1.Sintesi dell’enciclica
Introduzione
Parte dalla constatazione che i progressi nell’industria aveva creato occasione di conflitti tra padroni e operai: la questione operaia. Gli operai versavano in “assai misere condizioni, indegne dell’uomo”, la ricchezza si era accumulata in poche mani e si era largamente estesa la povertà, le istituzioni, gli operai erano rimasti “soli e indifesi in balia della concorrenza dei padroni e di una sfrenata concorrenza”: insomma un “piccolissimo numero di straricchi” aveva imposto “all’infinita moltitudine dei proletari un gioco poco meno che servile”. In questa situazione, nella quale tutti concordavano sulla estrema necessità di “venire in aiuto senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari” e che molti intendevano sfruttare “a perturbamento dei popoli“, il Papa sentì la necessità di intervenire al fine di “mettere in rilievo i principi con cui, secondo giustizia ed equità” si doveva “risolvere la questione”.
Parte Prima: Il socialismo falso rimedio
I socialisti volevano risolvere la questione operaia abolendo la proprietà privata. Secondo il Papa questa soluzione è dannosa per gli stessi operai e ingiusta, portando a scompigliare l’ordine sociale. La proprietà privata è definita nell’enciclica “diritto di natura”, nel senso di “conforme a natura“.
Non è giusto privare il lavoratore della possibilità di investire in beni durevoli i suoi risparmi, per migliorare il proprio stato. Poiché l’uomo ha l’uso della ragione bisogna concedergli un diritto di proprietà stabile che riguardi anche le cose che l’uso non consumi, in modo che possa scegliere i mezzi che giudica più propri per il suo mantenimento. Tutti in qualche modo traggono il proprio sostentamento dal lavoro, imprimendo nei beni della natura un’impronta della propria personalità, ciò che giustifica la proprietà privata di tali beni. Si dichiara che “il frutto del lavoro deve appartenere a chi lavora”.
Poiché la proprietà privata è un diritto naturale, le leggi non possono abolirla, venendo esse altrimenti a contrapporsi al diritto naturale, diventando ingiuste.
Come la proprietà privata anche l’istituto della famiglia è di diritto naturale. Lo Stato non può ingerirsi nella vita della famiglia se non per porre rimedio a gravi ristrettezze o discordie. In particolare lo Stato non può sostituirsi ai padri, come pretendono i socialisti, i figli essendo una espansione della personalità del padre che se ne deve prendere cura.
Si dichiara che “... i socialisti, sostituendo alla provvidenza dei genitori quella dello Stato, vanno contro la giustizia naturale e disciolgono la compagine delle famiglie”. E inoltre che “le fonti stesse della ricchezza inaridirebbero, tolto ogni stimolo all’ingegno e all’industria individuale” e che “... nell’opera di migliorare le sorti delle classi operaie, deve porsi come fondamento inconcusso il diritto di proprietà privata”.
Parte Seconda. Il vero rimedio: l’unione delle associazioni
L’azione della Chiesa è indispensabile per la soluzione del problema, per ottenere la cooperazione dei governanti, dei padroni e dei ricchi, come pure degli stessi proletari.
Rimuovere le disparità sociali è impossibile, a causa della grande varietà tra gli uomini. Tali disparità costituiscono anche un movente al lavoro.
Il dolore non mancherà mai sulla terra, in quanto conseguenza del peccato.
E’ necessaria la concordia tra le classi sociali, che può essere raggiunta componendo i dissidi attingendo alle ricchezze del cristianesimo.
I ricchi e i proletari hanno doveri reciproci di giustizia. I proletari e gli operai dovranno astenersi dal ricorrere alla violenza, non dovranno mescolarsi ad uomini malvagi. I capitalisti non dovranno tenere gli operai come schiavi.“Quello che veramente è indegno dell’uomo è abusarne come di cosa a scopo di guadagno, né stimarlo più di quello che valgono i suoi nervi e le sue forze”. I padroni dovranno consentire agli operati di compiere i doveri religiosi, non distoglierli dai doveri verso le famiglie e non imporre loro lavori sproporzionati alle forze o mal confacenti con l’età e con il sesso. Dovranno dare a ciascuno la giusta retribuzione e non dovranno danneggiare i piccoli risparmi dell’operaio con violenza, frodi o usure manifeste o nascoste.
La Chiesa dovrà adoperarsi per riavvicinare il più possibile le due classi e per renderle amiche in un’ottica di carità. Dovrà raccomandarsi un uso delle ricchezze anche a beneficio degli altri; l’enciclica cita S.Tommaso “...l’uomo non deve possedere i beni esterni come propri, bensì come comuni, in modo che facilmente li comunichi all’altrui necessità. Onde l’Apostolo dice: Comanda ai ricchi di questo secolo di dare e comunicare facilmente il proprio”. Non deve poi essere considerato vergogna l’essere poveri o vivere del proprio lavoro. “La vera dignità dell’uomo è tutta morale” - sull’esempio di Cristo- “ossia riposta nella virtù; la virtù è patrimonio comune, conseguibile dai grandi e dai piccoli, dai ricchi e dai proletari”.
Ma addirittura dovrà tendersi all’amicizia tra le classi sociali contrapposte, in quanto tutti, ricchi e proletari, sono fratelli in Cristo, “sono congiunti col vincolo di una santa fraternità”.
Il cristianesimo deve nuovamente trasformare la società, essere nuovamente fonte di progresso umano. La società, in essa compresa la classe lavoratrice, deve ritornare alla vita e ai costumi cristiani.
La Chiesa, come già nei primi secoli, deve proseguire nell’opera di beneficenza per soccorrere i bisognosi, “non lasciando alcuna specie di miseria senza aiuto e conforto”.
Anche lo Stato deve concorrere alla risoluzione della questione operaia, ordinando le leggi e le istituzioni politiche in modo da favorire i buoni costumi, il buon assetto della famiglia, l’osservanza della religione e della giustizia, l’imposizione moderata e l’equa distribuzione dei pubblici oneri, il progresso delle industrie e del commercio, il fiorire dell’agricoltura; “...provvedere al bene comune è ufficio e competenza dello Stato”. Lo Stato deve essere “armoniosa unità che abbraccia del pari le infime e le alte classi ... è stretto dovere dello Stato prendersi la dovuta cura del benessere degli operai... di provvedere ugualmente ad ogni ordine di cittadini, osservando con inviolabile imparzialità la giustizia cosiddetta distributiva”. “E’ quindi giusto che il governo s’interessi dell’operaio, facendo sì che egli partecipi in qualche misura di quella ricchezza che esso medesimo produce, cosicché abbia vitto, vestito e un genere di vita meno disagiato”. Lo Stato deve adoperare la forza e l’autorità delle leggi se la classe lavoratrice viene oppressa con ingiusti pesi dai padroni o avvilita da fatti contrari alla personalità e alla dignità umana; “il ceto dei ricchi, forte per sé stesso, abbisogna meno della pubblica difesa; le misere plebi, che mancano di sostegno proprio, hanno speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato”. Lo Stato dovrà tutelare la proprietà privata, tenendo a freno la cupidigia delle popolazioni e i “sobillatori“, per evitare che “si rechi danno ad altri nella roba”. Lo Stato dovrà porre rimedio al disordine grave e frequente degli scioperi; il rimedio più efficace e salutare darà di prevenire il male rimovendo le cause da cui si prevede che possa nascere il conflitto tra operai e padroni.Lo Stato dovrà imporre di concedere il riposo festivo ai lavoratori per consentire loro di adempiere i doveri religiosi. Dovrà poi sottrarre il povero operaio all’inumanità degli avidi speculatori e stabilire dei limiti all‘orario di lavoro, specialmente per i lavori gravosi e per il lavoro delle donne e dei fanciulli.Dovrà stabilire minimi salariali perché l’operaio non si trovi a dover accettare, costretto dalla necessità, un compenso che non si sufficiente al suo sostentamento. Dovrà favorire il risparmio operaio, per accrescere il più possibile il numero dei proprietari, per conseguire una più equa ripartizione della ricchezza nazionale e per ravvicinare le classi sociali. Infatti, si osserva nell’enciclica, il progresso industriale “ha prodotto la divisione della società come in due caste, tra le quali ha scavato un abisso; da una parte un fazione strapotente perché straricca, la quale, avendo in mano ogni sorta di produzione e commercio, sfrutta per sé tutte le sorgenti della ricchezza ed esercita pure nell’andamento dello Stato una grande influenza; dall’altra una moltitudine misera e debole, dall’animo esacerbato e pronto sempre a tumulti”.
Le società di mutuo soccorso e le corporazioni di arti e mestieri possono contribuire a dirimere la questione operaia porgendo soccorsi ai bisognosi e perfezionando le arti.
Nell’uomo vi è la naturale inclinazione ad associarsi ad altri. Lo Stato non può vietare agli uomini di associarsi in società private, costituite con lo scopo dell‘utile privato dei soci, quando esse non perseguono fini cattivi. Il diritto di unirsi in associazioni è un diritto naturale che non deve essere impedito senza giustificato motivo. Nella Chiesa vi sono molte forme di associazioni (sodalizi, collegi, ordini religiosi ecc.), i cui diritti legittimi spesso sono stati lesi dagli Stati. Anche gli operai cristiani hanno il diritto di costituire tra loro società private, anche per non dover essere costretti ad aderire a società che hanno metodi e scopi contrari alla religione, il più delle volte rette da “capi occulti“. Si ricorda, per encomiarla, l’opera di quanti tra i cattolici, conosciute le esigenze dei tempi, avevano fatto ogni sforzo per migliorare le condizioni degli operai. Si lodano i “congressi” cattolici, occasioni per consultarsi, comunicarsi le idee, unire le forze, cercare gli espedienti migliori.
Le società operaie cattoliche dovranno essere libere di darsi propri ordinamenti. Dovranno essere organizzate in modo che “ciascuno degli associati ne tragga il maggior aumento possibile di benessere fisico, economico e morale“. Dovranno curare in special modo il perfezionamento religioso e morale. In esse, posto il fondamento degli statuti sociali nella religione, potranno trovare composizione le controversie tra padroni e operai, sottomettendo le questioni al giudizio di uomini retti e competenti.
Nota: Secondo G. De Rosa, Il Movimento cattolico in Italia, Bari,Laterza, 1979:
“La redazione dell’enciclica leoniana fu affidata a uomini di forte preparazione filosofica, come il gesuita Matteo Liberatore e il cardinale Tommaso Zigliara, autori rispettivamente del primo e del secondo schema”.
2.Contesto storico
L’enciclica viene promulgata nell’epoca in cui veniva maturando lo scandalo politico - finanziario della Banca Romana, un crack che negli anni seguenti coinvolse importanti politici del tempo, tra i quali Giovanni Giolitti (la cui figura è stata qualche volta accostata a quella di Craxi). Al governo era Antonio Rudinì, esponente della Destra, da poco succeduto a Francesco Crispi. Quest’ultimo aveva accentuato l’azione repressiva verso i movimenti operai e fomentato movimenti anticlericali. Scrive G. De Rosa in Il movimento cattolico in Italia che
“Chi era per l’avvenire era contro i metodi di Crispi, contro le dure repressioni, gli arresti e i processi per il moto dei Fasci siciliani, era contro - i deplorati -, contro coloro cioè che erano usciti compromessi dallo scandalo della Banca Romana”
Il Rudinì dovette fronteggiare gravi problemi della finanza pubblica, tanto che il suo venne definito il “governo della lesina”. I laici cattolici si riunivano nell’Opera dei Congressi (1874-1904), organizzazione che comprendeva molteplici movimenti e associazioni originariamente a carattere caritativo-assistenziale e poi sempre più politico (prima in senso clericale e poi in senso democratico cristiano -v. oltre). I cattolici non potevano partecipare alle elezioni politiche a seguito del non expedit della Penitenzieria apostolica del marzo 1871, interpretato in senso rigoroso dal Sant’Offizio nel giugno 1886 come vero e proprio divieto per i cattolici di accesso alle urne. Nel 1864 il Sillabo di Pio IX, sviluppato da un’idea del card.Pecci - il futuro Leone XIII, aveva condannato razionalismo, democrazia, socialismo, comunismo e liberalismo. Il governo dello Stato era espressione di forze in larga maggioranza anticlericali. Tra gli operai avevano forte presa movimenti antireligiosi e anticlericali di stampo anarchico e socialista. Scrive G. De Rosa, op.cit.:
“Alle attività dei circoli operai partecipavano gli studenti delle università che leggevano la -Critica Sociale-, Spencer, Ardigò e Marx”.
Per altro l’Italia era un paese con un’economia in gran parte agricola e la Chiesa cattolica manteneva un’influenza sulle popolazioni rurali.
Ai tempi dell’enciclica da almeno trent’anni erano sorte associazioni cattoliche che operava attivamente in ambito religioso-caritativo nel senso auspicato nell’enciclica medesima. Scrive G.De Rosa, op.cit.:
“La Rerum Novarum non fu una soluzione improvvisa e improvvisata della questione sociale, ma il sigillo della suprema autorità a una dottrina lentamente ma sicuramente sviluppatasi per merito dello studio e dell’attività di dotti e ardimentosi membri della gerarchia e del laicato cattolico ...”.
L’enciclica fu di stimolo ad alcuni laici cattolici per iniziare un movimento più schiettamente politico centrato su “un complesso di principi e di criteri di azione saldi e certi” che dovevano informare la vita pubblica, movimento da Romolo Murri denominato “democrazia cristiana”. Tale sviluppo fu per altro osteggiato dallo stesso papa Leone XIII che nell’enciclica Graves de communi promulgata il 18-1-1901 avvertiva che con il termine “democrazia cristiana” non si poteva coprire
“...alcun fine politico di portare al potere il popolo, promovendo questa forma di governo in luogo di altre; che per tal modo, mirando al bene della plebe, e mettendo in disparte gli interesse delle altre classi , sembri rimpicciolirsi l’azione della religione cristiana; e che finalmente sotto la speciosità del nome si voglia in certo modo nascondere il proposito di sottrarsi alle legittime autorità nell’ordine civile ed ecclesiastico ... Non sia lecito dare un senso politico alla democrazia cristiana. Perché sebbene la parola “democrazia”, chi guardi all’etimologia e all’uso dei filosofi, serva ad indicare una forma di governo popolare, tuttavia nel nostro caso, smesso ogni senso politico, non deve significare se non una benefica azione cristiana a favore del popolo”.
Scrive G. De Rosa, op.cit.:
“Tutte le correnti democratiche cristiane europee ricevettero impulso dalla Rerum Novarum, si sentirono confortate nella loro azione tendente a provare che il prete, il cattolico militante non era dalla parte del padrone e che non avrebbe lasciato l’operaio e le plebi rurali senza difesa”.
La Lega dei Comunisti era stata costituita a Londra nel 1847. Il Manifesto del partito comunista di Karl Marx e Friedrich Engels è del febbraio 1848. Nel 1867 era uscito il primo libro de Il Capitale di Karl Marx. Nel 1892 venne costituito a Genova il partito socialista italiano.
Scrive G. De Rosa in Il movimento cattolico in Italia:
“In breve, con l’enciclica Rerum Novarum incominciava per il cattolicesimo militante e per l’Opera dei congressi un’altra storia, una storia che immetteva nelle file dell’intransigenza una carica di entusiasmo e di vitalità ben diversa che nel passato: il movimento sociale, fino ad allora un po’ ansimante e combattuto fra diverse tendenze, prendeva grande impetuoso slancio, sollecitato anche dalla concorrenza socialista, che specialmente nelle città lasciava oramai pochissimo spazio all’iniziativa dei cattolici organizzati.”
G. De Rosa, nell’opera citata, scrive che L.Sturzo si espresse in questi termini in un discorso dal titolo Leone XIII e la civiltà moderna pronunciato a Caltagirone il 2-8-1903:
“Destò ... gran meraviglia, quando questo vecchio di circa 82 anni, nel 1891 pubblicò l’enciclica Rerum Novarum sulla condizione degli operai, e parve allora, nell’agitarsi delle teorie che presiedono allo sviluppo di questa nuova corrente sociale, parve quasi socialistica, e persino i governi ancora liberali nell’anima loro borghese temettero; temettero molti, anche ecclesiastici, di questa nuova forza unita al popolo, e dalle lontane Americhe si volevano sconfessati i cavalieri del lavoro e dall’Austria vicina i cristiani sociali di Lueger, e dalle nazioni latine i democratici cristiani.”
Scrive anche G. De Rosa, opera citata:
“Quando uscì la Rerum Novarum non era per nulla pacifico tra i cattolici che si potesse invocare l’aiuto dello Stato per la tutela dei diritti degli operai e nemmeno era pacifico quale dovesse essere il salario dell’operaio. incertezze regnavano anche attorno al principio della libertà di associazione...”
Scrive P. Togliatti nell’introduzione a Manifesto del partito comunista, Roma, Editori Riuniti, 1947:
“E che dire delle Encicliche sociali, che si cerca di contrapporre al Manifesto, come se contenessero una superiore dottrina e più profondamente avessero esercitato la loro efficacia negli ultimi decenni della storia contemporanea? Mancano esse, prima di tutto, di qualsiasi forza dimostrativa, sia per l’assenza di una esatta visione dei problemi e contrasti del mondo moderno, che non sono né quelli del mondo ebraico né del primo Cristianesimo né del Medioevo, né, per dirla in breve, della carità in generale, sia per l’abusata gesuitica maniera di storcere e contraffare il pensiero altrui per avere facile la polemica. Delle due parti su cui esse son tutte costruite, la seconda, che reclama con grande cautela provvidenze a favore dei lavori in nome dei principi della morale cattolica, mal serve a celare il gretto contenuto di classe della prima, dove i giudizi più astiosi sul movimento ascendente delle organizzazioni operaie e del socialismo male si nascondono sotto un manto di cattedratica altezzosità. La Rerum Novarum arriva, con grande sforzo, allo scorciar le distanze di trista memoria; giudica lo sciopero uno - sconcio grave-, e dietro alle organizzazioni a quel tempo già grandiose dei lavoratori vede i -capi occulti-, che le reggono con criteri contrari al pubblico bene. Tutto sommato, si tratta di documenti nei quali con troppa palese evidenza la gerarchia dirigente della Chiesa cattolica tenta l’ultima difesa dell’ordinamento economico, politico, sociale, cui essa è oggi legata. Lo rivela il momento stesso in cui vengono alla luce, non quando il capitalismo per aprirsi la strada e conquistare il mondo accumula miserie, infamie, stragi di adulti e di minorenni, ma quando i proletari, risvegliati e organizzati, sono diventati, per l’ordinamento borghese, una minaccia immanente.”
Non bisogna pensare che le condizioni dei lavoratori nell’industria nell’Ottocento fossero anche lontanamente paragonabili a quelle dei lavoratori dell’industria dei nostri giorni.
Scrive K. Marx ne Il Capitale:
“Non appena la classe operaia, frastornata dal fracasso della produzione, cominciò in qualche maniera a riaversi, dette inizio alla sua resistenza e dapprima nel paese in cui era nata la grande industria, in Inghilterra...Solo a partire dal Factory Act del 1833 -che s’applicava alle fabbriche per la lavorazione del cotone, della lana, del lino e della seta- data per l’industria moderna la giornata lavorativa normale...La legge del 1833 dichiara che la giornata lavorativa ordinaria di fabbrica deve iniziare alle 5 e mezzo di mattina e deve aver termine alle 8 e mezzo di sera e che entro questi limiti, entro un periodo di 15 ore, si deve ritenere come cosa legale far lavorare degli adolescenti (vale a dire persone tra i 13 e i 18 anni) in qualunque momento della giornata, tenendo presente che un medesimo adolescente non deve lavorare più di dodici ore entro una giornata, con l’eccezione di taluni casi preveduti in maniera speciale....Si proibì il lavoro per i bambini minori di 9 anni...il lavoro dei bambini dai 9 ai 13 anni fu ridotto ad 8 ore giornaliere. Il lavoro notturno, ossia , stando a quella legge, il lavoro tra le 8 e mezzo di sera e le 5 e mezzo di mattina, fu proibito per tutte le persone tra i 9 e i 18 anni... Il Factory act del 1850 ora (1867) in vigore accorda 10 ore per la giornata settimanale media, vale a dire 12 ore per i primi 5 giorni feriali, dalle 6 di mattina alle 6 di sera, da cui si devono però sottrarre mezz’ora per la colazione e un’ora per il pranzo....J. Leach dichiara:-Lo scorso inverno (1862) su 19 ragazze 6 ne mancarono insieme a causa di malattie contratte per l’eccessivo lavoro. Per tenerle sveglie debbo strillare-. W.Duffy:-Molte volte i bambini non potevano tenere aperti gli occhi per la stanchezza, ma spesso non li possiamo tenere aperti neanche noi-.J.Lightbourne:-Ho 13 anni...L’inverno passato abbiamo lavorato fino alle 9 di sera, e l’inverno prima fino alle 10. l’inverno passato piangevo quasi ogni sera per il dolore delle piaghe che avevo ai piedi-. G. Apsden:-Quando questo ragazzo aveva 7 anni ero solito portarlo sulle mie spalle attraverso la neve, andando e tornando dalla fabbrica, e lui normalmente lavorava 16 ore....molte volte mi dovevo inginocchiare per dargli da mangiare quando stava alla macchina, giacché non doveva né abbandonarla né fermarla-... il dott.Farre, sir A. Carlisle, sir B. Brodie, sir C. Bell, Mr. Guthrie, ecc, insomma tutti i più importanti medici e chirurghi londinesi avevano dichiarato nelle loro deposizioni alla Camera bassa che periculum in mora. Il dott. Farre s’era espresso in maniera un po’ più brutale:-Occorre immediatamente una legislazione per la prevenzione della morte in tutte le forme in cui essa può essere inflitta prematuramente, e sicuramente questo (delle fabbriche) si deve ritenere come uno dei più crudeli metodi di infliggere la morte”.
Come risulta dalle note storiche, ancora nel 1947 era assai vivo il contrasto tra la visione della questione sociale dei socialisti e comunisti, che proponevano la lotta di classe come strumento di giustizia sociale, e quella proposta dal magistero sociale della Chiesa Cattolica, basata sull'idea di risoluzione pacifica delle controversie sociali. L'Unione Europea, in fondo, ha accolto la visione cattolica del problema. Nell'enciclica commentata non era ancora maturata quella riflessione sulla democrazia politica come mezzo di realizzazione di un ordine più giusto della società che troverà espressione in successive pronunce del magistero sociale. L'ordine politico democratico consente di realizzare i principi di giustizia sociale anche quando il contrasto tra le parti sociali aventi interessi contrapposti permane e, quindi, in mancanza di un accordo fra di esse.
Mario Ardigò - AC San Clemente Papa - Roma, Montesacro, Valli