“Si sentirono trafiggere il cuore” (At 2,37)
La gioia di igenerare alla fede nella Chiesa di Roma
Relazione del Cardinale Vicario
Cari fratelli e sorelle !
1. Un cordiale saluto a tutti e grazie per la vostra presenza, che testimonia l’impegno per un sempre più fruttuoso servizio pastorale nella nostra Chiesa di Roma.
Filiale gratitudine desideriamo esprimere al Santo Padre per aver voluto anche quest’anno aprire con il suo Discorso di ieri sera la nostra riflessione.
Ringrazio di cuore Mons. Andrea Lonardo, Direttore dell’Ufficio Catechistico del Vicariato, per averci offerto i dati della situazione sull’iniziazione cristiana nella nostra diocesi. Sono riconoscente anche agli Amici per le testimonianze appena ascoltate e ai Parroci per i contributi inviati. Un grazie sincero infine al Segretario Generale e alla sua Segreteria per la parte organizzativa.
L’itinerario della verifica pastorale
2. Una prima parola vorrei dire per contestualizzare il tema che affronteremo quest’anno, quello dell’iniziazione cristiana.
Siamo tutti consapevoli del momento storico che viviamo, del clima culturale che sembra invadere le menti e i cuori di tante persone, degli stili di vita che si vanno imponendo, soprattutto tra le nuove generazioni. In questo quadro la nostra pastorale, che si fondava tradizionalmente su un tessuto a maggioranza cristiano, è chiamata ad un “aggiornamento” (nel significato che questo termine ha avuto nel Concilio Vaticano II) in senso più marcatamente missionario. Dal Sinodo diocesano in poi si è lavorato in questa direzione, ma tanta strada resta da fare con coraggio e determinazione, tentando vie nuove, avvalendoci delle esperienze migliori, mettendoci costantemente in discussione.
Da questa presa di coscienza è stata motivata la verifica pastorale, i cui primi frutti appaiono promettenti. Dopo il Convegno diocesano 2009 - un convegno di quadro generale - sul tema Appartenenza ecclesiale e corresponsabilità pastorale, abbiamo scelto di prendere in esame in successione gli ambiti principali della pastorale ordinaria. Così l’anno scorso ci siamo interrogati su Eucarestia domenicale e testimonianza della carità, a cui hanno fatto seguito gli orientamenti che, sostenuti da sussidi e da momenti formativi offerti particolarmente ai collaboratori pastorali, mirano a migliorare nei fedeli la coscienza della fede eucaristica e della carità nella vita quotidiana. Il Santo Padre ieri ci ha incoraggiato “affinché la celebrazione del Mistero dell’altare sia vissuto sempre più quale sorgente da cui attingere la forza per una più incisiva testimonianza della carità, che rinnovi il tessuto sociale della nostra città”. Desidero esprimere un vivo ringraziamento ai Parroci e ai Responsabili delle altre comunità ecclesiali per aver favorito la partecipazione a questi cammini formativi.
Con il Convegno di quest’anno iniziamo la verifica sull’iniziazione cristiana che, a Dio piacendo, con gli apporti delle parrocchie, delle cappellanie e il Convegno del 2012, ci permetterà di formulare gli orientamenti pastorali da realizzare successivamente.
L’iniziazione cristiana è un ambito pastorale fondamentale, a cui tutte le comunità parrocchiali e le altre realtà ecclesiali educative da sempre si dedicano con passione. Tradizionalmente ha avuto come destinatari i bambini e i ragazzi battezzati che si preparano ai sacramenti dell’Eucarestia e della Confermazione. Da molti anni si occupa anche di adulti non battezzati, in un numero molto minore anche se crescente, i quali chiedono di entrare nella Chiesa seguendo l’ordinamento catecumenale stabilito dal Rito dell’Iniziazione cristiana degli adulti (RICA) in vigore dal 1979.
E’ un argomento complesso che nella prassi spesso registra accanto a buoni risultati anche il disagio nel costatare la scarsezza di frutti immediati rispetto alle energie profuse e il desiderio di cambiamento. Ma è anche un argomento difficile per il convergere in esso di un insieme di altre problematiche che riguardano la famiglia, gli stili di vita, le dominanti culturali soprattutto giovanili, la formazione dei catechisti, l’organizzazione della catechesi,ecc.; problematiche che interferiscono e condizionano l’iniziazione cristiana, che non è isolata dall’impianto generale della pastorale bisognosa di essere più marcatamente missionaria . Siamo pure concordi nel ritenere che non esistono soluzioni miracolose, buone per tutte le esigenze, che sono molto differenziate. Questa mia relazione intende offrire una traccia e alcuni materiali di riflessione per la verifica nelle assemblee parrocchiali e negli incontri di prefettura.
La pienezza della vita: orizzonte dell’iniziazione cristiana
3. Cominciamo col porci una prima domanda: a quale orizzonte vogliamo guardare ragionando di iniziazione cristiana ? A me sembra importante non limitare l’attenzione ad una semplice revisione delle prassi e degli strumenti o agli adattamenti da fare, considerando soltanto la catechesi, quasi bastasse adottare nuove metodologie. Sarebbe come entrare in un vicolo angusto che non ci porterebbe da nessuna parte. Naturalmente al termine della verifica - come ci ricordava ieri don Andrea - qualche orientamento comune e una prassi più unitaria potranno imporsi e sono desiderati da tutti, proprio perché una proposta educativa più forte e condivisa giova a tutti. Ma lo vedremo a suo tempo. Ciò che conta ora è darci degli obiettivi di fondo, costruire un quadro di comprensione più chiaro da cui muovere per la verifica del nostro agire pastorale.
4. Per dare respiro all’iniziazione cristiana credo che dovremmo collocarla nell’ottica della fecondità della Chiesa-madre che gioisce nel veder nascere nuovi figli di Dio portati alla pienezza della vita umana.
Parto da una sensazione, che vi partecipo come una confidenza personale. A mano a mano che conosco il tessuto ecclesiale della nostra diocesi, con le visite alle parrocchie e alle più diverse realtà ecclesiali e sociali, si radica in me la convinzione che dove cresce l’amore per il Vangelo cresce anche l’amore per la vita, dove invece si affievolisce o scompare la speranza cristiana, la vita intristisce. “Svelare pienamente l’uomo all’uomo”, che “solo nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce”, donargli la vita di figlio di Dio, il vigore della grazia nell’appartenenza attiva e responsabile sia al popolo di Dio che alla società degli uomini, vuol dire promuovere felicità e pienezza di vita. Considerate per un momento i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Oggi c’è chi si domanda se sia bene conferire il Battesimo ai bambini appena nati, e anche genitori che si professano cristiani non battezzano più i loro figli alla nascita. E’ come se si fosse diventati incerti dinanzi a ciò che è bene per la vita. Alcuni poi si pongono una domanda ancora più radicale: è davvero un bene far nascere nuovi figli o non è meglio morire senza lasciare discendenza?
Riflettere sul Battesimo, su come viene celebrato e vissuto, non vuol dire solo riconoscere in esso il segno che rigenera alla figliolanza divina, ma potenziare la consapevolezza che la vita naturale è essa stessa una benedizione. Tanti mi hanno confidato che, prendendo fra le braccia per la prima volta il loro bambino appena nato o addirittura sentendone solamente il battito del cuore alla prima ecografia, sono stati colti da tanta emozione: avevano compreso di trovarsi dinanzi al “mistero “ della vita e non solo al frutto di una casualità chimico-biologica. Se si affievolisce la fede in Dio, si indebolisce anche la fiducia che generare è un bene.
Lo stesso legame fra la fede e la vita vale per la Confermazione. E’ risaputo che tanti scelgono di rimandarla, sottovalutandone gli effetti sacramentali che sono il vigore e la fortezza soprannaturali per testimoniare l’uomo nuovo, mentre – in modo speculare - costatiamo nella vita sociale tanta fragilità e la mancanza di figure autorevoli di riferimento che sappiano “confermare” nel bene, con il coraggio di scelte convinte. Si diffonde la cultura che tutto è relativo e provvisorio, perché in fondo tutto è soggettivo e nulla è vero. Il legame fra fede e vita appare evidente, a maggior ragione, quando riflettiamo sull’Eucarestia. L’Eucarestia è il culmine dell’iniziazione cristiana, ma tanti nel corso della vita non la ricevono più con costanza, o addirittura se ne allontanano. A ben considerare, la disaffezione all’Eucarestia va di pari passo con la progressiva dimenticanza che Dio è Provvidenza per il mondo e che l’Eucarestia è il sacramento mediante il quale Cristo Risorto è presente nell’oggi della nostra vita, sorgente inesauribile di amore-carità per l’uomo.
La questione dell’iniziazione cristiana dunque va inquadrata in una prospettiva ampia. Itinerari poco incisivi e scarsamente formativi la rendono ininfluente per la vita quotidiana. All’opposto se è vissuta come un cammino di luce non manca di far ricadere i suoi benefici effetti sulla vita presente e futura delle nuove generazioni, esaltandone il valore educativo. Mi sia permesso di ricordare che anche l’unità politica del nostro Paese, di cui celebriamo i 150 anni, ha a che fare con il contributo formativo dell’iniziazione cristiana. “Il Cristianesimo – ha scritto il Papa nel Messaggio al Presidente della Repubblica per la circostanza - ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italiana attraverso l’opera della Chiesa”. Infatti, nell’assimilazione dei valori fondamentali dell’animus italiano, un grande ruolo è da riconoscere proprio all’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi delle città e dei paesi mediante l’opera di tanti genitori cristiani, sacerdoti e catechisti che hanno fatto sì che gli italiani si sentissero una nazione, quando ancora non c’era uno Stato unitario, sostenendo poi l’unità, dinanzi ad ogni tentazione separatista.
Il concetto di iniziazione cristiana
5.. Ma che cos’è l’iniziazione cristiana? Richiamiamone il concetto. Vent’anni fa, il 15 giugno 1991, l’Ufficio Catechistico Nazionale della CEI pubblicava una Nota dal titolo Il catechismo per l’iniziazione cristiana. Al n. 7 del documento si legge: “Per iniziazione cristiana si può intendere il processo globale attraverso il quale si diventa cristiani. Si tratta di un cammino diffuso nel tempo e scandito dall’ascolto della Parola, dalla celebrazione e dalla testimonianza dei discepoli del Signore, attraverso il quale il credente compie un apprendistato globale della vita cristiana e si impegna ad una scelta di fede e a vivere come figlio di Dio, ed è assimilato, con il Battesimo, la Confermazione e l’Eucarestia al mistero pasquale di Cristo nella Chiesa”. Si tratta di una descrizione di che cosa debba intendersi per iniziazione cristiana, nel quadro della dottrina del Concilio Vaticano II, che nel Decr. Ad gentes ha proposto il catecumenato come quadro di riferimento e di comprensione. Appare subito evidente che l’iniziazione cristiana non può esaurirsi nelle lezioni di catechismo che preparano ai sacramenti, sebbene la catechesi – come vedremo – è un elemento imprescindibile, ma deve far diventare cristiani attraverso i sacramenti. Si dice che è un cammino spirituale, l’esperienza di un evento, un passaggio che richiede un progressivo cambiamento di mentalità e di vita, un cammino di conversione che si sviluppa nel tempo, cioè è un itinerario pasquale che introduce nel mistero di Cristo, assimila a Lui con la forza trasformante del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucarestia. Si tratta quindi di “apprendere ad essere cristiano”; un apprendistato appunto.
Nel testo citato del Concilio, Decr. Ad gentes, c’è una affermazione che non ci deve sfuggire. Si legge: “Coloro che da Dio, tramite la Chiesa, hanno ricevuto la fede in Cristo, siano ammessi con cerimonie liturgiche al catecumenato” (n. 14). Viene affermato che l’iniziazione cristiana segue un’azione previa, che è la fede in Cristo. Vale a dire: chi comincia il cammino per diventare cristiano, abbia almeno in germe, in embrione la fede, attraverso la Chiesa. Questo itinerario progressivo e di crescita poi è scandito da tre elementi o componenti parimenti essenziali: l’ascolto della Parola, la celebrazione dei divini misteri e la testimonianza dell’amore-carità di discepoli del Signore. I tre componenti non vanno considerati giustapposti ma sono parti di un “processo globale”. Il termine “globale” ricorre due volte nella richiamata descrizione per affermare che nessuno di questi elementi raggiunge lo scopo se non interagisce con gli altri. D’altra parte l’iniziazione cristiana – come dirò più avanti - è fondamentalmente ed essenzialmente un fatto sacramentale, perché dai sacramenti riceve senso e valore.
E’ da sottolineare inoltre che come itinerario globale e integrale chiama in causa la durata (è un processo, un itinerario lungo), gli elementi costituitivi (la Parola, la celebrazione, la vita), la pluralità di interventi ecclesiali (la comunità ecclesiale, la famiglia, il sacerdote, i catechisti). Tra i diversi aspetti va rimarcata la centralità dell’azione materna della Chiesa. Sempre nel Decr. Ad gentes leggiamo ancora: “Tale iniziazione cristiana…non deve essere opera soltanto dei catechisti o dei sacerdoti, ma di tutta la comunità, e soprattutto dei padrini, sicché i catecumeni avvertano fin dall’inizio di appartenere al popolo di Dio” (n. 14). Svilupperò più avanti il ruolo della comunità, ma interessa fin da ora affermare che si diventa cristiani nella famiglia di Dio, dove si vive la fede, la liturgia e la carità del popolo di Dio. “Si tratta in qualche modo di abitare la Chiesa e di viverne le diverse dimensioni”. Scopo ed elementi dell’iniziazione cristiana
6. Chiarito, seppure sommariamente, il concetto di iniziazione cristiana, si impone una domanda: possiamo dirci soddisfatti dei nostri itinerari di iniziazione cristiana? Raggiungiamo lo scopo di far diventare cristiani?
Nell’Enciclica Deus caritas est il Papa Benedetto scrive: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (n.1).
Domandiamoci ancora: i nostri itinerari di iniziazione cristiana fanno incontrare il Signore Vivente? Aprono al rapporto personale di fede io-tu con Cristo che ci rivela il Padre e dona lo Spirito? Fanno nascere una relazione che genera nuova vita?
Ci aiuta a riflettere il testo di Atti 2, 14-41, lo stesso che il Santo Padre ha commentato ieri sera. San Pietro predica e, come sottolinea il v. 37, tutti «si sentirono trafiggere il cuore». Questo versetto mi è molto caro; lo ritengo una testimonianza fondamentale per capire cos’è veramente l’iniziazione cristiana.
«Si sentirono trafiggere il cuore»: la potenza dello Spirito Santo attraverso la testimonianza di San Pietro rese viva la Parola divina che entrò nei cuori degli ascoltatori come una spada e accese la fede. Ecco un’immagine chiarissima a cui deve tendere l’iniziazione cristiana: partendo dal primo annuncio, aprire all’incontro toccante e affascinante con Cristo risorto. Quanto avvenne a Gerusalemme è per noi illuminante. 1) Anzitutto non dobbiamo mai dimenticare che nel processo di iniziazione cristiana l’agente principale e, per così dire, il “primo operatore pastorale” è lo Spirito Santo. E’ lui che “apre il cuore” (At. 16, 14). Questa verità deve essere fonte di conforto e di sostegno, soprattutto quando il nostro servizio pastorale potrebbe sembrarci infruttuoso. L’iniziazione cristiana non è opera dell’uomo, è azione mossa dalla grazia dello Spirito: non si diventa figli se non c’è un Padre che genera. A ben pensare, noi non scegliamo di diventare cristiani; dovremmo dire più correttamente che “siamo fatti cristiani”.
2) Lo Spirito Santo trafigge il cuore attraverso la luce e la potenza della Parola , che Paolo chiama la “spada dello Spirito” (Ef. 6,17). La Sacra Scrittura è la testimonianza scritta della Parola divina che si è fatta carne (Gv. 1, 14). Il Signore sta alla porta e bussa (Ap. 3, 20), parla al cuore. Dio stesso dirà a ciascuno: “Figlio dell’uomo, tutte le parole che ti dico accoglile nel cuore e ascoltale con gli orecchi” (Ez. 3, 10). Il cammino di iniziazione deve essere alimentato dalla Parola di Dio, perché – ci ammonisce San Paolo - “la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo” (Rm. 10, 17). Ho detto sopra, citando il Concilio, che l’iniziazione cristiana è lo sviluppo di una fede almeno embrionale. Molto spesso non è così. Se non c’è un incontro con Cristo, non vi sarà nemmeno il desiderio di conoscerlo, di amarlo. La grazia del “credere in Dio” attraverso il primo annuncio, pur necessario, non basta, perché le resistenze affettive, intellettuali e sociali che, in modo quasi ciclico, si oppongono all’iniziativa di Dio richiedono che l’annuncio venga sempre riproposto. Non raramente anche chi alla fede è stato iniziato, ha bisogno di essere nella stessa fede custodito, sostenuto e alimentato attraverso la ripresa costante e sistematica dell’annuncio mediante la Parola. L’annuncio è l’anima della catechesi stessa. Separare l’annuncio dalla catechesi sarebbe come separare l’anima dal corpo! Ce lo ricordava il Beato Giovanni Paolo II, in un bellissimo passaggio dell’Esortazione apostolica Catechesi tradendae, dove scriveva: «La catechesi deve spesso sforzarsi non soltanto di nutrire e di insegnare la fede, ma di suscitarla incessantemente con l’aiuto della grazia, di aprire i cuori, di convertire, di preparare un’adesione globale a Gesù Cristo per coloro che sono ancora alle soglie della fede. Questa preoccupazione ispira [...] il tono, il linguaggio, il metodo della catechesi». Ripartendo dal Vangelo, dobbiamo imparare nuovamente a “trafiggere” il cuore dell’uomo, mostrando attraverso la catechesi come la Parola di Dio sia l’unica forza capace di illuminare le attese più profonde del cuore dell’uomo, e ciò fa spiegando la Parola, rivelandone la bellezza, la plausibilità, la necessità per la vita. Solo quando il cuore e la mente riescono a cogliere la meraviglia dell’opera di Cristo ne vengono trafitti. Un giovane professore, Alessandro D’Avenia, alcune settimane fa, parlando di giovani liceali, ha scritto: «I ragazzi vogliono sapere se Cristo è un antidoto per la noia, la paura, la fragilità. Vogliono sapere se c’entra qualcosa con la sveglia della mattina. Vogliono sapere se è adrenalina più di uno sballo, se è estasi più di una pasticca, se è gioia più di una canna. Vogliono sapere se la salvezza, che vuol dire mettere una cosa nell’eternità, riguarda loro, adesso. Che se ne fanno di un uomo buono morto duemila anni fa se non c’entra con loro in questo preciso istante in cui sono tristi, soli, annoiati o esaltati, felici, innamorati?». Sono parole che fanno pensare! Qui si pone la questione: come mettere nelle mani dei diversi soggetti dell’iniziazione cristiana, nelle forme opportune, il Vangelo, perché lo frequentino, diventi un Libro familiare e, mediato da altri sussidi, apra il cuore all’incontro con Cristo?
3) Ma non è la sola Parola a “trafiggere il cuore” e far incontrare Cristo, anche i Sacramenti. Lo vediamo chiaramente nella vicenda dei discepoli di Emmaus. Seppure l’incontro con il Risorto lungo la via aveva illuminato le menti e riscaldato il cuore, solo quando Gesù fu a tavola e, preso il pane, lo spezzò e lo diede loro, si aprirono i loro occhi e lo riconobbero (Lc 24,30-32).
Anche nel brano degli Atti è centrale il sacramento. Nel discorso di Pentecoste Pietro invita alla conversione e insieme a ricevere il Battesimo (At 2,38-41). Se la Parola trafigge il cuore, il compimento della novità della vita avviene nel Sacramento. E’ per mezzo dei sacramenti – afferma il RICA - che “gli uomini, uniti con Cristo nella sua morte, nella sua sepoltura e risurrezione, vengono liberati dal potere delle tenebre, ricevono lo Spirito di adozione a figli e celebrano con tutto il popolo di Dio, il memoriale della morte e risurrezione del Signore”. Proprio i Sacramenti sono, più ancora della Parola, l’attestazione che Gesù è il Vivente, vicino a noi e ci salva. Per questo la Chiesa ha sempre chiesto ai genitori cristiani di battezzare i bambini alla nascita e di far loro ricevere la santa Comunione non appena giunti all’età della ragione . La Chiesa, madre dei cristiani
7. In questa opera misteriosa dell’iniziativa di Dio che offre il suo amore gratuito all’uomo, chi è chiamato a cooperare con Lui, ad essere suo intermediario? Se l’iniziazione cristiana è un atto ecclesiale, perché è la fede della Chiesa che viene annunziata, vissuta e testimoniata, far diventare cristiani spetta anzitutto alla comunità ecclesiale. Ce lo ricordava ieri il Papa e lo aveva messo in luce in maniera chiara, già quarant’anni fa, il documento base Il rinnovamento della catechesi con la famosa affermazione: «Prima sono i catechisti, poi i catechismi, anzi, prima ancora sono le comunità ecclesiali». Ragionare dunque di iniziazione cristiana vuol dire domandarsi quanto le nostre comunità ecclesiali - non solo il parroco e i catechisti - sono educate ad attrarre alla bellezza della fede, facendo fare esperienza di Dio e di amore fraterno. La vita parrocchiale è essa stessa educativa, a condizione che ciò che propone come percorso conduca di fatto quelli che chiedono di essere iniziati ad “abitare” la Chiesa nella sua vita reale; e la vita reale non sia concentrata soltanto a sostenere la fede di persone già credenti (cura animarum), ma metta in evidenza costantemente la gioia di una comunità che dona quanto a sua volta ha ricevuto, cioè che sia un comunità missionaria. A questo proposito, come non ricordare il forte invito del Beato Giovanni Paolo II rivolto alle nostre parrocchie, in occasione della Missione cittadina in preparazione del Grande Giubileo del 2000: “Parrocchia, cerca te stessa e trova te stessa fuori di te stessa” ! Fu un indirizzo pastorale finalizzato a dare forma permanente alla missione, caratterizzando le attività delle parrocchie e di ogni altra realtà ecclesiale in senso più decisamente missionario. Del resto il nostro impegno per il rinnovamento eucaristico e l’irradiazione dell’amore-carità non ha altro scopo che far crescere la comunità ecclesiale di fede autentica e operosa, che metta nel cuore dei fedeli la salutare inquietudine di trasmetterla.
Questa forza irradiante e coinvolgente della comunità tuttavia non è sempre scontata. Lo fa pensare il modo di vivere da parte di tanti le tappe sacramentali dell’iniziazione cristiana, vissute come momenti religiosi privati, di famiglia, di parentela, e non come eventi di una comunità che accompagna e accoglie nuovi figli alla vita buona del Vangelo. Mi sia permesso qualche esempio. Quale dimensione ecclesiale riusciamo a trasmettere nel sacramento del Battesimo che non poche famiglie chiedono di celebrare in basiliche, chiese, cappelle, e non nella propria parrocchia, il più delle volte per motivazioni estranee ad un itinerario di vera iniziazione, se si eccettua il piccolo itinerario di preparazione, spesso subito, sapendo già che alla celebrazione non seguirà nessun tipo di coinvolgimento della famiglia? Oppure come la comunità partecipa all’itinerario verso la tappa della prima Comunione o della Cresima dei ragazzi e giovani se, al di là di sapere che vengono svolti “i corsi di catechesi”, ne viene a conoscenza forse solo perché quella data domenica cambia l’orario delle Messe o la gente è invitata a non parteciparvi per dare spazio alle famiglie e agli invitati? Non dovremmo immaginare qualche forma di partecipazione della comunità che faccia sentire ai comunicandi e ai cresimandi che intorno a loro c’è una comunità che gioisce con loro?
La verifica è chiamata a domandarsi: come la comunità parrocchiale con la sua testimonianza credibile può diventare grembo di iniziazione e polo di attrazione?
8. Ma l’azione della Chiesa-madre si esplica attraverso varie mediazioni.
1) La prima, fondamentale e insostituibile, è quella della famiglia. Sappiamo tutti che la famiglia è il problema dei problemi pastorali, e non solo per l’iniziazione cristiana. La famiglia, la sua fede, la sua forza educativa, la sua partecipazione alla vita ecclesiale è in grado di condizionare tutto. La famiglia, se c’è o non c’è, tutto cambia. Decisivo è il suo peso nel sacramento del Battesimo e negli itinerari di iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi; importante ma meno influente nel caso di adulti che chiedono di entrare nella Chiesa. Mi basta per ora averlo dichiarato. Lo riprenderò più avanti.
2) Centrale poi è la figura del catechista, i cui tratti essenziali è opportuno richiamare.
a) “L’uomo contemporaneo – ha scritto Paolo VI in un famoso testo – ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”. E’ dunque anzitutto con la santità della vita, la testimonianza gioiosa fedele a Cristo e al Vangelo, che ogni catechista dà forza alla missione che compie. b) In secondo luogo è fondamentale il rapporto personale tra il catechista e chi si avvicina alla fede o vuole crescere nella fede. Il catechista è un mistagogo, cioè colui che prende per mano, introduce nei sentieri della fede fino all’incontro con Cristo. La fede ha bisogno, per così dire, di un salutare contagio che passa da cuore a cuore ed il catechista dell’iniziazione cristiana deve avere cura della singola persona, mettendosi in cammino con essa, non considerandola mai in condizione di passività e solo destinataria. (Parola che si presta a qualche equivoco). E’ necessario un rapporto che si sostanzi di un clima di fiducia, ricco di esemplarità e disponga favorevolmente all’accoglienza del messaggio. Prima di trasmettere una dottrina o comunicargli notizie, il catechista deve saper suscitare domande. E’ stato osservato che noi diamo troppe risposte e suscitiamo poche domande: le risposte congelano la ricerca, le domande aiutano a dubitare. La “trafittura del cuore” non può forse essere l’esito di un’anima che si interroga? La bellezza della proposta, la coerenza di chi gliela testimonia e la serietà dell’impegno hanno la capacità di attrarre. Ci domandiamo: non è da ripensare la figura tradizionale del catechista insegnante, perché ceda il posto a quella del mistagogo e dell’accompagnatore?
c) Ho appena detto che l’opera del catechista non è quella di indottrinare, ma vorrei precisare che i percorsi dell’iniziazione cristiana devono prevedere anche l’apprendimento della dottrina cristiana. Costatiamo oggi una diffusa ignoranza dei contenuti della fede, così che tanti cristiani, al di là di una infarinatura di notizie, conoscono molto poco delle verità della fede e della morale. Quanto ieri ci diceva il Papa sul Catechismo della Chiesa Cattolica è di somma importanza. L’iniziazione cristiana fa diventare cristiani formando ad una visione della vita e a comportamenti morali sostenuti da una solida dottrina. Solo una catechesi che presenti con intelligenza i grandi temi della fede, sapendo rispondere anche alle critiche che vengono rivolte alle verità dogmatiche cristiane ed alla svalutazione della sua proposta morale, risponde all’esigenza di verità che è nel cuore dei bambini e dei ragazzi. Confidiamo che anche Youcat, il catechismo indirizzato ai giovani, possa essere un valido strumento di catechesi. d) Se il catechista non è uno “specialista”, nondimeno ha bisogno di essere una persona preparata, sia dal punto di vista dottrinale che in quello, per così dire, tecnico, vale a dire dell’attitudine comunicativa, del linguaggio, ecc. Di ciò siamo tutti convinti e molto si è fatto a riguardo. Possiamo contare su catechisti generosi e ben preparati, ai quali anche in questa occasione sento di esprimere la più sincera gratitudine; ma non sempre sono in numero sufficiente alle esigenze di una iniziazione cristiana adeguata. Fare il catechista è una vocazione, da individuare, proporre, accompagnare. Nel Libro del Sinodo, citando un testo dell’Esort. Apost. Catechesi tradendae, è scritto: la Chiesa “è invitata a consacrare alla catechesi le sue migliori risorse di uomini e di energie, senza risparmiare sforzi, fatiche e mezzi materiali, per meglio organizzarla e per formare un personale qualificato”. La questione va affrontata in questa verifica. In quale ambito e da quali esperienze ecclesiali è possibile invitare a questo servizio? Quali suggerimenti proporre per la formazione di buoni catechisti? Non esiste nella nostra diocesi una scuola diocesana per catechisti dell’iniziazione cristiana, che operi nelle diverse prefetture; se ne sente il bisogno? E come il catechista deve operare per meglio articolare annuncio della fede, catechesi e formazione integrale: fede, liturgia e vita?
e) Il catechista infine è un uomo o una donna di Chiesa, che opera in comunione con i pastori e gli altri catechisti. Egli non è una voce isolata, ma voce e cuore della comunità ecclesiale che introduce nella vita della comunità.
3) Non posso non accennare, ancorché appaia in tutta la sua ovvietà, al compito decisivo dei sacerdoti - parroco, vicari parrocchiali, sacerdoti collaboratori. Essi non sono gli organizzatori dall’alto dell’iniziazione cristiana, ma le vere guide dei gruppi e molto più delle singole persone. Il sacerdote deve essere presente in tutte le tappe del percorso. E’ all’inizio del cammino: molto spesso suscita l’interesse e accende il cuore. E’ presente nei diversi momenti, con la direzione spirituale, il sacramento della Penitenza, ma anche con le parole e i gesti che nascono dalle occasioni più diverse. Ed è il ministro del Battesimo e dell’Eucarestia: il padre che gioisce della meta raggiunta. Egli è il mediatore primo della maternità della Chiesa: la sua testimonianza è essenziale.
4) Nella verifica non si dimentichi di considerare anche l’apporto positivo di quei particolari momenti di vita ecclesiale che sono i ritiri, i campi estivi, la vita di oratorio, i pellegrinaggi, ecc., nei quali si tocca con mano la vita cristiana nella sua semplicità.
Gli ambiti dell’iniziazione cristiana
9. Veniamo infine più direttamente agli ambiti dell’iniziazione cristiana, su cui valutare il cammino dal Sinodo diocesano ad oggi e proporre suggerimenti e orientamenti pastorali per l’avvenire.
1) Il primo riguarda l’iniziazione cristiana degli adulti. E’ una delle vie nuove percorse dalla Chiesa di Roma da molti anni. L’annuncio del Vangelo ai tanti non battezzati di una città cosmopolita, sempre più multietnica e multireligiosa oggi si è fatta più che mai urgente. Alcuni si avvicinano alla Chiesa, perché sentono, anche se confusamente, il bisogno di Dio e lo cercano. Altri vivono lontano da Dio ma non rifiutano di pensare, al contrario sono aperti ad accogliere nel cuore il seme della verità. Altri ancora, stranieri che vivono nella nostra città per ragioni di studio e di lavoro e nei loro paesi non hanno potuto liberamente conoscere il cristianesimo, sono interessati a Gesù Cristo. Chiediamoci se siamo attenti ad aprire le porte del Vangelo a questo mondo in ricerca. Il Sinodo diocesano ha scritto al riguardo pagine ancora attualissime. La verifica della prassi del catecumenato, bisognosa di essere ben consolidata, dovrebbe considerare quali frutti di vita cristiana ha permesso di maturare al termine dell’itinerario. Un frutto maturo è portare la persona a decidere di continuare a camminare nella fede, a vivere nella comunità ecclesiale e a “cooperare attivamente all’evangelizzazione e all’edificazione della Chiesa con la testimonianza della vita”.
2) Ma la nostra riflessione va oltre il catecumenato degli adulti, che ha tappe e riti specifici, e si allarga agli itinerari da offrire a quei battezzati che “si riavvicinano” alla Chiesa e domandano di conoscere il Vangelo. Al riguardo esperienze positive non mancano, come quella del Cammino Neocatecumenale e di altri Gruppi e Movimenti ecclesiali. La stessa cosa, analogamente, vale anche per chi chiede, forse solo per tradizione o per adempiere un atto ritenuto in qualche modo un dovere, di ricevere da giovane o da adulto la Confermazione e talvolta l’Eucarestia. Don Andrea ci ha detto che su questo punto le proposte sono poche, mentre si avverte l’esigenza di individuare vie nuove di evangelizzazione. Desidero sottolineare l’importanza di queste tipologie di cristiani, disposti a riaprire un discorso sulla fede. Lo Spirito che è sempre all’opera, come nel caso del funzionario etiope che incontrò il diacono Filippo, ci chiede di avere zelo per tutti, anzi di andarli a cercare. E le occasioni, le più diverse e imprevedibili, non mancano. Qui la verifica non verte tanto sulle persone, quanto sulla nostra passione di essere “collaboratori di Dio”. 3) Il secondo ambito riguarda gli itinerari per il Battesimo dei bambini. Grazie a Dio, la nascita di un figlio per la stragrande maggioranza delle famiglie è un evento che offre l’occasione di ripensare alla fede. La realtà però è varia. Accanto a famiglie veramente cristiane, ve ne sono altre che, prese dagli affanni quotidiani, trascurano abitualmente la pratica religiosa e la nascita di un bambino fa riemergere il bisogno di Dio e vogliono che il figlio riceva gli stessi doni che hanno ricevuto loro da piccoli. Ve ne sono poi altre, per lo più lontane dalla fede, che avvertono in maniera confusa il “mistero” della vita, percepiscono nella loro creatura qualcosa di grande, per cui desiderano assicurarle tutto ciò che può farle del bene. Resto convinto che la richiesta del Battesimo è una occasione pastorale molto feconda e può costituire una svolta nel cammino spirituale di una famiglia, passando da una fede di tradizione ad una fede di elezione. Non dimentichiamo poi che si tratta di famiglie giovani, non raramente non sposate in Chiesa.
E’ opportuno domandarsi se i pochi incontri di preparazione riescono ad invertire la mentalità abbastanza diffusa di ritenere di aver fatto un bene al solo bambino in un evento che riguarda anche i genitori per una vita cristiana più ardente.
Mi sia permesso un ricordo personale. Quando non ero ancora vescovo mi sono dedicato per anni alla catechesi prebattesimale, incontrando le famiglie per lo più nelle loro case. Con i genitori erano presenti i padrini e, quando era possibile, anche altri parenti. Con la collaborazione di giovani coppie di catechisti-genitori ho vissuto esperienze meravigliose, itinerari di catechesi che hanno favorito il cambiamento della vita delle famiglie, inserendole con convinzione nella comunità parrocchiale. Si trattava certo di realtà più piccole della maggioranza delle parrocchie romane, ma credo che qualcosa di analogo possa essere tentato per aiutare i genitori a comprendere l’enormità dell’evento che il Battesimo del loro figlio realizza anche per loro.
Don Andrea ci diceva ieri che dalla rilevazione dei dati sembra emergere che poche sono le forze pastorali impiegate in questo campo. Vi chiedo di fare una verifica attenta, coinvolgendo i consacrati, i laici, le coppie di sposi più disponibili, domandandovi quali frutti porta alla vita delle famiglie e della comunità il Battesimo dei bambini e che cosa si può proporre in merito.
Dovremmo osare di estendere la nostra riflessione oltre l’immediata occasione della celebrazione del Battesimo, per chiederci cosa potrebbe essere messo in campo per accompagnare le giovani famiglie nei primi anni della vita dei loro piccoli. Se è vero che non possiamo più presupporre la fede, come avveniva un tempo quando i genitori e i nonni introducevano i piccoli alla fede e alla preghiera, dobbiamo rimetterci a fianco delle famiglie per camminare con loro in questa opera educativa.
4) Il terzo ambito riguarda gli itinerari di iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi, battezzati da piccoli. Per certi aspetti è l’ambito più difficile, per una serie di questioni, in parte specifiche e in parte non diverse dalle precedenti, che richiamo brevemente.
a) Di nuovo ritorna la centralità del coinvolgimento delle famiglie, in mancanza del quale ne deriva un impegno più grande e difficile della comunità parrocchiale verso i bambini e i ragazzi religiosamente abbandonati a se stessi e spesso segnati da sofferenze, E’ l’età - soprattutto quella della Confermazione - in cui i ragazzi vivono la crisi dell’adolescenza, sono fortemente provocati dai loro coetanei e oggi più che mai dai mezzi di comunicazione sempre di più alla loro portata. Per altro verso è l’età che ha in sé il dinamismo positivo della maturazione intesa come riappropriazione cosciente e critica di ciò che si è ricevuto da piccoli.
Bisogna lavorare molto per far capire ai genitori che il bene dei figli – molti dei questionari hanno insistito su questo – richiede un’alleanza tra loro e i catechisti, ricordando che i primi catechisti dovrebbero essere proprio i genitori. Compito certamente non facile, ma che va perseguito con perseveranza e tanta pazienza. La vicinanza del sacerdote, l’autorevolezza dei catechisti, la loro cordialità, il gusto di proporre la fede facendola risplendere in tutta la sua bellezza raccontando ciò che personalmente hanno sperimentato dell’amore gratuito di Dio, potrà ottenere dal Signore la grazia di aprire i cuori. Se gli itinerari di fede della Comunione e della Cresima devono saper toccare nuovamente i cuori e le menti dei ragazzi, riproponendo l’annuncio del Vangelo come una costante, perché possano scoprire sempre di nuovo l’affidabilità della fede, cammini paralleli appropriati vanno offerti ai genitori. La sfida della proposta educativa forse è di spostare l’asse dall’esclusiva attenzione ai ragazzi alla compresenza della famiglia.
b) E’ necessario poi passare dalla scolarizzazione ad un accompagnamento di tipo catecumenale. Ho detto sopra che la meta dell’iniziazione cristiana non è principalmente quella di preparare a ricevere i sacramenti, ma di “dare inizio” all’incontro con Cristo Signore della vita che informi tutta la persona. Dunque dobbiamo formare alla globalità della vita cristiana, vale a dire a scoprire i misteri principali della fede, a educare alla preghiera e alla partecipazione sacramentale e liturgica, al senso di appartenenza alla Chiesa, a introdurre alla vita apostolica e missionaria, alla vita caritativa e dell’impegno sociale. Così facendo ciascun ragazzo si sentirà interpellato personalmente a rispondere a Cristo e a decidersi per lui.
Tutto questo tuttavia non può avvenire con un semplice procedimento pedagogico o catechistico, ma è sempre in ogni momento frutto della grazia e del dialogo non tra un maestro (catechista) e il discepolo, ma tra Cristo (invisibile) e il ragazzo. Compito del catechista è di far percepire la presenza del Signore, metterlo in relazione con lui, aiutarlo nella risposta. Il catechista è una presenza visibile che guida alla scoperta della vera Presenza invisibile, percepibile gradualmente nella fede.
Per raggiungere questi obbiettivi, l’iniziazione cristiana dei ragazzi dovrà avere la struttura di un itinerario che si articola in tempi e tappe, nelle quali si tenga conto – come ci ha ricordato il Papa ieri sera - della situazione dei ragazzi e delle comunità con un percorso da fare e una meta da raggiungere. Qui si scoprirà, accanto ad altri momenti formativi, l’importanza dell’oratorio come luogo in cui il ragazzo può fare le varie esperienze e viverle da cristiano: dallo sport alla celebrazione, dalla musica e dal teatro all’azione caritativa.
c) L’esperienza ci dice che uno dei punti più critici dell’itinerario di iniziazione dei ragazzi e dei giovanissimi è la celebrazione dei divini misteri, in un processo globale di crescita. Eppure resta un aspetto essenziale. E’ importante allora interrogarci nella verifica: come far vivere l’esperienza dei sacramenti dell’Eucarestia e della Penitenza durante il cammino di iniziazione cristiana? Certo, il primo grande ostacolo nella maggioranza dei casi – come sappiamo – è il disinteresse delle famiglie. Come superarlo? Quali esperienze positive possiamo raccogliere?
Dal punto di vista formativo potrà aiutarci la graduale scoperta della celebrazione come partecipazione alla storia della salvezza fino all’evento ultimo e definitivo della Pasqua di Cristo, nella quale i ragazzi sono chiamati ad entrare. Si tratterà di accompagnarli a vivere un coinvolgimento personale e comunitario nel rito, facendo comprendere a loro che è un evento di salvezza che li riguarda. Potranno essere di aiuto le tappe celebrative nelle quali, con loro, siano coinvolti i genitori e la comunità. Penso all’accoglienza all’inizio dell’itinerario annuale; la “traditio” del Simbolo, del Padre nostro, del Vangelo, le diverse celebrazioni della Parola, le celebrazioni penitenziali le Messe di gruppo. E’ essenziale che i ragazzi non siano soggetti passivi.
d) Non va dimenticato, come già accennavo sopra, che ai ragazzi - soprattutto a quelli dell’età della Confermazione - giova molto camminare avendo a fianco non solo catechisti adulti, ma anche giovani poco più grandi di loro, nei quali possono riconoscere che la fede non è qualcosa di staccato dalla vita, ma una concreta e magnifica opportunità. La testimonianza gioiosa di giovani più grandi potrà favorire la “trafittura del cuore” dei preadolescenti e degli adolescenti che cercano punti di riferimento significativi. Garantire continuità generazionale è una carta vincente. Come pure assicurare una forte vita di gruppo, facendo maturare una coscienza di appartenenza.
e) Non posso tacere infine una questione spinosa, che riguarda la figura e la funzione dei padrini, sulla quale sarebbe opportuno fare una riflessione attenta, offrendo suggerimenti non sbrigativi.
In conclusione su questo terzo ambito, la verifica si domandi: la proposta formativa della nostra parrocchia come riesce ad affrontare queste questioni? In che misura è riuscita a dare attuazione agli obiettivi pastorali e alle linee di impegno che il Sinodo diocesano aveva indicato ?
10. Desidero infine comunicare alcuni appuntamenti e iniziative che potranno aiutare la riflessione su questi tre ambiti.
1) Entro la fine di luglio, a cura dell’Ufficio Catechistico, sarà pubblicato un piccolo sussidio che accompagnerà la verifica nelle singole parrocchie e cappellanie.
2) Sabato 24 settembre, incontro diocesano di tutti i catechisti per il conferimento del “mandato”.
3) Nei primi mesi del nuovo anno pastorale, saranno programmati tre incontri di Prefettura per tutti i catechisti sui seguenti temi:
- Annuncio della fede e iniziazione cristiana. Catecumenato e itinerari di riscoperta della fede.
- Le dimensioni costitutive dell’iniziazione cristiana dei bambini e ragazzi. Comunità cristiana e famiglia.
- La pastorale del Battesimo e il ruolo educativo alla fede dei genitori fin dalla tenerissima età.
4) Dalla rilevazione dei dati è emersa l’esigenza di offrire contenuti ed esperienze di itinerari di iniziazione cristiana percorribili al termine della verifica. Fin dai prossimi giorni saranno costituite alcune Commissioni di studio, coordinate dall’Ufficio catechistico, che subito dopo l’estate si metteranno al lavoro per raccogliere e, se necessario, per elaborare sussidi sui tre ambiti dell’iniziazione cristiana e sulla formazione dei catechisti.
11. Carissimi, viviamo in un tempo di grandi cambiamenti. Abbiamo alle spalle una ricca tradizione che non dobbiamo disperdere e di cui fare tesoro. Ma non possiamo fermarci davanti alle sfide del tempo presente. Occorre che ci mettiamo insieme per pensare, discernere, disporci a percorrere vie nuove anche se difficili. Il compito che ci attende è impegnativo. Non perdiamoci d’animo. Sono convinto che questa stagione della storia umana mostra i segni dell’attesa che la Chiesa, esperta in umanità, irradi la luce del Vangelo, soprattutto a favore delle nuove generazioni. Sostenuti dalla grazia della Pentecoste assumiamo con entusiasmo la responsabilità di generare alla fede. Ci accompagni Maria, Salus populi romani, e interceda il Beato Giovanni Paolo II, che “fino all’ultimo si prodigò per annunciare il Vangelo nella nostra città ed amò con particolare affetto i giovani”.
Agostino Card. Vallini
E’ bene sottolineare pure che la nostra verifica si pone nel contesto della più ampia questione educativa che la Conferenza Episcopale Italiana ha scelto come tema degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 con il documento Educare alla vita buona del Vangelo Nel Decreto Ad gentes sull’attività missionaria della Chiesa si legge che l’uomo a cui Dio apre il cuore «inizia un cammino spirituale, nel quale […] passa dall’uomo vecchio all’uomo nuovo […]. Questo passaggio, che implica un progressivo cambiamento di mentalità e di costumi, deve manifestarsi con le sue conseguenze sociali e svilupparsi progressivamente nel tempo del catecumenato.[…] Questo non è una semplice esposizione di dogmi e di precetti, ma una formazione a tutta la vita cristiana e un tirocinio debitamente esteso nel tempo, mediante i quali i discepoli vengono in contatto con Cristo, loro maestro. Perciò i catecumeni siano convenientemente iniziati al mistero della salvezza ed alla pratica delle norme evangeliche, e mediante in sacri riti, da celebrare in tempi successivi, siano introdotti nella vita della fede, della liturgia e della carità del popolo di Dio» (nn. 13-14) [il grassetto è nostro]. G. Routhier, Per una comunità cristiana grembo di iniziazione: quali scelte formative ?, in La Rivista del Clero Italiano n. 4, 2008, p. 266. Le letture bibliche della Quaresima di quest’anno sono state al riguardo molto illuminanti. Nella sete della Samaritana (cfr. Gv. 4) è come riassunta l’inesausta ricerca dell’uomo, per il quale niente, senza Cristo, è capace di dissetare e saziare pienamente. Nemmeno cinque mariti sembrano bastare: solo Dio disseta. Nel cieco nato (cfr. Gv 9), è come misteriosamente riassunto il desiderio dell’uomo di vedere, di capire, di conoscere la verità, di comprendere la speranza dell’umanità. Solo l’incontro con Gesù apre lo sguardo interiore dell’uomo e dissipa le tenebre presenti nel nostro cuore e nel mondo. Nella resurrezione di Lazzaro (cfr. Gv 11) il pianto più amaro e la tristezza più cupa che nascono dalla morte dell’amico possono essere superati, perché Gesù, donandoci la comunione con Dio, apre la vita alla resurrezione, la libera dal sepolcro. Benedetto XVI ha più volte ricordato che la possibilità di fare “esperienza” di Dio avviene proprio nella liturgia. Una catechesi che voglia veramente valorizzare la dimensione “esperienziale” della fede non può dimenticare questo. Dio non agisce astrattamente, ma tramite la potenza efficace dei suoi sacramenti. Così la Parola e i Sacramenti “trafiggono il cuore”. CEI, Rigenerati per una speranza viva. Nota pastorale dopo il Convegno ecclesiale di Verona (2007), n. 11: «Le nostre comunità devono favorire l’incontro autentico tra le persone, quale spazio prezioso per il contatto con la verità rivelata nel Signore Gesù, perché l’esemplarità della vita non sminuisce il dovere di annunciare anche con la parola: ogni cristiano deve saper dare ragione della propria speranza, narrando l’opera di Dio nella sua esistenza e nella storia dell’umanità. Il linguaggio della testimonianza è quello della vita quotidiana». Mi tornano in mente, a proposito, le parole di Sant’Agostino che nella sua bellissima opera sulla catechesi, il De catechizandis rudibus, ricorda come talvolta si avvicinavano alla catechesi per ricevere i sacramenti persone che erano mosse solo dalla tradizione familiare o che pensavano di ottenerne determinati vantaggi sociali. Ma poi, racconta Agostino, «tramite l’opera del catechista, subentra la misericordia di Dio, cosicché il candidato, colpito dal discorso, vuol ormai diventare ciò che aveva stabilito di fingersi» (5,9). «Dal giorno di Pentecoste – affermò il Santo Padre Benedetto XVI al Convegno ecclesiale di Verona (2006) - la luce del Signore risorto ha trasfigurato la vita degli apostoli. […] La fede pasquale riempiva il loro cuore di un ardore e di uno zelo straordinario, che li rendeva pronti ad affrontare ogni difficoltà e persino la morte, ed imprimeva alle loro parole un’irresistibile energia di persuasione […]. La verità di questa affermazione è documentata anche in Italia da quasi due millenni di storia cristiana, con innumerevoli testimonianze di martiri, di santi e beati, che hanno lasciato tracce indelebili […] Noi siamo gli eredi di quei testimoni vittoriosi! Ma proprio da questa costatazione nasce la domanda: che ne è della nostra fede? In che misura sappiamo oggi comunicarla? La certezza che Cristo è risorto ci assicura che nessuna forza avversa potrà mai distruggere la Chiesa. Ci anima anche la consapevolezza che soltanto Cristo può pienamente soddisfare le attese profonde del cuore umano[…]. C’è allora un vasto e capillare sforzo da compiere perché ogni cristiano si trasformi in «testimone» capace e pronto ad assumere l’impegno di rendere conto a tutti e sempre della speranza che lo anima (cfr. 1 Pt 3, 15)».