INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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venerdì 20 gennaio 2012

Enciclica Rerum Novarum - appunti

Appunti sull'Enciclica Rerum Novarum del Papa Leone XIII (1891)

La dottrina sociale della Chiesa ha avuto una storia, non è stata sempre la stessa nel tempo. Ciò non è dipeso solo dal mutare delle situazioni contingenti che determinavano certe pronunce autorevoli dei Papi, ma dal variare dei principi sociali che veniva proposti ai fedeli come norme per d'azione  nelle società civili. Ciò pur rimanendo costanti gli insegnamenti riguardanti la dottrina della fede. In particolare vi è stata un'evoluzione, dal 19° secolo ai nostri giorni, riguardo alla valutazione della democrazia come regime politico.
 Sebbene pronunce dei Papi riguardanti problemi sociali e politici siano rinvenibili anche nelle epoche precedenti, di solito si fa cominciare la storia della dottrina sociale della Chiesa dall'enciclica Rerum Novarum del papa Leone XIII, del 1891. Nel 19° secolo l'azione sociale dei cattolici in favore dei ceti più poveri era fiorita rigogliosa, come gli analoghi movimenti che in molte parti dell'Europa erano scaturiti in ambito cristiano anche al di fuori della cattolicità. Il riscatto degli strati più poveri della società era stato assunto come obiettivo anche dai movimenti di natura socialista, che però avevano intenti rivoluzionari. In ambito cattolico veniva invece maturando l'idea di agire per mutare pacificamente in senso maggiormente democratico l'organizzazione politica della società, in modo che anche gli interessi di chi stava peggio venissero meglio considerati. Tuttavia, alla fine del 19° secolo, la Chiesa cattolica, per quanto riguardava la situazione italiana, era ancora attestata sul divieto fatto ai fedeli cattolici di partecipare alla vita politica del Regno d'Italia, considerato usurpatore dei diritti della Chiesa di avere un proprio stato in Italia.  Nell'enciclica la possibilità di cooperare alla giustizia sociale mediante un impegno politico dei fedeli cattolici non viene considerata, mentre troviamo  proclamati importanti principi di azione sociale che sono ritenuti ancora validi ai nostri giorni.

APPUNTI SULL’ENCICLICA RERUM NOVARUM

 L’enciclica venne promulgata dal Papa Leone XIII il 15 maggio 1891, nel decimo anno di pontificato.
  Il testo integrale dell’enciclica può essere consultato all’indirizzo WEB
http://www.vatican.va/holy_father/leo_xiii/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_15051891_rerum-novarum_it.html
L’enciclica si compone di un’introduzione e di due parti, la prima dedicata alla critica del socialismo e la seconda ai rimedi alla questione operaia.
1.Sintesi dell’enciclica
Introduzione
 Parte dalla constatazione che i progressi nell’industria aveva creato occasione di conflitti tra padroni e operai: la questione operaia. Gli operai versavano in “assai misere condizioni, indegne dell’uomo”, la ricchezza si era accumulata in poche mani e si era largamente estesa la povertà, le istituzioni, gli operai erano rimasti “soli e indifesi in balia della concorrenza dei padroni e di una sfrenata concorrenza”: insomma un “piccolissimo numero di straricchi” aveva imposto “all’infinita moltitudine dei proletari un gioco poco meno che servile”. In questa situazione, nella quale tutti concordavano sulla estrema necessità di “venire in aiuto senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari” e che molti intendevano sfruttare “a perturbamento dei popoli“, il Papa sentì la necessità di intervenire al fine di “mettere in rilievo i principi con cui, secondo giustizia ed equità” si doveva “risolvere la questione”. 
Parte Prima: Il socialismo falso rimedio
 I socialisti volevano risolvere la questione operaia abolendo la proprietà privata. Secondo il Papa questa soluzione è dannosa per gli stessi operai e ingiusta, portando a scompigliare l’ordine sociale. La proprietà privata è definita nell’enciclica “diritto di natura”, nel senso di “conforme a natura“.
 Non è giusto privare il lavoratore della possibilità di investire in beni durevoli i suoi risparmi, per migliorare il proprio stato. Poiché l’uomo ha l’uso della ragione bisogna concedergli un diritto di proprietà stabile che riguardi anche le cose che l’uso non consumi, in modo che possa scegliere i mezzi che giudica più propri per il suo mantenimento. Tutti in qualche modo traggono il proprio sostentamento dal lavoro, imprimendo nei beni della natura un’impronta della propria personalità, ciò che giustifica la proprietà privata di tali beni. Si dichiara che “il frutto del lavoro deve appartenere a chi lavora”.
 Poiché la proprietà privata è un diritto naturale, le leggi non possono abolirla, venendo esse altrimenti a contrapporsi al diritto naturale, diventando ingiuste.
 Come la proprietà privata anche l’istituto della famiglia è di diritto naturale. Lo Stato non può ingerirsi nella vita della famiglia se non per porre rimedio a gravi ristrettezze o discordie.  In particolare lo Stato non può sostituirsi ai padri, come pretendono i socialisti, i figli essendo una espansione della personalità del padre che se ne deve prendere cura.
 Si dichiara che “... i socialisti, sostituendo alla provvidenza dei genitori quella dello Stato, vanno contro la giustizia naturale e disciolgono la compagine delle famiglie”. E inoltre che “le fonti stesse della ricchezza inaridirebbero, tolto ogni stimolo all’ingegno e all’industria individuale” e che “... nell’opera di migliorare le sorti delle classi operaie, deve porsi come fondamento inconcusso il diritto di proprietà privata”.
Parte Seconda. Il vero rimedio: l’unione delle associazioni
L’azione della Chiesa è indispensabile per la soluzione del problema, per ottenere la cooperazione dei governanti, dei padroni e dei ricchi, come pure degli stessi proletari.
 Rimuovere le disparità sociali è impossibile, a causa della grande varietà tra gli uomini. Tali disparità costituiscono anche un movente al lavoro.
 Il dolore non mancherà mai sulla terra, in quanto conseguenza del peccato.
 E’ necessaria la concordia tra le classi sociali, che può essere raggiunta componendo i dissidi attingendo alle ricchezze del cristianesimo.
 I ricchi e i proletari hanno doveri reciproci di giustizia. I proletari e gli operai dovranno astenersi dal ricorrere alla violenza, non dovranno mescolarsi ad uomini malvagi. I capitalisti non dovranno tenere gli operai come schiavi.“Quello che veramente è indegno  dell’uomo è abusarne come di cosa a scopo di guadagno, né stimarlo  più di quello che valgono i suoi nervi e le sue forze”. I padroni dovranno consentire agli operati di compiere i doveri religiosi, non distoglierli dai doveri verso le famiglie e non imporre loro lavori sproporzionati alle forze o mal confacenti con l’età e con il sesso. Dovranno dare a ciascuno la giusta retribuzione e non dovranno danneggiare i piccoli risparmi dell’operaio con violenza, frodi o usure manifeste o nascoste.
La Chiesa dovrà adoperarsi per riavvicinare il più possibile le due classi e per renderle amiche in un’ottica di carità. Dovrà raccomandarsi un uso delle ricchezze anche a beneficio degli altri; l’enciclica cita S.Tommaso “...l’uomo non deve possedere i beni esterni come propri, bensì come comuni, in modo che facilmente li comunichi all’altrui necessità. Onde l’Apostolo dice: Comanda ai ricchi di questo secolo di dare e comunicare facilmente il proprio”. Non deve poi essere considerato vergogna l’essere poveri o vivere del proprio lavoro. “La vera dignità dell’uomo è tutta morale” - sull’esempio di Cristo- “ossia riposta nella virtù; la virtù è patrimonio comune, conseguibile dai grandi e dai piccoli, dai ricchi e dai proletari”.
 Ma addirittura dovrà tendersi all’amicizia tra le classi sociali contrapposte, in quanto tutti, ricchi e proletari, sono fratelli in Cristo, “sono congiunti col vincolo di una santa fraternità”.
 Il cristianesimo deve nuovamente trasformare la società, essere nuovamente fonte di progresso umano. La società, in essa compresa la classe lavoratrice,  deve ritornare alla vita e ai costumi cristiani.
 La Chiesa, come già nei primi secoli, deve proseguire nell’opera di beneficenza per soccorrere i bisognosi, “non lasciando alcuna specie di miseria senza aiuto e conforto”.
 Anche lo Stato deve concorrere alla risoluzione della questione operaia, ordinando le leggi e le istituzioni politiche in modo da favorire i buoni costumi, il buon assetto della famiglia, l’osservanza della religione e della giustizia, l’imposizione moderata e l’equa distribuzione dei pubblici oneri, il progresso delle industrie e del commercio, il fiorire dell’agricoltura; “...provvedere al bene comune è  ufficio e competenza dello Stato”.  Lo Stato deve essere “armoniosa unità che abbraccia del pari le infime e le alte classi ... è stretto dovere dello Stato prendersi la dovuta cura del benessere degli operai... di provvedere ugualmente ad ogni ordine di cittadini, osservando con inviolabile imparzialità la giustizia cosiddetta distributiva”. “E’ quindi giusto che il governo s’interessi  dell’operaio, facendo sì che egli partecipi in qualche misura di quella ricchezza che esso medesimo produce, cosicché abbia vitto, vestito e un genere di vita meno disagiato”. Lo Stato deve adoperare la forza e l’autorità delle leggi  se la classe lavoratrice viene oppressa con ingiusti pesi dai padroni o avvilita da fatti contrari alla personalità e alla dignità umana; “il ceto dei ricchi, forte per sé stesso, abbisogna meno della pubblica difesa; le misere plebi, che mancano di sostegno proprio, hanno speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato”. Lo Stato dovrà tutelare la proprietà privata, tenendo a freno la cupidigia delle popolazioni e i “sobillatori“, per evitare che “si rechi danno ad altri nella roba”. Lo Stato dovrà porre rimedio al disordine grave e frequente degli scioperi; il rimedio più efficace e salutare darà di prevenire il male rimovendo le cause da cui si prevede che possa nascere il conflitto tra operai e padroni.Lo Stato dovrà imporre di concedere il riposo festivo ai lavoratori per consentire loro di adempiere i doveri religiosi. Dovrà poi sottrarre il povero operaio  all’inumanità degli avidi speculatori e stabilire dei limiti all‘orario di lavoro, specialmente per i lavori gravosi e per il lavoro delle donne e dei fanciulli.Dovrà stabilire minimi salariali perché l’operaio non si trovi a dover accettare, costretto dalla necessità, un compenso che non si sufficiente al suo sostentamento. Dovrà favorire il risparmio operaio, per accrescere il più possibile il numero dei proprietari, per conseguire una più equa ripartizione della ricchezza nazionale e per ravvicinare le classi sociali. Infatti, si osserva nell’enciclica, il progresso industriale “ha prodotto la divisione della società come in due caste, tra le quali ha scavato un abisso; da una parte un fazione strapotente perché straricca, la quale, avendo in mano ogni sorta di produzione e commercio, sfrutta per sé tutte le sorgenti della ricchezza ed esercita pure nell’andamento dello Stato una grande influenza; dall’altra una moltitudine  misera e debole, dall’animo esacerbato e pronto sempre a tumulti”.
   Le società di mutuo soccorso e le corporazioni di arti e mestieri possono contribuire a dirimere la questione operaia porgendo soccorsi ai bisognosi e perfezionando le arti.
  Nell’uomo vi è la naturale inclinazione ad associarsi ad altri. Lo Stato non può vietare agli uomini di associarsi in società private, costituite con lo scopo dell‘utile privato dei soci, quando esse non perseguono fini cattivi. Il diritto di unirsi in associazioni è un diritto naturale che non deve essere impedito senza giustificato motivo. Nella Chiesa vi sono molte forme di associazioni (sodalizi, collegi, ordini religiosi ecc.), i cui diritti legittimi spesso sono stati lesi dagli Stati. Anche gli operai cristiani hanno il diritto di costituire tra loro società private, anche per non dover essere costretti ad aderire a società che hanno metodi e scopi contrari alla religione, il più delle volte rette da “capi occulti“. Si ricorda, per encomiarla, l’opera di quanti tra i cattolici, conosciute le esigenze dei tempi, avevano fatto ogni sforzo per migliorare le condizioni degli operai. Si lodano i “congressi” cattolici, occasioni per consultarsi, comunicarsi le idee, unire le forze, cercare gli espedienti migliori.
 Le società operaie cattoliche dovranno essere libere di darsi propri ordinamenti. Dovranno essere organizzate in modo che “ciascuno degli associati ne tragga il maggior aumento possibile di benessere fisico, economico e morale“. Dovranno curare in special modo il perfezionamento religioso e morale. In esse, posto il fondamento degli statuti sociali nella religione, potranno trovare composizione le controversie tra padroni e operai, sottomettendo le questioni al giudizio di uomini retti e competenti.

Nota: Secondo G. De Rosa, Il Movimento cattolico in Italia, Bari,Laterza, 1979:
         “La redazione dell’enciclica leoniana fu affidata  a uomini di forte preparazione            filosofica, come il gesuita Matteo Liberatore e il cardinale Tommaso Zigliara, autori             rispettivamente del primo e del secondo schema”.

2.Contesto storico
 L’enciclica viene promulgata nell’epoca in cui veniva maturando lo scandalo politico - finanziario della Banca Romana, un crack che negli anni seguenti coinvolse importanti  politici del tempo, tra i quali Giovanni Giolitti (la cui figura è stata qualche volta accostata a quella di Craxi). Al governo era Antonio Rudinì, esponente della Destra, da poco succeduto a Francesco Crispi. Quest’ultimo aveva accentuato l’azione repressiva verso i movimenti operai e fomentato movimenti anticlericali. Scrive G. De Rosa in Il movimento cattolico in Italia  che
         “Chi era per l’avvenire era contro i metodi di Crispi, contro le dure repressioni, gli arresti         e i processi  per il moto dei Fasci siciliani, era contro  - i deplorati -, contro coloro cioè        che erano usciti compromessi dallo scandalo della Banca Romana”
 Il Rudinì dovette fronteggiare gravi problemi della finanza pubblica, tanto che il suo venne definito il “governo della lesina”. I laici cattolici si riunivano nell’Opera dei Congressi (1874-1904), organizzazione che comprendeva molteplici movimenti e associazioni originariamente a carattere caritativo-assistenziale e poi sempre più politico (prima in senso clericale e poi in senso democratico cristiano -v. oltre).  I cattolici non potevano partecipare alle elezioni politiche a seguito del non expedit della Penitenzieria apostolica del marzo 1871, interpretato in senso rigoroso dal Sant’Offizio nel giugno 1886 come vero e proprio divieto per i cattolici di accesso alle urne. Nel 1864 il Sillabo di Pio IX, sviluppato da un’idea del card.Pecci - il futuro Leone XIII,  aveva condannato razionalismo, democrazia, socialismo, comunismo e liberalismo. Il governo dello Stato era espressione di forze in larga maggioranza anticlericali. Tra gli operai avevano forte presa movimenti antireligiosi e anticlericali di stampo anarchico e socialista. Scrive G. De Rosa, op.cit.:
         “Alle attività dei circoli operai partecipavano gli studenti delle università che leggevano la      -Critica Sociale-, Spencer, Ardigò e Marx”.
 Per altro l’Italia era un paese con un’economia in gran parte agricola e la Chiesa cattolica manteneva un’influenza sulle popolazioni rurali.
 Ai tempi dell’enciclica da almeno trent’anni erano sorte associazioni cattoliche che operava attivamente in ambito religioso-caritativo nel senso auspicato nell’enciclica medesima. Scrive G.De Rosa, op.cit.:
         “La Rerum Novarum non fu una soluzione improvvisa e improvvisata della questione             sociale, ma il sigillo della suprema autorità  a una dottrina lentamente ma sicuramente             sviluppatasi per merito dello studio e dell’attività di dotti e ardimentosi membri della             gerarchia e del laicato cattolico ...”.
L’enciclica fu di stimolo ad alcuni laici cattolici per iniziare un movimento più schiettamente politico centrato su “un complesso di principi e di criteri di azione saldi e certi” che dovevano informare la vita pubblica, movimento da Romolo Murri denominato “democrazia cristiana”. Tale sviluppo  fu per altro osteggiato dallo stesso papa Leone XIII che nell’enciclica Graves de communi   promulgata il 18-1-1901 avvertiva che con il termine “democrazia cristiana” non si poteva coprire
           “...alcun fine politico di portare al potere il popolo, promovendo questa forma di             governo  in luogo di altre; che per tal modo, mirando al bene della plebe, e mettendo in             disparte gli interesse delle altre classi , sembri rimpicciolirsi l’azione della religione             cristiana; e che finalmente sotto la speciosità  del nome si voglia in certo modo             nascondere il proposito di sottrarsi alle legittime autorità nell’ordine civile ed             ecclesiastico ... Non sia lecito dare un senso politico alla democrazia cristiana. Perché             sebbene la parola  “democrazia”, chi guardi all’etimologia e all’uso dei filosofi, serva ad             indicare una forma di governo popolare, tuttavia nel nostro caso, smesso ogni senso             politico, non deve significare se non una benefica azione cristiana a favore del popolo”.
Scrive G. De Rosa, op.cit.:
         “Tutte le correnti democratiche cristiane europee ricevettero impulso dalla Rerum         Novarum, si sentirono confortate nella loro azione tendente a provare che il prete, il   cattolico militante non era dalla parte del padrone e che non avrebbe lasciato l’operaio e     le plebi rurali senza difesa”.
 La Lega dei Comunisti era stata costituita a Londra nel 1847. Il Manifesto del partito comunista  di Karl Marx e Friedrich Engels è del febbraio 1848. Nel 1867 era uscito il primo libro de Il Capitale  di Karl Marx. Nel 1892 venne costituito a Genova il partito socialista italiano.
 Scrive G. De Rosa in Il movimento cattolico in Italia:
         “In breve, con l’enciclica Rerum Novarum incominciava per il cattolicesimo militante  e           per l’Opera dei congressi un’altra storia, una storia che immetteva nelle file dell’intransigenza una carica di entusiasmo e di vitalità ben diversa che nel passato: il         movimento sociale, fino ad allora un po’ ansimante e combattuto fra diverse tendenze,            prendeva grande impetuoso slancio, sollecitato anche dalla concorrenza socialista, che           specialmente nelle città lasciava oramai pochissimo spazio all’iniziativa dei cattolici    organizzati.”
G. De Rosa, nell’opera citata, scrive che L.Sturzo si espresse in questi termini in un discorso dal titolo Leone XIII e la civiltà moderna pronunciato a Caltagirone il 2-8-1903:
         “Destò ... gran meraviglia, quando questo vecchio di circa 82 anni, nel 1891 pubblicò             l’enciclica Rerum Novarum sulla condizione degli operai, e parve allora, nell’agitarsi delle teorie che presiedono allo sviluppo di questa nuova corrente sociale, parve quasi       socialistica, e persino i governi ancora liberali nell’anima loro borghese temettero; temettero molti, anche ecclesiastici, di questa nuova forza unita al popolo, e dalle       lontane Americhe si volevano sconfessati i cavalieri del lavoro e dall’Austria vicina i             cristiani sociali di Lueger, e dalle nazioni latine i democratici cristiani.”
Scrive anche G. De Rosa, opera citata:
            “Quando uscì la Rerum Novarum non era per nulla pacifico tra i cattolici che si potesse             invocare l’aiuto dello Stato per la tutela dei diritti degli operai e nemmeno era pacifico             quale dovesse essere il salario dell’operaio. incertezze regnavano anche attorno al    principio della libertà di associazione...”
Scrive P. Togliatti nell’introduzione a Manifesto del partito comunista, Roma, Editori Riuniti, 1947:
         “E che dire delle Encicliche sociali,  che si cerca di contrapporre al Manifesto,  come se             contenessero una superiore dottrina e più profondamente avessero esercitato la loro efficacia negli ultimi decenni della storia contemporanea? Mancano esse, prima di tutto,            di qualsiasi forza dimostrativa, sia per l’assenza di una esatta visione dei problemi e           contrasti del mondo moderno, che non sono né quelli del mondo ebraico né del primo       Cristianesimo né del Medioevo,  né, per dirla in breve, della carità in generale, sia per           l’abusata gesuitica maniera di storcere e contraffare il pensiero altrui per avere facile la            polemica. Delle due parti su cui esse son tutte costruite, la seconda, che reclama con            grande cautela provvidenze a favore dei lavori in nome dei principi della morale cattolica, mal serve a celare il gretto contenuto di classe della prima, dove i giudizi più             astiosi sul movimento ascendente delle organizzazioni operaie e  del socialismo male si             nascondono sotto  un manto di cattedratica altezzosità.  La Rerum Novarum arriva, con             grande sforzo, allo scorciar le distanze di trista memoria; giudica lo sciopero uno -        sconcio grave-, e dietro alle organizzazioni a quel tempo già grandiose dei lavoratori      vede i -capi occulti-, che le reggono con criteri contrari al pubblico bene. Tutto            sommato, si tratta di documenti nei quali con troppa palese evidenza  la gerarchia      dirigente della Chiesa cattolica tenta l’ultima difesa dell’ordinamento economico,       politico, sociale, cui essa è oggi legata. Lo rivela il momento stesso in cui vengono alla     luce, non quando il capitalismo per aprirsi la strada e conquistare il mondo accumula      miserie, infamie, stragi di adulti e di minorenni, ma quando i proletari, risvegliati e             organizzati, sono diventati, per l’ordinamento borghese, una minaccia immanente.”
 Non bisogna pensare che le condizioni dei lavoratori nell’industria nell’Ottocento fossero anche lontanamente paragonabili a quelle dei lavoratori dell’industria dei nostri giorni.
 Scrive K. Marx ne Il Capitale:
         “Non appena la classe operaia, frastornata dal fracasso della produzione, cominciò in             qualche maniera a riaversi, dette inizio alla sua resistenza e dapprima nel paese in cui          era nata la grande industria, in Inghilterra...Solo a partire dal Factory Act del 1833 -che      s’applicava alle fabbriche per la lavorazione del cotone, della lana, del lino e della seta- data per l’industria moderna la giornata lavorativa normale...La legge del 1833 dichiara       che la giornata lavorativa ordinaria di fabbrica deve iniziare alle 5 e mezzo di mattina e           deve aver termine alle 8 e mezzo di sera e che entro questi limiti, entro un periodo di 15         ore, si deve ritenere come cosa legale far lavorare degli adolescenti (vale a dire persone tra i 13 e i 18 anni) in qualunque momento della giornata, tenendo presente che un      medesimo adolescente non deve lavorare più di dodici ore entro una giornata, con             l’eccezione  di taluni casi preveduti in maniera speciale....Si proibì il lavoro per i bambini             minori di 9 anni...il lavoro dei bambini dai 9 ai 13 anni fu ridotto ad 8 ore giornaliere. Il             lavoro notturno, ossia , stando a quella legge, il lavoro tra le 8 e mezzo di sera e le 5 e             mezzo di mattina, fu proibito per tutte le persone tra i 9 e i 18 anni... Il Factory act del   1850  ora (1867) in vigore accorda 10 ore per la giornata settimanale media, vale a dire     12 ore  per i primi 5 giorni feriali, dalle 6 di mattina alle 6 di sera, da cui si devono però           sottrarre mezz’ora per la colazione e un’ora per il pranzo....J. Leach dichiara:-Lo scorso     inverno (1862) su 19 ragazze 6 ne mancarono insieme a causa di malattie contratte per          l’eccessivo lavoro. Per tenerle sveglie debbo strillare-. W.Duffy:-Molte volte i bambini     non potevano tenere aperti gli occhi per la stanchezza, ma spesso non li possiamo   tenere aperti neanche noi-.J.Lightbourne:-Ho 13 anni...L’inverno passato abbiamo             lavorato fino alle 9 di sera, e l’inverno prima fino alle 10. l’inverno passato piangevo   quasi ogni sera per il dolore delle piaghe che avevo ai piedi-. G. Apsden:-Quando    questo ragazzo aveva 7 anni ero solito portarlo sulle mie spalle attraverso la neve,            andando e tornando dalla fabbrica, e lui normalmente lavorava 16 ore....molte volte mi dovevo inginocchiare per dargli da mangiare quando stava alla macchina, giacché non          doveva né abbandonarla né fermarla-... il dott.Farre, sir A. Carlisle, sir B. Brodie, sir C.          Bell, Mr. Guthrie, ecc, insomma  tutti i più importanti medici e chirurghi londinesi       avevano dichiarato nelle loro deposizioni alla Camera bassa che periculum in mora. Il             dott. Farre s’era espresso in maniera un po’ più brutale:-Occorre immediatamente una             legislazione per la prevenzione della morte in tutte le forme in cui essa può essere      inflitta prematuramente, e sicuramente questo (delle fabbriche) si deve ritenere come             uno dei più crudeli metodi di infliggere la morte”.
 Come risulta dalle note storiche, ancora nel 1947 era assai vivo il contrasto tra la visione della questione sociale dei socialisti e comunisti, che proponevano la lotta di classe come strumento di giustizia sociale, e quella proposta dal magistero sociale della Chiesa Cattolica, basata sull'idea di risoluzione pacifica delle controversie sociali. L'Unione Europea, in fondo, ha accolto la visione cattolica del problema. Nell'enciclica commentata non era ancora maturata quella riflessione sulla democrazia politica come mezzo di realizzazione di un ordine più giusto della società che troverà espressione in successive pronunce del magistero sociale. L'ordine politico democratico consente di realizzare i principi di giustizia sociale anche quando il contrasto tra le parti sociali aventi interessi contrapposti permane e, quindi, in mancanza di un accordo fra di esse.
 Mario Ardigò - AC San Clemente Papa - Roma, Montesacro, Valli