CEI – 23-1-12: estratto dalla prolusione del card. A. Bagnasco al Consiglio Permanente
Venerati e Cari Confratelli,
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4. Quanto alla crisi economica che da almeno quattro anni sta scuotendo il mondo, ora sappiamo di essere entrati in una fase inedita della vicenda umana. L’idea stessa di progresso, in voga dal XVIII secolo, sta subendo un duro contraccolpo, e la stessa categoria di “crisi” suona inadeguata e inefficace, cessando praticamente di significare quello che le si vorrebbe affidare. Di crisi economiche infatti ce ne sono state tante fino ad oggi; la novità è che quanto accade in economia e nella finanza non si può spiegare se non lo si collega ad altri fenomeni contestuali come la mondializzazione dei processi, le migrazioni, le mutazioni demografiche nei Paesi ricchi, l’offuscamento delle identità nazionali, il nomadismo affettivo e sessuale. La globalizzazione ha cessato ben presto di porsi come un orizzonte in sé significante, allorché l’“altro” è sostituito da funzioni e reti. Il capitalismo sfrenato sembra ormai dare il meglio di sé non nel risolvere i problemi, ma nel crearli, dissolvendo il proprio storico legame con il lavoro, il lavoro stabile, e preferendo ad esso il lavoro-campeggio (cfr Bauman): si va dove momentaneamente l’industria sta meglio come se l’“altro” non esistesse. E per “l’altro” è in primo luogo da intendersi proprio il lavoratore. La “fluidità” di valori, relazioni e riferimenti, non impedisce affatto – semmai favorisce – il formarsi di coaguli sovrannazionali talmente potenti e senza scrupoli, tali da rendere la politica sempre più debole e sottomessa. Mentre invece dovrebbe essere decisiva, se la speculazione non avesse deciso di tagliarla fuori e renderla irrilevante, e quasi inutile. Ed è quel che sembra accadere sotto gli occhi attoniti della gente. Quando il criterio è il guadagno più alto e facile possibile e nel tempo più breve possibile, allora il profitto non è più giusto, ma diventa scopo a se stesso giocando sulla vita degli uomini e dei popoli. Al di là di ogni ventata antipolitica, va detto che la politica è assolutamente necessaria, e deve mettersi in grado di regolare la finanza perché sia a servizio del bene generale e non della speculazione. Non è possibile vivere fluttuando ogni giorno nella stretta di mani invisibili e ferree, voluttuose di spadroneggiare sul mondo. Sembra, invece, che i grandi della terra non riescano ad imbrigliare il fenomeno speculativo; che giochino continuamente di rimessa, sperando ogni volta di scamparla alla meno peggio, ma è un’illusione: prima o poi arriva il proprio turno, e ci si trova in ginocchio come davanti ad un moderno moloch di non decifrabile direzione. Il dubbio è che si voglia proprio dimostrare ormai l’incompetenza dell’autorità politica rispetto ai processi economici, come se una tecnocrazia transnazionale anonima dovesse prevalere sulle forme della democrazia fino a qui conosciuta, e dove la sovranità dei cittadini è ormai usurpata dall’imperiosità del mercato. «Senza un pensiero morale – scrive Benedetto XVI – che superi l’impostazione delle etiche secolari, come quelle neo-utilitaristiche e neo-contrattualistiche, che si fondano su un sostanziale scetticismo e su una visione prevalentemente immanentista della storia, diviene arduo per l’uomo di oggi accedere alla conoscenza del vero bene umano» (Discorso per il 50° della Mater et Magistra, 16 maggio 2011). Desidereremmo chiedere alla classe intellettuale del nostro Paese di voler accettare un libero confronto su simili istanze. Che si riconsiderassero parole antiche, ma sempre attuali e urgenti: esse fanno parte dell’uomo stesso e del suo destino, come vita e famiglia, lavoro e partecipazione, libertà e relazione, politica e rappresentanza.
5. Lo scenario evocato in ambito internazionale ha delle ricadute e delle specificità italiane. L’Italia appare particolarmente in angustia a motivo di sanzioni e bocciature che possono apparire un declassamento, agli occhi del mondo, di noi che mai ci siamo risparmiati per generosità e universalismo. E tuttavia un esame di coscienza – rigoroso e spassionato – si impone, per scongiurare il rischio di un autolesionismo spesso in agguato specie nei momenti di cambiamento. Due spunti però ci sembra meritino una ponderazione proporzionata: anzitutto l’incapacità provata di pervenire nei tempi normali a riforme effettive, spesso solo annunciate; e quindi l’incapacità, con questo sistema politico, di pervenire in modo sollecito a decisioni difficili allorché queste si impongono. Quasi fosse normale, per un paese come l’Italia, non essere in grado di assumere una comunicazione franca con i propri cittadini. E dovesse essere fisiologico puntare su una compagine governativa esterna, perché provi a sbrogliare la matassa nel frattempo diventata troppo ingarbugliata. È a questo punto che si è affacciato il nuovo Governo, come esecutivo di buona volontà, autonomo non dalla politica ma dalle complicazioni ed esasperazioni di essa, e con l’impegno primario e caratterizzante di affrontare i nodi più allarmanti di una delicata, complessa contingenza. Va da sé che, dal punto di vista etico, non possa esserci sospensione della responsabilità della politica, che il Parlamento affida al Governo in ragione del mandato ricevuto dal corpo elettorale. Mandato certo in sé non abdicabile: per questo è irrinunciabile che i partiti si impegnino per fare in concomitanza la propria parte, in ordine a riforme rinviate per troppo tempo tanto da trovarsi ora in una condizione di emergenza. Non devono fare gli spettatori, ma devono attivarsi con l’obiettivo anche di riscattarsi, preoccupati veramente solo del bene comune, quasi nell’intento di rifondarsi su pensieri lunghi e alti, lasciando per strada la lotta guerreggiata sotto mentite spoglie, la denigrazione sistematica, le polemiche esasperanti e inconcludenti.
Naturalmente non tocca a noi Vescovi parlare di tempi e modi; a noi però spetta ricordare che la conversione a fare bene, a riguadagnare stima e fiducia è sempre possibile e doverosa. Mai nulla va considerato perso del tutto; per certi versi questa è una stagione propizia per imprimere allo Stato e alla stessa comunità politica strutture e dinamiche più essenziali ed efficienti, lontane da sprechi e gigantismi. Per cooperare attivamente con il Governo a riequilibrare l’assetto della spesa in termini di equità reale, e metter mano al comparto delle entrate attraverso un’azione di contrasto seria, efficace, inesorabile alle zone di evasione impunita, e ai cumuli di cariche e di prebende. La Chiesa non ha esitazione ad accennare questo discorso, perché non può e non deve coprire auto-esenzioni improprie. Evadere le tasse è peccato. Per un soggetto religioso questo è addirittura motivo di scandalo. Ci permettiamo – proprio nella nostra veste di Pastori – di sottolineare, fra le molte istanze, la necessità di approntare un piano carceri che sia degno di un Paese della nostra tradizione giuridica e umanistica. Anche un solo suicidio, che avvenga per le condizioni disumane cui sono soggetti i carcerati, è di troppo. Non è vero, e non si può pensare che quelle dei carcerati siano vite a perdere. Se un pensiero simile dovesse albergare nella coscienza di un solo cittadino sarebbe una sconfitta per tutti.
6. E poiché siamo in una condizione di necessità, che obbliga a stare sul punto senza svolazzi e facili illusioni, vorremmo chiedere ai nostri connazionali lo sforzo di scorgere tutto il positivo che potenzialmente può annidarsi anche all’interno di una situazione ingrata. Il che non significa rinunciare al proprio personale punto di vista sulla politica e su quanto in quell’ambito si muoveva ieri e si muove oggi. Ciascuno a suo tempo si esprimerà in coscienza. Ma oggi c’è da salvare l’Italia e c’è da far sì – cosa non scontata – che i sacrifici che si vanno compiendo non abbiano a rivelarsi inutili. Per questo urge superare il risentimento che qua e là affiora. Chi non sapeva che si andavano perpetuando a molti livelli squilibri che apparivano oltre ogni misura e quindi erano avvertiti come inaccettabili? Come si può ritenere fisiologica la condizione di giovani ultratrentenni che vivono a carico dei genitori o dei nonni? Non ci sarà all’improvviso alcuna palingenesi miracolosa, però si deve tentare di riaggiustare il sistema, consapevoli che le condizioni per una vera equità si determinano cominciando ad offrire ai giovani le opportunità di cui hanno diritto (cfr Benedetto XVI, Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 9 gennaio 2012), equilibrando – per quanto legittime – le spinte iper-protezionistiche delle altre generazioni. D’altro canto, fuori dall’equità non si produce né senso di appartenenza né senso della cittadinanza. Risanare e crescere: sono le due parole che guidano e impegnano ogni energia che abbia cuore e responsabilità per il nostro Paese. È necessario non solo mantenere e creare lavoro, ma anche conservare nostro il patrimonio di lavoro e di eccellenze che è riconosciuto nel mondo. Invero, è altresì necessario recuperare o incrementare la cultura del lavoro, fatta certo di professionalità, ma anche di quell’approccio mentale e di quelle virtù morali che costituiscono la struttura portante, senza la quale le competenze non possono andare lontano. C’è bisogno di creare consapevolezza fresca attorno a ciò che nel frattempo non ha smesso di funzionare. Il Paese non è piombato all’improvviso in una palude melmosa: non se ne parla forse a sufficienza, ma ci sono indici interessanti sul fronte dell’export, settori di impresa che reggono bene e sono promettenti, la qualità della vita nei centri medi e piccoli resta considerevole, l’integrazione tra welfare comunitario e volontariato produce ancora risultati non trascurabili. Certo, lo Stato deve vincolarsi a pagare in tempo i suoi debiti con i cittadini, anche per evitare ulteriori gesti di disperazione da parte di imprenditori in difficoltà, e c’è da contenere un’aggressività pericolosa. Sta crescendo nel Meridione la speranza di potersi liberare un giorno non remoto dal giogo della malavita organizzata, e non è un caso probabilmente che questa si stia spingendo verso le città del nord, che faranno bene a rinforzare la vigilanza e moltiplicare gli anticorpi. Occorre lucidamente contrastare l’idea che per i malati terminali le cure vadano centellinate: sarebbe uno spreco non di risorse ma di retorica sui diritti fondamentali dell’uomo, una sorta di prova della verità circa la tendenza eutanasica che ammorba la civiltà europea. È necessario arginare la piaga del gioco d’azzardo, quale fuga disperata da una realtà ritenuta ingrata, o quale seducente sirena di vita facile, ma che si rivela come abbrutente dipendenza che deforma l’umano dell’uomo, e sconquassa le famiglie. Sono le malattie nuove di una post-modernità infragilita dalle proprie ossessioni prima ancora che dai deficit di bilancio. Il rigore può e deve sposarsi al senso di umanità, e dalla crisi dobbiamo uscire imparando a condividere il sogno di San Benedetto: «Facciamo bene oggi ciò che ci potrà giovare per l’eternità» (Regola, prologo, n. 44).
7. È noto, a noi che viviamo sul territorio, come la crisi in atto stia determinando, a livello di servizi sociali, un’autentica rivoluzione copernicana. Non potendo più far perno infatti sul trasferimento delle risorse dallo Stato centrale agli enti locali, essa deve reinventarsi, puntando su un’alleanza organica tra il cosiddetto privato sociale, le imprese e gli enti locali. Dovrà trattarsi però di un’iniziativa aperta e pubblica, anzi, detto ancor meglio, di un’iniziativa comunitaria nel segno della sussidiarietà, distribuita sul territorio e facente leva sulla comunità locale. Come non cogliere che vi è una leggera contraddizione allorché si parla, per queste situazioni, di privato-sociale? Ma al di là dei nominalismi, è di ogni evidenza l’assidua, capillare presenza responsabile della componente ecclesiale. Una recente mappatura parla di quattrocentoventimila operatori attivi in oltre quattordicimila servizi sociali e sanitari di ispirazione cristiana operanti con continuità e stabilità organizzativa sul territorio del Paese (cfr Rilevazione delle opere sanitarie e sociali ecclesiali in Italia, promossa dalla Consulta ecclesiale nazionale degli organismi socio-assistenziali, da Caritas Italiana e dall’Ufficio Nazionale per la pastorale della sanità). Il 62,3% di questi centri svolge attività socio-sanitaria e sociale non residenziale, mentre il 31,2% attua forme di assistenza residenziale. Oltre il 27,5% di questi servizi è promosso da parrocchie, il 19% da realtà diocesane, il 18,1% da associazioni di fedeli, il 13,1% da istituti di vita consacrata o società di vita apostolica. Nonostante il taglio di due terzi delle risorse nazionali verificatosi nell’arco degli ultimi tre anni, se il sistema non è collassato è appunto perché è in atto una ritessitura che mette in rete tutte le buone risorse per offrire risposte non episodiche né casuali, ma organiche e continuative. La tipologia di questi servizi è abbastanza varia: c’è la formula delle Tavole amiche, ossia le mense gratuite, i centri di ascolto con annessi sportelli per viveri, vestiario e pernottamenti; c’è la formula collaudata dal Banco alimentare e va diffondendosi quella del Banco farmaceutico, con esperienze di punti di riferimento a disposizione dei senza dimora che abbiano bisogno di prestazioni mediche urgenti o comunque interventi di tipo gratuito e volontario. Ci sono le molteplici iniziative basate sul micro-credito per prestiti emergenziali che raccordano le improrogabili esigenze delle famiglie con la mancanza di lavoro; gli sportelli per l’emergenza casa, con offerte che sopperiscano la cronica mancanza di abitazioni; i fondi anti-usura nonché forme di “adozioni” temporanee rivolte a nuclei in difficoltà. Nel frattempo, sta entrando a regime lo strumento del “Prestito della speranza” per soccorrere famiglie all’ultimo stadio di autonomia, per aiutarle a traghettarsi fuori dall’emergenza. Senza peraltro che si smetta quell’aiuto immediato e informale, rivolto a quanti bussano alla porta di una canonica o di un istituto religioso o di un’abitazione normale. Insomma, un fiorire di iniziative, anche non codificate o registrate, che fanno dunque lievitare i numeri prima citati. Il criterio è quello classico dell’ascoltare, osservare e discernere che sta guidando la nostra Caritas nei suoi primi, onoratissimi quarant’anni di vita, e che da essa si espandono, in una logica di positivo contagio quanto a tipologia di attenzione e metodologia di approccio. Questa rapida rappresentazione la offro, cari Confratelli, unicamente perché – come in famiglia – possiamo rendere grazie al Signore che sprigiona il meglio dei cuori. I bisogni sono grandi, ma anche la generosità del nostro popolo è grande.
Ovvio che per sopperire ai mezzi oggi necessari a sostenere questa imponente opera di accoglienza e vicinanza, si faccia conto anzitutto sulla Provvidenza. E perché questa si manifesti, occorre sensibilizzare e attivarsi con credibilità. Per questo si va facendo ogni economia al fine di ricavare risorse ulteriori, si rifiniscono capitoli di spesa così da conseguire altri mezzi, per quanto residuali, ma pur sempre preziosi: nulla va preservato rispetto all’esigenza di rispondere positivamente a chi si attende un aiuto, consapevoli che «l’umile e concreto servizio che la Chiesa offre non vuole sostituire né, tantomeno, assopire la coscienza collettiva e civile. Le si affianca con spirito di sincera collaborazione, nella dovuta autonomia e nella piena coscienza della sussidiarietà» (Benedetto XVI, Discorso per il 40° di Caritas Italiana, 24 novembre 2011). Ciò detto, bisogna pur ricordare che nell’arco di pochi anni le richieste sono aumentate di oltre l’80%, il che non può non sospingere ormai ad una “carità di popolo” che si faccia “carità di sistema”. Lo diciamo sottovoce per non aver l’aria di chi, per questo, ha da avanzare pretese. Non chiediamo privilegi, né che si chiuda un occhio su storture o manchevolezze. Sappiamo che il bene va fatto bene, senza ostentazioni o secondi fini, senza cercare alibi, auto-remunerazioni o auto-esenzioni, nell’umile esemplarità della propria esistenza e con la trasparenza delle opere. Ho già avuto modo di precisare che, per quanto concerne l’ICI, la Chiesa in Italia non chiede trattamenti particolari, ma semplicemente di aver applicate a sé, per gli immobili utilizzati per servizi, le norme che regolano il no profit. I Comuni vigilino, e noi per la nostra parte lo faremo: ci piacerebbe solo non si investissero tempo e risorse in polemiche che, se pur accettiamo in spirito di mortificazione, finiscono per far sorgere sospetti inutili e, in ultima istanza, infirmare il diritto dei poveri di potersi fidare di chi li aiuta.
8. Intrecciata alla vicenda del Paese, si è sviluppata nei mesi scorsi anche l’iniziativa dei cattolici, nei termini in cui era stata presentata in occasione dell’ultimo Consiglio Permanente del settembre scorso. Incontri si sono svolti coinvolgendo i diversi soggetti nelle loro specifiche tipologie di aggregazione: al centro – come bussola – sempre la Dottrina sociale della Chiesa e l’amore leale al Paese. Tra le iniziative, c’è stato anche l’incontro di Todi, che ha visto radunate molteplici realtà per un sereno dialogo e proficuo confronto. Nell’agorà odierna, il nostro laicato vuole esserci, consapevole di essere portatore di un pensiero forte e originale, cioè non conformista. Consapevole di un dovere preciso che scaturisce anche dalla propria fede e da una storia lunga e feconda nota a tutti. Le molteplici iniziative di formazione sparse su tutto il territorio, facenti capo direttamente alle diocesi oppure alle diverse aggregazioni ecclesiali espresse in Retinopera, così come il nostro Progetto culturale, costituiscono quel “soggetto unitario diffuso” che da una parte si offre come palestra formativa, e dall’altra come laboratorio stimolante per la riconsiderazione dell’alfabeto della società e della politica. Proprio in questo orizzonte, e per amore di completezza, vorrei rilanciare anche una felice “provocazione” del Papa: «Ci si è adoperati perché la presenza dei cristiani nel sociale, nella politica o nell’economia risultasse incisiva, e forse non ci si è altrettanto preoccupati della solidità della loro fede, quasi fosse un dato acquisito una volta per tutte» (Discorso alla Plenaria del Pontificio Consiglio per i laici, 25 novembre 2011). Se questa sottovalutazione in passato c’è stata, è del tutto evidente che siamo impegnati a far sì che essa non si ripeta.
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Venerati e cari Confratelli, vi ringrazio per l’amabile attenzione che mi avete riservato, per l’accoglienza e la verifica che ora vorrete dedicare a queste mie parole. Siamo nell’anno centenario della nascita del mai dimenticato Papa Giovanni Paolo I, il Pontefice mansueto, che si è lasciato condurre fino al sacrificio di sé. Nel prossimo mese di aprile è stata annunciata la beatificazione del Servo di Dio Giuseppe Toniolo, laico straordinario della nostra Chiesa, emblema di una stagione di incubazione per questa modernità travagliata che però si è chiamati ad interpretare in coerenza a quella testimonianza. La Vergine Maria, cui di recente abbiamo consacrato questa nostra Italia, ci aiuti a vivere nella fedeltà e con coraggio il nostro presente. Grazie.
Pubblicato da Mario Ardigò - AC San Clemente Papa - Roma, Montesacro, Valli