Sensibilità
democratica / Democratic sensibility
Note: after the Italian text there is the
translation in English, done with the help of Google Translator. I tried to
correct, within the limits of my knowledge of English, some inaccuracies that
automatic translation still inevitably entails. I have experimented that even
with these inaccuracies the translation allows us to be understood by those who
speak English, in the many national versions of the world, or who use it as a
second or third language. It is the function that in ancient times carried out
the Greek. Trying to be understood by other peoples corresponds to an ancient
vocation of the Church of Rome, which is still current.
La democrazia repubblicana è
stata costruita in Italia con il contributo determinante di cattolici orientati
dalla dottrina sociale e capaci di pensiero sociale. L’ambiente sociale che ne
è derivato non ha avuto tuttavia un’impronta confessionale, non è stato
modellato solo per i cattolici, ma per tutti. Questo ha consentito di
correggere ciò che di confessionale si è cercato di arbitrariamente di
introdurre o vi si era insinuato fin dagli inizi.
Indubbiamente la questione dell’influenza, molto rilevante, esercitata
dal potente apparato politico della gerarchia cattolica si è fatta sentire e ha
condizionato la storia della Repubblica democratica, come era avvenuto fin
dall’inizio dell’unità nazionale, ma anche durante le guerre e i moti per
realizzarla, e, ancor prima, nella storia politica dei popoli italiani dal
Quarto secolo.
Durante la fase della democrazia repubblica la gerarchia cattolica ha
sempre cercato un rapporto politico privilegiato con quello che Gianni Baget
Bozzo definì il partito cristiano, la
Democrazia Cristiana, ma che, per la
sua genesi, per la provenienza dei suoi principali esponenti, per l’origine del
suo pensiero sociale e, infine, per il suo prevalente elettorale, più
propriamente si sarebbe dovuto definire partito
cattolico.
La Democrazia Cristiana, dal canto suo, cercò, soprattutto dagli anni
’80, di sviluppare maggiormente la propria autonomia politica dai vescovi
italiani e dal Papato romano, a quei tempi impegnato su tutt’altro fronte, nella
transizione dell’Europa orientale dai regimi comunisti. Questo al fine di
indurre anche in Italia una transizione politica, verso un sistema democratico
non centrato su un unico partito politico, appunto la Democrazia Cristiana, ma
sull’alternanza dialettica tra coalizioni organizzate da quella forze ed altre
di ispirazione socialista, nel quadro di una vasta condivisioni di valori nel
quadro del sistema dello stato di diritto, quindi di un sistema di limiti che
preservasse dal dispotismo.
La storia poi evolse in modo molto diverso da quello che si immaginava.
L’influenza molto rilevante che nel dopoguerra fu esercitata dagli Stati Uniti
d’America, che era politica ma anche culturale, portò all’emergere anche in
Italia di una mentalità che vedeva nel liberismo economico e nelle conseguenti
politiche per realizzarlo la via per guarire la società dalla pesante pressione
che il sistema dei partiti di governo esercitava sull’economia, mediante
l’imposizione tributaria e il debito pubblico. Essa era indispensabile per
assicurarsi il mantenimento di una sufficiente base elettorale mediante un programma di
elargizioni pubbliche a varie categorie, nel quadro di quello che venne
chiamato consociativismo, e che significava che
ciascuna forza condizionava il proprio appoggio all’ottenimento di risorse
pubbliche. Il sistema consociativo diventava sempre più costoso.
Si pensò che, lasciando libero corso alle forze dell’economia, facendo
arretrare l’intervento pubblico e deregolando i mercati, si sarebbero eliminate le
inefficienze di gestione, sarebbero prevalsi i migliori mediante la selezione
esercitata al mercato libero, e ciascun
attore economico, mirando al proprio esclusivo interesse e arricchendosi
sfruttando le opportunità del liberismo, avrebbe fatto sgocciolare benessere anche
nella società in generale, facendone beneficiare tutti (oggi, avendo sperimentato
quel modello, sappiamo che le cose vanno diversamente: si produce solo una
concentrazione progressiva della ricchezza a beneficio di pochi).
Quell’orientamento prevalse in Europa negli
anni ’90, sfruttando opportunisticamente la crisi terminale dei socialismi
europei, seguita alle loro veloci
metamorfosi subite nel decennio precedente per uscire dal tipo di
organizzazione politica del partito e dello stato del marxismo-leninismo di
scuola staliniana (da Iosif Stalin - 1878/1953 - dal 1926 alla morte despota assoluto dell’Unione Sovietica,
succeduta all’impero zarista nel 1917).
La dialettica politica italiana di governo fu quindi, fino al 2013, tra
forze liberiste estranee al pensiero sociale cattolico, da una parte, e,
dall’altra, forze contrarie a quell’impostazione, rimanendo quindi centrale la
questione del liberismo economico, non più, come in passato, quella della
democrazia popolare. Cominciò allora a venir meno una base culturale comune del
sistema democratico, costituita dal sistema dei diritti fondamentali sociali,
che sono quelli indicati nella prima parte della Costituzione repubblicana e
che sono riassunti nel comma 2° dell’art. 3:
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e
sociale del Paese.
Dal 2013 iniziò un’ulteriore veloce evoluzione,
caratterizzata dal progressivo disgregarsi del tessuto sociale e politico della
nazione. Un mutamento veloce e radicale con carattere propriamente
rivoluzionario, come dichiarato dai suoi protagonisti, attuato tuttavia
democraticamente, in un quadro di legittimità costituzionale, ma evolvendo
verso un assetto diverso.
Se ne è trattato nel numero 5/2018 della
rivista bolognese Il Mulino. Nel
processo di accumulazione generato dal
liberismo economico, è scritto nell’editoriale, c’è chi ha vinto e chi ha
perso, e chi ha vinto non riconosce alcuna obbligazione di giustizia nei
confronti del perdenti. Questo, dopo la lunga crisi economica iniziata nel
2007, ha alimentato un sentimento di rancore in larghe parti della popolazione
dei Paesi occidentali, e una corrispondente diffidenza nei confronti della
democrazia, che non ha saputo creare rimedi sociali adeguati, e quindi sta
generando una reazione democratica
illiberale a un liberalismo non democratico. Prevale infatti una concezione
maggioritaria della democrazia, per la quale chi vince prende tutto: ciò tende
ad erodere quel terreno comune sul qual venne fondata la nostra democrazia
repubblicana e deliberata la Costituzione vigente. «Tutto, dalle politiche
ambientali a quelle economiche, dalla sicurezza alla libertà di espressione,
diventa oggetto di scontro tra partiti e
coalizioni che promettono ai propri
elettori di condurli in un mondo che essi possano considerare “a propria
immagine e somiglianza”.» Tutti i legami sociali sono concepiti come negoziabili,
al modo di ciò che avviene nelle dinamiche di mercato, e si cerca di essere più
forti per prevalere nel negoziato, nell’interesse del proprio gruppo di
riferimento, secondo l’ideologia espressa in Occidente dal presidente
statunitense Donald Trump.
Ne consegue, osserva Paolo Pombeni, in quel
fascicolo della rivista, «che sta vendo meno
quel ruolo del governo come “governo di tutti” che è uno dei pilastri
del costituzionalismo occidentale». E’ un principio che, arduo da rispettare
nella prassi, si era cercato comunque di rendere almeno percepibile. «Se nello
svolgimento del loro lavoro gli esecutivi avevano quasi sempre trovato il modo
di avere un occhio di particolare riguardo per la coalizione che li aveva messi
in carica (governi monopartitici in
senso proprio non ne sono mai esistiti nella nostra storia repubblicana) - scrive Pombeni - si doveva difendere il
principio di un esercizio del potere che puntava alla garanzia dei diritti di
tutti i cittadini. Questo sta venendo meno con l’appello sempre più frequente
ai “diritti della maggioranza”.»
In questa situazione i cattolici italiani possono,
e quindi debbono, svolgere un ruolo molto importante nell’indurre un recupero
di basi comuni condivise per la convivenza civile e l’azione politica, per
contrastare la disgregazione sociale. Essi infatti costituiscono una delle
poche forze sociali, e comunque la maggiore di esse, che possiedono la base
ideologica che serve. La hanno nella dottrina sociale, che di lato livello
culturale, è stata molto estesa rispetto
alle sue origini e, da un certo punto di vista, può essere considerata, nel
complesso, un vero e proprio manuale di costruzione sociale, continuamente
aggiornato secondo i tempi. E, per di più, a livello planetario, non limitato
ad una singola nazione. Un risultato che è stato possibile ottenere per la
caratteristica organizzazione ecclesiale della Chiesa cattolica, che se dà
molti problemi in certi campi, ad esempio per il suo eccessivo accentramento
sul Papato romano e per l’accentuato clericalismo e carrierismo gerarchico, ha
fornito l’opportunità di realizzare una specie di ONU religiosa in cui tutto il
mondo ha in qualche maniera effettiva voce, ma molto più coesa di quella
politica. La Chiesa cattolica italiana
ha altre importanti opportunità: una rete sociale capillare, resa stabile
dall’azione di un clero di base totalmente ad essa dedicata; una rete di
agenzie culturali di alto livello, vale a dire le Università pontificie; un
sistema di finanziamento pubblico ingente e automatico, gestito autonomamente
dalla Chiesa stessa.
Il problema è che, questa volta, a differenza
di ciò che accadde dopo la caduta del
fascismo mussoliniano, nel 1945, non basta che l’azione sociale sia esercitata
da una classe ristretta di personale appositamente formato alla cultura
democratica e che tutti gli altri si limitino a seguire le
indicazioni di voto del Papato. Siamo infatti in un ambiente in cui quel
modello di intervento sociale non fa più presa e questo, da un lato, per la
forte laicizzazione della politica popolare, per cui non basta più la pretesa
dell’obbedienza gerarchica a motivare la gente, e, dall’altro, perché, nel
clima di laicizzazione spinta, occorrerebbe una formazione popolare alla
politica democratica che è stata a lungo trascurata, salvo che nell’Azione
Cattolica. Vale a dire che quella parte della dottrina morale che è costituita dalla dottrina sociale non
rientra in genere nei programmi di catechismo di base, che per molte persone
rimane l’unico della loro vita. E non si tratta solo di ignorare i documenti di
base di quella parte del Magistero, ma soprattutto di mancanza di un tirocinio
pratico, per cui, anche leggendoli, poi non si sa come metterli in pratica, in
istituzioni ecclesiali in genere improntate ad un certo clericalismo, alle
quali quindi si partecipa per lo più come comparse di uno spettacolo diretto da
altri, quando non proprio da semplici spettatori.
La formazione che serve dovrebbe essere
organizzata per tutte le età. Per gli adulti dovrebbe essere fatta in piccoli
gruppi di approfondimento e tirocinio, perché il tirocinio è innanzi tutto
tirocinio al dialogo e se si è in troppi non si riesce a farlo. Si può pensare
poi che queste esperienze possano diffondersi ed essere replicate. Lo scopo del
tirocinio democratico è appunto quello di rendere ciascuno capace di generare
autonomamente, nei propri ambienti di riferimento, esperienze simili. In una
parrocchia, un’occasione importante di tirocinio democratico possono essere
proprio le varie istituzioni parrocchiali, nei vari servizi che sono attivati e
nel tentativo di creare un tessuto armonioso tra i gruppi che prevalentemente
si limitano ad abitare gli spazi parrocchiali come lo si fa in un condominio.
La gente c’è, ma, come sa chiunque tenti di
organizzare qualsiasi esperienza associativa, non è facile convocarla per il
tempo sufficiente e, soprattutto, ottenere un impegno continuativo. Si
partecipa distrattamente agli ambienti sociali in cui si vive e questo è uno
dei motivi dell’incipiente disgregazione sociale. L’altro è l’insufficiente
capacità di ascoltare gli altri, per cui ciascuno dice la propria ed è
soddisfatto così. E non sempre ci si esprime apertamente, esponendosi al
confronto dialettico. In ambiente clericale c’è il costume deleterio di
criticare gli altri sussurrando nelle orecchie dei superiori. E’ la maldicenza,
la lingua fatta pugnale, che spesso il Papa critica nei suoi discorsi pubblici.
Un male comune nelle parrocchie
cattoliche, che travaglia la vita dei nostri bravi preti di base.
Mario Ardigò -
Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
Democratic
sensibility
Republican democracy was built in Italy with the decisive contribution
of Catholics oriented by social doctrine and capable of social thought.
However, the resulting social environment did not have a confessional imprint,
it was not only modeled for Catholics, but for everyone. This made it possible
to correct what the confessional was tried to arbitrarily introduce or had
crept in from the beginning.
Undoubtedly the
question of influence, very significant, exercised by the powerful political
apparatus of the Catholic hierarchy has made itself felt and has influenced the
history of the Democratic Republic, as had happened since the beginning of
national unity, but also during wars and uprisings to achieve it, and, even
before, in the political history of Italian peoples from the fourth century.
During the phase of republican
democracy the Catholic hierarchy has always sought a privileged political
relationship with what Gianni Baget Bozzo called the Christian party, the Democrazia Cristiana (Christian democracy), but which, due to
its genesis, the origin of its main exponents, for the origin of his social
thought and, finally, for his prevailing electoral, more properly he would have
had to define Catholic party.
The Christian Democratic Party,
for its part, tried, especially since the 1980s, to develop its own political
autonomy from the Italian bishops and from the Roman Papacy, which at that time
was engaged on a completely different front, in the transition of Eastern
Europe from the communist regimes . This in order to induce a political
transition also in Italy, towards a democratic system not centered on a single
political party, precisely the Christian Democrats, but on the dialectical
alternation between coalitions organized by that forces and others of socialist
inspiration, within the framework of a vast sharing of values within the
framework of the system of the rule of law, and therefore of a system of limits
that preserved from despotism.
The story then
evolved very differently from what we imagined. The very significant influence
that was exercised in the post-war period by the United States of America,
which was political but also cultural, led to the emergence in Italy of a
mentality that saw economic liberalism and the consequent policies to make it
the way to heal the society from the heavy pressure that the system of
government parties exerted on the economy, through taxation and public debt. It
was essential to ensure the maintenance of a sufficient electoral base through
a program of public donations to various categories, within the framework of
what was called consociativismo, and that meant that each force conditioned its
support to obtaining public resources. The consociational system became
increasingly expensive.
It was thought that,
by freeing up the forces of the economy, by moving back the public intervention
and deregulating the markets, management inefficiencies would be eliminated,
the best would have prevailed through the selection exercised on the free
market, and each economic actor, aiming at at his own exclusive interest and
enriching himself by taking advantage of the opportunities of liberalism, he
would have let wellbeing drip even in society in general, making everyone
benefit (today, having experienced that model, we know that things go
differently: only a progressive concentration of wealth is produced for the
benefit of a few).
That orientation prevailed in Europe in the 1990s, opportunistically
exploiting the terminal crisis of European socialisms, followed by their rapid
metamorphoses suffered in the previous decade to exit from the type of
political organization of the party and the state of Marxism-Leninism of the
Stalinist school (from Iosif Stalin - 1878/1953 - from 1926 to the absolute
despot death of the Soviet Union, succeeding the tsarist empire in 1917).
The Italian political
dialectic of government was therefore, until 2013, between liberal forces alien
to Catholic social thought, on the one hand, and, on the other, forces contrary
to that approach, thus remaining central to the issue of economic liberalism,
no longer , as in the past, that of popular democracy. A common cultural basis
of the democratic system, constituted by the system of fundamental social
rights, which are those indicated in the first part of the Republican
Constitution and which are summarized in the second paragraph of the art. 3:
It is the task of the
Republic to remove the obstacles of an economic and social nature, which, by
limiting the freedom and equality of citizens, prevent the full development of
the human person and the effective participation of all workers in the
political and economic organization and social life of the country.
From 2013 a further rapid
evolution began, characterized by the progressive disintegration of the social
and political fabric of the nation. A rapid and radical change with a truly
revolutionary character, as declared by its protagonists, however implemented
democratically, within a framework of constitutional legitimacy, but evolving
towards a different structure.
This was dealt with in the number 5/2018 of the Bolognese magazine Il
Mulino. In the process of accumulation generated by economic liberalism, it is
written in the editorial, there are those who have won and those who have lost,
and those who have won do not recognize any obligation of justice towards the
losers. This, after the long economic crisis that began in 2007, has fueled a
feeling of resentment in large parts of the population of Western countries,
and a corresponding mistrust of democracy, which has failed to create adequate
social remedies, and is therefore generating a reaction democratic illiberal to
a non-democratic liberalism. In fact, a majority view of democracy prevails,
for which the winner takes everything: this tends to erode that common ground
on which our republican democracy was founded and the current Constitution was
deliberated. "Everything from environmental policies to economic policies,
from security to freedom of expression, becomes the object of confrontation
between parties and coalitions that promise their voters to lead them into a
world that they can consider" in their own image and likeness. "
social ties are conceived as negotiable, in the manner of what happens in the
market dynamics, and we try to be stronger to prevail in the negotiation, in
the interest of our reference group, according to the ideology expressed in the
West by US President Donald Trump.
It follows, observes Paolo Pombeni, in that issue of the magazine,
"that the role of government as" government of all "that is one
of the pillars of Western constitutionalism is being sold less". It is a
principle that, difficult to observe in practice, had tried to make at least
perceptible. "If in the course of their work the executives had almost
always found a way to have a particular eye for the coalition that had put them
in charge (one-party governments in the strict sense never existed in our
republican history) - Pombeni writes - the principle of an exercise of power
that aimed at guaranteeing the rights of all citizens had to be defended. This
is failing with the increasingly frequent appeal to "majority
rights". "
In this situation
Italian Catholics can, and therefore must, play a very important role in
inducing a recovery of shared common bases for civil coexistence and political
action, to counter social disintegration. In fact, they constitute one of the
few social forces, and in any case the largest of them, which possess the
ideological base it serves. They have it in social doctrine, which on the
cultural level, has been very extensive compared to its origins and, from a
certain point of view, can be considered, on the whole, a real manual of social
construction, continually updated according to the times . And, moreover, on a
planetary level, not limited to a single nation. A result that it was possible
to obtain for the characteristic ecclesial organization of the Catholic Church,
which if it gives many problems in certain fields, for example for its
excessive centralization on the Roman Papacy and for the accentuated
clericalism and hierarchical careerism, has provided the opportunity to realize
a kind of religious UN in which the whole world has in some way an effective
voice, but much more cohesive than the political one. The Italian Catholic
Church has other important opportunities: a widespread social network, made
stable by the action of a basic clergy totally dedicated to it; a network of
high-level cultural agencies, namely the Pontifical Universities; a huge and
automatic public financing system, independently managed by the Church itself.
The problem is that, this time, unlike what happened after the fall of
Mussolini's fascism, in 1945, it is not enough that the social action is
exercised by a restricted class of personnel specially trained in democratic
culture and that all the others just follow the papal voting instructions.
Indeed, we are in an environment in which that model of social intervention no
longer takes hold, and this, on the one hand, due to the strong secularization
of popular politics, for which the claim of hierarchical obedience to motivate
people is no longer enough, and, from the another, because, in the climate of
high secularization, a popular formation for democratic politics would have
been long neglected, except in Catholic Action. That is to say that that part
of the moral doctrine that is constituted by the social doctrine does not
generally fall within the basic catechism programs, which for many people
remains the only one of their life. And it is not just a question of ignoring
the basic documents of that part of the Magisterium, but above all of the lack
of a practical training, so, even reading them, then we do not know how to put
them into practice, in ecclesial institutions generally based on a certain
clericalism, to which therefore we mostly participate as extras of a show
directed by others, when not really by simple spectators.
The training needed should
be organized for all ages. For adults it should be done in small groups of
in-depth study and training, because the internship is first and foremost
training in dialogue and if you are too many you cannot do it. We can then
think that these experiences can spread and be replicated. The aim of the
democratic internship is precisely to make everyone capable of generating
similar experiences independently in their reference environments. In a parish,
an important occasion for democratic training can be precisely the various
parish institutions, in the various services that are activated and in an
attempt to create a harmonious fabric among the groups that mainly limit
themselves to living in the parish spaces as it is done in a condominium
building.
People are there, but as anyone who tries to organize any associative
experience knows, it is not easy to summon them for sufficient time and, above
all, to obtain a continuous commitment. He absent-mindedly participates in the
social environments in which we live and this is one of the reasons for the
incipient social disintegration. The other is the insufficient ability to
listen to others, so everyone says his own and is satisfied like this. And we
do not always express ourselves openly, exposing ourselves to dialectical confrontation.
In a clerical environment there is the deleterious custom of criticizing others
by whispering in the ears of superiors. It is the slander, the dagger-made
language, which the Pope often criticizes in his public speeches. A common evil
in Catholic parishes, which troubles the lives of our good basic priests.
Mario Ardigò -
Catholic Action in the Catholic parish of San Clemente Pope - Rome, Monte
Sacro, Valli district