MESSAGGIO DEL SANTO
PADRE
FRANCESCO
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
53° GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2020
LA PACE COME CAMMINO DI SPERANZA:
DIALOGO, RICONCILIAZIONE E CONVERSIONE ECOLOGICA
-
MESSAGE OF HIS HOLINESS
POPE
FRANCIS
FOR THE CELEBRATION OF THE
53rd WORLD DAY OF PEACE
1 JANUARY 2020
PEACE AS A JOURNEY OF HOPE:
DIALOGUE, RECONCILIATION AND ECOLOGICAL CONVERSION
After the Italian text, the English text follows: both
are taken from the website www.vatican.va
1. La pace,
cammino di speranza di fronte agli ostacoli e alle prove
La pace è un bene prezioso, oggetto della
nostra speranza, al quale aspira tutta l’umanità. Sperare nella pace è un
atteggiamento umano che contiene una tensione esistenziale, per cui anche un
presente talvolta faticoso «può essere vissuto e accettato se conduce verso una
meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così
grande da giustificare la fatica del cammino».[1] In
questo modo, la speranza è la virtù che ci mette in cammino, ci dà le ali per
andare avanti, perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili.
La nostra comunità umana porta, nella memoria
e nella carne, i segni delle guerre e dei conflitti che si sono succeduti, con
crescente capacità distruttiva, e che non cessano di colpire specialmente i più
poveri e i più deboli. Anche intere nazioni stentano a liberarsi dalle catene
dello sfruttamento e della corruzione, che alimentano odi e violenze. Ancora oggi,
a tanti uomini e donne, a bambini e anziani, sono negate la dignità,
l’integrità fisica, la libertà, compresa quella religiosa, la solidarietà
comunitaria, la speranza nel futuro. Tante vittime innocenti si trovano a
portare su di sé lo strazio dell’umiliazione e dell’esclusione, del lutto e
dell’ingiustizia, se non addirittura i traumi derivanti dall’accanimento
sistematico contro il loro popolo e i loro cari.
Le terribili prove dei conflitti civili e di
quelli internazionali, aggravate spesso da violenze prive di ogni pietà,
segnano a lungo il corpo e l’anima dell’umanità. Ogni guerra, in realtà, si
rivela un fratricidio che distrugge lo stesso progetto di fratellanza,
inscritto nella vocazione della famiglia umana.
La guerra, lo sappiamo, comincia spesso con
l’insofferenza per la diversità dell’altro, che fomenta il desiderio di
possesso e la volontà di dominio. Nasce nel cuore dell’uomo dall’egoismo e
dalla superbia, dall’odio che induce a distruggere, a rinchiudere l’altro in
un’immagine negativa, ad escluderlo e cancellarlo. La guerra si nutre di
perversione delle relazioni, di ambizioni egemoniche, di abusi di potere, di
paura dell’altro e della differenza vista come ostacolo; e nello stesso tempo
alimenta tutto questo.
Risulta paradossale, come ho avuto modo di
notare durante il recente viaggio in Giappone, che «il nostro mondo vive
la dicotomia perversa di voler difendere e garantire la stabilità e la pace
sulla base di una falsa sicurezza supportata da una mentalità di paura e
sfiducia, che finisce per avvelenare le relazioni tra i popoli e impedire ogni
possibile dialogo. La pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con
qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su
una minaccia di annientamento totale; sono possibili solo a partire da un’etica
globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato
dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana di
oggi e di domani».[2]
Ogni situazione di minaccia alimenta la
sfiducia e il ripiegamento sulla propria condizione. Sfiducia e paura aumentano
la fragilità dei rapporti e il rischio di violenza, in un circolo vizioso che
non potrà mai condurre a una relazione di pace. In questo senso, anche la
dissuasione nucleare non può che creare una sicurezza illusoria.
Perciò, non possiamo pretendere di mantenere
la stabilità nel mondo attraverso la paura dell’annientamento, in un equilibrio
quanto mai instabile, sospeso sull’orlo del baratro nucleare e chiuso
all’interno dei muri dell’indifferenza, dove si prendono decisioni
socio-economiche che aprono la strada ai drammi dello scarto dell’uomo e del
creato, invece di custodirci gli uni gli altri.[3] Come,
allora, costruire un cammino di pace e di riconoscimento reciproco? Come
rompere la logica morbosa della minaccia e della paura? Come spezzare la
dinamica di diffidenza attualmente prevalente?
Dobbiamo perseguire una reale fratellanza,
basata sulla comune origine da Dio ed esercitata nel dialogo e nella fiducia
reciproca. Il desiderio di pace è profondamente inscritto nel cuore dell’uomo e
non dobbiamo rassegnarci a nulla che sia meno di questo.
2. La pace,
cammino di ascolto basato sulla memoria, sulla solidarietà e sulla fraternità
Gli Hibakusha, i sopravvissuti ai
bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, sono tra quelli che oggi
mantengono viva la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle
generazioni successive l’orrore di ciò che accadde nell’agosto del 1945 e le
sofferenze indicibili che ne sono seguite fino ad oggi. La loro testimonianza
risveglia e conserva in questo modo la memoria delle vittime, affinché la
coscienza umana diventi sempre più forte di fronte ad ogni volontà di dominio e
di distruzione: «Non possiamo permettere che le attuali e le nuove generazioni
perdano la memoria di quanto accaduto, quella memoria che è garanzia e stimolo
per costruire un futuro più giusto e fraterno».[4]
Come loro molti, in ogni parte del mondo,
offrono alle future generazioni il servizio imprescindibile della memoria, che
va custodita non solo per non commettere di nuovo gli stessi errori o perché
non vengano riproposti gli schemi illusori del passato, ma anche perché essa,
frutto dell’esperienza, costituisca la radice e suggerisca la traccia per le
presenti e le future scelte di pace.
Ancor più, la memoria è l’orizzonte della
speranza: molte volte nel buio delle guerre e dei conflitti, il ricordo anche
di un piccolo gesto di solidarietà ricevuta può ispirare scelte coraggiose e
persino eroiche, può rimettere in moto nuove energie e riaccendere nuova
speranza nei singoli e nelle comunità.
Aprire e tracciare un cammino di pace è una
sfida, tanto più complessa in quanto gli interessi in gioco, nei rapporti tra
persone, comunità e nazioni, sono molteplici e contradditori. Occorre,
innanzitutto, fare appello alla coscienza morale e alla volontà personale e
politica. La pace, in effetti, si attinge nel profondo del cuore umano e la
volontà politica va sempre rinvigorita, per aprire nuovi processi che
riconcilino e uniscano persone e comunità.
Il mondo non ha bisogno di parole vuote, ma
di testimoni convinti, di artigiani della pace aperti al dialogo senza
esclusioni né manipolazioni. Infatti, non si può giungere veramente alla pace
se non quando vi sia un convinto dialogo di uomini e donne che cercano la
verità al di là delle ideologie e delle opinioni diverse. La pace è «un
edificio da costruirsi continuamente»,[5] un
cammino che facciamo insieme cercando sempre il bene comune e impegnandoci a
mantenere la parola data e a rispettare il diritto. Nell’ascolto reciproco
possono crescere anche la conoscenza e la stima dell’altro, fino al punto di
riconoscere nel nemico il volto di un fratello.
Il processo di pace è
quindi un impegno che dura nel tempo. È un lavoro paziente di ricerca della
verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo
dopo passo, a una speranza comune, più forte della vendetta. In uno Stato di
diritto, la democrazia può essere un paradigma significativo di questo processo,
se è basata sulla giustizia e sull’impegno a salvaguardare i diritti di
ciascuno, specie se debole o emarginato, nella continua ricerca della verità.[6] Si tratta di una costruzione sociale e di
un’elaborazione in divenire, in cui ciascuno porta responsabilmente il proprio
contributo, a tutti i livelli della collettività locale, nazionale e mondiale.
Come sottolineava San Paolo VI, «la
duplice aspirazione all’uguaglianza e alla partecipazione è diretta a
promuovere un tipo di società democratica […]. Ciò sottintende l’importanza
dell’educazione alla vita associata, dove, oltre l’informazione sui diritti di
ciascuno, sia messo in luce il loro necessario correlativo: il riconoscimento
dei doveri nei confronti degli altri. Il significato e la pratica del dovere
sono condizionati dal dominio di sé, come pure l’accettazione delle
responsabilità e dei limiti posti all’esercizio della libertà dell’individuo o
del gruppo».[7]
Al contrario, la frattura tra i membri di una
società, l’aumento delle disuguaglianze sociali e il rifiuto di usare gli
strumenti per uno sviluppo umano integrale mettono in pericolo il perseguimento
del bene comune. Invece il lavoro paziente basato sulla forza della parola e
della verità può risvegliare nelle persone la capacità di compassione e di
solidarietà creativa.
Nella nostra esperienza cristiana, noi
facciamo costantemente memoria di Cristo, che ha donato la sua vita per la
nostra riconciliazione (cfr Rm 5,6-11). La Chiesa partecipa
pienamente alla ricerca di un ordine giusto, continuando a servire il bene
comune e a nutrire la speranza della pace, attraverso la trasmissione dei
valori cristiani, l’insegnamento morale e le opere sociali e di educazione.
3. La pace,
cammino di riconciliazione nella comunione fraterna
La Bibbia, in modo particolare mediante la
parola dei profeti, richiama le coscienze e i popoli all’alleanza di Dio con
l’umanità. Si tratta di abbandonare il desiderio di dominare gli altri e
imparare a guardarci a vicenda come persone, come figli di Dio, come fratelli.
L’altro non va mai rinchiuso in ciò che ha potuto dire o fare, ma va
considerato per la promessa che porta in sé. Solo scegliendo la via del
rispetto si potrà rompere la spirale della vendetta e intraprendere il cammino
della speranza.
Ci guida il brano del Vangelo che riporta il
seguente colloquio tra Pietro e Gesù: «“Signore, se il mio fratello commette
colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. E
Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte
sette”» (Mt 18,21-22). Questo cammino di riconciliazione ci chiama
a trovare nel profondo del nostro cuore la forza del perdono e la capacità di
riconoscerci come fratelli e sorelle. Imparare a vivere nel perdono accresce la
nostra capacità di diventare donne e uomini di pace.
Quello che è vero della pace in ambito
sociale, è vero anche in quello politico ed economico, poiché la questione
della pace permea tutte le dimensioni della vita comunitaria: non vi sarà mai
vera pace se non saremo capaci di costruire un più giusto sistema economico.
Come scriveva Benedetto XVI, dieci anni fa, nella Lettera Enciclica Caritas
in veritate: «La vittoria del sottosviluppo richiede di agire non
solo sul miglioramento delle transazioni fondate sullo scambio, non solo sui
trasferimenti delle strutture assistenziali di natura pubblica, ma soprattutto
sulla progressiva apertura, in contesto mondiale, a forme di attività economica
caratterizzate da quote di gratuità e comunione» (n. 39).
4. La pace,
cammino di conversione ecologica
«Se una cattiva comprensione dei nostri
principi ci ha portato a volte a giustificare l’abuso della natura o il dominio
dispotico dell’essere umano sul creato, o le guerre, l’ingiustizia e la
violenza, come credenti possiamo riconoscere che in tal modo siamo stati
infedeli al tesoro di sapienza che avremmo dovuto custodire».[8]
Di fronte alle conseguenze della nostra
ostilità verso gli altri, del mancato rispetto della casa comune e dello
sfruttamento abusivo delle risorse naturali – viste come strumenti utili
unicamente per il profitto di oggi, senza rispetto per le comunità locali, per
il bene comune e per la natura – abbiamo bisogno di una conversione ecologica.
Il recente Sinodo sull’Amazzonia ci
spinge a rivolgere, in modo rinnovato, l’appello per una relazione pacifica tra
le comunità e la terra, tra il presente e la memoria, tra le esperienze e le
speranze.
Questo cammino di riconciliazione è anche
ascolto e contemplazione del mondo che ci è stato donato da Dio affinché ne
facessimo la nostra casa comune. Infatti, le risorse naturali, le numerose
forme di vita e la Terra stessa ci sono affidate per essere “coltivate e
custodite” (cfr Gen 2,15) anche per le generazioni future, con
la partecipazione responsabile e operosa di ognuno. Inoltre, abbiamo bisogno di
un cambiamento nelle convinzioni e nello sguardo, che ci apra maggiormente
all’incontro con l’altro e all’accoglienza del dono del creato, che riflette la
bellezza e la sapienza del suo Artefice.
Da qui scaturiscono, in particolare,
motivazioni profonde e un nuovo modo di abitare la casa comune, di essere
presenti gli uni agli altri con le proprie diversità, di celebrare e rispettare
la vita ricevuta e condivisa, di preoccuparci di condizioni e modelli di
società che favoriscano la fioritura e la permanenza della vita nel futuro, di
sviluppare il bene comune dell’intera famiglia umana.
La conversione ecologica alla quale facciamo
appello ci conduce quindi a un nuovo sguardo sulla vita, considerando la
generosità del Creatore che ci ha donato la Terra e che ci richiama alla
gioiosa sobrietà della condivisione. Tale conversione va intesa in maniera
integrale, come una trasformazione delle relazioni che intratteniamo con le
nostre sorelle e i nostri fratelli, con gli altri esseri viventi, con il creato
nella sua ricchissima varietà, con il Creatore che è origine di ogni vita. Per
il cristiano, essa richiede di «lasciar emergere tutte le conseguenze
dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo».[9]
5. Si ottiene
tanto quanto si spera[10]
Il cammino della riconciliazione richiede
pazienza e fiducia. Non si ottiene la pace se non la si spera.
Si tratta prima di tutto di credere nella
possibilità della pace, di credere che l’altro ha il nostro stesso bisogno di
pace. In questo, ci può ispirare l’amore di Dio per ciascuno di noi, amore
liberante, illimitato, gratuito, instancabile.
La paura è spesso fonte di conflitto. È
importante, quindi, andare oltre i nostri timori umani, riconoscendoci figli
bisognosi, davanti a Colui che ci ama e ci attende, come il Padre del figlio
prodigo (cfr Lc 15,11-24). La cultura dell’incontro tra
fratelli e sorelle rompe con la cultura della minaccia. Rende ogni incontro una
possibilità e un dono dell’amore generoso di Dio. Ci guida ad oltrepassare i
limiti dei nostri orizzonti ristretti, per puntare sempre a vivere la
fraternità universale, come figli dell’unico Padre celeste.
Per i discepoli di Cristo, questo cammino è
sostenuto anche dal sacramento della Riconciliazione, donato dal Signore per la
remissione dei peccati dei battezzati. Questo sacramento della Chiesa, che rinnova
le persone e le comunità, chiama a tenere lo sguardo rivolto a Gesù, che ha
riconciliato «tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,20);
e chiede di deporre ogni violenza nei pensieri, nelle parole e nelle opere, sia
verso il prossimo sia verso il creato.
La grazia di Dio Padre si dà come amore senza
condizioni. Ricevuto il suo perdono, in Cristo, possiamo metterci in cammino
per offrirlo agli uomini e alle donne del nostro tempo. Giorno dopo giorno, lo
Spirito Santo ci suggerisce atteggiamenti e parole affinché diventiamo
artigiani di giustizia e di pace.
Che il Dio della pace ci benedica e venga in
nostro aiuto.
Che Maria, Madre del Principe della pace e
Madre di tutti i popoli della terra, ci accompagni e ci sostenga nel cammino di
riconciliazione, passo dopo passo.
E che ogni persona,
venendo in questo mondo, possa conoscere un’esistenza di pace e sviluppare
pienamente la promessa d’amore e di vita che porta in sé.
Dal Vaticano, 8 dicembre
2019
Francesco
[1] Benedetto XVI, Lett. enc. Spe salvi (30
novembre 2007), 1.
[2] Discorso sulle armi nucleari,
Nagasaki, Parco “Atomic Bomb Hypocenter”, 24 novembre 2019.
[3] Cfr Omelia a Lampedusa, 8
luglio 2013.
[4] Discorso sulla Pace, Hiroshima,
Memoriale della Pace, 24 novembre 2019.
[5] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium
et spes, 78.
[6] Cfr Benedetto XVI, Discorso ai
dirigenti delle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, 27 gennaio
2006.
[7] Lett. ap. Octogesima adveniens (14
maggio 1971), 24.
[8] Lett. enc. Laudato si’ (24
maggio 2015), 200.
[10] Cfr S. Giovanni della Croce, Notte
Oscura, II, 21, 8.
********************************************
MESSAGE OF HIS HOLINESS
POPE
FRANCIS
FOR THE CELEBRATION OF THE
53rd WORLD DAY OF PEACE
1 JANUARY 2020
PEACE AS A JOURNEY OF HOPE:
DIALOGUE, RECONCILIATION AND ECOLOGICAL CONVERSION
1. Peace, a journey
of hope in the face of obstacles and trial
Peace is a great and precious value, the
object of our hope and the aspiration of the entire human family. As a human
attitude, our hope for peace is marked by an existential tension that makes it
possible for the present, with all its difficulties, to be “lived and accepted
if it leads towards a goal, if we can be sure of this goal, and if this goal is
great enough to justify the effort of the journey”.[1] Hope is thus
the virtue that inspires us and keeps us moving forward, even when obstacles
seem insurmountable.
Our human community bears, in its memory and
its flesh, the scars of ever more devastating wars and conflicts that affect
especially the poor and the vulnerable. Entire nations find it difficult to
break free of the chains of exploitation and corruption that fuel hatred and
violence. Even today, dignity, physical integrity, freedom, including religious
freedom, communal solidarity and hope in the future are denied to great numbers
of men and women, young and old. Many are the innocent victims of painful
humiliation and exclusion, sorrow and injustice, to say nothing of the trauma
born of systematic attacks on their people and their loved ones.
The terrible trials of internal and
international conflicts, often aggravated by ruthless acts of violence, have an
enduring effect on the body and soul of humanity. Every war is a form of
fratricide that destroys the human family’s innate vocation to brotherhood.
War, as we know, often begins with the inability
to accept the diversity of others, which then fosters attitudes of
aggrandizement and domination born of selfishness and pride, hatred and the
desire to caricature, exclude and even destroy the other. War is fueled by a
perversion of relationships, by hegemonic ambitions, by abuses of power, by
fear of others and by seeing diversity as an obstacle. And these, in turn, are
aggravated by the experience of war.
As I observed during my recent
Apostolic Journey to Japan, our world is paradoxically marked by “a
perverse dichotomy that tries to defend and ensure stability and peace through
a false sense of security sustained by a mentality of fear and mistrust, one
that ends up poisoning relationships between peoples and obstructing any form
of dialogue. Peace and international stability are incompatible with attempts
to build upon the fear of mutual destruction or the threat of total
annihilation. They can be achieved only on the basis of a global ethic of
solidarity and cooperation in the service of a future shaped by interdependence
and shared responsibility in the whole human family of today and tomorrow”.[2]
Every threatening situation feeds mistrust
and leads people to withdraw into their own safety zone. Mistrust and fear
weaken relationships and increase the risk of violence, creating a vicious
circle that can never lead to a relationship of peace. Even nuclear deterrence
can only produce the illusion of security.
We cannot claim to maintain stability in the
world through the fear of annihilation, in a volatile situation, suspended on
the brink of a nuclear abyss and enclosed behind walls of indifference. As a
result, social and economic decisions are being made that lead to tragic
situations where human beings and creation itself are discarded rather than
protected and preserved.[3] How, then, do we undertake a journey of
peace and mutual respect? How do we break the unhealthy mentality of threats
and fear? How do we break the current dynamic of distrust?
We need to pursue a
genuine fraternity based on our common origin from God and exercised in
dialogue and mutual trust. The desire for peace lies deep within the human
heart, and we should not resign ourselves to seeking anything less than this.
2. Peace, a journey of
listening based on memory, solidarity and fraternity
The Hibakusha, the survivors of
the atomic bombs dropped on Hiroshima and Nagasaki, are among those who
currently keep alive the flame of collective conscience, bearing witness to
succeeding generations to the horror of what happened in August 1945 and the
unspeakable sufferings that have continued to the present time. Their testimony
awakens and preserves the memory of the victims, so that the conscience of
humanity may rise up in the face of every desire for dominance and destruction.
“We cannot allow present and future generations to lose the memory of what
happened here. It is a memory that ensures and encourages the building of a
more fair and fraternal future”.[4]
Like the Hibakusha, many people
in today’s world are working to ensure that future generations will preserve
the memory of past events, not only in order to prevent the same errors or
illusions from recurring, but also to enable memory, as the fruit of
experience, to serve as the basis and inspiration for present and future
decisions to promote peace.
What is more, memory is the horizon of hope.
Many times, in the darkness of wars and conflicts, the remembrance of even a
small gesture of solidarity received can lead to courageous and even heroic
decisions. It can unleash new energies and kindle new hope in individuals and
communities.
Setting out on a journey of peace is a
challenge made all the more complex because the interests at stake in
relationships between people, communities and nations, are numerous and conflicting.
We must first appeal to people’s moral conscience and to personal and political
will. Peace emerges from the depths of the human heart and political will must
always be renewed, so that new ways can be found to reconcile and unite
individuals and communities.
The world does not need empty words but
convinced witnesses, peacemakers who are open to a dialogue that rejects
exclusion or manipulation. In fact, we cannot truly achieve peace without a
convinced dialogue between men and women who seek the truth beyond ideologies
and differing opinions. Peace “must be built up continually”;[5] it
is a journey made together in constant pursuit of the common good, truthfulness
and respect for law. Listening to one another can lead to mutual understanding and
esteem, and even to seeing in an enemy the face of a brother or sister.
The peace process thus requires enduring
commitment. It is a patient effort to seek truth and justice, to honour the
memory of victims and to open the way, step by step, to a shared hope stronger
than the desire for vengeance. In a state based on law, democracy can be an
important paradigm of this process, provided it is grounded in justice and a
commitment to protect the rights of every person, especially the weak and
marginalized, in a constant search for truth.[6] This is a social
undertaking, an ongoing work in which each individual makes his or her
contribution responsibly, at every level of the local, national and global
community.
As Saint Paul VI pointed out, these
“two aspirations, to equality and to participation, seek to promote a
democratic society… This calls for an education to social life, involving not
only the knowledge of each person’s rights, but also its necessary correlative:
the recognition of his or her duties with regard to others. The sense and
practice of duty are themselves conditioned by the capacity for self-mastery
and by the acceptance of responsibility and of the limits placed upon the
freedom of individuals or the groups”.[7]
Divisions within a society, the increase of
social inequalities and the refusal to employ the means of ensuring integral
human development endanger the pursuit of the common good. Yet patient efforts
based on the power of the word and of truth can help foster a greater capacity
for compassion and creative solidarity.
In our Christian experience, we constantly
remember Christ, who gave his life to reconcile us to one another (cf. Rom 5:6-11).
The Church shares fully in the search for a just social order; she continues to
serve the common good and to nourish the hope for peace by transmitting
Christian values and moral teaching, and by her social and educational works.
3. Peace, a
journey of reconciliation in fraternal communion
The Bible, especially in the words of the
Prophets, reminds individuals and peoples of God’s covenant with humanity,
which entails renouncing our desire to dominate others and learning to see one
another as persons, sons and daughters of God, brothers and sisters. We should
never encapsulate others in what they may have said or done, but value them for
the promise that they embody. Only by choosing the path of respect can we break
the spiral of vengeance and set out on the journey of hope.
We are guided by the Gospel passage that
tells of the following conversation between Peter and Jesus: “Lord, how often
shall my brother sin against me, and I forgive him? As many as seven times?”
Jesus said to him, “I do not say to you seven times, but seventy times seven” (Mt 18:21-22).
This path of reconciliation is a summons to discover in the depths of our heart
the power of forgiveness and the capacity to acknowledge one another as
brothers and sisters. When we learn to live in forgiveness, we grow in our
capacity to become men and women of peace.
What is true of peace in a social context is
also true in the areas of politics and the economy, since peace permeates every
dimension of life in common. There can be no true peace unless we show
ourselves capable of developing a more just economic system. As Pope Benedict
XVI said ten years ago in his Encyclical Letter Caritas in
Veritate, “in order to defeat underdevelopment, action is required not only
on improving exchange-based transactions and implanting public welfare
structures, but above all on graduallyincreasing openness, in a world context,
to forms of economic activity marked by quotas of gratuitousness and communion”
(No. 39).
4. Peace, a
journey of ecological conversion
“If a mistaken understanding of our own
principles has at times led us to justify mistreating nature, to exercise
tyranny over creation, to engage in war, injustice and acts of violence, we
believers should acknowledge that by so doing we were not faithful to the
treasures of wisdom which we have been called to protect and preserve”.[8]
Faced with the consequences of our hostility
towards others, our lack of respect for our common home or our abusive
exploitation of natural resources – seen only as a source of immediate profit,
regardless of local communities, the common good and nature itself – we are in
need of an ecological conversion. The recent Synod on the Pan-Amazon
Region moves us to make a pressing renewed call for a peaceful
relationship between communities and the land, between present and past,
between experience and hope.
This journey of reconciliation also calls for
listening and contemplation of the world that God has given us as a gift to
make our common home. Indeed, natural resources, the many forms of life and the
earth itself have been entrusted to us “to till and keep” (Gen 1:15),
also for future generations, through the responsible and active participation
of everyone. We need to change the way we think and see things, and to become
more open to encountering others and accepting the gift of creation, which
reflects the beauty and wisdom of its Creator.
All this gives us deeper motivation and a new
way to dwell in our common home, to accept our differences, to respect and
celebrate the life that we have received and share, and to seek living
conditions and models of society that favour the continued flourishing of life
and the development of the common good of the entire human family.
The ecological conversion for which we are
appealing will lead us to a new way of looking at life, as we consider the
generosity of the Creator who has given us the earth and called us to a share
it in joy and moderation. This conversion must be understood in an integral
way, as a transformation of how we relate to our sisters and brothers, to other
living beings, to creation in all its rich variety and to the Creator who is
the origin and source of all life. For Christians, it requires that “the
effects of their encounter with Jesus Christ become evident in their
relationship with the world around them”.[9]
5. “We obtain all
that we hope for”[10]
The journey of reconciliation calls for
patience and trust. Peace will not be obtained unless it is hoped for.
In the first place, this means believing in
the possibility of peace, believing that others need peace just as much as we
do. Here we can find inspiration in the love that God has for each of us: a
love that is liberating, limitless, gratuitous and tireless.
Fear is frequently a
source of conflict. So it is important to overcome our human fears and
acknowledge that we are needy children in the eyes of the One who loves us and
awaits us, like the father of the prodigal son (cf. Lk 15:11-24).
The culture of fraternal encounter shatters the culture of conflict. It makes
of every encounter a possibility and a gift of God’s generous love. It leads us
beyond the limits of our narrow horizons and constantly encourages us to a live
in a spirit of universal fraternity, as children of the one heavenly Father.
For the followers of Christ, this journey is
likewise sustained by the sacrament of Reconciliation, given by the Lord for
the remission of sins of the baptized. This sacrament of the Church, which
renews individuals and communities, bids us keep our gaze fixed on Jesus, who
reconciled “all things, whether on earth or in heaven, by making peace through
the blood of his cross” (Col 1:20). It requires us to set aside
every act of violence in thought, word and deed, whether against our neighbours
or against God’s creation.
The grace of God our Father is bestowed as
unconditional love. Having received his forgiveness in Christ, we can set out
to offer that peace to the men and women of our time. Day by day, the Holy
Spirit prompts in us ways of thinking and speaking that can make us artisans of
justice and peace.
May the God of peace bless us and come to our
aid.
May Mary, Mother of the Prince of Peace and
Mother of all the peoples of the earth, accompany and sustain us at every step
of our journey of reconciliation.
And may all men and
women who come into this world experience a life of peace and develop fully the
promise of life and love dwelling in their heart.
From the Vatican, 8
December 2019
Franciscus
[1] BENEDICT XVI,
Encyclical Letter Spe Salvi (30 November 2007), 1.
[3] Cf. Homily at
Lampedusa, 8 July 2013.
[5] SECOND VATICAN
ECUMENICAL COUNCIL, Pastoral Constitution Gaudium et Spes,
78.
[6] Cf. BENEDICT
XVI, Address to the Italian Christian Workers’ Associations,
27 January 2006.
[7] Apostolic
Letter Octogesima Adveniens (14 May 1971), 24.
[8] Encyclical
Letter Laudato Si’ (24 May 2015).
[10] Cf. SAINT JOHN OF
THE CROSS, Noche obscura, II, 21,8