La giusta mercede
Dall’enciclica Le novità - Rerum novarum, del papa Vincenzo Giocchino Pecci, regnante in
religione come Leone 13°, del 15 maggio 1891:
«17.
Principalissimo poi tra i loro doveri è dare a ciascuno la giusta mercede*. Il
determinarla secondo giustizia dipende da molte considerazioni: ma in generale
si ricordino i capitalisti e i padroni che le umane leggi non permettono di
opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici, e di trafficare sulla
miseria del prossimo. Defraudare poi la dovuta mercede è colpa così enorme che
grida vendetta al cospetto di Dio. Ecco, la mercede degli operai... che fu defraudata da voi,
grida; e questo grido ha ferito le orecchie del Signore degli eserciti (Giac 5,4).
Da ultimo è dovere dei ricchi non danneggiare i piccoli risparmi dell'operaio
né con violenza né con frodi né con usure manifeste o nascoste; questo dovere è
tanto più rigoroso, quanto più debole e mal difeso è l'operaio e più sacrosanta
la sua piccola sostanza. L'osservanza di questi precetti non basterà essa sola
a mitigare l'asprezza e a far cessare le cagioni del dissidio ?»
*[nota: mercede, significa retribuzione]
Dal
discorso del papa Jorge Mario Bergoglio, regnante in religione come papa
Francesco, al 1° incontro mondiale dei movimenti popolari - Roma, 28 ottobre
2014:
«Questo incontro dei
Movimenti Popolari è un segno, un grande segno: siete venuti a porre alla
presenza di Dio, della Chiesa, dei popoli, una realtà molte volte passata sotto
silenzio. I poveri non solo subiscono l’ingiustizia ma lottano anche contro di
essa!
Non si accontentano di promesse illusorie, scuse o alibi. Non stanno
neppure aspettando a braccia conserte l’aiuto di Ong, piani assistenziali o
soluzioni che non arrivano mai, o che, se arrivano, lo fanno in modo tale da
andare nella direzione o di anestetizzare o di addomesticare, questo è
piuttosto pericoloso. Voi sentite che i poveri non aspettano più e vogliono
essere protagonisti; si organizzano, studiano, lavorano, esigono e soprattutto
praticano quella solidarietà tanto speciale che esiste fra quanti soffrono, tra
i poveri, e che la nostra civiltà sembra aver dimenticato, o quantomeno ha
molta voglia di dimenticare.
[..]
Questo nostro
incontro risponde a un anelito molto concreto, qualcosa che qualsiasi padre,
qualsiasi madre, vuole per i propri figli; un anelito che dovrebbe essere alla
portata di tutti, ma che oggi vediamo con tristezza sempre più lontano dalla
maggioranza della gente: terra, casa e lavoro. È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è
comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo.
Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri.
[…]
Viviamo in città che
costruiscono torri, centri commerciali, fanno affari immobiliari ma abbandonano
una parte di sé ai margini, nelle periferie. Quanto fa male sentire che gli
insediamenti poveri sono emarginati o, peggio ancora, che li si vuole
sradicare! Sono crudeli le immagini degli sgomberi forzati, delle gru che
demoliscono baracche, immagini tanto simili a quelle della guerra. E questo si
vede oggi.
[…]
Oggi al
fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione si somma una nuova dimensione,
una sfumatura grafica e dura dell’ingiustizia sociale; quelli che non si
possono integrare, gli esclusi sono scarti, “eccedenze”. Questa è la cultura
dello scarto, e su questo punto vorrei aggiungere qualcosa che non ho qui
scritto, ma che mi è venuta in mente ora. Questo succede quando al centro di un
sistema economico c’è il dio denaro e non l’uomo, la persona umana. Sì, al
centro di ogni sistema sociale o economico deve esserci la persona, immagine di
Dio, creata perché fosse il dominatore dell’universo. Quando la persona viene
spostata e arriva il dio denaro si produce questo sconvolgimento di valori.
E per illustrarlo ricordo qui un insegnamento dell’anno 1200 circa. Un
rabbino ebreo spiegava ai suoi fedeli la storia della torre di Babele e allora
raccontava come, per costruire quella torre di Babele, bisognava fare un grande
sforzo, bisognava fabbricare i mattoni, e per fabbricare i mattoni bisognava
fare il fango e portare la paglia, e mescolare il fango con la paglia, poi
tagliarlo in quadrati, poi farlo seccare, poi cuocerlo, e quando i mattoni
erano cotti e freddi, portarli su per costruire la torre.
Se cadeva un mattone — era costato tanto con tutto quel lavoro —, era
quasi una tragedia nazionale. Colui che l’aveva lasciato cadere veniva punito o
cacciato, o non so che cosa gli facevano, ma se cadeva un operaio non succedeva
nulla. Questo accade quando la persona è al servizio del dio denaro; e lo
raccontava un rabbino ebreo nell’anno 1200, spiegando queste cose orribili.
[…]
Già ora, ogni
lavoratore, faccia parte o meno del sistema formale del lavoro stipendiato, ha
diritto a una remunerazione degna, alla sicurezza sociale e a una copertura
pensionistica.
[…]
In questo incontro avete
parlato anche di Pace ed Ecologia. È logico: non ci può essere
terra, non ci può essere casa, non ci può essere lavoro se non abbiamo pace e
se distruggiamo il pianeta. Sono temi così importanti che i popoli e le loro
organizzazioni di base non possono non affrontare. Non possono restare solo
nelle mani dei dirigenti politici. Tutti i popoli della terra, tutti gli uomini
e le donne di buona volontà, tutti dobbiamo alzare la voce in difesa di questi
due preziosi doni: la pace e la natura. La sorella madre terra, come la
chiamava san Francesco d’Assisi.
Poco fa ho detto, e lo ripeto, che
stiamo vivendo la terza guerra mondiale, ma a pezzi. Ci sono sistemi economici
che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono
armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo
del denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei
campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle case
distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate. Quanta sofferenza,
quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, care sorelle e cari fratelli, si leva
in ogni parte della terra, in ogni popolo, in ogni cuore e nei movimenti
popolari, il grido della pace: Mai più la guerra!
Un sistema economico incentrato sul dio denaro ha anche bisogno di
saccheggiare la natura, saccheggiare la natura per sostenere il ritmo frenetico
di consumo che gli è proprio. Il cambiamento climatico, la perdita della
biodiversità, la deforestazione stanno già mostrando i loro effetti devastanti
nelle grandi catastrofi a cui assistiamo, e a soffrire di più siete voi, gli
umili, voi che vivete vicino alle coste in abitazioni precarie o che siete tanto
vulnerabili economicamente da perdere tutto di fronte a un disastro naturale.
Fratelli e sorelle: il creato non è una proprietà di cui possiamo disporre a
nostro piacere; e ancor meno è una proprietà solo di alcuni, di pochi. Il
creato è un dono, è un regalo, un dono meraviglioso che Dio ci ha dato perché
ce ne prendiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti, sempre con rispetto
e gratitudine.
[…]
Alcuni di voi
hanno detto: questo sistema non si sopporta più. Dobbiamo cambiarlo, dobbiamo
rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le
strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno. Va fatto con coraggio, ma
anche con intelligenza. Con tenacia, ma senza fanatismo. Con passione, ma senza
violenza. E tutti insieme, affrontando i conflitti senza rimanervi
intrappolati, cercando sempre di risolvere le tensioni per raggiungere un
livello superiore di unità, di pace e di giustizia. Noi cristiani abbiamo
qualcosa di molto bello, una linea di azione, un programma, potremmo dire, rivoluzionario.
Vi raccomando vivamente di leggerlo, di leggere le beatitudini che sono
contenute nel capitolo 5 di san Matteo e 6 di san Luca (cfr. Matteo, 5, 3 e Luca, 6, 20), e di
leggere il passo di Matteo 25. L’ho detto ai giovani a Rio de Janeiro, in queste
due cose hanno il programma di azione.»
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1. La dottrina sociale nacque in
polemica con il socialismo, in particolare con quello di orientamento marxista,
che seguiva l’ordine di idee del filosofo e politico tedesco rivoluzionario Karl
Marx (1818-1883). Lo considerò un falso rimedio, perché allontanava il
popolo dalla religione. Non negò i mali sociali contro i quali il socialismo
intendeva insorgere. Volle proporre una soluzione alternativa alla violenza
delle masse sfruttate contro la classe degli oppressori sociali. Su questa via,
in una lunga storia ormai durata oltre un secolo, incontrò e assimilò la
democrazia, come lo stesso socialismo fece, parallelamente.
Secondo il socialismo marxista, che è stato ed
è ancora un movimento di pensiero e di azione sviluppato a livello mondiale, l’ordinamento
sociale capitalista, nel quale la produzione e il commercio sono
prevalentemente organizzati e diretti da
soggetti privati, non da organizzazioni politiche pubbliche, impiegando in
queste attività risorse di proprietà privata, in relazione alle quali i
proventi delle attività d’impresa competono ai loro proprietari come accade con
i frutti degli alberi, è destinato fatalmente alla rovina. Lo sarebbe perché in
contraddizione con se stesso e sempre più instabile. Infatti, affermatosi politicamente per reagire all'ingiusto dominio delle classi feudali sulla società, genererebbe inevitabilmente esso stesso diseguaglianze e concentrazioni di ricchezze in poche mani, che, alla fine,
progredendo il processo, venendo le masse degli sfruttati gettate in una
condizione di povertà e insofferenza insopportabile, genererebbe una rivolta
con esiti rivoluzionari, vale a dire l’instaurazione di un nuovo ordine sociale
basato su diversi presupposti. Il lavoro
proposto dal socialismo è di due tipi: formazione delle masse sfruttate per
renderle consapevoli delle ragioni sociali delle loro sofferenze e agitazione
sociale e politica, per rendere più breve il passaggio ad un nuovo ordine. A
lungo il socialismo fu in polemica con la democrazia, vista come uno strumento
politico per mantenere il dominio delle classi privilegiate su quelle
subalterne, innanzi tutto a partire da un dominio culturale. La visione della
società corrente nelle società capitalistiche appariva conforme ai desideri
delle classi privilegiate e ne scoraggiava la riforma radicale. Una parte del
lavoro di formazione fatto storicamente dai socialisti consisteva nel
convincere le masse che le società capitalistiche potevano essere riformate.
Con l’assimilazione della democrazia da parte dei movimenti socialisti questo
generò l’orientamento politico detto riformismo, che si contrapponeva a quello rivoluzionario. Quest’ultimo riteneva che
la riforma radicale della società dovesse essere affidata direttamente alle
masse sfruttate, subalterne, che si sarebbero dovute esprimere in ogni sede
sociale, in particolare di lavoro, in assemblee dalle quali, da livelli locali
a quelli via via più vasti, nominando delegati, si sarebbe dovuta costituire un’assemblea
per organizzare e dirigere il processo di cambiamento: è il sistema detto sovietico, dalla parola russa sovièt,
che significa assemblea, consiglio. L’orientamento
socialista rivoluzionario non credeva alla collaborazione delle classi sociali,
perché riteneva che le classi egemoni, quelle che controllavano l’economia
capitalista, non avrebbero accettato di cedere il proprio potere se non
costrette con un’azione rivoluzionaria violenta e, soprattutto, anche se si
fosse iniziato ad attuare la riforma, ne sarebbero state sempre irriducibili
avversarie, esprimendo tendenze controrivoluzionarie,
che avrebbero impedito la
stabilizzazione di un nuovo ordine sociale.
2. L’impostazione della prima dottrina sociale proponeva
una soluzione di tipo etico al
conflitto sociale, che ammetteva esistere effettivamente, come spiegato dai
socialiste, giungendo ad utilizzare, per definire la classe subalterna, la
parola proletari usata dai socialisti:
[Enciclica Le Novità -
Rerum Novarum] «2. Comunque sia, è chiaro, ed in ciò si accordano tutti, come sia di estrema necessità venir in aiuto
senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari, che per la maggior
parte si trovano in assai misere condizioni, indegne dell'uomo. Poiché,
soppresse nel secolo passato le corporazioni di arti e mestieri, senza nulla
sostituire in loro vece, nel tempo stesso che le istituzioni e le leggi
venivano allontanandosi dallo spirito cristiano, avvenne che poco a poco gli
operai rimanessero soli e indifesi in balda della cupidigia dei padroni e di
una sfrenata concorrenza. Accrebbe il male un'usura divoratrice che, sebbene
condannata tante volte dalla Chiesa., continua lo stesso, sotto altro colore, a
causa di ingordi speculatori. Si aggiunga il monopolio della produzione e del
commercio, tanto che un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto
all'infinita moltitudine dei proletari un gioco poco meno che servile.»
Ecco, in sintesi, la soluzione proposta:
[dall’enciclica Le Novità - Rerum Novarum]
«14. Si stabilisca dunque in primo luogo questo principio,
che si deve sopportare la condizione propria dell'umanità: togliere dal mondo
le disparità sociali, è cosa impossibile. Lo tentano, è vero, i socialisti, ma
ogni tentativo contro la natura delle cose riesce inutile.
[…]
15. Nella presente
questione, lo scandalo maggiore è questo: supporre una classe sociale nemica
naturalmente dell'altra; quasi che la natura abbia fatto i ricchi e i proletari
per battagliare tra loro un duello implacabile; cosa tanto contraria alla ragione
e alla verità.
[…]
16. Innanzi tutto, l'insegnamento cristiano, di cui è
interprete e custode la Chiesa, è potentissimo a conciliare e mettere in accordo fra loro i ricchi e i proletari,
ricordando agli uni e agli altri i mutui doveri incominciando da quello imposto
dalla giustizia. Obblighi di giustizia, quanto al proletario e all'operaio,
sono questi: prestare interamente e fedelmente l'opera che liberamente e
secondo equità fu pattuita; non recar danno alla roba, né offesa alla persona
dei padroni; nella difesa stessa dei propri diritti astenersi da atti violenti,
né mai trasformarla in ammutinamento; non mescolarsi con uomini malvagi,
promettitori di cose grandi, senza altro frutto che quello di inutili
pentimenti e di perdite rovinose. E questi sono i doveri dei capitalisti e dei
padroni: non tenere gli operai schiavi; rispettare in essi la dignità della
persona umana, nobilitata dal carattere cristiano. Agli occhi della ragione e
della fede il lavoro non degrada l'uomo, ma anzi lo nobilita col metterlo in
grado di vivere onestamente con l'opera propria. Quello che veramente è indegno
dell'uomo è di abusarne come di cosa a scopo di guadagno, né stimarlo più di
quello che valgono i suoi nervi e le sue forze. Viene similmente comandato che
nei proletari si deve aver riguardo alla religione e ai beni dell'anima. È
obbligo perciò dei padroni lasciare all'operaio comodità e tempo che bastino a
compiere i doveri religiosi; non esporlo a seduzioni corrompitrici e a pericoli
di scandalo; non alienarlo dallo spirito di famiglia e dall'amore del
risparmio; non imporgli lavori sproporzionati alle forze, o mal confacenti con
l'età e con il sesso.»
In questa
concezione, il processo di conciliazione tra opposte classi sociali nel senso della
giustizia sociale che a ciascuna competeva di realizzare doveva essere sorretto dalla fede religiosa. Infatti, e questo è un tratto importantissimo e a
caratteristico della dottrina sociale fin dalle origini, quello della giustizia
sociale venne presentato come un obbligo anche religioso e l’ingiustizia
sociale come un peccato molto grave:
[dall’enciclica Le Novità - Rerum Novarum] 17. […] «Defraudare
poi la dovuta mercede è colpa così enorme che grida vendetta al cospetto di
Dio. Ecco, la mercede degli operai... che fu defraudata da voi, grida; e questo
grido ha ferito le orecchie del Signore degli eserciti (Giac 5,4). »
Nell’assimilazione dei valori e dei metodi
democratici, la dottrina sociale ha subito un’evoluzione in senso riformistico, parallela a quella del
socialismo. Riconobbe che la conciliazione sociale non è sempre possibile: si
arriva ad un punto in cui il confronto tra classi sociali con interessi
contrapposti si fa scontro e la società non può evolvere nel senso della
giustizia sociale senza che le classi degli sfruttati facciano prevalere la
loro volontà su quelle degli sfruttatori. Occorre, in altre parole, una lotta. Ne ha parlato papa Francesco nel discorso ai
partecipanti all’incontro tra i movimenti popolari del 2014:
«Questo incontro dei Movimenti Popolari è un segno, un grande
segno: siete venuti a porre alla presenza di Dio, della Chiesa, dei popoli, una
realtà molte volte passata sotto silenzio. I poveri non solo subiscono l’ingiustizia
ma lottano anche contro di essa!».
Conducendo la lotta
secondo i valori e i metodi della democrazia, lo si può fare senza usare
violenza di classe. Quella violenza che storicamente si era vista insozzare le
più grandi rivoluzioni del mondo, ad esempio quella francese di fine Settecento
e quella sovietica attuata a partire dal 1917. In particolare, quelle due
rivoluzioni europee nel giro di pochi anni generarono sistemi totalitari
dominati da poteri di tipo imperiale - personalistico, produssero imperatori e violenza politica e non vera giustizia sociale, anche se
indubbiamente riformarono le società da loro dominate. Non sopravvissero
a lungo come modello politico, in particolare quella francese, ma in fondo
anche quella sovietica (lo stato unitario italiano, pur molto giovane a
confronti di altri stati europei, è durato ormai 156 anni, a fronte dei soli 74
dell’Unione Sovietica) non riuscirono
veramente a stabilizzare un nuovo ordine sociale, anche se costituirono
laboratori politici dai quali altre ideologie trassero lezioni. Ad esempio,
anche dopo la caduta dell’imperatore Napoleone Bonaparte, insediatosi in
Francia all’esito di un processo rivoluzionario condotto per affermare i diritti dell’uomo e del cittadino sulla sopraffazione delle classi feudali, le
idee di riforma sociale dei rivoluzionari francesi furono adottate nelle
riforme di altri stati, e tra essi anche parte di quelli che alla rivoluzione
erano stati ostili. Dall’esperienza sovietica l’Europa capitalistica imparò l’idea
di programmazione economica, che significa
cercare di prevedere e orientare con interventi pubblici gli sviluppi dell’economia
secondo piani pluriennali.
Uno dei valori democratici
più importanti è il ripudio della violenza politica per la lotta e la riforma
sociale. Le masse degli sfruttati, infatti, possono cambiare la società
esprimendo con il voto una classe parlamentare orientata nel senso della
giustizia sociale. E ogni riforma deve
rispettare i diritti umani delle persone. In democrazia anche ai delinquenti
sono riconosciuti diritti umani e le stesse pene criminali non possono
consistere in trattamenti contrari al senso di umanità (è scritto nell’art.27
della nostra Costituzione e in diversi trattati internazionali).
Ma che accade se le masse
non sono più formate alla politica e alla democrazia? Se non sanno più
scegliere rappresentanti che in politica esprimano le esigenze di giustizia
sociale? Fatalmente, allora, la società, in mancanza di correttivi sociali,
riprenderà il corso della legge della giungla e chi sarà riuscito ad arrivare
al vertice, cercherà di mantenere questa posizione e di sfruttarla nel proprio
esclusivo interesse, creando quella situazione instabile, con masse sfruttate
sempre più numerose e classi di privilegiate sempre più ristrette, che faceva
prevedere ai socialisti l’imminente distruzione rivoluzionaria dell’ordine
ingiusto. E se, invece, la società si stabilizzasse
secondo quell’ordine ingiusto? E’
proprio quello che sembra stare accadendo nel mondo. Lo ha osservato, ad
esempio, il sociologo Zygmunt Bauman: la gente è indotta, dalla vita sociale di
oggi, a rientrare nei ranghi che le sono stati assegnati da un ordine sociale
ingiusto e ritiene, che, in fondo, debba essere così. Non c’è più bisogno di
violenza politica per ottenere questo risultato. Chi sta male è indotto a prendersela con chi sta peggio, guardando
verso il basso per individuare l’origine dei mali sociali, invece che in alto,
verso chi domina la società e la organizza in un modo ingiusto. E’ la ragione
per cui, ad esempio, nei quartieri periferici e popolari dell’Occidente capitalistico la gente a iniziato a
prendersela con gli immigrati invece
che, ad esempio, con la mancanza di un progetto politico, di governo, per il
miglioramento della condizione sociale delle periferie.
[Dal discorso di papa Francesco ai partecipanti all’incontro
tra i movimenti popolari del 2014] «Viviamo
in città che costruiscono torri, centri commerciali, fanno affari immobiliari
ma abbandonano una parte di sé ai margini, nelle periferie. Quanto fa male
sentire che gli insediamenti poveri sono emarginati o, peggio ancora, che li si
vuole sradicare! Sono crudeli le immagini degli sgomberi forzati, delle gru che
demoliscono baracche, immagini tanto simili a quelle della guerra. E questo si
vede oggi.»
Il fatto che chi sta
peggio in società, e quindi anche molti degli immigrati più recenti che sono
tra i più poveri, sia spinto verso quartieri periferici e degradati dipende
dalla politica dominata da chi ritiene che la società debba essere organizzata
secondo la legge della giungla, secondo la quale i forti mangiano i più deboli
e che quindi, chi è riuscito a sfruttare meglio le opportunità sociali per
essere più forte (e chi è più forte non è sempre il migliore, il più meritevole), abbia tutto il diritto di accaparrarsi tutti i benefici sociali resi
possibili dal lavoro collettivo, lasciando che gli altri facciano come possono,
ad esempio si costruiscano per sopravvivere un rifugio precario sulle sponde di
un fiume, come accade nel nostro quartiere, sempre esposto a improvvisi
sgomberi violenti per ordine dell’autorità, con “immagini tanto simili a quelle
della guerra. E questo si vede oggi”.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli