dal WEB:
https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/homilies/1979/documents/hf_jp-ii_hom_19791202_st-clement-parish.html
VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA
DI SAN CLEMENTE AI PRATI FISCALI
OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI
PAOLO II
I Domenica di Avvento, 2 dicembre
1979
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Dal WEB. Karol Wojtyla arriva a Roma per il Conclave nel 1978. Aveva due anni meno di me ora. Divenne un Papa giovane che piaceva a noi giovani di allora. |
1. Desidero salutare tutta la vostra parrocchia nel nome di colui
che è il suo Patrono: San Clemente, uno dei primi successori di San Pietro,
Vescovo di Roma, vissuto alla fine del primo secolo dopo Cristo, testimone
della fede apostolica, esule e martire. Diriga egli i nostri passi ed
accompagni questa visita che, dopo 19 secoli, compie, nella parrocchia a lui
dedicata, il suo successore in Roma. Interceda per noi e parli a noi con
l’eloquenza di quella testimonianza apostolica, nella quale è vissuta questa
città ai suoi tempi, appena qualche decina di anni dopo i Santi Pietro e Paolo.
La città di una
particolare scelta da parte di Dio: potessimo noi sempre meritare, con la
nostra vita e con la nostra condotta, questa scelta insolita! Possa servire a
tale scopo anche la visita odierna alla vostra parrocchia!
In conformità con la
tradizione apostolica, inizio questa visita con un saluto rivolto a Dio e al
nostro Signore Gesù Cristo “che è, che era e che viene” (Ap 1, 8). E, nello
stesso tempo, con un saluto rivolto a tutta la vostra comunità in Cristo.
Anzitutto, un cordiale
saluto al vostro zelante parroco, Monsignor Vincenzo Pezzella, e ai sacerdoti
che con lui collaborano nella cura pastorale; alle buone Suore della
Congregazione del “Divino Amore” e a tutte le Religiose, che vivono ed operano
nell’ambito della parrocchia; alle 6.000 famiglie, ai padri, alle madri, a
tutti i 24.000 fedeli, che formano la Chiesa viva in questa zona di Roma, e che
dal 1956, cioè da 23 anni, costituiscono la parrocchia.
Il mio paterno saluto va anche ai bambini, agli adolescenti, ai
giovani, alle giovani coppie, agli anziani, agli ammalati. Un saluto di
compiacimento e di incoraggiamento a tutti coloro che, sacrificando
generosamente il loro tempo, si dedicano, secondo le proprie possibilità e
capacità, ad essere disponibili per il vario e complesso lavoro che si svolge
in questa comunità, così vivace, dinamica e attiva. Un plauso, in particolare,
a quanti si consacrano con impegno alla catechesi parrocchiale a tutti i
livelli.
Ed aggiungo, anche, in
questa gioiosa circostanza, l’augurio che siano presto superate tutte le
difficoltà e che siano trovati i mezzi adeguati perché possiate avere un
tempio, non più provvisorio, e accomodato, ma bello e definitivo, quale lo
sognate e lo desiderate, insieme con i vostri sacerdoti, da tanti anni.
2. Avvento: Prima domenica d’Avvento. “Ecco verranno giorni –
oracolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse...” (Ger 33, 14): leggiamo
oggi queste parole del libro del profeta Geremia e sappiamo che esse annunziano
l’inizio del nuovo anno liturgico e, nello stesso tempo, annunziano il momento
imminente, già in questa liturgia, della natività del Figlio di Dio dalla
Vergine. A tale momento nell’anno liturgico della Chiesa, a questa grande e
gioiosa solennità, ci prepariamo ogni anno. Desidero che anche la mia odierna
visita nella parrocchia di San Clemente serva a questa preparazione. Infatti,
il giorno in cui nasce Cristo deve portarci (come annuncia lo stesso profeta
Geremia) questa gioiosa certezza che “il Signore è la nostra giustizia”
(cf. Ger 33,
16).
3. Per il Natale la Chiesa si prepara in modo del tutto
particolare. Ci ricorda lo stesso evento, che ha presentato recentemente, alla
fine quasi dell’anno liturgico. Ci ricorda, cioè, il giorno dell’ultima venuta
di Cristo. Vivremo in modo giusto il Natale, cioè la gioiosa prima venuta del
Salvatore, quando saremo consapevoli della sua ultima venuta “con potenza e
gloria grande” (Lc 21,
27), come dichiara il Vangelo di oggi. In questo brano c’è una frase, sulla
quale voglio richiamare la vostra attenzione: “Gli uomini moriranno per la
paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra” (Lc 21, 26).
Richiamo l’attenzione
perché anche nella nostra epoca la paura “di ciò che dovrà accadere sulla
terra” si comunica agli uomini.
Il tempo della fine del
mondo nessuno lo conosce “ma solo il Padre” (Mc 13,
32), e perciò da quella paura, che si comunica agli uomini del nostro tempo,
non deduciamo alcuna conseguenza per quanto riguarda il futuro del mondo.
Invece, è bene fermarsi su questa frase del Vangelo odierno. Per vivere bene il
ricordo della memoria della nascita di Cristo, bisogna tener bene in mente la
verità sull’ultima venuta di Cristo; su quell’ultimo Avvento. E quando il
Signore Gesù dice: “State bene attenti... che quel giorno non vi piombi addosso
improvviso, come un laccio” (Lc 21,
34), allora giustamente sentiamo che egli parla qui non solo dell’ultimo giorno
di tutto il mondo umano, ma anche dell’ultimo giorno di ogni uomo.
Quel giorno, che chiude il
tempo della nostra vita sulla terra e apre davanti a noi la dimensione
dell’eternità, è anche l’Avvento. In quel giorno verrà a noi il Signore come
Redentore e Giudice.
4. Così dunque, come vediamo, è molteplice il significato
dell’Avvento, che, come tempo liturgico, ha inizio con la domenica odierna.
Sembra però che soprattutto la prima delle quattro domeniche di questo periodo
voglia parlarci con la verità del “passare”, a cui sono sottoposti il mondo e
l’uomo nel mondo. La nostra vita nel mondo è un “passare”, che inevitabilmente
conduce al termine. Tuttavia, la Chiesa vuol dire a noi – e lo fa con tutta la
perseveranza – che questo passare e quel termine sono, nello stesso tempo,
avvento: noi non solo passiamo, ma contemporaneamente ci prepariamo! Ci
prepariamo all’incontro con lui.
La fondamentale verità
sull’Avvento è, nello stesso tempo, seria e gioiosa. È seria: risuona in essa
lo stesso “vegliate” che abbiamo sentito nella liturgia delle ultime domeniche
dell’anno liturgico. Ed è, nello stesso tempo, gioiosa: l’uomo infatti non vive
“nel vuoto” (lo scopo della vita dell’uomo non è “il vuoto”). La vita dell’uomo
non è soltanto un avvicinarsi al termine, che insieme alla morte del corpo
significherebbe l’annientamento di tutto l’essere umano. L’Avvento porta in sé
la certezza della indistruttibilità di questo essere. Se ripete: “Vegliate e
pregate...” (Lc 21,
36), lo fa perché possiamo essere preparati a “comparire davanti al Figlio
dell’uomo” (Lc 21,
36).
5. In questo modo, l’Avvento è anche il primo e fondamentale tempo
di scelta; accettandolo, partecipando ad esso, scegliamo il principale senso di
tutto la vita. Tutto ciò che avviene tra il giorno della nascita e quello della
morte di ognuno di noi, costituisce, per così dire, una grande prova: l’esame
della nostra umanità. E perciò, quell’ardente richiamo di San Paolo nella
seconda lettura di oggi: il richiamo a potenziare l’amore, a rendere saldi e
irreprensibili i nostri cuori nella santità; l’invito a tutto il nostro modo di
comportarci (in linguaggio d’oggi si potrebbe dire “a tutto lo stile di vita”),
all’osservanza dei comandamenti di Cristo. L’Apostolo insegna: se noi dobbiamo
piacere a Dio, non possiamo perseverare nella stasi, dobbiamo andare avanti,
cioè “per distinguerci ancora di più” (cf. 1 Ts 4, 1). Ed è così infatti. Nel Vangelo
vi è un invito al progresso. Oggi tutto il mondo è pieno di inviti al
progresso.
Nessuno vuole essere un
“non-progressista”. Si tratta, tuttavia, di sapere in che modo si debba e si
possa “essere progressisti”, in che cosa consista il vero progresso. Non
possiamo passare tranquillamente al di sopra di queste domande. L’Avvento porta
in sé il significato più profondo del progresso. L’Avvento ci ricorda ogni anno
che la vita umana non può essere una stasi. Deve essere un progresso. L’Avvento
ci indica in che cosa consiste questo progresso.
6. E perciò aspettiamo il momento della nuova nascita di Cristo
nella liturgia. Poiché egli è Colui che – come dice il Salmo di oggi – “addita
la via giusta ai peccatori; guida gli umili secondo giustizia, insegna ai
poveri le sue vie” (Sal 25,
8-9).
E quindi verso Colui che verrà – verso Cristo – ci rivolgiamo con
piena fiducia e convinzione.
E diciamo a lui:
Guida!
Guidami nella verità!
Guidaci nella verità!
Guida, o Cristo,
nella verità i padri e le madri di famiglia della parrocchia:
spronati e fortificati
dalla grazia sacramentale del matrimonio
e consapevoli di essere sulla terra
il segno visibile
del tuo indefettibile amore per la Chiesa,
sappiano essere sereni e decisi
nell’affrontare con coerenza evangelica
le responsabilità della vita coniugale
e dell’educazione cristiana dei figli.
Guida, o
Cristo, nella verità
i giovani della parrocchia:
che non si lascino attrarre
dai nuovi idoli,
quali il consumismo ad oltranza,
il benessere ad ogni costo,
il permissivismo morale,
la violenza protestataria,
ma vivano con gioia il tuo messaggio,
che è il messaggio delle Beatitudini,
il messaggio dell’amore verso Dio
e verso il prossimo,
il messaggio dell’impegno morale
per la trasformazione autentica della società.
Guida, o
Cristo, nella verità
tutti i fedeli della parrocchia:
che la fede cristiana
animi tutta la loro vita
e li faccia diventare, di fronte al mondo,
coraggiosi testimoni
della tua missione di salvezza,
membri coscienti
e dinamici della Chiesa,
lieti di essere figli di Dio
e fratelli, con te, di tutti gli uomini!
Guidaci, o Cristo, nella verità!
Sempre!
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Nota mia:
Quando il Papa venne a visitare la nostra
parrocchia nel 1979 io non c’ero. La parrocchia non era il mio mondo, era
quello di mia madre, che vi faceva la catechista, Aveva dieci anni di meno del
me di adesso, ma a me sembrava vecchia. Ora lo è veramente e anch’io lo sto
diventando. Nel ‘79 ero più giovane delle mie figlie oggi. Stavo finendo
l’università. Da qualche mese ero entrato in FUCI e, da fucino, avevo
incontrato il Papa, che aveva 59 anni, uno di
meno di me ora, e aveva iniziato il suo alto ministero l’anno
precedente.
E’
passata una vita intera, molto velocemente ad uno sguardo retrospettivo. Mi
ammonirono all’epoca: questo è per te il
momento della scelta, irripetibile, il tempo è poco, è ora che bisogna
decidersi. Come tanti giovani miei coetanei non credetti, non prestai fede.
All’inizio la vita sembra smisurata. Mi accorgo così di aver sprecato tanto
tempo, in particolare tante possibilità di bene.
Alla
fine dell’anno liturgico è tempo di fare un bilancio, ci ha spiegato stamattina
a Messa il sacerdote. Alla mia età adesso è addirittura l’ora di fare quello di
una vita. Mio padre ci lasciò improvvisamente quando aveva solo quattro anni
più di me.
Che dire? Come ho utilizzato i talenti che mi
erano stati consegnati? Che farei se mi trovassi nella situazione dei servi
della parabola del Vangelo di oggi (Mt
25,14-30)? Temo di aver portato con me il talento che mi era stato
affidato, senza nemmeno sotterrarlo per preservarlo, ma mettendolo tra le tante
cianfrusaglie di una vita, di modo che
ogni tanto saltava casualmente fuori e poi veniva di nuovo perso.
Riconosco la verità della critica che un
amico mi fece a quell’epoca, a cavallo tra gli anni ’70 e ‘80. Ho rifiutato
l’impegno, mi sono sempre ritirato, sono stato prevalentemente un osservatore.
Ora posso dare tante giustificazioni, ma rimane il fatto che ora vorrei essere stato migliore. Ho
potuto constatare che è un sentimento abbastanza comune tra i miei coetanei.
Cambiare il passato è impossibile. Lo dico ai
ventenni di adesso. Ci credano, prestino fede a quello che dico. Si può essere
diversi solo da oggi in avanti. E il tempo fugge. Man mano che si cresce,
cambiare diventa sempre più difficile: manca il tempo. Si diventa poveri di
tempo.
Nella storia del pensiero è stato osservato
che il tempo soggettivo non appare scorrere sempre uguale nella nostra vita. E’
lento a passare all’inizio e prende ad andare sempre più veloce crescendo. Alla
mia età un anno è come un mese di quando avevo vent’anni. E da adesso in poi
andrà sempre peggio. Si è ricchi di tempo da giovani e sempre più poveri da
anziani. Da vecchi il trascorrere del tempo tende anche a diventare senza
senso, così, tutto sommato, è dolce che acceleri: si soffre di meno.
Da giovani si è più ricchi
di tempo, ma non di rado lo si spreca. E la civiltà in cui viviamo spesso non
ci aiuta a correggerci. Tutto, a volte, coopera nello scoraggiarci. Chi ha
tempo, ne tenga conto. Non perseveri nella stasi. E’ comunque inutile
rimpiangere il tempo perduto, e anche molto doloroso proprio perché inutile.
Avanti, bisogna guardare. «Avanti! Avanti!» ci esortava in famiglia, da molto anziano, mio zio Achille, nostro
riferimento spirituale di sempre. «Nel
Vangelo vi è un invito al progresso» ha insegnato il Papa santo, «l’Avvento ci
indica in che cosa consiste questo progresso. E perciò aspettiamo il momento
della nuova nascita di Cristo nella liturgia. Poiché egli è Colui che – come
dice il Salmo– “addita la via giusta ai peccatori; guida gli umili secondo
giustizia, insegna ai poveri le sue vie” (Sal 25,
8-9)». Così sia.
Mi consola questo: Karol
Wojtyla è stato proclamato santo in gran parte per le cose che fece dai
sessant’anni in poi. Cooperò al cambiamento del mondo di allora. Dunque:
avanti! Vale anche per gli anziani.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli.