INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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domenica 15 dicembre 2019

Piazza Fontana e altre stragi


Piazza Fontana e altre stragi

1.  Un’amica di mia figlia le ha chiesto di sollecitarmi a manifestare ciò che penso della strage di piazza Fontana, a Milano, compiuta il 12 dicembre 1969. Non credo che da me voglia  sapere quello che tutti possono leggere sui libri di storia e quello che è stato scritto in questi giorni sulla stampa e sul WEB  e detto in radio e televisione,  facendo memoria dell’anniversario di quell’evento, ma di come vissi personalmente quell’episodio tragico, anche se inevitabilmente occorrerà accennare ai risultati della storiografia su quel fatto. A quell’epoca io c’ero già, ma avevo dodici anni, facevo le medie e, devo precisarlo,  non avevo ancora maturato una coscienza politica da cittadino,  senza la quale non si può andare molto in là nello sforzo di capire il senso di ciò che allora accadde. Cominciai ad averla solo molto più tardi, in particolare, credo,  dall’ultimo anno delle superiori, quando, nel 1975, nel mio nuovo liceo, mi ci ero trasferito proprio quell’anno,  con alcuni amici organizzammo una formazione per presentarci alle prime elezioni per gli organi collegiali della scuola, nei quali era prevista una componente studentesca. Il nostro gruppo si chiamava Partecipazione studentesca ed era una coalizione tra giovani cattolici sociali e socialisti. Preciso che a quell’epoca quelle non erano solo etichette, ma in merito si aveva una consapevolezza ideologica molto più completa di quella che vedo espressa dai ragazzi di oggi (e chiamo ragazzi le persone fino all’ultimo anno delle superiori, poi sono uomini  e donne, nonostante che oggi ci sia l’abitudine di dare del ragazzo  anche a un trentenne). Io mi ero formato tra i cattolici e avevo recepito le idee di riforma sociale del Concilio Vaticano 2°, che mi erano giunte dai miei familiari. Da quell’epoca non ho più cambiato idea, mi sono solo limitato ad approfondirla, in particolare scoprendo le profonde relazioni che legavano il pensiero cattolico sociale ad  altre componenti culturali e altri movimenti politici della società italiana.
  Negli anni del liceo a scuola ci si riuniva spesso, quasi ogni settimana se ben ricordo,  in quelli che venivano chiamati  collettivi, animati in genere da studenti comunisti e socialisti. Lì sentii discutere dei problemi giudiziari e storici relativi alla ricostruzione di fatti stragisti di quegli anni (la strage di piazza Fontana fu la prima di altri attentati stragisti, fino a quello del 1984 su un treno in una galleria tra Toscana ed Emilia). Iniziai a sentire l’espressione strategia della tensione che significava questo: per favorire un governo autoritario contrario alle riforme sociali in favore dei ceti meno ricchi della popolazione, sostenute dai comunisti italiani e da altre forze socialiste, si facevano attentati in luoghi affollati per generare una paura collettiva che portasse ad invocare l’uomo forte che riportasse ordine con metodi spicci, al di fuori delle ordinarie procedure democratiche che sembravano stessero portando al potere le Sinistre.  Alcuni temevano anche una vera e propria rivoluzione  comunista, fatta per rovesciare con la violenza le classi che controllavano il governo e la società, e si dicevano disposti a tutto pur di impedirla.  In Italia c’era anche  chi in quegli anni considerò possibile qualcosa di simile alle esperienze golpiste della Giunta militare greca di Giorgios Papadopulos (1967)  o di quella cilena di Augusto Pinochet (1973): entrambe avevano rovesciato governi democratici dichiarando di voler impedire un colpo di stato comunista. Insomma, una strategia politica di Destra estrema contro il pericolo di  colpo di stato  di Sinistra  estrema, in particolare di un colpo di stato comunista: questa, sostanzialmente,  la strategia della tensione.
   Ma, era credibile, nell’Italia di quegli anni,  il pericolo dell’imposizione di un regime comunista per via rivoluzionaria o che si producesse un risultato analogo a seguito di procedure democratiche, in particolare a seguito del risultato di elezioni politiche nazionali? Per rispondere bisogna ricordare un dato storico molto rilevante, che di solito non si trova nelle spiegazioni storiche di quegli anni dedicate al grande pubblico.
    Fino all’inizio degli anni, ’90 l’Europa orientale, i tedeschi della Repubblica Democratica Tedesca - DDR, gli slavi, i baltici, gli ungheresi, i bulgari, i romeni, gli altri popoli balcanici fino alla frontiera greca, erano dominati da regimi comunisti di tipo marxista-leninista, in una variante stalinista più o meno accentuata. In genere consideriamo la loro esperienza politica e civile secondo l’orientamento storiografico degli Europei Occidentali e dei Nord Americani, che mettono in risalto una loro caratteristica molto importante e indubbiamente vera, vale a dire il divieto assoluto e la repressione con gravi pene criminali della critica sociale e politica al partito comunista, unico consentito o a volte insieme ad altre formazioni minori di categoria comunque ad esso collegate, ai suoi capi politici e agli esponenti di governo, quindi la mancanza della libertà politica e civile secondo i costumi democratico-liberali scaturiti dalle civiltà europee occidentali. Ma vi erano altri aspetti che, e a noi sembra incredibile, li rendevano attraenti per le masse dei miseri delle nazioni occidentali e di altre parti nel  mondo, alle quali sembrava impossibile un reale riscatto dalle loro difficili condizioni vigendo le condizioni dell’economia capitalista: nelle società comuniste non vi era disoccupazione, che anzi era addirittura vietata, non ci si doveva dannare per trovare un’abitazione che era assicurata a tutti, le cure sanitarie erano gratuite per tutti così come l’istruzione di base e quella delle scuole superiori, e anche la formazione universitaria per coloro che vi erano ammessi era gratuita,  tutti disponevano di un minimo di risorse per i bisogni essenziali, si era realizzata una reale eguaglianza tra la condizione maschile e femminile, l’assistenza per la vecchiaia era garantita così come le opportunità di riposo in ferie sufficientemente prolungate e retribuite, il risparmio privato non speculativo era ammesso e veniva riconosciuto un interesse fisso non condizionato dall’andamento dei mercati finanziari. Tutte queste prestazioni rientrano in quelle di  giustizia sociale, tese a riequilibrare le diseguaglianze eccessive prodotte dal sistema politico - economico - finanziario - giuridico, per garantire un benessere diffuso. Certo, le società comuniste dell’epoca apparivano, oltre che oppresse da un’intransigenza poliziesca,  piuttosto povere rispetto a quelle ad economia capitalista, ma in queste ultime la povertà estrema era molto più accentuata, questo il loro paradosso tenendo conto che in esse vi erano anche punte di ricchezza estrema. Nelle società comuniste, in definitiva, in genere non ci si doveva dannare per sopravvivere, anche se si era soggetti all'arbitrio di una onnipresente polizia politica. I risultati di giustizia sociale ottenuti nei regimi comunisti potevano essere ottenuti, e anzi migliorati,  in un  ambiente di democrazia popolare ma liberale, caratterizzato da limiti invalicabili ad ogni potere pubblico a garanzia dei diritti fondamentali di libertà e da procedure politiche democratiche? In Italia, negli anni ’60 e ’70 si pensò che fosse possibile e, in realtà, in quell’epoca la condizione della generalità degli italiani migliorò sensibilmente per le politiche sociali attuate dai governi di allora, certamente influenzate dai socialismi italiani. Importantissime furono le riforme nel campo dei diritti dei lavoratori sul posto di lavoro e al posto di lavoro, l’istituzione di un sistema di istruzione pubblica gratuita che consentiva a tutti l’accesso ai più alti gradi di formazione, l’istituzione di un sistema sanitario che garantiva a tutti i cittadini, e a certe condizioni anche agli stranieri residenti, cure gratuite per la gran parte delle patologie, in particolare per quelle più gravi, la legge detta dell’equo canone  che mise al riparo gli prendeva in affitto un’abitazione da eccessive pretese dei proprietari. Le risorse per finanziare questo sistema di innovazioni sociali furono raccolte mediante la riforma del sistema tributario, quindi delle tasse, che consentì un aumento del gettito fiscale, e anche mediante il ricorso al  debito pubblico  e la manovra monetaria, all’epoca sotto il controllo del Governo non di autorità indipendenti.  Questo, anche a causa di  gravi crisi economiche e finanziarie prodottesi negli anni Settanta, in particolare per l’improvviso rialzo dei costi del petrolio per ragioni politiche internazionali, ebbe tra gli effetti controproducenti una forte inflazione, che finiva per colpire duramente, falcidiandone il valore reale dei redditi e dei risparmi,  soprattutto coloro, come i lavoratori dipendenti, gli artigiani e i piccoli imprenditori, che non avevano modo di trasformare le proprie risorse finanziarie in valuta straniera pregiata. Da questo ci protegge ora il sistema della moneta unica europea. L’altro effetto controproducente fu l’inasprirsi del conflitto tra classi sociali, che politicamente si espresse in quello tra Destra  e Sinistra.
  In definitiva, la giustizia sociale  nel senso indicato dai socialismi italiani, e anche dal cattolicesimo sociale italiano secondo l’orientamento della dottrina sociale cattolica, ma anche, per certi versi, dai comunismi dell’Europa orientale, era realmente attraente per i ceti popolari italiani, i quali avevano anche sperimentato che i governi democratici sensibili a quell’aspirazione producevano politiche che portavano risultati in quel senso. Una versione democratica di socialismo, instaurata con procedure democratiche e mantenuta nella democrazia,  era effettivamente realizzabile nell’Italia degli anni ’70, e allora sarebbe stata l’unica versione democratica di socialismo mai storicamente realizzata e avrebbe potuto costituire un modello per altre nazioni. Alle elezioni regionali del 1975 il Partito Comunista Italiano conseguì il suo miglior risultato storico  e nel ‘78 un governo monocolore democristiano ebbe il suo appoggio. Ma poi prevalse un altro socialismo democratico, quello che guidato da Bettino Craxi, a  lungo Presidente del Consiglio del decennio seguente, confidò di coniugare riformismo e capitalismo liberista producendo un modello di sviluppo del quale potessero beneficiare anche i ceti meno ricchi, per sgocciolamento  dai più ricchi agli altri. L’Italia di oggi è in gran parte il risultato di quell’ideologia. A voi il giudizio su di essa.
Destra / Sinistra.  Storicamente  in Italia coloro che si opponevano ad interventi sociali dello Stato in favore dei ceti meno favoriti, quindi a tutto ciò che va sotto il nome di giustizia sociale  e che significa fare leggi per correggere i rapporti economici e sociali e per trasferire risorse verso chi sta peggio, si sono collocati nella parte di destra dei banchi dell’aula parlamentare rispetto alla Presidenza dell’assemblea, seguendo una consuetudine che risale alla Francia rivoluzionaria di fine Settecento,  e quindi vengono definiti Destra. In una concezione di Destra  ognuno deve avere e mantenere il suo sulla base di ciò che è stato capace di conseguire in società per quello che è ed ha fatto. Si ritiene ingiusta una tassazione per togliergli qualcosa per darla ad altre categorie sociali. Si ammettono tasse solo per la sicurezza pubblica, guerra, polizia, vigili del fuoco,   l’amministrazione della giustizia, tribunali e penitenziari,  i servizi pubblici di base, come strade, illuminazione pubblica, pulizia delle città, costruzione di edifici pubblici e di grandi infrastrutture pubbliche, l’istruzione primaria e i servizi sanitari d’emergenza. Il resto ognuno se lo dovrebbe pagare da sé, secondo ciò che possiede. All’opposto, comunisti e socialisti: la Sinistra. In una concezione di sinistra, le diseguaglianze sociali dipendono dal fatto che alcuni ceti sono stati ingiustamente favoriti dalle politiche pubbliche, che erano riusciti a controllare.  Secondo quest’ordine di idee, occorre un’azione pubblica per impedire che esse, approfondendosi, privino le persone dei beni essenziali per una vita dignitosa. Servono quindi riforme per sviluppare queste politiche sociali: dal Secondo dopoguerra le Sinistre  italiane progettarono di attuarle con metodi democratici, valendosi delle opportunità offerte dalla nuova Costituzione repubblicana, entrata in vigore il 1 gennaio 1948, fortemente riformista  in quel senso perché formulata  con il loro importante contributo. Un colpo di stato comunista non era quindi seriamente prevedibile in Italia negli anni ’60  e ‘70, anche se vi fu chi pensò di riuscire a suscitarlo con azioni violente e terroristiche: queste formazioni, che si definivano  comuniste  e che furono fortemente osteggiate dal Partito Comunista Italiano, non ebbero però mai un consistente seguito nella popolazione, anche tra quella operaia, pur arrivando a coinvolgere complessivamente, si stima, alcune decine di migliaia di aderenti, solo una minoranza dei quali furono realmente combattenti in clandestinità, quindi terroristi nel senso che all’epoca si intendeva con questa parola e che non coincide con il senso che oggi le si dà.  Va detto che anche la Destra  con origini anti-democratiche, quella scaturita e animata dai reduci del regime fascista mussoliniano, nel corso della storia della repubblica democratica sempre più assimilò il metodo democratico distaccandosi dal modello autoritario delle origini e, in sostanza, dall’idea di poter  riproporre l’esperienza fascista sia pure adattata ai tempi nuovi, ad esempio sul modello del Franchismo  spagnolo. Negli anni ’70, però, per come mi fu dato di constatare, vi erano in quella parte politica, ad esempio tra i miei compagni di classe che aderivano ad un movimento giovanile di quell’orientamento, molti estimatori del fascismo mussoliniano, del quale si avevano informazioni molto precise dai reduci di quell’esperienza politica ancora attivi nella società.
    Vi furono, quindi, nell’Italia della Repubblica democratica, formazioni di Destra  e di Sinistra  democratiche, rispettose dell’ordine costituzionale, e formazioni di Destra  e di Sinistra  eversive dell’ordine democratico, che produssero negli anni ’70  e ’80 varie forme di terrorismo politico. Le prime prevalsero sempre. L’eversione sedicente comunista non raggiunse mai la forza politica e sociale per ambire seriamente alla conquista del governo nazionale; questo privò l’eversione di Destra  di ogni giustificazione a forzature autoritarie come soluzioni di emergenza contro il pericolo di un colpo di stato comunista, sugli esempi delle Giunte militari greche e cilene protagoniste di colpi di stato con pretesti anticomunisti (per altro in nazioni nelle  quali il pericolo comunista, a ben considerare, rimase sempre un’immagine propagandista, non una realtà, perché i militari insorsero contro regimi democratici).
 Leggo nel libro di storia per le superiori di Andrea Giardina, Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto, Nuovi profili storici - 3 - Dal 1900 ad oggi, Laterza, pag.709-710, che consiglio a tutti coloro che vogliono approfondire la propria fede, la quale come fatto sociale richiede di migliorare la propria conoscenza dei fatti sociali:
«Nei primi anni ’70 la debolezza dell’esecutivo di fronte alle tensioni della società  apparve in tutta la sua evidenza  non solo nelle frequenti crisi governative, ma anche nel modo in cui fu affrontato il primo manifestarsi del terrorismo politico. Il 12 dicembre 1969, in pieno “autunno caldo”, una bomba esplosa a Milano, in piazza Fontana, nella sede della Banca dell’Agricoltura, provocò 17 morti e oltre 100 feriti. L’incapacità di risolvere il caso, di cui dettero prova gli apparati dello Stato, fu messa sotto accusa dall’opinione pubblica e dalla stampa di sinistra, che individuò nell’estrema destra fascista la matrice politica dell’attentato e denunciò le pesanti responsabilità dei servizi di sicurezza nel deviare le indagini verso un’improbabile «pista anarchica». Si parò allora di una strategia della tensione messa in atto dalle forze di destra per incrinare lo stato democratico e favorire soluzioni autoritarie.
[…]
  Un fenomeno [quello del dilatarsi del terrorismo di destra e di sinistra] che, nelle sue prime manifestazioni fu giudicato come un fatto episodico e sostanzialmente estraneo al tessuto civile del paese, ma che doveva restare invece per molti anni un elemento permanente e disgregante della vita politica italiana.
  Opposti nella loro matrice ideologica, i due terrorismi, quello nero e quello rosso, erano diversi anche nel modo di operare. Il tratto distintivo  del terrorismo di destra fu il ricorso  ad attentati dinamitardi in luoghi pubblici, che provocavano stragi indiscriminate, col probabile scopo, di diffondere il panico nel paese e di favorire una svolta autoritaria. Dopo la strage di piazza Fontana, vi furono le bombe in piazza della Loggia nel maggio 1974, Sei anni dopo l’attentato più terribile e per molti aspetti inspiegabile, quello del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, con oltre 80 morti. La ragionevole convinzione di larga parte dell’opinione pubblica che attribuì le stragi ad esponenti della destra eversiva, con la complicità dei servizi segreti, pur confortata da molti riscontri investigativi, non trovò per la maggior parte dei casi, la conferma della magistratura giudicante. Solo per l’attentato di Bologna si giunse a una sentenza definitiva (ma da molti criticata per la debolezza dell’impianto accusatorio) contro alcuni terroristi di destra.  Spettava comunque al potere politico la responsabilità di non aver saputo indirizzare l’azione dei servizi di sicurezza e di non aver posto rimedio alle loro inefficienze o alle loro deviazioni dai compiti istituzionali.»
  Questo è la sintesi del  risultato a cui è pervenuta quella che è accreditata come la miglior scienza storica nazionale.
  Quanto ai fatti del 12 dicembre 1969, va ricordato che quel giorno non vi fu solo l’attentato a Milano, in piazza Fontana, ma vi furono anche due attentati a Roma, alla Banca Nazionale di Roma  in  via Veneto, e all’Altare della Patria a piazza Venezia, con diversi feriti. La concatenazione evidente degli attentati accredita l’idea di un programma  stragista e quindi di una  strategia.
  Personalmente, partecipando sempre più consapevolmente alla vita politica e civile italiana nel corso degli anni ’70, ne ricavai una decisa convinzione democratica e non fui mai tentato o attratto, come invece alcuni coetanei che conobbi intorno a me, da ogni forma di violenza politica o di adesione a concezioni politiche autoritarie o totalitarie, di estrema Destra  o di estrema Sinistra,   qualsiasi pretesto si desse loro. Aggiungo che fui fortemente disgustato della violenza diffusa che in quegli anni vedevo intorno a me,  a partire dalla mia scuola, situata in un quartiere costruito dal fascismo mussoliniano e  ancora abitato da molte famiglie borghesi che a quell’epoca vi si erano insediate e che di quel regime politico si manifestavano spesso sinceramente nostalgiche.  Per dire, nella mia classe del liceo, su una quindicina di maschi, sette od otto aderivano al movimento giovanile del partito di Destra  costituito da reduci del fascismo mussoliniano e, parlando come me, si dicevano francamente  fascisti.  
2.  Degli anni delle scuole medie, quando avvenne la strage a Milano, ricordo che sentivo quasi ogni giorno  gente urlare fuori scuola. Seppi anche che si picchiavano. Quando andai al liceo assistetti anche a diverse aggressioni per strada. Di solito andava così: giovani del movimento di Destra  attaccavano giovani di Sinistra, da soli o mentre manifestavano. Volevano tenere la Sinistra  fuori del quartiere e organizzavano squadre per attaccare le manifestazioni degli avversari. Mi pareva che la prendessero un po’ come un gioco, o anche come un’esercitazione per combattimenti futuri più seri. Quelli dell’altra parte organizzavano dei  servizi d’ordine  per respingere quegli altri. Assistetti al reclutamento di uno della mia classe. Fazioni di opposto schieramento si picchiavano. Vicino a scuola mia assassinarono un giovane scambiato per un altro, di Sinistra.  Proprio davanti a scuola (ma io ero già all’università) terroristi di destra, alcuni dei quali furono anche incolpati della strage alla Stazione di Bologna, assassinarono un poliziotto.  Una volta, all’università, assistetti da vicino ad una brutale aggressione di un energumeno di Sinistra  ad un piccoletto  che poi seppi aderiva al movimento di Destra: gli arrivò da dietro e lo stese con due colpi di bastone in testa e fuggì lontano. Il ferito cadde perdendo coscienza, si accorse per soccorrerlo, fu chiamata un’ambulanza (il Policlinico era a due passi), seppi poi che si era salvato, ma che era stato ricoverato in ospedale. Accadde tutto molto velocemente, l’aggressore arrivò alle mie spalle, colpì quell’altro che mi camminava poco più avanti e fuggi correndo veloce, e non ebbi neanche modo di vederlo in faccia, lo ricordo come uno grosso, alto. Sulle scale che quasi ogni giorno salivo e scendevo per andare a lezione, uccisero poi, a colpi di pistola, il prof. Vittorio Bachelet, già presidente dell’Azione Cattolica in anni di riforme ecclesiali molto importanti e  all’epoca vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Il giorno prima lì vicino un giovane mi aveva dato un volantino che inneggiava alla lotta armata.  Questa violenza era cosa di tutti  i giorni e, come ho detto, mi disgustò profondamente. Come anche mi disgustava il lessico violento di diversi estremisti di destra e di sinistra di quei tempi; quelli di sinistra immaginando di ripercorrere l’epopea partigiana della Resistenza storica. Io, crescendo e maturando politicamente, rimasi invece molto coinvolto e persuaso dai discorsi e dagli esempi degli esponenti democratici, in primo luogo di quelli del cattolicesimo democratico in cui mi ero formato fin da ragazzo. Da lì, poi, anche la decisione di orientare gli studi e la vita professionale nella direzione che ho seguito per tutta la vita, fino ad oggi, nel servizio di stato, nella Repubblica democratica.
   Certo, quelli che dalla fine degli anni Sessanta cercavano di contrastare anche con la violenza di piazza e la proposta di leggi eccezionali, ad esempio come proposto dal capo del partito di Destra proclamando lo stato di guerra interno  secondo norme del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza,  i successi politici della Sinistra  sarebbero molto sorpresi, e senz’altro i sopravvissuti tra loro lo sono, dalla facilità con cui ai tempi nostri il loro obiettivo di allora è stato raggiunto, senza dover ricorrere alla violenza civile diffusa, senza necessità di contrapposizioni frontali di piazza o di una legislazione di emergenza di sospensione dei diritti costituzionali,  ma solo evocando la paura verso una esigua minoranza di persone  in difficoltà, in particolare gli immigrati africani, convincendo i cittadini votanti che, se si cercasse di attuare reali politiche di integrazione nei loro confronti, poi  non ce ne sarebbe più per tutti, e nonostante che quella italiana sia ancora l’ottava economia mondiale e noi si sia, un po’ tutti, ancora affascinati e coinvolti dalla mania consumistica per cui c’è molto superfluo che va sprecato. In particolare i cittadini hanno accettato l’idea che l’obiettivo della riduzione delle tasse vada a vantaggio anche di quelli che stanno peggio, perché, senza necessità di politiche sociali per compensare le diseguaglianze sociali, riducendo le tasse ai ricchi poi si genererebbero investimenti di cui ne beneficerebbero anche i meno ricchi. La teoria dello sgocciolamento verso il basso della ricchezza, appunto, che dal socialismo craxiano è passata alle Destre  contemporanee. Una narrazione di Destra fin dall’origine, per la verità. Creduta dalla maggioranza, da noi,  nonostante che gli economisti, sulla base dell’esperienza storica, in genere disilludano su questa dinamica. Ad esempio osservando che, da quando, dalla metà degli anni ’80 si è andata imponendo in Occidente quella ideologia, di scuola statunitense, la condizione dei ceti medi e di quelli poveri sia costantemente peggiorata, così come la qualità e l’estensione dei servizi sociali, mentre si sono impennate le diseguaglianze sociali.
  Violenza, certo, è stata e viene esercitata anche ai tempi nostri, come negli anni ’70, ma ha riguardato e riguarda gente che consideriamo estranea al nostro mondo, reietti, nel senso di persone in attesa di respingimento, e questo anche se sono tra noi da un bel po’ e non c’è alcuna reale prospettiva di riportarle da dove sono fuggite. Non ce ne sentiamo responsabili socialmente e dunque non ce ne pentiamo, ce ne autoassolviamo, quelli  soffrono ma ci manifestiamo spietati verso di loro,  e questa è una delle differenze rispetto ai tempi delle stragi, in cui invece ci si manifestò solidali verso coloro che furono colpiti. La pietà ad un certo punto prevalse. Questa fu poi la base politica e civile per contrastare efficacemente quella violenza stragista e in genere il terrorismo di qualsiasi colore, in particolare riscoprendo l’unità civile intorno alla nostra democrazia, che non è solo la legge della maggioranza, ma un complesso di valori largamente condivisi e sottratti all’arbitrio di qualsiasi maggioranza. Questa, credo,  è la lezione che dovremmo trarre da quei tempi. Una lezione che ci serve anche oggi perché, deve essere chiaro, lo attesto sulla base della mia esperienza di ragazzo degli anni ’70 che ne ha viste tante,  una volta tollerata la violenza in società, anche solo, all’inizio, verso coloro nei confronti dei quali si  è incapaci di qualsiasi pietà, quella poi tende fatalmente  a degenerare e a generalizzarsi, come accadde alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando gli italiani combattenti, assuefatti in massa  alla violenza in battaglia verso un  nemico nei confronti del quale era vietata la pietà, poi ne finirono preda nel contesto civile in cui vivevano, trasformandolo da un situazione di pace ad una di guerra, costruendovi nemici non degni di pietà. Così, dalle parole si passa poi ai fatti e da questi a fatti sempre più gravi, fino a quando, come risvegliandosi da un incubo, si riscopra l’orrore per il bagno di sangue, ci si riscatti e  ci si converta nuovamente alla virtù civile, come in Italia accadde nel corso della Seconda Guerra Mondiale, nel mezzo della disfatta bellica e della dura occupazione da parte delle forze armate tedesche controllate dai nazisti hitleriani, e come di nuovo accadde verso la fine degli anni ‘70.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli