Penso che tra noi anziani (ho superato i sessant’anni) sarebbe necessaria una autoformazione alla condizione anziana nella Chiesa, per manifestare al meglio la realtà della Chiesa anziana, quale sempre partecipe della missione e di tutte le idealità di un’intera vita. Mio zio Achille, sociologo bolognese, lavorò e sperimentò molto in questo campo, facendo pratica su se stesso e sulla sua cerchia di amici coetanei. Animava, ad esempio, un gruppo di spiritualità. Questo comporta anche una rivendicazione nei confronti delle altre componenti della Chiesa: di essere sempre considerati Chiesa. E anche uno sforzo dell’anziano di superare la mentalità che lo vede molto, troppo, concentrato, sulle due condizioni maggiormente sconvolgenti per lui: il rapido declino fisico e l’approssimarsi della fine. Una dinamica di natura, certo, ma non per questo meno dolorosa e destabilizzante dal punto di vista della psicologia personale. Nella nostra antichità fu osservato che la vecchiaia in se stessa è malattia e certamente nel declino fisico la vecchiaia è assimilabile alla malattia, in particolare alla malattia grave, quella difficilmente curabile e inguaribile nella maggior parte dei casi. Il trapasso all'età anziana è accompagnato, dal punto di vista psicologico, dalle medesime manifestazioni che si osservano nelle persone alla diagnosi della malattia grave: negazione, protesta, accettazione vigile e attiva o abbandono arrendevole. Ma in società la vecchiaia non viene trattata realmente come una malattia perché la si considera, quale essa è, un fatto di tutti, che ad un certo punto tocca a tutti, naturale, legato all'inesorabile passare del tempo, per il quale, ad un certo punto, i viventi scompaiono e ci si limita a farne memoria. Ci si aspetta, allora, dall'anziano un atteggiamento che egli non sembra più tanto disposto ad assumere, quello di chi, ad un certo punto, avvicinandosi la propria fine, è chiamato a confermare il senso della vita che ha proclamato da più giovane e che gli è stato tramandato dalle generazioni precedenti. I più giovani è essenzialmente questo che cercano negli anziani, ma questi ultimi quel senso della vita faticano a mantenerlo soprattutto perché, nella nostra società che ha famiglie parentali piccole e in cui si sfilacciano gli altri legami tra le persone, parentali e non, la condizione anziana tende a separarli dagli altri e il senso della vita è sempre un senso sociale della vita, nessuno lo trova da sé, senza amici, ma direi di più, senza compagni, in una missione che è la vita stessa, nel susseguirsi delle generazioni. E' questa la ragione della perdurante vitalità del nostro gruppo di Azione Cattolica anche se reso vitale da molti anziani: l'essere tutti, anziani, altri adulti e giovani, compagni nella medesima missione ecclesiale, che non differisce da quella di preti e di religiosi. Noi anziani, come ho detto mi ci metto anch'io in quanto ultrasessantenne, cerchiamo il riconoscimento di questa nostra realtà viva, non l'intrattenimento. Ma è quest'ultimo che in genere viene offerto, l'invito alla tombolata, la serata musicale e via dicendo. Quando assistevo mia madre anziana nei pensionati in cui era andata a vivere, dopo una lunga esperienza religiosa come collaboratrice laica in un ordine religioso, una vita da compagna in una missione santa, la incoraggiavo a partecipare agli intrattenimenti offerti dalla direzione, ma lei era insofferente e l'unica occupazione che l'interessava era la vita liturgica con le suore, nel primo pensionato, e la messa domenicale nel secondo. Non solo il resto non l'interessava, ma addirittura lo ripudiava, perché, penso, le sembrava che, abbandonandosi ad esso, non le fosse più riconosciuto il ruolo attivo che nella Chiesa, e in società, aveva sempre svolto, nella nostra parrocchia con la lunga esperienza delle mamme catechiste, nella nuova linea catechetica appresa nella vicina università salesiana, alla quale fu bruscamente posto termine in un'era precedente della nostra vita comunitaria.
La Chiesa e l’esperienza religiosa certamente non risolvono il problema dell'esistenza anziana, ma possono essere l’occasione per dare un senso a una condizione di vita che si fa difficile, mantenendosi in un contesto sociale, evitando l’isolamento che, ancor prima dell’età avanzata e della malattia, separa dalla vita. L’anziano può sempre giovarsi , per conservare senso alla sua vita, del fatto di mantenersi in una di quelle che mio zio Achille definiva realtà di mondo vitale, come il nostro gruppo parrocchiale di Azione Cattolica indubbiamente è sempre stato e sempre è. Queste realtà di mondo vitale vanno costruite e mantenute dagli anziani stessi e chiedono un riconoscimento dal resto della Chiesa. Questo, credo, è il vero grido degli anziani che ancora riescono ad essere persuasi della nostra fede e cercano di viverla nella loro attuale condizione.