Costruire
una nuova parrocchia
1. Cari amici della parrocchia, ci troviamo nel momento in
cui, con molta decisione, bisogna trovare una via nuova per vivere insieme la
fede, qui alle Valli.
Che cos'è che non va?
C’è che la nostra parrocchia,
progressivamente, è stata sempre meno abitata dalla gente del quartiere, per la
quale era stata istituita. E’ troppo grande per le esigenze di quelli che sono
rimasti, per cui, man mano, si sono abbandonati spazi, non se ne è curata la
manutenzione. Ha sempre più un aspetto diruto. Se ne sono accorti quelli che
stanno organizzando l’Oratorio, la domenica.
I locali della parrocchia non sono più attrezzati per accogliere molta
gente, chiesa a parte. I problemi più seri riguardano il teatrino e il campetto interno, che in diverse parti appare
addirittura pericoloso tanto è dissestato. Naturalmente questi sono solo degli
indici di un problema molto più serio, che riguarda le persone che non
riusciamo più ad attrarre da noi.
Ho vissuto quasi tutta la mia vita nel
quartiere, ho quindi memoria anche di ciò che c’era prima e dell’evoluzione
degli eventi. Una volta la parrocchia
era una realtà molto viva, abitata, e, come ci ha ricordato oggi don Remo, ha
dato alla Chiesa tre sacerdoti, di cui uno è diventato vescovo. Ma c’era molta
più gente. Quella che oggi ci manca.
La
situazione è molto peggiorata negli ultimi anni. Sono molto diminuiti i bambini
che ci vengono affidati per la prima iniziazione religiosa; conseguentemente si
sta avvertendo un calo anche in quella di secondo livello.
C’è chi spiega tutto con il fatto che la
gente intorno a noi è diventata meno religiosa, si sta paganizzando. Ma è proprio così? Si è avuta notizia di fenomeni migratori verso altre parrocchie. Perché
i genitori portano i loro bambini a San Frumenzio o al Redentore per il
catechismo?
2. Nell’ultimo decennio
è stato molto evidente il ritorno nel quartiere di giovani famiglie, con figli
piccoli. Lo constato nel mio palazzo, ma chi ha occhi per vedere si è
sicuramente accorto che ci sono molti più bambini in giro nelle strade del
quartiere. Ma questa gente nuova non viene in parrocchia.
Chi è
rimasto in parrocchia? Questo ci può dare un’indicazione delle cause del
problema.
A me pare che siano rimaste essenzialmente le persone aggregate alle comunità del Cammino Neocatecumenale, che si insediò
in parrocchia all’inizio degli anni ’80, e alcuni gruppi di anziani, sempre
meno numerosi per dinamiche, per così dire, naturali.
Perché troviamo questa composizione della
popolazione parrocchiale?
Io penso perché, progressivamente, ma sempre
più marcatamente nell’ultimo ventennio, l’organizzazione neocatecumenale è
venuta a sovrapporsi a quella parrocchiale, finendo per assorbirla. Invece di essere uno dei vari gruppi di spiritualità
presenti nella parrocchia, associati agli altri secondo uno stile di collaborazione sinodale, la componente neocatecumenale è divenuta quella
largamente prevalente e ha improntato di sé tutta la struttura parrocchiale, assumendo il
controllo di tutte le sue principali funzioni, quelli che nel gergo
aziendalistico vengono chiamati i front
office. La gente che viene da fuori per una qualche esigenza religiosa si
trova di fronte solo neocatecumenali. Anche il precedente parroco, per ciò che
ne so, si era formato in quel movimento.
E’ una situazione che ancora è piuttosto
avvertibile, anche se, di domenica in domenica, si comincia a respirare aria
nuova. C’è da organizzare la festa della parrocchia in occasione della visita
del cardinale Vallini? Per ciò che mi è
parso di capire, se ne occuperà l’organizzazione neocatecumenale, sotto la
direzione dei propri dirigenti.
Si è insomma prodotto quello che ho definito
un processo di neocatecumenalizzazione
spinta della parrocchia.
Ma che c’è di male?
Nulla di male, in linea di principio. Non
aderirei mai ai neocatecumenali, la cui esperienza spirituale è veramente molto
distante da quella in cui mi sono formato, ma in genere si ritiene che la loro
sia una via apprezzabile sotto diversi punti di vista, in particolare, e questo
l’ho constatato personalmente, dove si propone di realizzare una forte
solidarietà comunitaria tra i suoi membri. Tra loro ho conosciuto persone buone,
di fede viva e grande capacità di dedizione. Il problema nasce quando questa
struttura si propone come totalizzante,
nel senso di presentarsi come principale via per unirsi alla parrocchia. Infatti il
metodo neocatecumenale non va bene per tutti. Non tutti sopportano di essere
inglobati nei piccoli e molto coesi gruppi di catechesi dei catecumenali e di
seguire il particolare cammino a
tappe ascendenti progettato dai dirigenti del movimento, secondo un metodo in
cui, per ciò che mi è apparso osservando dall’esterno ma comunque in una lunga
frequentazione, è molto marcata l’autorità dei catechisti sui catechizzandi,
fino ad arrivare al livello di quella di una specie di direttori spirituali. Ma è proprio
la pressione di un gruppo così che a
molti risulta intollerabile. Ci sono poi varie questioni di carattere
ideologico che non vanno sottovalutate. Ad esempio la mia concezione di
famiglia è fortemente divergente da quella neocatecumenale, in particolare in
ordine al ruolo dei due sessi e a certi obiettivi di prolificità. E penso che
la mia non sia una posizione isolata tra la gente del quartiere. Ma a me non
interessa polemizzare su questi punti con i neocatecumenali. Loro seguono una
via e io un’altra. Non pretendo che cambino. Se però la loro dovesse rimanere l’unica via della parrocchia, allora io la lascerei.
Ma essa non deve rimanere l’unica via
nella parrocchia. Di fatto non lo è rimasta, ma bisogna aggiungere che tutte le
altre vie non hanno trovato un ambiente favorevole. In particolare, i ragazzi
dopo l’iniziazione religiosa di secondo livello, nel post Cresima mi è parso
che fossero spinti verso il metodo neocatecumenale. E’ ciò che si è fatto con
le mie figlie, anni fa. Anche se non si pretende che i giovani si aggreghino ad
una comunità neocatecumenale, il metodo è quello, il lessico anche, così come l’ideologia
religiosa. Questo ha comportato una selezione
delle nuove leve della parrocchia. Rimanevano quelli che accettavano di
seguire quella spiritualità. Questo ha privato le altre componenti della
parrocchia, in particolare l’Azione Cattolica, di un ricambio generazionale. Ma
naturalmente non è stata questa la cosa più grave: lo è stato, invece, l’allontanamento
di tante persone e, in particolare, di tanti giovani. Come si spiega,
altrimenti, che in parrocchia siano rimasti quasi solo i neocatecumenali?
Quanti giovani non provenienti da famiglie neocatecumenali o comunque non aggregati ai
neocatecumenali sono rimasti in parrocchia? Cercate di contarli. Forse vi basteranno le dita delle due mani.
Il discorso può estendersi agli adulti,
dove l’unico percorso associativo effettivamente promosso dalla parrocchia è
quello neocatecumenale.
Ma in Azione Cattolica non potevamo promuovere
meglio la nostra via? No, non potevamo. L’Azione Cattolica è statutariamente
integrata nella parrocchia e ha necessità che parroco e preti della parrocchia
la conoscano e l’apprezzino. Nella nostra parrocchia ho avuto invece la
sensazione che l’Azione Cattolica fosse considerata come una cosa del passato,
superata, e non l’ambiente culturale in cui è stata progettata la nuova
democrazia italiana e che ha promosso gli ideali dell’ultimo Concilio sia
durante la sua celebrazione che successivamente. Ciò che mi è parso non si
condividesse nell’impostazione dell’Azione Cattolica era l’apertura fiduciosa verso la società del
nostro tempo, ed anche l’impegno creativo ed autonomo dei laici di fede,
secondo le indicazioni conciliari. Nell’ideologia neocatecumenale, invece, mi
pare che si pensi sempre di essere circondati da un mondo ostile, pagano, e che la virtù principale del
credente sia l’obbedienza. Ma obbedienza a chi? Al Signore sono sempre disposto a
ubbidire, ad altri devo pensarci un po’ su. In particolare se a pretendere
obbedienza sono i neocatecumenali della parrocchia, preti e non, in base alla
particolare loro ideologia religiosa. E poi, amici neocatecumenali, no, l’obbedienza per me non è più una virtù, ma la
più subdola delle tentazioni, come
scrisse Lorenzo Milani tanti anni fa. Il ragionamento che fece per giungere a
quella conclusione è disponibile sul Web. Leggetelo e poi, se volete, ne
riparleremo.
3. Ora il vescovo ci
esorta ad essere Chiesa in uscita. E
quando scrive di uscire, non intende
una qualche sortita per strillare nei megafoni il nostro annuncio per poi rientrare nel fortino religioso che ci siamo costruiti.
Intende di costruire relazioni,
secondo lo stile evangelico. Questo comporta il dialogo e lo sforzo di superare ciò che, oggi, ci separa dagli
altri, per conoscerli, e poi per conoscerli meglio, e, conoscendoli, per capire
il senso delle loro vite e coglierne le esigenze religiose, che sono proprie di
ogni essere umano, senza distinzione.
Scrive il Papa nella Gioia del Vangelo:
88. L’ideale cristiano inviterà a
superare il sospetto, la sfiducia permanente, la paura di esseri invasi, gli
atteggiamenti difensivi che il mondo attuale ci impone. Molti tentano di
fuggire dagli altri verso un comodo privato, o verso il circolo ristretto dei
più intimi, e rinunciano alla dimensione sociale del Vangelo.
[…]
…il Vangelo ci invita sempre a correre
il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica
che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa
in un costante corpo a corpo.
A volte mi pare che la via che si segue in
parrocchia sia invece del tutto indifferente al contesto sociale in cui si
abita. Molti che la frequentano in effetti non vivono nel quartiere. Si è qui
come si potrebbe essere nella mia antica parrocchia bolognese di San Giuseppe
sposo, o in quella mia milanese dei Santi Nèreo e Achilleo, o in quella, che
pure fu mia, di San Pietro Apostolo, a Giulianova. Questo non va bene.
Significa non essere sensibili alle
gioie, alle speranze, alle tristezze e alle angosce della nostra gente,
come invece fummo esortati a essere dai saggi dell’ultimo Concilio. Sembra che
ci importi poco della sua vita: non dobbiamo meravigliarci, poi, se siamo
ricambiati, se la gente ci rimane estranea. In parrocchia mi pare che in
passato ci si sia concentrati su una vita collettiva in piccoli gruppi molto
coesi nei quali era confinata tutta l’esperienza di fede, e poi nella famiglia, nella
cura dei figli, che si vogliono molto numerosi ritenendo addirittura
peccaminosa l’idea di genitorialità
responsabile. Si pensa di potere espandere questo modo di vivere la fede a
tutto il mondo. E quelli che non lo sopportano? Non mi pare che ci si accori
molto per loro. Pagani. Quando
toccheranno il fondo, torneranno, si pensa. Ma non tornano. E allora si
compensa con un fenomeno di immigrazione religiosa. Viene in parrocchia gente
da fuori. Del resto la parrocchia non è di
chi ci vuol stare? No, la parrocchia
è la casa di tutti, non solo della gente che ci vuol stare. Ma perché lo
sia, e innanzi tutto lo diventi, è
necessario fare spazio agli altri. Ecco, è proprio questo quello che
serve in questo momento.
Rimangano pure le comunità neocatecumenali, e
continuino il loro cammino.
Ma la gente nuova che viene in parrocchia
deve trovare un’organizzazione che sia ben distinta da quella neocatecumenale,
per ogni funzione della parrocchia, in ogni ambito di attività, tenendo anche conto che non
ogni esperienza di socialità di ispirazione religiosa deve essere inquadrata
nel servizio catechetico, perché l’attività propria di un laico di fede nella società
richiede anche un diverso tipo di lavoro, di approfondimento, di impegno.
Questo significa non solo che le strutture
parrocchiali non devono essere sostituite
da quelle dei neocatecumenali o di altro movimento, ma che la loro direzione
deve essere condotta con responsabilità sinodale,
quindi non secondo l’ideologia o la spiritualità espressa da questo o quel
gruppo.
4. Quali sono le
funzioni essenziali di una parrocchia?
Può sembrare strano affermarlo, perché in
fondo in passato siamo vissuti per lo spazio di una generazione in una sorta di parrocchia neocatecumenale
in cui si è puntato tutto su un’attività catechistica
estesa, ma la principale non è quella catechistica.
La funzione fondamentale della parrocchia è
quella di rendere presente l’universale popolo di fede
nell’unione con il suo beato fondamento soprannaturale. Nel gergo teologico
si dice che questa realtà è di tipo
eucaristico. Radunare il popolo di fede di una certa zona nell’Eucaristia è il lavoro
fondamentale di una parrocchia. Naturalmente non possiamo pretendere di infilare
contemporaneamente, fisicamente, nella chiesa parrocchiale tutte le circa
quindicimila persone di fede del quartiere, tutte battezzate, con una vita
religiosa, gente che prega e spera come noi preghiamo e speriamo. Ma idealmente dobbiamo proporci di farlo. Dobbiamo mantenere
questa grande apertura. Che significa anche organizzare questa possibilità di incontro, di consuetudine
collettiva. Si tratta di organizzare un lavoro che è quello di un’assemblea permanente. E l’etimologia del termine Chiesa ci indica che esso indicava
originariamente proprio un’assemblea.
La dimensione assembleare fu determinante per determinare il corso del Concilio
Vaticano 2°, durante il quale si decise di cambiare tante cose in religione, e
poi effettivamente cambiarono. Chiunque
dei fedeli del quartiere deve poter venire in
parrocchia e sentirsi come a casa propria, anche senza dover appartenere ad alcun
gruppo particolare, solo per il fatto di essere partecipe di quell’assemblea. Deve
poter venire per pregare e partecipare alla liturgia, e c’è la chiesa
parrocchiale, ma anche, ad esempio, per discutere con gli altri dei problemi
della vita del quartiere che hanno anche rilevanza per la fede, come ad esempio,
nell’ottica della Laudato si’, della vivibilità ambientale, e, in genere, di tutto ciò che rientra nella competenza del laico di fede nel suo
lavoro in società. Ciò che c’è fuori
degli spazi liturgici deve poter essere portato dentro e discusso, per ricavare
orientamenti condivisi, anche alla luce del magistero. Questo è precisamente lo
stile che i saggi del Concilio vollero indurre nelle nostra collettività di
fede.
Scrisse mio zio professore Achille Ardigò,
nel libro Toniolo: il primato della
riforma sociale per ripartire dalla società civile, Cappelli, 1978, non più
in commercio:
Nella visione … della «Gaudium et spes» che è quella di una
Chiesa che «si
sente realmente e intimamente solidale
con il genere umano e con la sua storia» (n.1) la distinzione dei compiti tra
gerarchia e laici deve essere integrata dalle relazioni interpersonali nella comunità
ecclesiale. E’ nella comunità di Chiesa locale che l’unità nell’essenziale e il
pluralismo di partecipazioni politiche e sociali debbono convivere se non
integrarsi nella tensione talora, mai nella dialettica profana, nella
dialogicità spesso, che non esclude, anzi fa crescere la funzione di guida e di autorità dottrinale
e pastorale della gerarchia come la partecipazione all’ufficio sacerdotale,
profetico e regale dei laici, nella Chiesa e nella storia.
[…]
…
la comunità di Chiesa locale, guidata dal Vescovo, [va] assunta come luogo di confronto
tra credenti, pure tra credenti
con scelte politiche diverse, per cercare insieme le vie essenziali
di impegno in cui la comunità di Chiesa
opera, per l’evangelizzazione e la promozione umana.
[…]
Perché è proprio dal far crescere la comunità
di Chiesa locale, attorno al Vescovo, come luogo di riferimento e di confronto
anche per fini storici di bene comune, che può nascere, lo sappiamo per
esperienza, il superamento della più che secolare separazione tra gerarchia e
laici, e cioè anche il crescere dello spazio ecclesiale proprio dei laici, spazio
ecclesiale che, al limite, deve essere tanto maggiormente richiesto ed estero
quanto maggiore sarà la dispersione di
opzioni politiche dei laici credenti”.
Per gli obiettivi che ci si propone di
raggiungere nell’azione propria dei laici, i quali costituiscono la grande maggioranza del popolo di
fede, lavoro che richiede audacia e creatività, come ricordato anche in diversi suoi documenti
e interventi dal papa Francesco,
“Invito tutti ad essere audaci e
creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, o stile e
i metodi evangelizzatori delle proprie comunità. Una individuazione di dei fini
senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a
tradursi in mera fantasia. Esorto tutti
ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo
documento, senza divieti né paure. L’importante è non camminare da soli,
contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei vescovi, in un
saggio e realistico discernimento pastorale” [esortazione
apostolica La gioia del Vangelo, del
papa Francesco, 2013]
in definitiva una certa autonomia, questa assemblea,
che è presieduta dal parroco per mandato del vescovo, deve darsi anche un’organizzazione
democratica, perché è essa che consente a tutti di parteciparvi dandovi il loro personale
apporto nel rispetto della dignità di tutte le altre persone. Senza questo lavoro non sarà possibile poi
esprimere, nell’azione propria dei laici, ma anche della parrocchia come
istituzione religiosa, tutte le azioni individuate dal pensiero sociale di fede
e, in particolare, dalla dottrina sociale originata dal magistero. Un’insufficienza
di questo tipo ha determinato, da noi, la sensazione di estraneità della
parrocchia al quartiere.
Tutte le altre articolazioni della parrocchia
ruotano intorno a quella realtà di assemblea permanente e sono dirette a
evocarne nella liturgia il fondamento soprannaturale, suscitarla, formarla,
alimentarla anche culturalmente, rafforzarla, sorreggerla nelle difficoltà
della sua vita. Si tratta indicativamente dei seguenti ambiti:
a)
la catechesi:
-catechesi
di primo livello, per l’infanzia, per l’accesso alla Prima Comunione;
-catechesi
di secondo livello, per la Cresima,
-catecumenato
in senso proprio, per ricevere da adulti il Battesimo;
-catechesi
permanente, per giovani e adulti;
-catechesi
matrimoniale;
-catechesi
per la malattia grave;
-catechesi
per l’età anziana,
b)
la liturgia e i sacramenti;
c)
attività di promozione vocazionale, per l’individuazione delle vocazioni e la
formazione alla missione diaconale e sacerdotale e alla vita religiosa;
d)
esercizio della spiritualità, nelle varie forme correnti e/o da progettare;
e)
attività varie caritative e di assistenza e promozione sociale;
f)
attività per il miglioramento della qualità umana e ambientale della vita nel
quartiere, secondo le indicazioni dell’enciclica Laudato si’, da svolgere in stretto collegamento con le altre
realtà associative che operano nel medesimo ambito nel quartiere, in
particolare con riferimento alla tutela dell’area verde del Pratone e all’abbellimento degli spazi
collettivi di via Val Padana;
g)
attività di formazione e tirocinio all’impegno politico nella società per ordinarla secondo Dio agendo nelle cose
temporali, secondo le indicazioni dell’ultimo Concilio, confrontandosi
sulle diverse opzioni alla luce degli insegnamenti del magistero;
h) attività di approfondimento culturale, religioso e non, per capire il tempo che si sta vivendo e individuarne i segni di evoluzione, quelli che i saggi dell'ultimo Concilio definirono evangelicamente i segni dei tempi;
i)
attività artistica nelle varie forme in cui può essere esercitata. La musica,
il canto, in particolare corale, le arti figurative sono state storicamente
molto importanti nell’inculturare tradizioni di fede in Italia;
l)
le articolazioni dell’assemblea per età, condizione di vita, lavoro, altri
interessi, ad esempio i gruppi giovanili, i gruppi per anziani, i gruppi per i
malati gravi;
m)
le attività sportive;
n)
le attività di contatto con particolari realtà etniche di immigrati o di altre
minoranze etniche, per produrne la piena inclusione nell’assemblea del popolo
di fede;
o)
le attività per instaurare e mantenere buone relazioni interreligiose (nel
quartiere è insediato un centro islamico piuttosto frequentato).
Ma si possono pensare altri settori di
attività.
Ogni articolazione deve sempre pensarsi come
integrata nell’assemblea del popolo di fede delle Valli e deve lavorare in
vista di essa. Nessuna di esse deve essere monopolizzata da un qualche gruppo
particolare. Si lavora sotto la guida del vescovo, in unione di intenti e di
azione con il popolo universale di fede.
Il centro di tutte le attività deve vedersi
nella domenica, il giorno santo del popolo di fede. E' in questo tempo che si
cercherà di radunare la maggior parte
del popolo negli spazi parrocchiali. Dobbiamo uscire dalla mentalità della chiesa delle stanzette e delle Messe
per pochi, ad accesso riservato, che potranno rimanere, se ritenuto
compatibile con il lavoro della parrocchia e gli impegni prioritari dei
sacerdoti, nell’ambito esclusivo neocatecumenale. Nessun gruppo ha il diritto di monopolizzare i
sacerdoti, risorsa sempre più scarsa e per questo sempre più preziosa. I
sacerdoti della parrocchia hanno tanto da fare, specie in quest’epoca di
rinnovamento: dobbiamo preservarli dallo sfinimento.
In ogni cosa deve essere indotta la
partecipazione di tutti, rispettandone
le diversità. La funzione dei dirigenti
dovrà avere come scopo proprio quello di ordinare le attività in modo da
consentirla al massimo grado, non quella di trasmettere a dei sottoposti delle
disposizioni gerarchiche, che chi le riceve debba solo accettare ed eseguire,
pena l’esclusione.
Tutti
devono sentire la missione di includere, nessuno, mai e poi mai, deve sentirsi
autorizzato ad escludere. L’unico ministero che non deve essere attuato in
parrocchia è quello, per così dire, “levitico”. Nessuno, mai e poi mai, si
senta autorizzato a indicare la porta al dissenziente. Questa esperienza
umiliante per chi la subisce deve essere in particolare risparmiata ai nostri
giovani, i quali, una volta varcata in uscita quella porta, poi non ritornano più.
Tutto questo che a cui mi sono riferito è naturalmente da venire, da costruire.
Abbiamo nuovi operai al lavoro. Il problema
è che non bastano, loro da soli.
Bisogna fare spazio a molta gente nuova, che
poi collabori in ciò che c’è da fare. Richiamandola arriveranno anche le
risorse per fare sugli edifici della parrocchia i lavori che servono. Innanzi
tutto: mettere a norma il teatrino parrocchiale, in modo da riunirvi molta
gente per attività sociali, in particolare per attività culturali.
Per fare della parrocchia una realtà
pluralistica c’è chi dovrà fare diversi passi indietro, stringersi un po’,
rinunciare ad assorbire tutto ciò che
si muove in parrocchia.
Domenica prossima sarà tra noi il Cardinal
Vicario. A lui compete di dare con autorità le direttive che servono. Questo è
il momento in cui il nostro complicato, e per certi versi ingombrante e
addirittura (di questi tempi) imbarazzante, apparato clericale può dimostrare
di avere ancora una effettiva ragione d’essere.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli