Populismo
[Ripubblico, per la grande attualità del tema, il post sul populismo che ho inserito nello scorso settembre]
Gli studiosi di politica
segnalano in Italia il pericolo del populismo. Quest’ultimo, per
come lo si intende nel dibattito pubblico di oggi, è una strategia politica per
conquistare e conservare il potere. Viene attuata da gruppi in crisi di legittimazione,
vale a dire quando non riescono a convincere la gente con altri argomenti.
Consiste nel confermare le persone nelle loro paure irrazionali, giustificando
le loro tentazioni cattive. Si sostiene che la situazione è tanto grave che non
c’è altro modo per uscirne che essere cattivi, come si fa in guerra. I
populisti si offrono di fare il male per conto altrui: propongono un patto che
consiste nel dar loro il potere senza stare tanto a sottilizzare e promettono
di fare loro il lavoro sporco che occorre per salvarsi, liberando le coscienze
dei loro mandanti politici. Però richiedono mani libere. Non vogliono sentire
obiezioni in corso d’opera. E quando cominciano a far danno e qualcuno
protesta, dicono che è troppo presto per farlo, che bisogna lasciarli lavorare.
E’ sempre troppo presto. E se si osserva che, continuando in un certo
modo, le cose non potranno che peggiorare, allora accusano chi fa queste
previsioni di essere un menagramo e un disfattista. Proposta questa
impostazione politica, si è di fronte al populismo, nel senso che ho sopra
precisato. E’ chiaro che si tratta di un atteggiamento che ricorre in misura
maggiore o minore in quasi tutte le politiche italiane di oggi. E’ una
manifestazione del degrado della politica. Si tratta di un fenomeno che è in
corso dagli scorsi anni ’80, quando appunto gli studiosi cominciarono a parlare
di crisi dei legittimazione della politica. E’ degrado per tre
aspetti: per il fatto che non si dice alla gente la verità sui mali sociali;
perché si propone come soluzione un lavoro sporco, che consiste nell’essere
cattivi; perché, infine, si propone di dare fiducia incondizionata a certi
politici, disertando un lavoro essenziale in democrazia che è quello della
costante critica politica razionale.
Il populismo può essere
considerato come una grave malattia della democrazia. Infatti è una strategia
che è stata attuata storicamente da correnti politiche non democratiche e dai
loro principali esponenti. Fu sostanzialmente populista la politica del
fascismo mussoliniano, fino alla sua prima caduta nel luglio del 1943.
Successivamente esso fu caratterizzato essenzialmente dalla violenza politica,
fino al disastro finale nell’Italia del Nord, nel 1945. Ma populismo e violenza
politica spesso si accompagnano. Questo perché il populismo di solito prende di
mira certi settori sociali, dai quali può venire una reazione alla quale si
oppone una repressione violenta. Il populismo è insofferente dei limiti che
caratterizzano le politiche democratiche e li considera parte del problema da
risolvere senza tanti scrupoli morali. Il pericolo della violenza politica
incombe quindi in tutte le politiche populiste.
Parliamo di popolo e
di paure. Ma quali sono le paure esagerate artificiosamente dal
populismo? Possono essere le più varie, a seconda degli strati sociali
coinvolti. In questa prospettiva il popolo perde il suo aspetto unitario, di
massa in cui non si riesce bene a distinguere granché, come in una fotografia
dell’alto del grande pubblico di un concerto rock. Appaiono vari gruppi,
ciascuno dei quali ha le sue specifiche paure. Il populista confermerà tutti
nelle loro paure, senza curarsi di avere un atteggiamento coerente. A tutti
dirà che penserà lui a mettere le cose a posto, andando al potere. Se si cerca
di approfondire, andrà su generico, ad esempio dicendo di ispirarsi a qualche
modello straniero vincente. Ma le ragioni per cui ci sono
nazioni vincenti e nazioni perdenti sono
appunto quelle che occorre studiare per capire che fare. Com’è successo che
certi siano tra i perdenti? E come farà il nostro populista a ribaltare
la situazione? Che competenza ha? Un discorso come questo dà fastidio al
populista: a questo punto i fascisti storici iniziavano a menare le mani.
Quando ci affidiamo ad una qualche azienda per le nostre esigenze, ad esempio
per acquistare l’automobile alla quale affidiamo le nostre vite, ci informiamo
delle referenze di chi produce e vende. Il populista in genere non è in grado
di esibire curriculi impressionanti. A volte è veramente alle prime armi. O le
sue esperienze di amministrazione riguardano situazioni piuttosto limitate. Ma
è ambizioso, se gli si affidasse il mondo intero avrebbe la soluzione a tutti i
suoi problemi. E fa una colpa a chi ha da obiettare in merito.
Immaginate di dover subire
un delicato intervento chirurgico. Preferireste affidarvi a chi capita o ad un
medico con un buon curriculum?
Tutti dovrebbero intendersi un
po’ di politica. Non è come per la medicina, dove per capirci occorre aver
seguito un impegnativo corso di studi. Ma governare una grande città, una
regione o una nazione intera richiede molto più che l’intendersi un
po’ di politica: occorre aver dimostrato di saper fare e,
innanzi tutto, di conoscere veramente e realisticamente le istituzioni con le
quali si deve avere a che fare, le funzioni da svolgere e i problemi che ci
sono.
Poi, a disastro avvenuto, ci
sarà sempre qualcuno che dirà che il populista qualcosa di buono
l’avrà pure fatto. Questo argomento mi è stato proposto questa estate a
proposito del Mussolini.
Allora ho fatto l’esempio che
segue. Qualche anno fa il secondo pilota di un aereo di linea, rimasto solo
alla guida, ha mandato l’apparecchio a schiantarsi contro una montagna. Aveva
deciso di farla finita. In quel momento gli è parsa una buona soluzione e si è
trascinato dietro gli altri membri dell’equipaggio e i passeggeri. Si è
scoperto che aveva avuto problemi psichiatrici, che però non erano stati
segnalati alla compagnia aerea. Ma qualcosa di buono l’avrà pure fatto!
Avrà voluto bene a qualcuno. Avrà avuto una famiglia che ha seguito
amorevolmente. Prima di quell’ultimo volo, non aveva fatto sempre quello
che doveva? Eh, sì, qualcosa di buono certamente l’avrà fatto. Ma
voi, se aveste saputo dei problemi psichiatrici che aveva maturato quel pilota,
ci sareste saliti con lui su quell’ultimo volo? E’ così che vanno giudicati i
politici di governo, prima e dopo il loro servizio. Sì, ad esempio, avranno
pure fatto qualcosa di buono, ma ora sono in grado di pilotare la
nazione? Non è che ci manderanno a sbattere contro una montagna? Nel caso del
Mussolini, non è che egli abbia nascosto le sue intenzioni: voleva fare guerra,
diceva, per conquistare uno spazio vitale,
in cui erano comprese Libia ed Etiopia. Lo ha detto chiaro e forte e agli italiani,
fin da piccoli, ha messo in mano libro e moschetto (un tipo di
fucile utilizzato in guerra). Seguiva i futuristi, per i quali la
guerra era l’unica igiene del mondo. Bene, l’Italia ebbe la guerra,
diverse guerre, prima quelle coloniali e poi quella mondiale.
Gli italiani, che erano meno ricchi della gente di altre nazioni, speravano di
guadagnarci. Conquistare non significa anche un
po’ rapinare, che è quando con la violenza ci si impossessa
delle ricchezze altrui? Gli italiani ritennero di averne il diritto, perché
anche gli altri europei facevano lo stesso. Quindi poi alla fine sono andati a
sbattere in una disastrosa guerra mondiale, dalla quale la nazione è uscita
pressoché annientata. Alcuni sono ancora tentati da quella via, ma capiscono che
qualcosa non è andato per il verso giusto e allora, quando non passano a menare
le mani, propongono l’argomento principe dei populisti di sempre a
disastro avvenuto, appunto quello del ma qualcosa di buono l’avrà fatto.
Altri sostengono che però sarebbe meglio vederci chiaro,
realisticamente, prima ed ora su
come andrà a finire nel complesso con una politica; a loro non
basta che chi comanda qualcosa di buono l'abbia comunque fatto. E
se poi la storia si ripetesse? E se ci si schiantasse? I saggi invitano ad
imparare dalla storia, che è, dicono, maestra di vita.
Ognuno ha delle paure per come
vanno le cose in società. Il sociologo Zygmunt Bauman (1925-2017) ha scritto
che la nostra epoca è caratterizzata dall’insicurezza sociale,
ed anche nelle società più ricche. Non si è più sicuri del lavoro, di avere una
casa, di essere aiutati nelle difficoltà. Si cerca di trovare soluzioni private
a questi mali sociali, ma di solito si è sempre indietro, in fondo impotenti,
rimane sempre questa paura. Ma com'è che accade anche nelle nazioni più ricche?
Non ci si potrebbe fare qualcosa con gli strumenti della politica?
Probabilmente sì, perché si tratta di mali sociali che sono le conseguenze
di sistemi di relazioni sociali che non funzionano
bene. Si tratta di costruzioni umane che, come sono state fatte, possono anche
essere cambiate. Però si tratta di sistemi molto complessi, di reti di
relazioni che ormai coinvolgono tutto il mondo. Per cui, ad esempio, il
pericolo di una guerra nucleare dall’altra parte del globo ci preoccupa, e
veramente ci deve preoccupare ha sostenuto il capo del governo tedesco Angela
Merkel, non tanto perché potrebbe arrivarci addosso un qualche missile
sparato da laggiù, ma perché gran parte delle nostre cose di uso quotidiano,
che compriamo a basso prezzo, ci vengono da quelle parti. Prima di operare bisogna,
quindi, innanzi tutto capire e capire in
modo veritiero, realistico, che significa in modo
aderente ai fatti e razionalmente. E,
capendo, si potrebbe avere la spiacevole sorpresa di concludere che le
cose non possono cambiare veramente se non si decide innanzi tutto di cambiare
il modo come è impostata la propria vita. Non serve essere
cattivi con qualcun altro. E’ appunto ciò che viene proposto
nell’enciclica Laudato si’, diffusa nel 2015 dal papa Francesco. E’
un documento che contiene un’analisi realistica e razionale dei mali sociali di
oggi. Ma non contiene populismo, come i detrattori del Papa sostengono:
innanzi tutto perché si tratta di un’analisi realistica della realtà; poi
perché non conferma la gente nelle sue paure, ma anzi esorta a non
avere paura; non propone di essere cattivi per salvarsi, ma anzi di
essere virtuosi, e, infine, e questo è molto importante per distinguere la sua
prospettiva da quella populista, il suo principale problema non è di
conquistare o di mantenere un potere politico, ma di migliorare la situazione
sociale.
Il principale intento del
populista è invece quello di conquistare o di mantenere il potere politico, non
di risolvere i problemi della gente. E’ per questo che non ha necessità di una
visione realistica e razionale dei problemi della società. Gli basta avere una
visione realistica e razionale dei suoi problemi,
che pensa di risolvere andando al potere e mantenendolo. Ma a mente fredda gli
altri non gli darebbero credito perché non ha mai dimostrato di essere granché
come politico: bisogna allora che la gente abbia paura e abbandoni la
razionalità, il costume della critica sociale, e, insomma, si fidi senza
stare troppo a sottilizzare, si fidi sulla parola di chi le garantisce che la
salverà, anche se a costo di sofferenze altrui, il lavoro sporco del quale il
populista promette di occuparsi, senza farlo gravare sulle coscienze dei suoi
mandanti. Così il populista incoraggia la gente ad avere paura perché in questo
modo pensa che gli cadrà nelle mani, senza tante remore, scrupoli di coscienza,
resistenze intellettuali o morali. Il suo principale argomento è “non
è il momento di fare tanto gli schizzinosi”. L’etica passa in secondo
piano, come la razionalità. Ma come essere veramente sicuri di non rimanere
vittime di questo abbandono dell’etica, di quello che gli economisti
chiamano azzardo morale, che significa appunto fare i propri
interessi, egoisticamente, senza fare tanto gli schizzinosi?
Attualmente la principale
paura che le politiche populiste incoraggiano nella nostra gente è quella degli
immigrati, in particolare dall’Africa. Sembra che tutti i nostri problemi
dipendano da questo. E’ una paura irrazionale, naturalmente. Non è per questo
che rischiamo, ad esempio, il posto di lavoro e che il lavoro viene pagato, in
genere, sempre meno. E non è per questo che le risorse per i servizi sociali,
ad esempio per l’istruzione o la sanità, appaiono sempre eccessive, troppo onerose,
mentre quei servizi hanno crescenti difficoltà appunto per mancanza di risorse
sufficienti. L’economia ha prodotto crescenti diseguaglianze sociali. E si
vogliono spendere meno soldi per i servizi sociali, pubblici, che
contribuiscono ad aumentare il benessere di tutti, correggendo quelle
diseguaglianze in fondo ingiuste, quelle che il Papa chiama inequità.
Il tenore di vita di chi sta peggio è attualmente sostenuto dal
vantaggio di poter ancora acquistare a basso la gran parte dei prodotti di uso
comune, perché vengono prodotti in Oriente, dove i lavoratori vengono pagati
meno che da noi. L’aver spostato in Oriente la produzione di questi beni è una
delle ragioni per cui ci sono meno posti di lavoro in Europa. Noi acquistiamo
senza tanti problemi quei prodotti, anche se sappiamo che incorporano uno
sfruttamento dei lavoratori delle industrie che li hanno realizzati. Come
lavoratori siamo danneggiati, ma come consumatori avvantaggiati. In generale è
il lavoro che, qui da noi e in Oriente, non è pagato il giusto. Bisognerebbe
mettere in questione il sistema economico che attribuisce questo valore
ingiusto al lavoro. E’ il mercato. Non è una potenza della
natura. Le forze del mercato hanno regole e non solo quelle economiche. Una
serie di trattati internazionali consente alle cose di andare come vanno,
creando una cornice giuridica in cui poi si realizza questa ingiustizia
per cui il lavoro non è pagato il giusto. Vi è chi si avvantaggia. Per
questo, appunto, in Occidente come in Oriente sono aumentate fortemente
le diseguaglianze sociali. Sono una minoranza quelli che si trovano in una
posizione privilegiata. E quest’ultima dipende dalle politiche correnti, che
creano la struttura giuridica per mantenere un sistema economico che produce
diseguaglianze e, quindi, sofferenze sociali. Ma, alla fine e in particolare
nei sistemi democratici, non dovrebbero essere le maggioranze a prevalere? In
astratto, sì. Di fatto, paradossalmente, la maggioranza della gente rimane
soggetta alle minoranze dei privilegiati sociali e la situazione tende ad
inasprirsi sempre più se i correttivi sociali si fanno più deboli, ad esempio
se si fa più debole la resistenza dei sindacati nei rapporti di lavoro. Per
mantenere il controllo dei più, le minoranze dei privilegiati sviluppano
politiche populistiche. Significa che ancora la giustizia sociale non è di
questo mondo? Ma potrebbe esserlo, si potrebbe tentare di fare in modo che lo
sia, sarebbe interesse dei più cercare di promuoverla. Questa è anche la
posizione della dottrina sociale. Ecco come inizia, ad esempio, la lettera
apostolica Octogesima Adveniens - Avvicinandosi l’ottantesimo
anniversario (potete leggerla sul WEB a questo indirizzo
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_letters/documents/hf_p-vi_apl_19710514_octogesima-adveniens.html
diffusa nel 1971 dal papa Giovanni
Battista Montini, in religione Paolo 6°:
1. L'80° anniversario della
pubblicazione dell'enciclica Rerum novarum,
il cui messaggio continua a ispirare l'azione per la giustizia sociale,
ci spinge a riprendere e a prolungare l'insegnamento dei nostri predecessori,
in risposta ai nuovi bisogni di un mondo in trasformazione. La chiesa, infatti,
cammina con l'umanità e ne condivide la sorte nel corso della storia.
Annunciando agli uomini la buona novella dell'amore di Dio e della salvezza nel
Cristo, essa illumina la loro attività con la luce dell'evangelo, aiutandoli in
tal modo a corrispondere al divino disegno d'amore e a realizzare la pienezza
delle loro aspirazioni.
Appello universale a maggiore
giustizia
2. Con fiducia, noi vediamo lo
Spirito del Signore continuare la sua opera nel cuore degli uomini e radunare
dovunque comunità cristiane coscienti delle loro responsabilità nella società.
In tutti i continenti, tra tutte le razze, le nazioni, le culture, in mezzo ad
ogni sorta di condizioni, il Signore continua a suscitare autentici apostoli
dell'evangelo.
Ci è stato dato di incontrarli, di
ammirarli, di incoraggiarli durante i nostri recenti viaggi. Abbiamo avvicinato
le folle e ascoltato i loro appelli, grida di miseria e di speranza al tempo
stesso.
In queste circostanze, i gravi
problemi del nostro tempo ci sono apparsi con un nuovo rilievo, come
particolari, certo, a ciascuna regione, ma tuttavia comuni a una umanità che si
interroga sul suo avvenire, sull'orientamento e il significato dei mutamenti in
corso. Differenze evidenti sussistono nello sviluppo economico, culturale e politico
delle nazioni: accanto a regioni fortemente industrializzate, altre sono ancora
allo stadio agricolo; accanto a paesi che conoscono il benessere, altri lottano
contro la fame; accanto a popoli ad alto livello culturale, altri continuano a
occuparsi della eliminazione dell'analfabetismo. Da ogni parte sale
un'aspirazione a maggiore giustizia e si alza il desiderio di una pace meglio
assicurata, in un mutuo rispetto tra gli uomini e tra i popoli.
Il populista cerca di
accattivarsi la fiducia dei più promettendo di farli privilegiati o, comunque,
di trattarli come tali. Non ha di mira la giustizia sociale. Qualcuno ci
rimetterà, ma, assicura, non saranno quelli a cui promette un patto richiedendo
fiducia incondizionata.
Siamo terrorizzati da chi ha la
pelle di un colore diverso dalla nostra, non si esprime (ancora) bene in
Italiano ed è povero. Sembra che finirà per sottrarci qualche cosa. Ma, se
consideriamo bene, non è vero che le principali sofferenze ci sono inflitte,
invece, da connazionali? Ad esempio da chi ci licenzia dall’oggi al domani e
magari era tanto tempo che lavoravamo per lui. Oggi le leggi danno più libertà
di licenziare. Nella maggior parte dei casi oggi è previsto solo un indennizzo
pecuniario. Fino a qualche anno fa era diverso: le cose, dunque, sono cambiate
in peggio. Uno oggi può essere licenziato più facilmente, pagandogli qualcosa.
Ma, perso il lavoro, e quindi poi anche la dignità, che se ne fa uno di un
gruzzoletto che presto finisce? Siamo disgustati se si spacciano stupefacenti o
ci si offre in prostituzione sotto casa nostra, ma chi sono i clienti? Chi sta
peggio cerca di imitare i costumi di vita di chi sta meglio, ma essi sono
costosi. Allora può accadere che si rubi o si rapini. Magari per scoprire che
quello che si è ottenuto non serve per una vita buona, non dà la felicità e che
si è sempre gli stessi, poveri in umanità e dunque infelici, pur in mezzo
a case a volte trasformate in delle specie di magazzini in cui sono
affastellate alla rinfusa cose costose ma di cattivo gusto. E’ questa
l’impressione che si ricava, ad esempio, dalle foto, diffuse dai giornali e
dalle televisioni, delle perquisizioni nelle abitazioni di certi criminali che
si sono arricchiti. Bisognerebbe invece imparare la vita buona e la virtù, da qui
viene la felicità: questo è l’insegnamento della dottrina sociale.
Di fatto agli immigrati
africani si sono chiuse certe vie per raggiungere le nostre coste. Questo è
costato violenza. Avviene tutto lontano dai nostri occhi, così cerchiamo di
dimenticarcene. Il populista ci rassicura: abbiamo ragione a non avere scrupoli
di coscienza. Non si poteva fare diversamente. Il Papa, invece, ci ricorda il
tremendo rimprovero biblico a Caino e ai suoi seguaci, "Dov'è il tuo
fratello?". Gente viene ora respinta in massa. Questi respingimenti
collettivi non sarebbero consentiti dalle norme internazionali in vigore, ad
esempio dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Articolo 19
Protezione in caso di allontanamento,
di espulsione e di estradizione
1. Le espulsioni
collettive sono vietate.
2. Nessuno può
essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un
rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre
pene o trattamenti inumani o degradanti.
Un divieto analogo è contenuto
nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, firmata proprio a Roma nel 1950. Nel 2014 la
Repubblica italiana è stata condannata con sentenza della Corte Europea dei
Diritti Umani per averli attuati. Ma ora tutto si svolge in un’altra nazione,
considerata insicura dalle autorità internazionali ma anche dalle nostre
autorità: e tutto si fa in base ad accordi che abbiamo concluso laggiù, anche
con autorità locali. Le nostre paure hanno trovato una specie di conforto,
effettivamente l’immigrazione africana si è ridotta, senza che ci tocchi la
violenza che è stata necessaria per riuscirci, ma rimane la gente che è già
riuscita a giungere tra noi, anche quella ci fa paura. E quando riuscissimo
a sistemare anche quella, ma sarà più difficile farlo
perché certe soluzioni sbrigative non le possiamo proprio attuare sul
nostro territorio nonostante tutte le nostre cattive
intenzioni, poi le cose andrebbero veramente meglio? Alcuni sono convinti di sì
e le politiche populiste li incoraggiano, come appunto i populisti sono soliti
fare. Ma poi, in genere, non si soffre veramente a causa degli immigrati, che
al più, se poveri, possono essere un brutto spettacolo, come la povertà in
genere è, ma null’altro. Si soffre, ad esempio, per il taglio della spesa
pubblica, che determina una riduzione delle spese sociali, di benessere di
tutti, e consegue anche, ma non solo, al proposito di tagliare le tasse.
Meno tasse, meno entrate fiscali, meno spesa pubblica: i
conti così tornano. Il populista, però, a chi è
preoccupato per le tasse, promette di ridurle, e a chi è preoccupato per la
riduzione della spesa pubblica, promette di aumentarla. Come farà? Di solito si
tiene sul vago. Promette di colpire l’evasione fiscale, ma allora poi
protesteranno i suoi sostenitori che sono preoccupati per le tasse e forse
hanno già scelto quella via per proteggersene. O propone di liberarsi dai
vincoli europei e di uscire dall’area dell’Euro, la moneta comune della nostra
Unione Europea, la nostra nuova Europa, riacquistando la sovranità monetaria,
per tornare così, rapidamente, all’inflazione a due cifre che chi ha la mia età
ha sperimentato. Negli anni ’70 arrivò, in concomitanza con la crisi
energetica, quasi fino al 25% annuo e così stipendi e risparmi della
gente evaporavano. Una soluzione che, secondo molti studiosi, ci
manderebbe a sbattere. Non è stampando più carta moneta
che si risolvono i problemi dell’economia, tanto più che è molto aumentata la
nostra dipendenza dall’estero, dove acquistiamo praticamente tutti i prodotti
di uso comune. Che mercato potrebbe avere una
moneta svalutata?
Perché il populismo ha preso
tanto piede, venendo utilizzato, in misura più o meno ampia, anche da forze che
non se ne servirono in passato? E’ appunto, come ho scritto, per la crisi di
legittimazione della politica, per cui la gente non ritiene più utile fare politica
e non se ne vuole più occupare. Si è stufata di discorsi politici ragionevoli,
li ritiene più o meno degli imbrogli. Tutti i politici sono uguali, pensa, e
fanno solo i propri interessi. Servirebbe piuttosto farsene dei complici. E'
appunto questa la proposta del populista. Allora si finisce per dare
ascolto ai tipi sbrigativi, anche se poco referenziati, che promettono di
esonerare la gente da tutte quelle preoccupazioni: faranno tutto loro,
promettono, anche il lavoro sporco, che poi potrebbe dare problemi di
coscienza, e lo faranno anche nel nostro interesse, ma sempre in danno di certi
altri, quelli che di volta in volta sono additati come responsabili del male
che c’è, assicurandoci che noi non saremo tra quelli. Sono promesse che
assomigliano certe volte, appunto, ad un arruolamento come complici. E
può prevedersi che, quando le cose finiranno male, i populisti con cui ci
saremo federati ci chiameranno a correi: diranno che noi siamo stati loro
complici. Certe cose le avevamo chieste noi. Ma anche di più,
storicamente è accaduto proprio questo: diranno che le cose sono andate
male non per colpa loro, che hanno tenuto fede ai patti, ma per colpa nostra,
perché non siamo stati abbastanza determinati nell'essere cattivi. Ci
accuseranno di aver avuto troppi scrupoli, di aver guastato tutto per aver
frenato mettendo di mezzo, ad un certo punto, la ragione e l'etica. Non si era
concordato di non fare tanto gli schizzinosi? Ci troveremmo,
allora, in questo caso, davanti al tribunale della storia, insieme a
loro.
Non sarebbe meglio, invece,
seguire la via della virtù indicata dalla dottrina sociale?
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa -
Roma, Monte Sacro, Valli