe ricordano che Dio si fa uomo per quelli che più sentono il
bisogno del suo amore e chiedono la sua vicinanza. Gesù, «mite e umile di
cuore» (Mt 11,29), è nato povero, ha condotto una vita semplice per
insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso. Dal presepe emerge chiaro
il messaggio che non possiamo lasciarci illudere dalla ricchezza e da tante
proposte effimere di felicità. Il palazzo di Erode è sullo sfondo, chiuso,
sordo all’annuncio di gioia. Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia l’unica
vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la
rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Dal presepe, Gesù
proclama, con mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale
strada verso un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed
emarginato.
Spesso i
bambini – ma anche gli adulti! – amano aggiungere al presepe altre statuine che
sembrano non avere alcuna relazione con i racconti evangelici. Eppure, questa
immaginazione intende esprimere che in questo nuovo mondo inaugurato da Gesù
c’è spazio per tutto ciò che è umano e per ogni creatura. Dal pastore al
fabbro, dal fornaio ai musicisti, dalle donne che portano le brocche d’acqua ai
bambini che giocano…: tutto ciò rappresenta la santità quotidiana, la gioia di
fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni, quando Gesù condivide con
noi la sua vita divina.
7. Poco alla
volta il presepe ci conduce alla grotta, dove troviamo le statuine di Maria e
di Giuseppe. Maria è una mamma che contempla il suo bambino e lo mostra a
quanti vengono a visitarlo. La sua statuetta fa pensare al grande mistero che
ha coinvolto questa ragazza quando Dio ha bussato alla porta del suo cuore
immacolato. All’annuncio dell’angelo che le chiedeva di diventare la madre di
Dio, Maria rispose con obbedienza piena e totale. Le sue parole: «Ecco la serva
del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), sono
per tutti noi la testimonianza di come abbandonarsi nella fede alla volontà di
Dio. Con quel “sì” Maria diventava madre del Figlio di Dio senza perdere, anzi
consacrando grazie a Lui la sua verginità. Vediamo in lei la Madre di Dio che
non tiene il suo Figlio solo per sé, ma a tutti chiede di obbedire alla sua parola
e metterla in pratica (cfr Gv 2,5).
Accanto a
Maria, in atteggiamento di proteggere il Bambino e la sua mamma, c’è San
Giuseppe. In genere è raffigurato con il bastone in mano, e a volte anche
mentre regge una lampada. San Giuseppe svolge un ruolo molto importante nella
vita di Gesù e di Maria. Lui è il custode che non si stanca mai di proteggere
la sua famiglia. Quando Dio lo avvertirà della minaccia di Erode, non esiterà a
mettersi in viaggio ed emigrare in Egitto (cfr Mt 2,13-15). E
una volta passato il pericolo, riporterà la famiglia a Nazareth, dove sarà il
primo educatore di Gesù fanciullo e adolescente. Giuseppe portava nel cuore il
grande mistero che avvolgeva Gesù e Maria sua sposa, e da uomo giusto si è
sempre affidato alla volontà di Dio e l’ha messa in pratica.
8. Il cuore
del presepe comincia a palpitare quando, a Natale, vi deponiamo la statuina di
Gesù Bambino. Dio si presenta così, in un bambino, per farsi accogliere tra le
nostre braccia. Nella debolezza e nella fragilità nasconde la sua potenza che
tutto crea e trasforma. Sembra impossibile, eppure è così: in Gesù Dio è stato
bambino e in questa condizione ha voluto rivelare la grandezza del suo amore,
che si manifesta in un sorriso e nel tendere le sue mani verso chiunque.
La nascita di
un bambino suscita gioia e stupore, perché pone dinanzi al grande mistero della
vita. Vedendo brillare gli occhi dei giovani sposi davanti al loro figlio
appena nato, comprendiamo i sentimenti di Maria e Giuseppe che guardando il
bambino Gesù percepivano la presenza di Dio nella loro vita.
«La vita
infatti si manifestò» (1 Gv 1,2): così l’apostolo Giovanni riassume
il mistero dell’Incarnazione. Il presepe ci fa vedere, ci fa toccare questo
evento unico e straordinario che ha cambiato il corso della storia, e a partire
dal quale anche si ordina la numerazione degli anni, prima e dopo la nascita di
Cristo.
Il modo di
agire di Dio quasi tramortisce, perché sembra impossibile che Egli rinunci alla
sua gloria per farsi uomo come noi. Che sorpresa vedere Dio che assume i nostri
stessi comportamenti: dorme, prende il latte dalla mamma, piange e gioca come
tutti i bambini! Come sempre, Dio sconcerta, è imprevedibile, continuamente
fuori dai nostri schemi. Dunque il presepe, mentre ci mostra Dio così come è
entrato nel mondo, ci provoca a pensare alla nostra vita inserita in quella di
Dio; invita a diventare suoi discepoli se si vuole raggiungere il senso ultimo
della vita.
9. Quando si
avvicina la festa dell’Epifania, si collocano nel presepe le tre statuine dei
Re Magi. Osservando la stella, quei saggi e ricchi signori dell’Oriente si
erano messi in cammino verso Betlemme per conoscere Gesù, e offrirgli in dono
oro, incenso e mirra. Anche questi regali hanno un significato allegorico:
l’oro onora la regalità di Gesù; l’incenso la sua divinità; la mirra la sua
santa umanità che conoscerà la morte e la sepoltura.
Guardando
questa scena nel presepe siamo chiamati a riflettere sulla responsabilità che
ogni cristiano ha di essere evangelizzatore. Ognuno di noi si fa portatore
della Bella Notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver
incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia.
I Magi
insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo. Sono
uomini ricchi, stranieri sapienti, assetati d’infinito, che partono per un
lungo e pericoloso viaggio che li porta fino a Betlemme (cfr Mt 2,1-12).
Davanti al Re Bambino li pervade una gioia grande. Non si lasciano
scandalizzare dalla povertà dell’ambiente; non esitano a mettersi in ginocchio
e ad adorarlo. Davanti a Lui comprendono che Dio, come regola con sovrana
sapienza il corso degli astri, così guida il corso della storia, abbassando i
potenti ed esaltando gli umili. E certamente, tornati nel loro Paese, avranno raccontato
questo incontro sorprendente con il Messia, inaugurando il viaggio del Vangelo
tra le genti.
10. Davanti al
presepe, la mente va volentieri a quando si era bambini e con impazienza si
aspettava il tempo per iniziare a costruirlo. Questi ricordi ci inducono a
prendere sempre nuovamente coscienza del grande dono che ci è stato fatto
trasmettendoci la fede; e al tempo stesso ci fanno sentire il dovere e la gioia
di partecipare ai figli e ai nipoti la stessa esperienza. Non è importante come
si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò
che conta, è che esso parli alla nostra vita. Dovunque e in qualsiasi forma, il
presepe racconta l’amore di Dio, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto
è vicino ad ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi.
Cari fratelli
e sorelle, il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione
della fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita, ci educa a
contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e credere che Dio
è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino
Figlio di Dio e della Vergine Maria. E a sentire che in questo sta la felicità.
Alla scuola di San Francesco, apriamo il cuore a questa grazia semplice,
lasciamo che dallo stupore nasca una preghiera umile: il nostro “grazie” a Dio
che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli.
Dato a Greccio, nel Santuario del Presepe, 1°
dicembre 2019, settimo del pontificato.
FRANCESCO
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APOSTOLIC
LETTER
ADMIRABILE SIGNUM / ADMIRABLE SIGN
OF THE HOLY FATHER
FRANCIS
ON THE MEANING AND IMPORTANCE
OF THE NATIVITY SCENE
1. The enchanting image of the Christmas crèche, so dear to the
Christian people, never ceases to arouse amazement and wonder. The depiction of
Jesus’ birth is itself a simple and joyful proclamation of the mystery of the
Incarnation of the Son of God. The nativity scene is like a living Gospel
rising up from the pages of sacred Scripture. As we contemplate the Christmas
story, we are invited to set out on a spiritual journey, drawn by the humility
of the God who became man in order to encounter every man and woman. We come to
realize that so great is his love for us that he became one of us, so that we
in turn might become one with him.
With this Letter, I wish to
encourage the beautiful family tradition of preparing the nativity scene in the
days before Christmas, but also the custom of setting it up in the workplace,
in schools, hospitals, prisons and town squares. Great imagination and
creativity is always shown in employing the most diverse materials to create
small masterpieces of beauty. As children, we learn from our parents and grandparents
to carry on this joyful tradition, which encapsulates a wealth of popular
piety. It is my hope that this custom will never be lost and that, wherever it
has fallen into disuse, it can be rediscovered and revived.
2. The origin of the Christmas
crèche is found above all in certain details of Jesus’ birth in Bethlehem, as
related in the Gospels. The evangelist Luke says simply that Mary “gave birth
to her firstborn son and wrapped him in swaddling cloths, and laid him in a
manger, because there was no place for them in the inn” (2:7). Because Jesus
was laid in a manger, the nativity scene is known in Italian as a presepe,
from the Latin word praesepium, meaning “manger”.
Coming into this world, the Son of
God was laid in the place where animals feed. Hay became the first bed of the
One who would reveal himself as “the bread come down from heaven” (Jn 6:41).
Saint Augustine, with other Church Fathers, was impressed by this symbolism:
“Laid in a manger, he became our food” (Sermon 189, 4). Indeed, the
nativity scene evokes a number of the mysteries of Jesus’ life and brings them
close to our own daily lives.
But let us go back to the origins
of the Christmas crèche so familiar to us. We need to imagine ourselves in the
little Italian town of Greccio, near Rieti. Saint Francis stopped there, most
likely on his way back from Rome where on 29 November 1223 he had received the
confirmation of his Rule from Pope Honorius III. Francis had earlier visited
the Holy Land, and the caves in Greccio reminded him of the countryside of
Bethlehem. It may also be that the “Poor Man of Assisi” had been struck by the
mosaics in the Roman Basilica of Saint Mary Major depicting the birth of Jesus,
close to the place where, according to an ancient tradition, the wooden panels
of the manger are preserved.
The Franciscan Sources describe
in detail what then took place in Greccio. Fifteen days before Christmas,
Francis asked a local man named John to help him realize his desire “to bring
to life the memory of that babe born in Bethlehem, to see as much as possible
with my own bodily eyes the discomfort of his infant needs, how he lay in a
manger, and how, with an ox and an ass standing by, he was laid upon a bed of
hay”. At this, his faithful friend went immediately to prepare all that
the Saint had asked. On 25 December, friars came to Greccio from various parts,
together with people from the farmsteads in the area, who brought flowers and
torches to light up that holy night. When Francis arrived, he found a manger
full of hay, an ox and a donkey. All those present experienced a new and
indescribable joy in the presence of the Christmas scene. The priest then
solemnly celebrated the Eucharist over the manger, showing the bond between the
Incarnation of the Son of God and the Eucharist. At Greccio there were no
statues; the nativity scene was enacted and experienced by all who were
present.
This is how our tradition began:
with everyone gathered in joy around the cave, with no distance between the
original event and those sharing in its mystery.
Thomas of Celano, the first
biographer of Saint Francis, notes that this simple and moving scene was
accompanied by the gift of a marvellous vision: one of those present saw the
Baby Jesus himself lying in the manger. From the nativity scene of that Christmas
in 1223, “everyone went home with joy”.
3. With the simplicity of that
sign, Saint Francis carried out a great work of evangelization. His teaching
touched the hearts of Christians and continues today to offer a simple yet
authentic means of portraying the beauty of our faith. Indeed, the place where
this first nativity scene was enacted expresses and evokes these sentiments.
Greccio has become a refuge for the soul, a mountain fastness wrapped in
silence.
Why does the Christmas crèche
arouse such wonder and move us so deeply? First, because it shows God’s tender
love: the Creator of the universe lowered himself to take up our littleness.
The gift of life, in all its mystery, becomes all the more wondrous as we
realize that the Son of Mary is the source and sustenance of all life. In
Jesus, the Father has given us a brother who comes to seek us out whenever we
are confused or lost, a loyal friend ever at our side. He gave us his Son who
forgives us and frees us from our sins.
Setting up the Christmas crèche in
our homes helps us to relive the history of what took place in Bethlehem.
Naturally, the Gospels remain our source for understanding and reflecting on
that event. At the same time, its portrayal in the crèche helps us to imagine
the scene. It touches our hearts and makes us enter into salvation history as
contemporaries of an event that is living and real in a broad gamut of
historical and cultural contexts.
In a particular way, from the time
of its Franciscan origins, the nativity scene has invited us to “feel” and
“touch” the poverty that God’s Son took upon himself in the Incarnation.
Implicitly, it summons us to follow him along the path of humility, poverty and
self-denial that leads from the manger of Bethlehem to the cross. It asks us to
meet him and serve him by showing mercy to those of our brothers and sisters in
greatest need (cf. Mt 25:31-46).
4. I would like now to reflect on
the various elements of the nativity scene in order to appreciate their deeper
meaning. First, there is the background of a starry sky wrapped in the darkness
and silence of night. We represent this not only out of fidelity to the Gospel
accounts, but also for its symbolic value. We can think of all those times in
our lives when we have experienced the darkness of night. Yet even then, God
does not abandon us, but is there to answer our crucial questions about the
meaning of life. Who am I? Where do I come from? Why was I born at this time in
history? Why do I love? Why do I suffer? Why will I die? It was to answer these
questions that God became man. His closeness brings light where there is
darkness and shows the way to those dwelling in the shadow of suffering
(cf. Lk 1:79).
The landscapes that are part of the
nativity scene also deserve some mention. Frequently they include the ruins of
ancient houses or buildings, which in some instances replace the cave of Bethlehem
and become a home for the Holy Family. These ruins appear to be inspired by the
thirteenth-century Golden Legend of the Dominican Jacobus de
Varagine, which relates a pagan belief that the Temple of Peace in Rome would
collapse when a Virgin gave birth. More than anything, the ruins are the
visible sign of fallen humanity, of everything that inevitably falls into ruin,
decays and disappoints. This scenic setting tells us that Jesus is newness in
the midst of an aging world, that he has come to heal and rebuild, to restore
the world and our lives to their original splendour.
5. With what emotion should we
arrange the mountains, streams, sheep and shepherds in the nativity scene! As
we do so, we are reminded that, as the prophets had foretold, all creation
rejoices in the coming of the Messiah. The angels and the guiding star are a
sign that we too are called to set out for the cave and to worship the Lord.
“Let us go over to Bethlehem and
see this thing that has happened, which the Lord has made known to us” (Lk 2:15).
So the shepherds tell one another after the proclamation of the angels. A
beautiful lesson emerges from these simple words. Unlike so many other people,
busy about many things, the shepherds become the first to see the most
essential thing of all: the gift of salvation. It is the humble and the poor
who greet the event of the Incarnation. The shepherds respond to God who comes
to meet us in the Infant Jesus by setting out to meet him with love, gratitude
and awe. Thanks to Jesus, this encounter between God and his children gives
birth to our religion and accounts for its unique beauty, so wonderfully
evident in the nativity scene.
6. It is customary to add many
symbolic figures to our nativity scenes. First, there are the beggars and the
others who know only the wealth of the heart. They too have every right to draw
near to the Infant Jesus; no one can evict them or send them away from a crib
so makeshift that the poor seem entirely at home. Indeed, the poor are a
privileged part of this mystery; often they are the first to recognize God’s
presence in our midst.
The presence of the poor and the
lowly in the nativity scene remind us that God became man for the sake of those
who feel most in need of his love and who ask him to draw near to them. Jesus,
“gentle and humble in heart” (Mt 11:29), was born in poverty and
led a simple life in order to teach us to recognize what is essential and to
act accordingly. The nativity scene clearly teaches that we cannot let
ourselves be fooled by wealth and fleeting promises of happiness. We see
Herod’s palace in the background, closed and deaf to the tidings of joy. By
being born in a manger, God himself launches the only true revolution that can
give hope and dignity to the disinherited and the outcast: the revolution of
love, the revolution of tenderness. From the manger, Jesus proclaims, in a meek
yet powerful way, the need for sharing with the poor as the path to a more
human and fraternal world in which no one is excluded or marginalized.
Children – but adults too! – often
love to add to the nativity scene other figures that have no apparent
connection with the Gospel accounts. Yet, each in its own way, these fanciful
additions show that in the new world inaugurated by Jesus there is room for
whatever is truly human and for all God’s creatures. From the shepherd to the
blacksmith, from the baker to the musicians, from the women carrying jugs of
water to the children at play: all this speaks of the everyday holiness, the
joy of doing ordinary things in an extraordinary way, born whenever Jesus
shares his divine life with us.
7. Gradually, we come to the cave,
where we find the figures of Mary and Joseph. Mary is a mother who contemplates
her child and shows him to every visitor. The figure of Mary makes us reflect
on the great mystery that surrounded this young woman when God knocked on the
door of her immaculate heart. Mary responded in complete obedience to the
message of the angel who asked her to become the Mother of God. Her words,
“Behold I am the handmaid of the Lord; let it be to me according to your word”
(Lk 1:38), show all of us how to abandon ourselves in faith to
God’s will. By her “fiat”, Mary became the mother of God’s Son, not losing but,
thanks to him, consecrating her virginity. In her, we see the Mother of God who
does not keep her Son only to herself, but invites everyone to obey his word
and to put it into practice (cf. Jn 2:5).
At Mary’s side, shown protecting
the Child and his Mother, stands Saint Joseph. He is usually depicted with
staff in hand, or holding up a lamp. Saint Joseph plays an important role in
the life of Jesus and Mary. He is the guardian who tirelessly protects his
family. When God warned him of Herod’s threat, he did not hesitate to set out
and flee to Egypt (cf. Mt 2:13-15). And once the danger had
passed, he brought the family back to Nazareth, where he was to be the first
teacher of Jesus as a boy and then as a young man. Joseph treasured in his
heart the great mystery surrounding Jesus and Mary his spouse; as a just man,
he entrusted himself always to God’s will, and put it into practice.
8. When, at Christmas, we place the
statue of the Infant Jesus in the manger, the nativity scene suddenly comes
alive. God appears as a child, for us to take into our arms. Beneath weakness
and frailty, he conceals his power that creates and transforms all things. It
seems impossible, yet it is true: in Jesus, God was a child, and in this way he
wished to reveal the greatness of his love: by smiling and opening his arms to
all.
The birth of a child awakens joy
and wonder; it sets before us the great mystery of life. Seeing the bright eyes
of a young couple gazing at their newborn child, we can understand the feelings
of Mary and Joseph who, as they looked at the Infant Jesus, sensed God’s
presence in their lives.
“Life was made manifest” (1 Jn 1:2).
In these words, the Apostle John sums up the mystery of the Incarnation. The
crèche allows us to see and touch this unique and unparalleled event that
changed the course of history, so that time would thereafter be reckoned either
before or after the birth of Christ.
God’s ways are astonishing, for it
seems impossible that he should forsake his glory to become a man like us. To
our astonishment, we see God acting exactly as we do: he sleeps, takes milk
from his mother, cries and plays like every other child! As always, God baffles
us. He is unpredictable, constantly doing what we least expect. The nativity
scene shows God as he came into our world, but it also makes us reflect on how
our life is part of God’s own life. It invites us to become his disciples if we
want to attain ultimate meaning in life.
9. As the feast of Epiphany
approaches, we place the statues of the Three Kings in the Christmas crèche.
Observing the star, those wise men from the East set out for Bethlehem, in
order to find Jesus and to offer him their gifts of gold, frankincense and
myrrh. These costly gifts have an allegorical meaning: gold honours Jesus’
kingship, incense his divinity, myrrh his sacred humanity that was to experience
death and burial.
As we contemplate this aspect of
the nativity scene, we are called to reflect on the responsibility of every
Christian to spread the Gospel. Each of us is called to bear glad tidings to
all, testifying by our practical works of mercy to the joy of knowing Jesus and
his love.
The Magi teach us that people can
come to Christ by a very long route. Men of wealth, sages from afar, athirst
for the infinite, they set out on the long and perilous journey that would lead
them to Bethlehem (cf. Mt 2:1-12). Great joy comes over them
in the presence of the Infant King. They are not scandalized by the poor
surroundings, but immediately fall to their knees to worship him. Kneeling
before him, they understand that the God who with sovereign wisdom guides the
course of the stars also guides the course of history, casting down the mighty
and raising up the lowly. Upon their return home, they would certainly have
told others of this amazing encounter with the Messiah, thus initiating the
spread of the Gospel among the nations.
10. Standing before the Christmas
crèche, we are reminded of the time when we were children, eagerly waiting to
set it up. These memories make us all the more conscious of the precious gift
received from those who passed on the faith to us. At the same time, they
remind us of our duty to share this same experience with our children and our
grandchildren. It does not matter how the nativity scene is arranged: it can
always be the same or it can change from year to year. What matters is that it
speaks to our lives. Wherever it is, and whatever form it takes, the Christmas
crèche speaks to us of the love of God, the God who became a child in order to
make us know how close he is to every man, woman and child, regardless of their
condition.
Dear brothers and sisters, the
Christmas crèche is part of the precious yet demanding process of passing on
the faith. Beginning in childhood, and at every stage of our lives, it teaches
us to contemplate Jesus, to experience God’s love for us, to feel and believe
that God is with us and that we are with him, his children, brothers and
sisters all, thanks to that Child who is the Son of God and the Son of the
Virgin Mary. And to realize that in that knowledge we find true happiness. Like
Saint Francis, may we open our hearts to this simple grace, so that from our
wonderment a humble prayer may arise: a prayer of thanksgiving to God, who
wished to share with us his all, and thus never to leave us alone.
FRANCISCUS
Given in Greccio, at the Shrine of the Nativity, on 1 December in
the year 2019, the seventh of my Pontificate.