Messa per Natale in ufficio
1. In alcuni
uffici pubblici c’è l’uso di organizzare una Messa tra colleghi approssimandosi
le feste natalizie. Esso viene criticato
perché lesivo della laicità delle istituzioni pubbliche. Espongo di seguito alcune
argomentazioni in merito, per le quali non lo ritengo improprio o sconveniente.
Uno dei principali problemi, nell'organizzare uno stato
democratico, è quello di realizzare, stabilire e mantenere la sua laicità,
che significa che nessun argomento politico e civile sul quale lo stato
pretende di esercitare la sua autorità possa essere sottratto alla
libera discussione con la pretesa della
sacralizzazione del potere. Non esiste democrazia, come ai tempi
nostri la si intende, senza laicità delle istituzioni, e questo anche negli
ordinamenti sociali in cui le religioni mantengono una certa presa etica, nel
senso che le persone le prendono come riferimento per decidere che cosa sia
bene e che cosa sia male nelle scelte della vita che compiono.
Evidenzio che l’Italia si sta velocemente
distaccando dai riferimenti etici al cristianesimo, che, in particolare, non fa
più parte del patrimonio culturale della generalità. Per molti rimane essenzialmente
solo un riferimento cerimoniale per le celebrazioni delle fasi più importanti
della vita, come la nascita, l’età della
ragione, il matrimonio, la morte. Non
è inusuale sentirsi dire dagli interlocutori che sono poco praticanti, ma in realtà, approfondendo si scopre che hanno
perso qualsiasi vitale riferimento alla fede religiosa, ma anche solo alla fede
cristiana. Il test fondamentale in questo è la conoscenza della preghiera del Padre nostro, insegnataci dal Maestro
come compendio del suo vangelo. Chi non la ricorda più per intero dovrebbe avere
il coraggio e la sincerità di riconoscersi non credente. Qualche volta si esita, per
tante ragioni, e principalmente per la memoria della religiosità materna. Ma,
persa quella preghiera nel proprio cuore, ci è effettivamente staccati dalla
religione e dalla fede, dal vangelo. Questo non toglie che, nondimeno, si possa
rimanere praticanti del vangelo, ad esempio nel trattare gli altri
come si vorrebbe essere trattati e, dunque, evitando di infierire su di loro o addirittura rivolgendo loro anche una certa
propria misericordia, contrastando l’istinto naturale che ci spinge all'inimicizia
al di fuori della propria cerchia tribale. In definitiva, è convinzione religiosa dei cristiani che si sarà giudicati in base ai fatti non alla propria religiosità. Tuttavia, ed è un discorso che mi capita di fare ai miei coetanei, se uno poi volesse accompagnare ai fatti di misericordia anche la socialità liturgica dei cristiani, per un ultrasessantenne che dovesse ricominciare proprio da zero potrebbe essere troppo tardi e va sempre tenuta presente l'esortazione evangelica ad affrettarsi, a farsi trovare preparati, il Siate pronti! che è diventato anche il motto degli scout (proprio tra gli scout me ne è stato spiegato il senso, sia civico che religioso). E se dovessi consigliare da dove cominciare per quella via, direi di iniziare proprio dalla pratica della preghiera del Padre nostro, per farla scendere nel cuore e, da lì, per farsene impregnare, per poi praticarla in società, in ogni relazione con le altre persone.
2. La sacralizzazione del potere, quindi l’affermazione
di una sua eccezionalità che lo rende indiscutibile ha origini molto antiche.
Nelle civiltà europee la sacralizzazione precedette la
cristianizzazione dell'ideologia dei pubblici poteri e riguardava
essenzialmente questi ultimi. Erano i sovrani, le loro persone e le loro
stirpi, ad essere sacralizzati. Nella
genesi dell'impero romano, dal Primo secolo, essa fu espressa anche
nell'attribuire all'imperatore la carica di "Sommo Pontefice",
di capo dell'ordine sacerdotale dei "Pontefici", il più
potente. Egli, in prosieguo di tempo, fu
anche divinizzato, ma va precisato che, nelle culture greco
romane, la concezione della divinità era molto diversa da quella
cristiana: nessun dio era, in quell'ordine di idee, onnipotente, neppure
Giove, il "padre" degli dei. Il sovrano era "dio" in
quanto personaggio eccezionale, ma era essenzialmente
"sacerdote", mediatore tra gli dei e la comunità politica che gli
era sottomessa.
La sacralizzazione dell'Impero secondo l'ideologia
pubblica cristiana, costruita da filosofi nei primi tre secoli della
nostra era, fu piuttosto veloce e si produsse nel Quarto secolo secondo
dinamiche che rimangono ancora in gran parte sconosciute. Il
cristianesimo politico di Eusebio di Cesarea (3°/4° sec.), ad esempio,
fu funzionale alla riorganizzazione del grande Impero sotto un'autorità
centrale molto forte. L'Imperatore venne
visto come "pastore e padre" del suo popolo, mandatario del Cielo, e,
in quel senso "vescovo". In un intervento di due anni fa ad un incontro di una mia associazione professionale (è leggibile sul Web), ricordai che Costantino I, nel convocare uno dei
primi Concili cristiani, si definì "compagno vescovo", e
"compagno" era il
termine in uso tra quelli che tra i cristiani erano impegnati nell'evangelizzazione.
In questo modo il potere imperiale venne sacralizzato e reso
indiscutibile, come funzionale ad una missione santa. Questa impostazione
non venne meno nelle sue metamorfosi nell'Europa occidentale dal Quinto
secolo a seguito delle migrazioni da Oriente. Le liturgie di riferimento
per il potere sacralizzate furono, e sono ancor oggi tra i cattolici, quelle sul modello dell'Imperatore romano
d'Oriente, ma i "pastori" dei popoli divennero anche i capi
delle genti migrate verso l'Europa dal Quinto secolo. Dall'Undicesimo
secolo emerse poi il potere pubblico sacralizzato del Papato romano,
costruito secondo il modello imperiale nella sua metamorfosi feudale,
influenzato dal diritto pubblico dei migranti germanici. Tuttora
la Chiesa cattolica è organizzata come un impero feudale e
rinunciò ad essere considerata come uno stato "perfetto" solo
negli scorsi anni Sessanta. La sacralizzazione dei poteri pubblici si manifestò
anche, e anzi con più forza tornando al modello costantiniano e per
ripudiare l'impero del Papato romano, anche nei regni che aderirono alla Riforma luterana. Basandosi sul cap. 13 della Lettera ai
Romani di Paolo di Tarso, Lutero scoraggiò la rivolta contro i sovrani,
anche se, più avanti, l'ammise contro quelli che avessero voluto ripudiare la
Riforma. La sacralizzazione del potere politico venne mantenuta anche in
alcune esperienze politiche democratiche dei riformati in Svizzera.
La contestazione della razionalità della sacralizzazione dei
pubblici poteri è recente e risale ai processi democratici prodottisi in
Europa occidentale nel Settecento. E' il processo di secolarizzazione,
che non significa "non
credere più in una divinità", ma rifiutare di considerare indiscutibile
qualunque potere politico che pretenda di regnare "per volontà di
Dio".
3. In
Italia il processo di secolarizzazione/democratizzazione ebbe un problema in più, perché il
processo di unità nazionale ebbe come avversario l'ultimo dei poteri
politici che si opponeva alla propria
desacralizzazione, il Papato romano. Il Papa romano era anche uno dei
principi italiani, possedendo un piccolo stato nell'Italia Centrale, lo "Stato
della Chiesa" o "Stato Pontificio". I rivoluzionari irredentisti
italiani non erano irreligiosi, tanto che il motto del più noto di loro,
Mazzini, fu "Dio e popolo", ma furono anticlericali in reazione alle
resistenza del Papato all'unificazione nazionale, e ciò a differenza di quanto
accadde nella Francia rivoluzionaria in cui si fu anche marcatamente irreligiosi
e in cui fu tentata, senza successo, la creazione di una "religione
civica". La prima rivoluzione democratica dell'era moderna, quella
repubblicana nel Nord America dalla quale, a fine Settecento, originarono
gli Stati Uniti d'America non fu assolutamente irreligiosa e, anzi,
proclamò la sua fede fin dal suo primo atto fondativo, asserendo che tutti
gli uomini erano stati "creati" uguali, con i medesimi diritti
fondamentali intangibili. E questo mentre contestava una monarchia sacralizzata,
quella inglese, in cui il sovrano era anche capo della Chiesa nazionale,
al modo di Costantino I. In questo caso la desacralizzazione del potere
pubblico di quel sovrano (e di ogni sovrano, abolendo sostanzialmente la
sovranità, la condizione di chi pretende di esercitare un potere indiscutibile),
e in questo consiste il principio di laicità, coincise con la
sacralizzazione dei diritti fondamentali degli esseri umani (non solo dei
cittadini). Questo poi permise l'evoluzione culturale antischiavista, come
anche, nei tempi lunghi, l'affermazione dei diritti delle donne, contro le
resistenze di poteri politici desacralizzati, che, alla fine, in quanto
desacralizzati, cedettero.
In quest'ottica, un politico che affermasse che il suo
potere è voluto da Dio, lederebbe il principio di laicità, senza il
quale non è concepibile la democrazia come la intendiamo ai tempi
nostri. I cattolici democratici, che ebbero con socialisti e comunisti
italiani, un ruolo fondamentale nella costruzione della nuova Repubblica
popolare democratica dopo la fine del regime fascista mussoliniano (come
poi dell'Unione Europea, tanto che attualmente essa risente ancora la
forte influenza dei democristiani tedeschi), furono sempre strenui
sostenitori del principio di laicità della politica e ciò, non molti ne
sono ancora consapevoli, proprio in aderenza ad un principio
fondamentale della "dottrina" sociale cattolica, elaborata e diffusa
dal Papato da fine Ottocento. Il Papato infatti, forza strenuamente anti-democratica
fino ai radiomessaggi natalizi di Pio XII dal 1939, consentì ad un certo
punto la partecipazione dei fedeli ai processi democratici, tuttavia
vietando i modo assoluto di sostenere che una qualche politica proposta
e attuata da politici cattolici fosse
"voluta da Dio".
Attualmente processi di desacralizzazione
hanno investito lo stesso Papato romano, che sta trasformandosi in una
sorta di ONU religiosa in cui stanno conquistando ruoli crescenti
culture extraeuropee. La stessa organizzazione imperiale e feudale del
Papato romano sembra avere i giorni contati: il Papa regnante rifiuta
ogni suo simbolo e in Vaticano vive in due stanza in un albergo.
Di questo le persone non sono in genere molto consapevoli, perché i fatti
religiosi sono molto meno seguiti di un tempo. E' in elaborazione il documento che
manifesterà i principi emersi nel corso del recente Sinodo dedicato
all'Amazzonia che potrebbero avere un effetto dirompente. Seguirà a
ruota il Sinodo della Chiesa tedesca.
4. Come situiamo, in questi sviluppi
storici, la Messa organizzata tra colleghi in uffici pubblici (ma anche
nella scuola pubblica, per gli alunni, e in altri ambienti pubblici,
come gli ospedali pubblici e le carceri, per chi è degente o detenuto)? L'uso
credo risalga fondamentalmente alla
"Conciliazione" del Papato con il Regno d'Italia mediata durante il
fascismo mussoliniano, attuata nel 1929 con la stipula dei Patti
Lateranensi, nella quale l’Italia venne rappresentata dal Capo del governo di
allora Benito Mussolini, con la conseguenza che, negli scorsi anni ’30, il fascismo si clericalizzò (come
fenomeno di massa) e il cattolicesimo italiano (salvo alcune sue
componenti intellettuali) si fascistizzò, regnante in religione Pio XI,
che con l’enciclica Il Quarantennale /
Quadragesimo anno, del 1931, in occasione dei quarant’anni dalla prima
enciclica sociale moderna, la Le novità / Rerum novarum del 1891, ordinò ai cattolici italiani di
collaborare con le istituzioni sociali corporative del fascismo mussoliniano,
dichiarando che tale impegno rientrava nei doveri di carità del fedele cattolico. Dopo di che, il buon suddito fascista venne
considerato anche un buon cattolico e la pratica sacramentale, in
particolare la presenza alla messa, considerata anche una manifestazione di
buona condotta civica. Attenzione: si tenga presente che dagli anni Sessanta dell'Ottocento fino a
ridosso della Prima Guerra Mondiale, quando il Papato organizzò un'azione di
massa di forza cattoliche consentendo la partecipazione alle procedure democratico-liberali,
il cattolicesimo politico ebbe invece carattere rivoluzionario,
anti-statale e come tale cadde sotto i rigori della
legislazione di polizia. Nell'Ottocento i
"clericali", quelli che appoggiavano le rivendicazioni territoriali
del Papato romano privato del suo piccolo regno nell’Italia centrale con
capitale Roma, erano schedati, mandati
al confino e arrestati dalla polizia italiana come sovversivi. Era
l'epoca dell' "intransigentismo" del cattolicesimo
"papista" italiano contro il Regno d'Italia e i suoi governi di
impostazione culturale liberale; ai cattolici era vietata per
disposizione pontificia, sotto pena di scomunica, la politica nazionale,
e l'agitazione sociale cattolica prendeva esempio dai movimenti
socialisti. A leggerla con attenzione, si capisce, ad esempio, che
la prima enciclica della dottrina sociale moderna, la Rerum Novarum - Le
novità, del 1891, è un documento sul socialismo, e più precisamente su
ciò che dei principi e dei metodi socialisti può essere assimilato
dall'organizzazione sociale cattolica. Per dire: in essa si parla esplicitamente
del dovere di correggere le ingiustizie sociali contro i "proletari",
così letteralmente definiti con gergo socialista. Leggere per credere: è
disponibile sul portale <www.vatican.va>.
5. La clericalizzazione della buona condotta
civica proseguì anche nel Secondo dopo guerra fino agli anni Sessanta.
Le chiese cattoliche a quell’epoca erano piene, la domenica, ma in buona
parte come per una specie di dovere civico. Ricordo, ad esempio, che nel mio quartiere romano, popolato da molte famiglie di impiegati
pubblici e di militari, chi non andava a
messa la domenica era considerato uno "strano" e, in genere,
disapprovato. A seguito della svolta culturale e politica prodottasi
all'inizio degli anni Sessanta tra i cattolici nel Concilio Vaticano 2°
(1962-1965), si produsse però un profondo processo di desacralizzazione
politica e civile, definito come "scelta religiosa", che investì
in particolare la concezione clericale del dovere civico. Quella "religiosa"
fu definita una "scelta di coscienza" non più un "dovere civico", correggendo
la precedente impostazione, e questo per produrre un movimento di approfondimento
dei principi religiosi che portasse ad un rinnovato impegno sociale per
la loro affermazione con metodi democratici. L'adesione "civica"
alla religione appariva infatti come troppo superficiale. Residui della fascistizzazione
erano ancora molto evidenti, ad esempio nella concezione maschilista
dalla famiglia e del ruolo delle donne. Dagli anni '70 si produsse
anche un movimento di profondo rinnovamento dalla catechesi in quel senso.
Oggi i cattolici vivono in genere la fede secondo questo nuovo contesto.
In esso la messa non è più un "dovere civico", in nessun ambiente.
Questo consente di sdrammatizzare molto anche la questione della messa negli
spazi pubblici.
Negli uffici
pubblici c’è la consuetudine di salutare negli ambienti di lavoro i colleghi
trasferiti o pensionati, anche con un piccolo rinfresco. A volte, l’ho vissuto
personalmente, piccole feste si organizzano anche tra malati e, naturalmente, a
scuola, tra alunni. Non ce se
scandalizza. Nessuno è obbligato a
partecipare, ma a molti fa piacere. Così
è la messa tra colleghi d’ufficio o, comunque, tra chi frequenta spazi
pubblici, alunni, malati, carcerati, dove ancora, talvolta, viene richiesta e celebrata. Nessuno è (più) obbligato a partecipare, nemmeno
per mantenere una sorta di rispettabilità civica; chi non partecipa non è
criticato. Ma penso che ad alcuni faccia piacere venirci. Anche perché,
e questa è anche una conquista civile molto importante per i cattolici,
a lungo considerati incapaci di vero senso civico, l’impegno e lo
stile che il fedele il quale lavora in un servizio
pubblico, o nel quale, comunque è coinvolto, manifesta in quegli ambiti
pubblico non sono, nella prospettiva di fede e in particolare della dottrina
sociale, scollegati dai suoi doveri religiosi, come se si trattasse di
partecipazione a obblighi pubblici ai quali ci si piega (perché è "l'ira di Dio"
che vuole così; questa una delle interpretazioni del cap.13 della
Lettera ai Romani) ma indifferenti per la fede, obblighi ai quali se si
potesse ci si vorrebbe sottrarre e anzi si pensa che si sarà sottratti
nel mondo nuovo che ci sarà donato dal Cielo, ma, appunto, invece, vengono considerati
una manifestazione pratica, un'
"opera", del principio fondamentale della nostra fede, quello
dell' "agàpe", concetto
teologico molto complesso da rendere affidabilmente, ma che,
fondamentalmente, richiama l'idea di un lieto convito a cui nessuno è
escluso e in cui ce n'è per tutti, la "pace"
in senso cristiano. Importante, l’agàpe,
perché sta scritto che "O Theòs agàpe estìn", espressione
che anche l’italiano che non sa di greco antico può capire così come è
scritta, translitterata dal greco, e
significa proprio quello che dice. Così quando il cristiano augura
"Pace a te, Pace a voi", augura l’agàpe, vale a dire un mondo nuovo, il rovesciamento dell'ingiustizia,
la consolazione dei sofferenti, la liberazione dei prigionieri, il
rovesciamento dei potenti superbi dai troni e l'innalzamento degli umili
(sta scritto nel "Magnificat" che si recita ogni giorno nella
preghiera dei Vespri), la luce di una nuova alba, una nuova "città",
una nuova convivenza, non l'arrendevolezza all'esistente, l'accettazione
di ciò che c'è, l'ipocrita sottomissione, implicate nella soggezione ad ogni
potere sacralizzato. Ci si ritrova "da compagni" nello spirito
del Regno, da operai al suo servizio, e il Regno è appunto quel mondo nuovo che
religiosamente si evoca e al quale si anela. Quest'augurio di pace risuona
all'inizio e al termine dalla liturgia cattolica della Messa e con esso così
pure io qui concludo, anche religiosamente: "Andate in pace, sia pace a
tutti voi!".
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa -
Roma, Monte Sacro, Valli