Ai
catechisti della parrocchia che si occupano della prima iniziazione religiosa
1. Avete letto il discorso dell’altro ieri di
papa Francesco al convegno ecclesiale nazionale di Firenze?
Ad un certo punto ha elencato, tra i sentimenti di Gesù che caratterizzano l’umanesimo di fede, la beatitudine.
“Il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo. Nelle
beatitudini il Signore ci indica il cammino. Percorrendolo noi esseri umani
possiamo arrivare alla felicità più autenticamente umana e divina.”
E’ un discorso che gli è molto
caro, tanto che il suo primo documento rivolto a tutte le nostre collettività
di fede si intitolava La gioia del
Vangelo.
Da che
cosa deriva questa gioia che ci viene nella fede?
Lo si
scopre sperimentandola.
Dove la si
sperimenta?
Nel
popolo di fede.
E’ questo
che realizza la prima iniziazione religiosa, quella che aprirà per sempre un
essere umano alla dimensione soprannaturale della vita terrena. Perché ciò che
si sperimenta e si impara da bambini rimane profondamente impresso anche nell’adulto
in cui il bambino si trasformerà. Avete davanti dei bambini, ma state lavorando
sugli adulti che saranno. Non dovete pensare che lo scopo di quello che state
facendo sia solo di fare dei bambini
buoni: c’è molto di più. La motivazione alla fede che riuscirete ad indurre nei
bambini sarà la base anche di quella degli adulti che essi diverranno.
2. Nel lavorare sui bambini non si parte da zero.
I
piccoli sui quali lavorate provengono da una cultura storicamente determinata,
quella della nostra nuova Europa, ancora profondamente segnata, fin nelle sue
costituzioni, nelle leggi che definiscono i suoi principi fondamentali, dall’umanesimo
prodotto dalla nostra fede.
Questa
cultura definisce le condizioni fondamentali per realizzare la fede come
esperienza di gioia: si parte da essa.
Che significa?
Ad
esempio, nella nostra Europa non si gettano più le persone tra le fiamme per
ragioni religiose. Vi pare poco? Ancora: è stata abolita la pena di morte. Gli
stati hanno creato organizzazioni sanitarie pubbliche per cui tutta la gente
può curarsi spendendo poco o addirittura nulla e, a volte, si ottengono
risultati che appaiono miracolosi. Tutto questo si è prodotto in particolare nel corso di processi
rivoluzionari iniziati a fine Settecento nelle colonie britanniche dell’America
del nord basati su concezioni esplicitamente religiose: tutti gli esseri umani sono stati creati uguali e per questo tutti
hanno diritto alla ricerca della felicità.
C’è quindi
una enorme differenza culturale tra i nostri tempi e quelli in cui si formarono
le narrazioni che oggi costituiscono le nostra scritture sacre, che ci
trasmettono la Parola, la voce soprannaturale che attraverso i secoli è arrivata
fino a noi.
Quella
Parola si trova nelle scritture sacre, ma deve essere estratta, resa
comprensibile alle persone dei nostri tempi, che vivono in un contesto
culturale tanto diverso. E’ un lavoro al quale i saggi dell’ultimo concilio
ecumenico dedicarono una costituzione dogmatica,
vale a dire relativa ai principi fondamentali della fede, quella chiamata La Parola di Dio.
Le
scritture vanno spiegate, non ci si deve fermare al loro senso letterale,
questo il succo del discorso. Ne deve essere trovato il significato unitario: un
lavoro non sempre facile. Soprattutto quando ci si deve rivolgere a dei
bambini. Al centro di tutto c’è la vita e l’insegnamento del nostro Primo
Maestro. Il vecchio va interpretato
alla luce del nuovo. Non dobbiamo pensare che un bambino, dopo che
gli è stato letto un brano biblico, sappia coglierne il senso per la sua vita. Siamo
noi che dobbiamo condurlo a scoprirlo.
Il nuovo ha avuto, nelle narrazioni
bibliche, una lunga preparazione. C’è stata, come dicono i teologi, una pedagogia soprannaturale. A volte noi
non abbiamo la stessa pazienza con i bambini che ci sono affidati a catechismo.
Ogni
narrazione biblica, e la stessa vita del nostro Primo Maestro, va
contestualizzata: va spiegata la storia in cui si inserisce. Altrimenti il rischio
è che il bambino capisca male.
Non ci dobbiamo sorprendere che un bambino capisca male: è per capire in modo giusto che ci viene affidato.
E ricordiamoci che la fede è per tutti, non per un ristretto gruppo di illuminati. Ci saranno bambini che hanno avuto la fortuna di aver appreso di più in famiglia, ma non dobbiamo disprezzare gli altri. Dobbiamo condurre tutti nel popolo di Dio, a fare la gioiosa esperienza del popolo che vive con Dio. La Grazia è sempre a lavoro. Confidiamo che colmi le nostre insufficienze di educatori.
3. Non so
se qualcuno di voi abbia seguito un corso di formazione per catechisti.
Bisognerebbe farlo. In diocesi ogni anno si organizzano corsi simili.
Appartenere a un certo movimento particolarmente impegnato nel settore della
catechesi, come anche l’Azione Cattolica è, non basta per formare un
catechista, e in particolare un
catechista in un settore tanto delicato come quello dedicato all’infanzia.
Dovete sapere che dal 1970 c’è stato un
processo di profondo rinnovamento della
catechesi, alla luce degli insegnamenti dei saggi dell’ultimo Concilio. Se i
vostri genitori hanno conservato, come io ho fatto, il libretto del catechismo
della loro prima infanzia, potrete rendervi conto della differenza rispetto ai
sussidi catechistici che oggi usate.
Tutto oggi
è centrato sulla vita e sugli insegnamenti del nostro Primo Maestro, la cui
personalità, secondo la nostra fede, si trova all’inizio, al centro e alla fine
dell’umanità. La fede in lui maturò nei discepoli, dalla riva del mare di
Galilea fino a Pentecoste, nel corso di una consuetudine di vita e di dialogo
durata alcuni anni. E’ un processo che, in un certo senso, dobbiamo far
ripercorrere ai bambini.
Però, non
dobbiamo dimenticare che i piccoli che vi sono stati affidati sono già battezzati e quindi fanno già parte
a pieno titolo del popolo del Risorto. Non vivono nei tempi del Primo
Testamento, né in quelli in cui furono vissuti gli episodi evangelici, ma nei nuovi tempi inaugurati dalla
Risurrezione. Non bisogna mai privarli della dignità filiale che a loro già compete: dobbiamo indurli a scoprirla.
Uno dei
principi del rinnovamento della catechesi di cui ho detto è stato quello di
collegare l’esperienza di fede alla vita comunitaria. Si apprende in un piccolo
gruppo, ma l’iniziazione è a tutto il popolo di fede, all’universale popolo
inviato in missione al mondo per la sua salvezza, a quel popolo che già ora sperimenta la gioia della presenza soprannaturale dell’Altissimo.
Consentiamo allora al bambino di fare gioiosa esperienza della sua appartenenza al popolo di fede, innanzi tutto partecipandovi, nella liturgia, nel canto, nel gioco, in ogni attività umana, perché nulla di ciò che è umano è estraneo alla fede, lo hanno detto i saggi dell'ultimo concilio.
Il canto: non rimpiango la stagione dei cantori che se la cantavano e suonavano da soli a Messa, sovrastando l'assemblea. I canti devono essere corali e soprattutto devono appartenere al canzoniere della parrocchia. Bene, quindi, la nuova stagione della Messa delle dieci, per i bambini del catechismo, con l'organo e i canti che tutti sanno e tutti possono cantare.
4. Alcuni di voi hanno la responsabilità di
bambini che dovranno partecipare al Sacramento della Riconciliazione. Una volta
si diceva “fare la Confessione”. Appunto:
una volta. Anche in questa materia c’è
stato un rinnovamento. Ve ne hanno parlato?
Quando mi
confessai per la prima volta, qui da noi in parrocchia, il sacerdote, don
Giuseppe, mi chiese: “sai perché io sono
qui con te?”. Gli dissi francamente
che non lo sapevo. I catechisti me lo
avevano spiegato, ma io non lo avevo capito bene.
Sapevo che
dovevo andare dal sacerdote per dirgli che avevo fatto arrabbiare la mamma e
picchiato il mio fratellino e un certo numero di compagni. E poi c’era la
faccenda del toccarsi. “Ti tocchi, è vero che ti tocchi? Quanto ti
tocchi?” domanda puntigliosamente e insistentemente in Confessione un prete a un ragazzo nel film di Fellini Amarcord (= mi ricordo, in dialetto romagnolo). Certo che i bambini si toccano, ma non ne facciamo un dramma
religioso!
Don
Giuseppe mi rispose: “Sono qui perché ti
voglio bene”. Ne rimasi stupito e colpito, tanto che ancora oggi me ne
ricordo. A casa lo raccontai a mia madre e le chiesi di spiegarmi meglio quello
che il sacerdote aveva voluto dire.
Se noi
riduciamo il Sacramento alla faccenda faccio
arrabbiare mia madre-picchio fratelli e compagni-mi tocco/quanto mi tocco creiamo le basi sicure per il successivo
allontanamento da quella pratica sacramentale dei ragazzi che i bambini del
catechismo diverranno presto (quanto presto crescono i nostri figli!).
Tutta la
vita di fede è agàpe, lieto convito
dell’Altissimo con il suo popolo: questa è la fonte della beatitudine a cui si è
riferito l’altro ieri il Papa. Peccato è ciò che turba la gioia di quel popolo
e la sua relazione vitale con il suo amato Signore. Qual è la via per riprendere a vivere la
beatitudine? E' quella della restaurazione dell’agàpe. Questo è il senso della Riconciliazione sacramentale. Lo ha detto il Papa citando
il brano del Vangelo secondo Matteo 25,34-36: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno
preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi
avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e
mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in
carcere e siete venuti a trovarmi”.
Certo, anche
i bambini devono imparare a memoria i Comandamenti, lo richiede la diocesi: ma
ne capiranno veramente il senso intorno all’età della prima media. Tuttavia sanno bene come possono rendere infelici
le persone, ne hanno già fatto tirocinio nella loro vita: questo è il peccato.
La legge,
è scritto, si riassume in due precetti: amore di Dio e del prossimo. Devono essere vissuti nella prospettiva del comandamento nuovo: vivere insieme volendosi bene come Dio vuole bene (Gv 13, 34-35); questa è l'agàpe, la fonte della nostra gioia. Un volersi bene che supera ogni frontiera, ogni divisione, e comprende anche i nemici.
Per quanto
riguarda i rapporti con il prossimo la regola d’oro, anche questo è scritto, è: non fare agli altri ciò che non vorresti
che fosse fatto a te (così già nel Primo Testamento, Tob 4,15; nel Vangelo, in positivo: Lc 6, 31; Mt 7,12). Su questo
strutturerei l’esame di coscienza. E' una regola intuitiva che è importante perché presuppone che si riconosca l'uguaglianza in dignità degli altri, quindi di essere tutti figli di un medesimo Creatore benevolente.
E le mancanze contro i genitori? Dobbiamo dar loro una mano per tener buoni i figli? Io, quando ho fatto il catechismo alle mie
figlie, non ho iniziato dall’onora il
padre e la madre. Non mai presentato la religione come una sorta di
rafforzamento della mia autorità di genitore, per ottenere obbedienza lì dove
io non ci riuscivo con la mia autorità paterna. Non immiseriamo così la nostra
fede! Abbiamo un Padre un Cielo: concentriamoci su questo e sull'agàpe che la sua vicinanza e benevolenza induce nel popolo di fede, di cui anche le famiglie fanno parte.
E poi: certo che un bambino di sette anni “onora il
padre e la madre”! Perché i suoi genitori a quell’età sono tutto per lui, sono la
fonte della sua sicurezza di vita, ne ha bisogno e dipende in tutto da loro.
Ci dicono che un bimbo di quell’età ha bisogno
addirittura di sapere a che
ora la madre tornerà a prenderlo dopo scuola o catechismo. A sette anni io
non mi addormentavo la sera se mia mamma non veniva a darmi il bacino. Ma che volete che contino, in
questo contesto, le piccole marachelle di un bimbo! I problemi verranno più
avanti, con la pubertà.
Il Sacramento della Riconciliazione è un atto
liturgico. Si invoca l’aiuto soprannaturale per restaurare l’agàpe. L’energia superna, la grazia, ci
arriva per ministero del sacerdote, questa è la nostra fede. C’è la precisa
individuazione e riconoscimento delle nostre responsabilità per il male che si
è fatto, l’impegno al cambiamento, ma
soprattutto la luce soprannaturale che ci cambia e che ci raggiunge nelle
parole, nei gesti e nella persona del sacerdote, il quale rende presente il
Maestro. E tutto è preghiera, confidando nella liberazione dal male, perché
si possa di nuovo essere fonte di bene ed essere felici, noi e gli altri, nell'Altissimo.
La Riconciliazione si attua perdonando e chiedendo perdono ed è un
opera collettiva: non si esaurisce nel rapporto con il sacerdote, come egli se fosse
una sorta di vice-papà. Ci sono tutto
il popolo di fede e il suo amato Signore in quel cubicolo del confessionale, di nuovo tutti riuniti nell’impegno e nella gioia
dell’agàpe.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente
papa - Roma, Monte Sacro, Valli