Tirocinio in democrazia come parte della pastorale
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Training in democracy
as part of pastoral care
Note: after the text in Italian, I
insert the translation in English, made with the help of Google Translate
La
pastorale è un’attività della Chiesa che consiste nell’introdurre,
formare, sorreggere e indirizzare nella
vita di fede. E’ rivolta ad una comunità di fede, perché presuppone la presenza
di un gregge di fedeli. Nella Chiesa cattolica è diretta
dai vescovi territoriali, aiutati dal clero e dai religiosi; i laici vi collaborano,
per ora, in ruoli in genere subordinati,
anche se la progressiva riduzione del numero dei preti e dei religiosi di età
inferiore a quella del pensionamento richiede sempre più un loro maggior
coinvolgimento. Si sta anche pensando a un nuovo ministero specifico per loro,
per svolgere quel lavoro, diverso da quello del prete e del diacono.
Il rapido calo del coinvolgimento delle fasce di popolazione in età
fertile nella vita comunitaria di fede richiede nuovi indirizzi della pastorale
e, appunto, un più intenso impegno dei laici. In Italia, però, questi ultimi
non hanno in genere una sufficiente specifica formazione, mentre i preti e i
religiosi in genere non sono stati formati ad interagire efficacemente con la
società civile, della quale a lungo si è diffidato e ancora si diffida, non
sempre a torto. Questo può sorprendere in una nazione dove il ruolo dei preti
in questo campo è stato molto attivo, in
particolare nell’Ottocento e nel Novecento, tanto che il partito politico che
fu egemone dal 1946 al 1994 ebbe le sue basi ideologiche nell’attività e nel
pensiero di due preti, Romolo Murri e Luigi Sturzo, e il suo programma di
riforma sociale e istituzionale nella dottrina sociale diffusa dal Papato
romano dalla fine dell’Ottocento. E’ una situazione che dipende
fondamentalmente dagli indirizzi del Papato romano durante il lungo regno di
Karol Wojtyla, papa Giovanni Paolo 2°, profondamente diffidente verso l’impegno
sociale dei laici di fede caratteristico dell’Europa occidentale. Insomma, al
tempo nostro non troviamo in Italia una figura di prete o di religioso simile a
quella di Giuseppe Dossetti, professore universitario, politico democristiano
molto importante, membro dell’Assemblea Costituente, parlamentare, poi prete e
religioso, protagonista nel Concilio Vaticano 2°, e, anche da ultimo, nelle
vicende politiche italiane, quando si discusse di riformare la Costituzione
repubblicana entrata in vigore nel 1948 modificandone anche alcuni principi
fondamentali.
La dottrina sociale è parte della teologia normativa per la fede e
richiede un impegno nella società dei fedeli, considerato come esercizio di carità in senso religioso, e quindi anche una
specifica formazione. Negli ultimi anni, l’insufficiente formazione alla
democrazia dei laici di fede e di preti e religiosi li ha resi incapaci di
influire nella società per sostenere in essa i valori sociali della fede,
secondo la dottrina sociale. Quest’ultima è divenuta sostanzialmente
irrilevante e le indagini statistiche indicano che gli italiani non la
conoscono, non la ritengono essenziale per la loro vita di fede e, quando la
conoscono, spesso la rifiutano, appunto non ritenendola essenziale, come anche
alcun precetti ecclesiastici in materia di sessualità. Tutti i tentativi finora
fatti per modificare questa situazione non hanno avuto successo. Negli ultimi
due anni si è anche assistito al tentativo politico di assumere il controllo
del pensiero sociale cattolico, diffondendo una dottrina sociale alternativa a
quella del Papato romano. Insomma: una diversa pastorale.
Dal 1978 non c’è più stato un Papa italiano: questo ha influito
notevolmente, in genere negativamente, e anche molto negativamente, su corso degli eventi in Italia. Papi
stranieri, così come i preti e i religiosi stranieri che sono venuti da noi in
ausilio al clero locale sempre più anziano e scarso, non conoscono bene le
nostre dinamiche sociali e politiche e non vi sanno interagire efficacemente;
presi da mille incombenze urgenti non hanno tempo per superare evidenti limiti
culturali. D’altra parte, questa nuova situazione poteva essere l’occasione per
il nostro clero nazionale per sviluppare una maggiore autonomia, ma così non è
stato, perché in Italia si è stati abituati a dipendere strettamente dalle
direttive del Papato e nessuno prende iniziative temendo di essere sconfessato
e di vedersi troncare la carriera ecclesiastica. I laici di fede sono stati
abituati a dipendere dalla volontà del clero e a vedere nella docilità, quindi nell’arrendevolezza a
quel volere che a volte sconfina in un ipocrita servilismo, l’unico mezzo per
essere apprezzati (salvo poi dedicarsi alle chiacchiere calunniose, al mormorio
infangante del quale anche il Papa si è spesso lamentato). In effetti, in
genere l’autonomia laicale viene sanzionata duramente con l’emarginazione
ecclesiale quando non appare docile in quel senso. Nella nostra Chiesa non è stata
sviluppata un’organizzazione specifica per far emergere il ruolo dei laici, in
sostanza un sistema di assemblee alle
quali sia dato un qualche reale potere di disporre qualche cosa e di legittimare
degli incaricati per certi ruoli o compiti. I laici sono in genere confinati in
assemblee
con funzioni esclusivamente consultive, per di più soggette nella loro
composizione all’arbitrio del clero, che può fare e disfare liberamente. In
questa condizione non hanno alcuna tutela e una parola dall’alto può bastare a
ridurli al silenzio, così come, del resto accade, per preti e religiosi. L’organizzazione
ecclesiale, si dice, non è una democrazia,
e purtroppo è effettivamente così, ma non siamo obbligati a rassegnarci a
questa situazione che potrebbe cambiare molto senza per questo rinunciare ai
valori fondamentali della fede e, anzi, potenziandone l’affermazione sociale.
Si osserva che i laici non sono ancora pronti ad un mandato più
impegnativo nella pastorale, e in genere è effettivamente così. In particolare
si teme che introducendo forme di partecipazione democratica, la vita
comunitaria degeneri come sta accadendo nella politica nazionale e locale. Che
quindi la pastorale cada nelle mani di
demagoghi scarsamente preparati e indisciplinati, non abituati a quella
particolare intesa nell’azione collettiva che in religione viene denominata sinodalità e che significa che in ogni cosa occorre
tenere conto degli altri, abbandonando lo spirito di fazione, perché prima di
tutto occorre tenere insieme il gregge.
Quindi, poi, quando dal vertice ecclesiastico vengono direttive per
organizzare una maggiore partecipazione dei laici e per rinnovare la loro
formazione, nel quadro di una nuova pastorale, si reclutano le persone che già
sono impegnate in quel campo, in modo da poter esibire un organigramma e poter affollare i periodici eventi ecclesiali nei quali i
capi passano in rassegna le truppe, ma quanto all’azione concreta è tutto un
altro discorso. I preti, che dirigono la pastorale, non hanno tempo e forze
bastanti per fare più di quello che fanno, che sostanzialmente consiste nella
preparazione ai sacramenti e nella animazione della vita liturgica. I laici non
hanno in mente altro che ciò che sempre a loro è stato chiesto di fare, per
collaborare alla pastorale, vale a dire, fondamentalmente, la collaborazione al
catechismo per la preparazione ai sacramenti. In genere, però, non hanno avuto neanche
una specifica formazione al catechismo e così ripropongono fondamentalmente la
fede come la vivono personalmente, e spesso in questo manifestano delle
evidenti lacune. Non sono in genere consapevoli dei principi del rinnovamento
della catechesi progettato e attuato dagli anni ’70.
La carenza più seria è però nella
formazione alla partecipazione democratica, che è, prima che politica, lo strumento per influenzare la
società in cui si vive secondo i valori di fede proposti nella dottrina sociale
e secondi quanto la dottrina sociale richiede, in particolare ai laici. In
genere nella politica si vedono solo disvalori e l’egoismo di classe, di partito
o di fazione, mentre la politica esercitata secondo i valori democratici è la
via per contrastare quei disvalori e quegli egoismi. La democrazia, come ai
tempi nostri è intesa, è piena di valori
umanitari che hanno radici culturali anche nella nostra fede.
Poiché il clero non ha sufficiente preparazione in materia di
democrazia, necessariamente la formazione alla democrazia, come parte della
formazione religiosa in materia di pensiero sociale ispirato alla fede, deve
essere auto-formazione, che però
dovrebbe coinvolgere gli stessi preti e religiosi impegnati nella pastorale
oltre che naturalmente i laici di fede, imparando gli uni dagli altri. L’esperienza
pastorale concreta insegna che è difficile, nelle nostre comunità, ottenere, in
una seduta di riflessione su un qualche tema, un dibattito organizzato secondo
principi democratici, in cui i partecipanti non si limitino a esporre le
proprie convinzioni, brutalmente, così come vedono fare nelle interviste
televisive ai politici, ma cerchino anche di renderne ragione, tenendo
conto delle obiezioni e dei contributi degli altri partecipanti, senza cercare
di prevalere ad ogni costo, ma pronti anche a modificare le proprie convinzioni
sulla base degli elementi emersi nel dibattito.
Potrebbe essere questo l’obiettivo di una pastorale in materia di
partecipazione democratica nel corso di un intero anno: ottenere che un gruppo
di riflessione di una trentina di persona si riunisca in una parrocchia con regolarità ogni settimana, sviluppando un
dialogo realmente democratico su temi di attualità, insieme religiosa e
sociale, cercando di informarsi meglio su di essi e di imparare, nel dialogo,
gli uni dagli altri. L’utilizzo di audiovisivi, come si fece da noi molto
efficacemente negli incontri sulla dottrina sociale di qualche anno fa,
potrebbe aiutare molto a suscitare l’interesse dei partecipanti, ad esempio
organizzando incontro del tipo cineforum.
Mario Ardigò – Azione Cattolica
in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli
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Training in democracy
as part of pastoral care
Pastoral care is an activity of the Church which consists in
introducing, forming, supporting and guiding in the life of faith. It is
addressed to a community of faith, because it presupposes the presence of a
flock of faithful. In the Catholic Church it is directed by territorial
bishops, helped by clergy and religious; the laity collaborate, for now, in
generally subordinate roles, even if the progressive reduction in the number of
priests and religious aged below that of retirement increasingly requires their
greater involvement. We are also thinking of a new specific ministry for them,
to carry out that work, different from that of the priest and the deacon.
The
rapid decline in the involvement of population groups of childbearing age in
the community life of faith requires new guidelines for pastoral care and,
indeed, a more intense commitment by the laity. In Italy, however, the latter
generally do not have sufficient specific training, while priests and religious
in general have not been trained to interact effectively with civil society,
which has long been distrusted and still is distrusted, not always wrongly.
This may surprise in a country where the role of priests in this field has been
very active, particularly in the nineteenth and twentieth centuries, so much so
that the political party that was hegemonic from 1946 to 1994 had its
ideological bases in the activity and in the thought of two priests, Romolo
Murri and Luigi Sturzo, and his program of social and institutional reform in
the social doctrine spread by the Roman Papacy from the late nineteenth
century. It is a situation that fundamentally depends on the addresses of the
Roman Papacy during the long reign of Karol Wojtyla, Pope John Paul II, deeply
suspicious of the social commitment of lay people of faith characteristic of
Western Europe. In short, at this time we do not find in Italy a priest or
religious figure similar to that of Giuseppe Dossetti, university professor,
very important Christian Democrat politician, member of the Constituent
Assembly, parliamentarian, then priest and religious, protagonist of the Second
Vatican Council , and, lastly, in the Italian political affairs, when it was
discussed to reform the republican Constitution that came into force in 1948,
also modifying some fundamental principles.
Social
doctrine is part of normative theology for faith and requires a commitment in
the society of the faithful, considered as an exercise of charity in the
religious sense, and therefore also a specific formation. In recent years, the
insufficient formation for democracy of the laity of faith and of priests and
religious has made them incapable of influencing society to support in it the
social values of faith, according to social doctrine. The latter has become
substantially irrelevant and the statistical surveys indicate that the Italians
do not know it, do not consider it essential for their life of faith and, when
they know it, often reject it, precisely not considering it essential, as well
as any ecclesiastical precepts in matter of sexuality. All attempts made so far
to change this situation have not been successful. In the last two years there
has also been a political attempt to take control of Catholic social thought,
spreading an alternative social doctrine to that of the Roman Papacy. In short:
a different pastoral care.
Since
1978 there has been no more an Italian Pope: this has greatly influenced,
generally negatively, and even very negatively, on the course of events in
Italy. Foreign popes, as well as foreign priests and religious who have come to
us as an aid to the local clergy, who are increasingly elderly and scarce, do
not know our social and political dynamics well and do not know how to interact
effectively; taken by thousands of urgent tasks, they have no time to overcome
obvious cultural limitations. On the other hand, this new situation could have
been an opportunity for our national clergy to develop greater autonomy, but
this was not the case, because in Italy we have been accustomed to depend strictly
on the directives of the Papacy and nobody takes initiatives fearing to be
disavowed and to see the ecclesiastical career cut short. The laity of faith
have been accustomed to depend on the will of the clergy and to see in
docility, therefore in surrender to that will that sometimes borders on a
hypocritical servility, the only way to be appreciated (except then to devote
oneself to slanderous chatter, to the muddling murmur of which even the Pope
has often complained). In fact, in general, lay autonomy is harshly sanctioned
with ecclesial marginalization when it does not appear docile in that sense. In
our Church a specific organization has not been developed to bring out the role
of the laity, in essence a system of assemblies which is given some real power
to dispose of something and to legitimize appointees for certain roles or
tasks. The laity are generally confined to assemblies with exclusively advisory
functions, moreover subject in their composition to the will of the clergy, who
can do and undo freely. In this condition they have no protection and a word
from above can be enough to silence them, just as it happens, for priests and
religious. The ecclesial organization, it is said, is not a democracy, and
unfortunately it is indeed so, but we are not obliged to resign ourselves to
this situation that could change a lot without giving up the fundamental values
of faith and, indeed, strengthening its social affirmation.
It is
noted that the laity are not yet ready for a more demanding mandate in pastoral
care, and in general it is indeed so. In particular, it is feared that by
introducing forms of democratic participation, community life will degenerate
as is happening in national and local politics. So that pastoral care falls
into the hands of poorly prepared and undisciplined demagogues, not accustomed
to that particular understanding in collective action which in religion is
called synodality and which means that in everything it is necessary to take
account of others, abandoning the spirit of faction, because first of all we
need to hold the flock together.
Then,
when directives from the ecclesiastical summit are organized to organize
greater participation of the laity and to renew their formation, within the
framework of a new pastoral, people who are already engaged in that field are
recruited, so as to be able to exhibit an organization chart and to be able to
crowd the periodic ecclesial events in which the leaders review the troops, but
as for the concrete action it is all another matter. The priests, who direct
the pastoral care, do not have enough time and strength to do more than what
they do, which basically consists in the preparation for the sacraments and in
the animation of the liturgical life. The laity have in mind nothing but what
they have always been asked to do, to collaborate in the pastoral ministry,
that is to say, fundamentally, collaboration in the catechism for the
preparation for the sacraments. In general, however, they did not even have a
specific catechism training and thus fundamentally re-propose the faith as they
live it personally, and often in this they manifest evident gaps. They are not
generally aware of the principles of the renewal of catechesis designed and
implemented since the 1970s.
The
most serious deficiency, however, is in the formation of democratic
participation, which is, before being political, the instrument for influencing
the society in which one lives according to the values of faith proposed in
social doctrine and secondly, what social doctrine requires, especially to
laites. In politics in general one sees only negative values and class, party
or factional selfishness, while the politics exercised according to democratic
values is the way to counter those negative values and selfishness. Democracy,
as in our times is understood, is full of humanitarian values that have
cultural roots also in our faith.
Since
the clergy does not have sufficient training in matters of democracy,
necessarily formation for democracy, as part of religious formation in matters
of social thought inspired by faith, must be self-formation, which however
should involve the same priests and religious engaged in pastoral care as well
as of course the laity of faith, learning from each other. The concrete
pastoral experience teaches that it is difficult, in our communities, to
obtain, in a session of reflection on some theme, a debate organized according
to democratic principles, in which the participants do not limit themselves to
expose their convictions, brutally, as well as they see politicians doing
interviews in television, but they also try to get it right, taking into
account the objections and contributions of the other participants, without
trying to prevail at any cost, but also ready to change their beliefs based on
the elements that emerged in the debate. This could be the goal of a pastoral
care in the field of democratic participation over the course of an entire
year: to get a reflection group of about thirty to gather in a parish on a
regular basis every week, developing a truly democratic dialogue on topics of
current affairs, religious and social at the same time, trying to find out more
about them and to learn from each other in dialogue. The use of audiovisuals,
as we did very effectively in the social doctrine meetings a few years ago,
could help a lot to arouse the interest of the participants, for example by
organizing a cineforum meeting.
by Mario Ardigò - Catholic Action group in the Catholic parish of "Saint Clemente
pope" - Rome, Monte Sacro district, Valli