Non perdersi d’animo
Di solito si sorvola sulla storia delle nostre Chiese perché si teme di spaventare i semplici. Se ne dà quindi una versione agiografica, vale a dire tesa a porne in risalto i soli elementi virtuosi, che certamente non mancano.
Tuttavia, in questo modo non se ne fa una memoria realistica e se questo può essere in qualche modo accettato quando ci si rivolge ai bambini, non è così nella formazione dei ragazzi e degli adulti, vale a dire delle persone nelle età in cui ci si deve confrontare con il male che c’è nella natura e con il male etico, sia individuale che sociale. Ognuno può facilmente constatare che queste specie di male sono presenti dovunque in noi e intorno a noi. La nostra Chiesa come struttura sociale, e quindi politica, ne sarebbe stata e ne sarebbe ancora esente?
Ma come può essere se già negli scritti neotestamentari, quelli particolarmente importanti perché ci parlano della vita e degli insegnamenti del Maestro e delle prime esperienze comunitarie dei cristiani, sono chiaramente presenti?
Aggiungo che, se di solito ora cerchiamo di individuare in ogni problema del passato una parte della società che sbaglia o consapevolmente sceglie una via cattiva, e che così facendo ne è responsabile, e ci sforziamo di non comprendervi mai chi nella nostra Chiesa esercitava il potere supremo, in realtà, sforzandoci di fare memoria veritiera del passato, ci accorgiamo che questo non ci è sempre possibile, e allora proponiamo comunque tesi giustificazioniste, osservando che chi comandò azioni discutibili in definitiva non può essere considerato soggettivamente colpevole, perché giudicava secondo la cultura del suo tempo e, anche se aveva ricevuto la Rivelazione, la interpretò secondo quella cultura, così come quella Rivelazione descriveva con le parole delle lingue da lui conosciute. A questo modo di pensare si può obiettare che la memoria realistica del passato serve a non ricadere nel male etico che vi è insito, non a condannare chi lo visse e impersonò, perché, dopo la morte di una persona, quel giudizio compete a Dio e a Dio solo. È addirittura un dogma della Chiesa cattolica, deliberato nel corso del Concilio di Trento (1545-1563), che nessuno, se non Dio, possa dichiarare che una persona morta è sicuramente dannata. Insomma, un po’ semplicisticamente, mi sembra che si debba concludere che si possano proclamare beati o santi, ma non dannati. Questo per quanto riguarda le biografie individuali. Ma certamente non solo possiamo, ma anzi dobbiamo, riconoscere il male sociale, ma anche individuale, del passato per non ripeterlo.
Questo appunto il lavoro di purificazione della memoria al quale ci guidò san Karol Wojtyla nei tre anni di preparazione che precedettero il Grande Giubileo dell’Anno 2000.
Egli fu anche molto criticato per questo, appunto obiettandogli che il popolo cristiano avrebbe potuto esserne disorientato, ma nondimeno egli lo prosegui, celebrando in quella che chiamò la Giornata del Perdono, una liturgia in cui, il 12 marzo 2000, in San Pietro, come capo della Chiesa cattolica e a nome di tutti gli altri fedeli, chiese perdono a Dio del male etico di cui i cristiani si erano resi responsabili nei secoli passati. Oggi l’elencazione delle colpe da lui confessate in quell’occasione ci appare incompleta, perché non comprendeva esplicitamente quelle riconducibili all’esercizio del potere degli stessi Papi del passato. Essi, in particolare, storicamente si resero responsabili di scelte politiche che oggi ci appaiono addirittura malvagie, ad esempio quelle che discriminarono gli ebrei loro contemporanei nella vita civile. In quel campo noi non accettiamo più nemmeno l’insegnamento di alcuni dei più importanti Padri della Chiesa, che furono feroci contro l’ebraismo. E che dire delle stragiste guerre per reprimere albigesi e valdesi per questioni teologiche e di assetto ecclesiastico, che oggi condurrebbero i responsabili davanti alla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra?
Nonostante quella tremenda storia e nonostante le indubitabili responsabilità anche di coloro che all’epoca si presentarono come Vicari di Cristo, non bisogna però perdersi d’animo, perché la nostra Chiesa ci ha sicuramente recato anche gli insegnamenti del Maestro, e questa era la sua missione. C’è riuscita nonostante che le sue strutture politiche fossero state modellate dalla sua storia e dalle culture che, nei vari tempi, erano risultate dominanti, e come tali avessero provocato tanta sofferenza.
Così, la gran parte delle accuse alla nostra Chiesa che le giungono da parte dei suoi nemici sono senz’altro vere, ma nondimeno noi non dobbiamo abbatterla come loro pretenderebbero, ma riformarla, per dimostrare di aver imparato la dura lezione che viene dalla sua terribile storia, per la quale del resto ogni cristiano, ed anche gli stessi Papi, confessa, all’inizio della liturgia della messa, di aver molto peccato.
Senza la nostra Chiesa, infatti, ci sarebbe stato impossibile diventare realmente cristiani e su questo, che io sappia, tutte le nostre Chiese contemporanee sono d’accordo.
In religione in genere si pensa a ciò che è santo come di qualcosa legato al divino e, in questo senso perfetto. La nostra esperienza pratica ci dimostra che però nessuno e nulla di cui abbiamo fatto esperienza può essere considerato totalmente perfetto in quel senso, tranne il Maestro e, per i cattolici e altre Chiese cristiane, sua Madre. Dunque, la santità non è di questo mondo? E come la mettiamo con le diverse persone e istituzioni che, nelle Chiese cristiane, vengono considerare sante, ad esempio, per i cattolici, la stessa nostra Chiesa? Per avere delucidazioni in merito dovete fare riferimento ai pastori e ai dottori, i quali sono una componente essenziale nelle Chiese cristiane, al di là delle varie configurazioni organizzative che si è dato ai loro ministeri. Io non sono né l’uno né l’altro.
Il problema si pose fin dall’antichità, in particolare da quando la Chiesa cominciò a manifestarsi come un’organizzazione istituzionale ben definita che tendeva all’unità intorno a un centro di potere. Una via pratica e semplice, quindi empirica perché basata sull’esperienza concreta, che può essere seguita è di considerare la santità come un modo di indicare la perfezione in quello che è realmente secondo il volere divino, per cui, siccome noi riconosciamo di essere sempre per via verso quella meta, possiamo non scandalizzarci delle imperfezioni che ci affliggono, come persone e nelle società che costruiamo, comprese la stessa storica organizzazione ecclesiale, imparando però a riconoscere anche il bene dove si manifesta e anche ad accettarne l’origine soprannaturale.
Naturalmente questo non risolve i complessi problemi su quei temi travagliano il pensiero teologico, ma che consente a noi che non sappiamo di teologia di continuare a rispettare le nostre Chiese anche quando ci proponiamo di riformarle.
Non è in fondo con quest’atteggiamento che affrontiamo di solito ogni problema di riforma sociale, in particolare in ambienti democratici, nei quali quel lavoro non è ostacolato dalla sacralizzazione dei poteri sociali, operazione tesa a sottrarli alla critica sociale?
Le nostre Chiese, nelle loro attuali configurazioni, non sono scese dal Cielo bell’e fatte, ma sono il frutto di faticose e travagliate costruzioni sociali e, qualunque cosa pensiamo in merito, continueranno senz’altro ad esserlo: questo non esclude che noi riconosciamo loro la santità, nel senso sopra precisato, in quanto volute dal Cielo per il nostro bene e in ciò che in loro è ed è fatto in modo conforme al vangelo.
E, appunto, penso quindi che si debba rendere grazie al Cielo se le nostre Chiese ai tempi nostri sono tanto diverse da quello che storicamente furono in passato nel male che manifestarono e che oggi siamo liberi (finalmente) di ammettere, seguendo, in particolare, la via aperta ai cattolici da san Wojtyla, il Papa della mia gioventù, che a noi giovani di allora piacque tanto perché ci esortava a non avere paura di vivere da cristiani.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli