Noi,
l’apertura,i segni dei tempi, la guerra e l'anelito alla pace
Più di dieci anni fa scoppiò una guerra nel
Vicino Oriente. La si sentì arrivare e in tutto il mondo ci si mobilitò per la
pace, anche in Italia. Le nostre collettività di fede organizzarono preghiere
collettive.
In questi giorni è tutto molto diverso.
La guerra è scoppiata, dicono i francesi,
duramente colpiti nella loro capitale. E’
la guerra.
Ma dalla Siria viene una esplicita minaccia
anche alla nostra città, proprio per il significato religioso che, da laggiù,
si pensa che ancora abbia. Questo può sorprenderci. Sì, è vero, in città abita il
Papa. Ma poi? La fede religiosa in definitiva non è così importante da noi. Ci
sono tante belle chiese in giro, ma le si vive un po’ come tutte le altre
rovine che ci sono in questa città in cui ci è capitato di vivere, e che sembra
che contenga quella grande bellezza
che però, nella nostra vita comune, ci dice poco. A volte è addirittura d'intralcio.
Fatto sta che l’ultima cosa che ci è venuta
in mente di questi tempi è di organizzare preghiere collettive per la pace, per essere preservati dalla guerra. Liberaci dal male... E invece
dovremmo proprio pensarci.
Sì, la guerra oggi ci è effettivamente molto
vicina, come non lo è mai stata tanto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Ma dobbiamo implorare l’Altissimo che non scoppi, che non ci divori.
Ora ci guidano l’ira e, soprattutto, la paura.
E’ stata colpita la vita di tutti i
giorni di una grande città europea e temiamo che possa capitare anche a noi. E,
allora, che guerra sia, pensiamo. Da
lungo tempo siamo abituati a vincerle, le guerre. E anche a viverle come una
specie di videogioco. La gran parte dei più anziani, di quelli che ricordano la
guerra come effettivamente è, ci hanno lasciati. La memoria di certi orrori, di
centinaia, migliaia, di cadaveri
smembrati per strada dopo un bombardamento di città è affidata ai libri di
storia, che in genere sono piuttosto reticenti in materia, ci passano su.
Durante la
Seconda Guerra Mondiale le nostre principali città furono duramente
bombardate, in particolare Napoli, Milano, Torino, ma anche alcuni quartieri di Roma. Ci furono migliaia di morti
tra la gente comune, tra i civili, tutti, non solo tra i combattenti. E da
altre parti, come nella britannica Coventry, o nella tedesca Dresda, o nelle giapponesi Hiroshima e Nagasaki andò molto peggio. E pochi, tra quelli che
appartenevano alle nazioni che avevano inviato i bombardieri, riuscirono a
sentirsi in colpa. Furono trovate buone ragioni per lo sterminio. Questa è la guerra, si disse. Si diede la colpa agli altri, che avevano cominciato. E’ proprio ciò
che succede di questi tempi.
Quando
si viene colpiti da un’azione brutale come quella che ha insanguinato Parigi, l’ultima
cosa che, razionalmente, bisognerebbe augurarsi e proporsi è che questa è la guerra, e che, allora, si faccia la guerra come la guerra va fatta, quindi rassegnarsi alla guerra. Alla guerra come alla guerra: è un modo di dire francese. E invece proprio
questo si è pensato, di rassegnarsi alla guerra, agendo poi di conseguenza. Invece, le guerre, queste inutili
stragi, come profeticamente giunse a dire da noi papa Della Chiesa facendo
il bilancio, nel 1917, della Prima guerra mondiale, bisogna sempre impegnarsi ad evitarle,
fino all’ultimo.
Bisogna sempre avvertire l’orrore che si
prova quando un aviogetto da guerra, con un rombo immane, arriva addosso alla
gente e la fa a pezzi, insieme a tutto ciò che essa ha costruito ed ama, così come
inorridivano i nostri nonni quando i bombardieri arrivavano sulle nostre città
per farle a pezzi, e quelle macchine volanti erano tanto meno potenti di quelle
di oggi.
E’ più difficile, di questi tempi, di paura,
ira ed odio, mantenere l’apertura religiosa che porta alla pace. Soprattutto quando è proprio in
nome di principi religiosi che ci si vuole muovere guerra, una cosa che, ora,
ci appare insensata, perché, in un processo che è stato piuttosto recente, da noi in genere siamo riusciti a privare la
fede religiosa del suo potenziale
mortifero, che ancora urla dalle nostre più antiche Scritture sacre,
piene di terribili stragi e di propositi di vendetta e di sterminio. Così che,
oggi, la violenza in nome di Dio ci
appare una bestemmia. Non è sempre stato così. Lorenzo Milani fu sottoposto a
processo per aver affermato l’imperativo morale di opporsi alla guerra, di non
parteciparvi. E si era negli anni Sessanta del secolo scorso, circa cinquant’anni
fa.
Domenica scorsa a Messa abbiamo pregato per
le persone che sono state colpite a Parigi l’altro giorno. Com’è che non ci è
venuto in mente di invocare di essere preservati dalla guerra?
Stiamo pensando a rinnovare la parrocchia, a
impegnarci in nuovi campi di attività collettivao.
Uno di questi dovrebbe essere quella dell’impegno e della preghiera
collettiva per la pace, e, insieme, della riflessione collettiva sul problema della guerra e le vie della pace, argomento sul quale un grande maestro di pensiero italiano, Norberto Bobbio, scrisse un libro illuminante. In questi tempi di odio
bisogna lavorare per mantenere viva l’apertura infinita e amorevole
verso tutti gli esseri umani, anche verso coloro che vivono tra i nemici e
addirittura nei confronti di questi ultimi. Non è proprio questo il comandamento nuovo?
Innanzi tutto, però, facciamo memoria di che cosa è
veramente la guerra. Cerchiamo poi di capire come questa realtà mostruosa abbia
nuovamente ripreso a coinvolgerci, dopo che, solo poco tempo fa, avevamo
contemplato la nostra nuova Europa come fonte di una lunghissima pace, come non
la si era mai sperimentata storicamente. Pensavamo di aver costruito veramente
una nuova civiltà, in tutti i sensi un mondo
nuovo, in cui le diversità, che in passato aveva lanciato i nostri popoli a
sbranarsi in infiniti e lunghi conflitti, rivestiti anche di motivazioni religiose, potessero convivere armoniosamente. Questo fu
anche un ideale religioso, in particolare qui in Italia. E in merito richiamo
il pensiero e l’esempio di vita di una grande persona di fede, Giorgio La Pira.
Questo lavoro di capire che cosa è la guerra che ci minaccia è parte di quello per scrutare evangelicamente i segni dei tempi, secondo l'esortazione dei saggi dell'ultimo Concilio. Da questa migliore comprensione di ciò che accade può poi scaturire la preghiera e l'impegno collettivo per la pace. E' cosa che riguarda innanzi tutto noi laici di fede, che abbiamo anche il compito di influire sulla politica, nell'esercizio della nostra cittadinanza democratica. E, non scordiamolo mai, ogni guerra è sempre originata da un problema politico, anche se non di rado la politica è stata rivestita di moventi religiosi, in particolare per motivare i combattenti del popolo all'autodistruzione personale, a immolarsi in esecuzione di ordini militari. Una strumentalizzazione della religione che anche in Europa si è fatta fino a non molto tempo fa e che, talvolta, ancora si fa.
La prima via della pace è quella di far crescere nella gente una cultura di pace. Può farsi anche su base religiosa, ma ciò richiede un impegno di mediazione culturale della pace nell'abito della fede. Può sembrare strano, oggi, ma non è scontato che la nostra gente di fede debba contrastare la guerra. Anche la storia dei nostri popoli di fede è piena di guerre sante.
Per lungo tempo, ad esempio, si è celebrata religiosamente la battaglia di Lepanto, combattuta nel Cinquecento tra europei e turchi. E il papa Montini fu molto criticato per aver restituito ai turchi, come gesto di pace, le insegne predate a Lepanto dagli europei vincitori.
Costruire una cultura religiosa della pace: è ciò che da noi, in religione, si è iniziato a fare più o meno dal primo dopoguerra e poi, molto più marcatamente, nel dopo Concilio. Partendo da quel Concilio la cui memoria si è tanto offuscata nel popolo di fede.
Mario
Ardigò, Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli