La democrazia e i cattolici
In Italia viviamo in un regime politico di democrazia avanzata, simile a quelli che reggono gli altri stati dell'Unione Europea. All'elaborazione della Costituzione italiana vigente diedero un contributo fondamentale cattolici come Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti, Aldo Moro, Amintore Fanfani, Costantino Mortati. Nel magistero sociale successivo alla seconda guerra mondiale i regimi politici democratici, che implicano il rispetto della persona umana nei suoi spazi di autodeterminazione e di relazioni sociali e la più ampia partecipazione alle scelte di governo della società, sono indicati come quelli che meritano di essere preferiti dai cattolici. Conseguentemente si è anche ragionato per trovare fondamenti religiosi, e in particolare evangelici, ai principi umanitari sui quali le democrazie contemporanee si fondano, che comprendono anche, ad esempio, l'obiettivo di un'equa distribuzione della ricchezza prodotta dalla società. E certamente se ne possono trovare. Tuttavia, volendo approfondire la questione, al di là della semplice apologetica, che è come dire della "propaganda" religiosa, occorre riconoscere che la democrazia come regime politico si è affermata storicamente trovando resistenze e opposizioni nelle autorità religiose cattoliche. Talvolta ciò è dipeso dal carattere antireligioso dei movimenti democratici, ma non sempre.
La situazione italiana è stata poi molto particolare, per il fatto che, fino al 1870, il Papa fu uno dei prìncipi regnanti che si opposero ai movimenti, non antireligiosi, che chiedevano riforme degli stati italiani in senso democratico, con la concessione di "costituzioni" e operavano per l'unità nazionale italiana.
Dal 1868, anno in cui un organismo della curia papale (con l'assenso del Papa) dichiarò che non conveniva che i cattolici partecipassero alle elezioni sia come elettori che come candidati (è il cosiddetto non expedit), fIno al 1909, anno in cui il Papa consentì ad un organismo laicale cattolico di stipulare un patto elettorale, ai cattolici italiani fu espressamente vietato di partecipare democraticamente all'attività politica del Regno d'Italia, considerato come violento usurpatore del diritti dei Papi di avere in Italia un proprio stato. Dopo la breve esperienza del Partito Popolare Italiano, negli anni '20 del secolo scorso, formazione politica fondata dal sacerdote don Luigi Sturzo e che si ispirava al magistero cattolico ma che agiva sotto l'esclusiva responsabilità dei suoi membri, senza alcun assenso o riconoscimento del Papa o dei vescovi italiani, il Papa, con i Patti Lateranensi del 1929, concluse un accordo con il regime fascista di Benito Mussolini, già marcatamente totalitario, accettando di limitare l'attività della Chiesa in Italia, compresa quella delle associazioni laicali, alla materia religiosa, conseguendo dal regime l'assicurazione di spazi di libertà per il Papa, i vescovi e l'organizzazione religiosa cattolica e la creazione, intorno a S.Pietro in Vaticano, di un simulacro di stato denominato "Città del Vaticano". Per favorire la conclusione di quegli accordi, Sturzo ricevette disposizioni di lasciare l'attivitá politica e, in seguito,lasciò anche l'Italia.
La prima pronuncia di un Papa con l'espressione della preferenza per il regime politico democratico si rinviene nel radiomessaggio natalizio del Papa Pio XII del 24 dicembre 1944, del quale di seguito si riporta un estratto con le dichiarazioni sulla democrazia.
In conclusione: l'adesione della Chiesa cattolica alla democrazia come regime politico preferibile per il governo delle comunità politiche è piuttosto recente e viene dopo un lungo periodo di ostilità prima e di indifferenza poi. Remore e sospetti non mancano anche oggi, talvolta. Infatti si teme che le decisioni delle maggioranze politiche finiscano per colpire principi irrinunciabili. La stessa Chiesa cattolica, che comunque non è una comunità politica, non è organizzata democraticamente (anche se elementi di democrazia sono stati inseriti con la costituzione di vari "consigli" che ausiliano l'episcopato e addirittura il Papa in vari settori), mentre è organizzata come stato assoluto la Città del Vaticano.
In conseguenza di quanto sopra osservato emerge l'importanza di una sistematica formazione e di un costante tirocinio dei cattolici nei vari aspetti della democrazia contemporanea. Una lunga storia parla contro di noi e rende sospettosi coloro con cui entriamo in relazione nella vita democratica. Per incidere nelle società contemporanea occorre che facciamo pratica di democrazia, innanzi tutto tra noi e poi con gli altri ai quali vogliamo rivolgere l"annuncio di fede. Questa è una delle attività di un gruppo di Azione Cattolica.
Mario Ardigò - AC S.Clemente Papa - Roma, Montesacro, Valli
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Dal radiomessaggio natalizio del Papa Pio XII del 24 dicembre 1944
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Queste moltitudini, irrequiete, travolte dalla guerra fin negli strati più profondi, sono oggi invase dalla persuasione — dapprima, forse, vaga e confusa, ma ormai incoercibile — che, se non fosse mancata la possibilità di sindacare .e di correggere l'attività dei poteri pubblici, il mondo non sarebbe stato trascinato nel turbine disastroso della guerra e che affine di evitare per l'avvenire il ripetersi di una simile catastrofe, occorre creare nel popolo stesso efficaci garanzie.
In tale disposizione degli animi, vi è forse da meravigliarsi se la tendenza democratica investe i popoli e ottiene largamente il suffragio e il consenso di coloro che aspirano a collaborare più efficacemente ai destini degli individui e della società?
È appena necessario di ricordare che, secondo gl'insegnamenti della Chiesa, «non è vietato di preferire governi temperati di forma popolare, salva però la dottrina cattolica circa l'origine e l'uso del potere pubblico », e che « la Chiesa non riprova nessuna delle varie forme di governo, purché adatte per sé a procurare il bene dei cittadini » (Leon. XIII Encycl. «Libertas », 20 giugno 1888, in fin.).
Se dunque in questa solennità, che commemora ad un tempo la benignità del Verbo incarnato e la dignità dell'uomo (dignità intesa non solo sotto il rispetto personale, ma anche nella vita sociale), Noi indirizziamo la Nostra attenzione al problema della democrazia, per esaminare secondo quali norme deve essere regolata, per potersi dire una vera e sana democrazia, confacente alle circostanze dell'ora presente; ciò indica chiaramente che la cura e la sollecitudine della Chiesa rivolta non tanto alla sua struttura e organizzazione esteriore, — le quali dipendono dalle aspirazioni proprie di ciascun popolo, — quanto all'uomo, come tale, che, lungi dall'essere l'oggetto e un elemento passivo della vita sociale, ne invece, e deve esserne e rimanerne, il soggetto, il fondamento e il fine.
Premesso che la democrazia, intesa in senso largo, ammette varie forme e può attuarsi così nelle monarchie come nelle repubbliche, due questioni si presentano al Nostro esame:
l° Quali caratteri debbono contraddistinguere gli uomini, che vivono nella democrazia e sotto il regime democratico? 2° Quali caratteri debbono contraddistinguere gli uomini, che nella democrazia tengono il pubblico potere?
I. CARATTERI PROPRI DEI CITTADINI
IN REGIME DEMOCRATICO
Esprimere il proprio parere sui doveri e i sacrifici, che gli vengono imposti; non essere costretto ad ubbidire senza essere stato ascoltato: ecco due diritti del cittadino, che trovano nella democrazia, come indica il suo nome stesso, la loro espressione. Dalla solidità, dall'armonia, dai buoni frutti di questo contatto tra i cittadini e il governo dello Stato, si può riconoscere se una democrazia è veramente sana ed equilibrata, e quale sia la sua forza di vita e di sviluppo. Per quello poi che tocca l'estensione e la natura dei sacrifici richiesti a tutti i cittadini, — al tempo nostro in cui così vasta e decisiva è l'attività dello Stato, la forma democratica di governo apparisce a molti come un postulato naturale imposto dalla stessa ragione. Quando però si reclama « più democrazia e migliore democrazia », una tale esigenza non può avere altro significato che di mettere il cittadino sempre più in condizione di avere la propria opinione personale, e di esprimerla e farla valere in una maniera confacente al bene comune.
Popolo e « massa »
Da ciò deriva una prima conclusione necessaria, con la sua conseguenza pratica. Lo Stato non contiene in sé e non aduna meccanicamente in un dato territorio un'agglomerazione amorfa d'individui. Esso è, e deve essere in realtà, l'unità organica e organizzatrice di un vero popolo.
Popolo e moltitudine amorfa o, come suol dirsi, « massa » sono due concetti diversi. Il popolo vive e si muove per vita propria; la massa è per sé inerte, e non può essere mossa che dal di fuori. Il popolo vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono, ciascuno dei quali — al proprio posto e nel proprio modo — è una persona consapevole delle proprie responsabilità e delle proprie convinzioni. La massa, invece, aspetta l'impulso dal di fuori, facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gl'istinti o le impressioni, pronta a seguire, a volta a volta, oggi questa, domani quell'altra bandiera. Dalla esuberanza di vita d'un vero popolo la vita si effonde, abbondante, ricca, nello Stato e in tutti i suoi organi, infondendo in essi, con vigore incessantemente rinnovato, la consapevolezza della propria responsabilità, il vero senso del bene comune. Della forza elementare della massa, abilmente maneggiata ed usata, può pure servirsi lo Stato: nelle mani ambiziose d'un solo o di più, che le tendenze egoistiche abbiano artificialmente raggruppati, lo Stato stesso può, con l'appoggio della massa, ridotta a non essere più che una semplice macchina, imporre il suo arbitrio alla parte migliore del vero popolo: l'interesse comune ne resta gravemente e per lungo tempo colpito e la ferita è bene spesso difficilmente guaribile.
Da ciò appare chiara un'altra conclusione : la massa — quale Noi abbiamo or ora definita — è la nemica capitale della vera democrazia e del suo ideale di libertà e di uguaglianza.
In un popolo degno di tal nome, il cittadino sente in se stesso la coscienza della sua personalità, dei suoi doveri e dei suoi diritti, della propria libertà congiunta col rispetto della libertà e della dignità altrui. In un popolo degno di tal nome, tutte le ineguaglianze, derivanti non dall'arbitrio, ma dalla natura stessa delle cose, ineguaglianze di cultura, di averi, di posizione sociale — senza pregiudizio, ben inteso, della giustizia e della mutua carità — non sono affatto un ostacolo all'esistenza ed al predominio di un autentico spirito di comunità e di fratellanza. Che anzi esse, lungi dal ledere in alcun modo l'uguaglianza civile, le conferiscono il suo legittimo significato, che cioè, di fronte allo Stato, ciascuno ha il diritto di vivere onoratamente la propria vita personale, nel posto e nelle condizioni in cui i disegni e le disposizioni della Provvidenza l'hanno collocato.
In contrasto con questo quadro dell'ideale democratico di libertà e d'uguaglianza in un popolo governato da mani oneste e provvide, quale spettacolo offre uno Stato democratico lasciato all'arbitrio della massa! La libertà, in quanto dovere morale della persona, si trasforma in una pretensione tirannica di dare libero sfogo agl'impulsi e agli appetiti umani a danno degli altri. L'uguaglianza degenera in un livellamento meccanico, in una uniformità monocroma: sentimento del vero onore, attività personale, rispetto della tradizione, dignità, in una parola, tutto quanto dà alla vita il suo valore, a poco a poco, sprofonda e dispare. E sopravvivono soltanto, da una parte, le vittime illuse del fascino appariscente della democrazia, confuso ingenuamente con lo spirito stesso della democrazia, con la libertà e l'uguaglianza; e, dall'altra parte, i profittatori più o meno numerosi che hanno saputo, mediante la forza del danaro o quella dell'organizzazione, assicurarsi sugli altri una condizione privilegiata e lo stesso potere.
II. CARATTERI DEGLI UOMINI
CHE NELLA DEMOCRAZIA TENGONO IL PUBBLICO POTERE
Lo Stato democratico, sia esso monarchico o repubblicano, deve, come qualsiasi altra forma di governo, essere investito del potere di comandare con una autorità vera ed effettiva. Lo stesso ordine assoluto degli esseri e dei fini, che mostra l'uomo come persona autonoma, vale a dire soggetto di doveri e di diritti inviolabili, radice e termine della sua vita sociale, abbraccia anche lo Stato come società necessaria, rivestita dell'autorità, senza la quale non potrebbe né esistere né vivere. Che se gli uomini, prevalendosi della libertà personale, negassero ogni dipendenza da una superiore autorità munita del diritto di coazione, essi scalzerebbero con ciò stesso il fondamento della loro propria dignità e libertà, vale a dire quell'ordine assoluto degli esseri e dei fini.
Stabiliti su questa medesima base, la persona, lo Stato, il pubblico potere, con i loro rispettivi diritti, sono stretti e connessi in tal modo che o stanno o rovinano insieme.
E poiché quell'ordine assoluto, alla luce della sana ragione, e segnatamente della fede cristiana, non può avere altra origine che in un Dio personale, nostro Creatore, consegue che la dignità dell'uomo è la dignità dell'immagine di Dio, la dignità, dello Stato è la dignità della comunità morale voluta da Dio, la dignità dell'autorità politica la dignità della sua partecipazione all'autorità di Dio.
Nessuna forma di Stato può non tener conto di questa intima e indissolubile connessione; meno di ogni altra la democrazia. Pertanto, se chi ha il pubblico potere non la vede o più o meno la trascura, scuote nelle sue basi la sua propria autorità. Parimente, se egli non terrà abbastanza in conto questa relazione, e non vedrà nella sua carica la missione di attuare l'ordine voluto da Dio, sorgerà il pericolo che l'egoismo del dominio o degli interessi prevalga sulle esigenze essenziali della morale politica e sociale, e che le vane apparenze di una democrazia di pura forma servano spesso come di maschera a quanto vi è in realtà di meno democratico.
Soltanto la chiara intelligenza dei fini assegnati da Dio ad ogni società umana, congiunta col sentimento profondo dei sublimi doveri dell'opera sociale, può mettere quelli, a cui è affidato il potere, in condizione di adempire i propri obblighi di ordine sia legislativo, sia giudiziario od esecutivo, con quella coscienza della propria responsabilità., con quella oggettività, con quella imparzialità, con quella lealtà, con quella generosità, con quella incorruttibilità, senza le quali un governo democratico difficilmente riuscirebbe ad ottenere il rispetto, la fiducia e l'adesione della parte migliore del popolo.
Il sentimento profondo dei principi di un ordine politico e sociale, sano e conforme alle norme del diritto e della giustizia, è di particolare importanza in coloro che, in qualsiasi forma di regime democratico, hanno come rappresentanti del popolo, in tutto o in parte, il potere legislativo. E poiché il centro di gravità di una democrazia normalmente costituita risiede in questa rappresentanza popolare, da cui le correnti politiche s'irradiano in tutti i campi della vita pubblica — così per il bene come per il male —, la questione della elevatezza morale, della idoneità pratica, della capacità intellettuale dei deputati al parlamento, è per ogni popolo in regime democratico una questione di vita o di morte, di prosperità o di decadenza, di risanamento o di perpetuo malessere.
Per compiere un'azione feconda, per conciliare la stima e la fiducia, qualsiasi corpo legislativo deve - come attestano indubitabili esperienze - raccogliere nel suo seno una eletta di uomini, spiritualmente eminenti e di fermo carattere, che si considerino come i rappresentanti dell'intero popolo e non già come i mandatari di una folla, ai cui particolari interessi spesso purtroppo sono sacrificati i veri bisogni e le vere esigenze del bene comune. Una eletta di uomini, che non sia ristretta ad alcuna professione o condizione, bensì che sia l'immagine della molteplice vita di tutto il popolo. Una eletta di uomini di solida convinzione cristiana, di giudizio giusto e sicuro, di senso pratico ed equo, coerente con se stesso in tutte le circostanze; uomini di dottrina chiara e sana, di propositi saldi e rettilinei, uomini soprattutto capaci, in virtù dell'autorità che emana dalla loro pura coscienza e largamente s'irradia intorno ad essi, di essere guide e capi specialmente nei tempi in cui le incalzanti necessità sovreccitano la impressionabilità del popolo, e lo rendono più facile ad essere traviato e a smarrirsi; uomini che nei periodi di transizione, generalmente travagliati e lacerati dalle passioni, dalle divergenze delle opinioni e dalle opposizioni dei programmi, si sentono doppiamente in dovere di far circolare nelle vene del popolo e dello Stato, arse da mille febbri, l'antidoto spirituale delle vedute chiare, della bontà premurosa, della giustizia ugualmente favorevole a tutti, e la tendenza della volontà verso l'unione e la concordia nazionale in uno spirito di sincera fratellanza.
I popoli, il cui temperamento spirituale e morale è bastantemente sano e fecondo, trovano in se stessi e possono dare al mondo gli araldi e gli strumenti della democrazia, che vivono in quelle disposizioni e le sanno mettere realmente in atto. Dove invece mancano tali uomini, altri vengono ad occupare il loro posto, per far dell'attività politica l'arena della loro ambizione, una corsa ai guadagni per se stessi, per la loro casta o per la loro classe, mentre la caccia agl'interessi particolari fa perdere di vista e mette in pericolo il vero bene comune.
L'assolutismo di Stato
Una sana democrazia, fondata sugl'immutabili principi della legge naturale e delle verità rivelate, sarà risolutamente contraria a quella corruzione, che attribuisce alla legislazione dello Stato un potere senza freni né limiti, e che fa anche del regime democratico, nonostante le contrarie ma vane apparenze, un puro e semplice sistema di assolutismo.
L'assolutismo di Stato (da non confondersi, in quanto tale, con la monarchia assoluta, di cui qui non si tratta) consiste infatti nell'erroneo principio che l'autorità dello Stato è illimitata, e che di fronte ad essa — anche quando dà libero corso alle sue mire dispotiche, oltrepassando i confini del bene e del male, — non è ammesso alcun appello ad una legge superiore e moralmente obbligante.
Un uomo compreso da rette idee intorno allo Stato e all'autorità e al potere di cui è rivestito, in quanto custode dell'ordine sociale, non penserà mai di offendere la maestà della legge positiva nell'ambito della sua naturale competenza. Ma questa maestà del diritto positivo umano allora soltanto è inappellabile, se si conforma — o almeno non si oppone — all'ordine assoluto, stabilito dal Creatore e messo in una nuova luce dalla rivelazione del Vangelo. Essa non può sussistere, se non in quanto rispetta il fondamento, sul quale si appoggia la persona umana, non meno che lo Stato e il pubblico potere. È questo il criterio fondamentale di ogni sana forma di governo, compresa la democrazia; criterio col quale deve essere giudicato il valore morale di ogni legge particolare.
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