La politica nell’enciclica Laudato si’. Una sintesi
In una campagna politica da noi molti si appellano ai sentimenti
religiosi della gente. Questo perché le comunità di fede sono numerose in
Italia e hanno un consistente peso politico. Ma i richiami che si fanno alla
religione spesso sono superficiali e poco informati. Non di rado segnalano una
strumentalizzazione della religione, come quando si fa appello alla fede per
respingere, emarginare, escludere. La religione viene strumentalizzata quando se ne respingono i valori e si vuole solo stringere con essa patti di potere, per la sua forza di coesione e di influenza che le deriva dalla disciplina che riesce a imporre ai suoi fedeli.
Le nostre
collettività hanno sempre espresso sia una dottrina sia un pensiero sociali e
politici. Il pensiero sociale è quello che riguarda lo stato della società, com'è,
dove va, i suoi problemi. Quello politico è una parte di quello sociale e
riguarda le indicazioni per il governo della società, che in democrazia compete
a tutti, nel senso che tutti vi possono partecipare e tutti devono sentirsene
responsabili proprio per questa possibilità di partecipazione. La dottrina è
quella parte del pensiero che obbliga un fedele in quanto insegnamento di un’autorità
religiosa riconosciuta e per il suo stretto collegamento con i principi della
fede. Quanto alla nostra confessione possiamo riconoscere una dottrina sociale, ma, attualmente, non
una dottrina politica. In passato vi furono anche dottrine politiche, ad esempio nella
sconfessione dell’idea di una democrazia cristiana, all’inizio del
Novecento, o quella del comunismo ateistico (quello che vede nella religione solo un imbroglio per tenere sottomessi i più poveri e gli sfruttati), nel 1949. Questo significa che ai tempi nostri in
politica viene in rilievo la responsabilità religiosa, etica, sociale e
politica del credente in decisione che riguardano la sua coscienza e che la
Chiesa, in particolare i suoi capi, si astiene dal governo diretto della
società. Questo non significa che non cerchi di influirvi in vari modi, ed anzi
rivendica a sé questa facoltà a titolo di libertà religiosa.
Indubbiamente la dottrina sociale, un corpo ormai molto esteso,
costituisce un buon strumento di orientamento per la vita del credente. Essa
contiene sempre più anche un esteso pensiero politico, vale a dire valutazioni sul
governo della società proposte alla coscienza del credente la cui forza non
deriva tanto dall’autorità che le emano ma dalle argomentazioni che le
sorreggono.
Ho cercato
di estrarre dall’enciclica Laudato si’, diffusa il 24 maggio 2015 da papa Francesco il
pensiero politico in essa contenuto. Esso
è colto, informato, frutto di un lavoro collettivo ad alto livello,
eticamente orientato e in ciò garantito dalla firma del Papa, che vi ha svolto
essenzialmente il ruolo di supervisore, anche se la sua mano in taluni passi si
avverte più chiaramente.
Che dire
di un politico che si appelli alle nostre collettività religiose, faccia
riferimenti religiosi, e poi ignori o addirittura contrasti apertamente quel
pensiero politico? Ma che dire di un fedele che si conduca nello stesso modo?
In
politica ci si divide tra credenti tra le varie soluzioni possibili e anche
nell’individuazione dei problemi sociali e delle priorità politiche. Ma viviamo
tutti sulla stessa Terra, nello stesso mondo sociale: questo comporta che un
terreno di riflessione comune dovrebbe potersi trovare. E condividere la stessa
fede non avrà proprio nessuna influenza nel decidere?
Il
pensiero specificamente politico che troviamo nell’enciclica Laudato si’ può aiutarci nel dialogo e
nelle scelte. Innanzi tutto per individuare i temi più rilevanti della
politica. La politica che non ne faccia menzione vale poco e, quindi, serve a
poco. Spesso è pura propaganda, a volte
fa propaganda dirigendosi alla pancia e non al cervello e al cuore.
La
politica crea l’ambiente in cui si vive la fede. Non siamo monaci che vivono
separati. Una politica che, ad esempio, causi il degrado del lavoro o non lo
combatta danneggerà la famiglia e quindi la vita di fede. Nella dottrina
sociale, però, si è raggiunta sempre più chiara consapevolezza che una cattiva
politica, generando un cattivo sviluppo, è in grado di porre in pericolo la
sopravvivenza dell’intera umanità. Si è ragionato a ragionarci sopra partendo
dalla possibilità di un nuovo conflitto mondiale con l’impiego di armi nucleari
e, più recentemente, si è proseguito constatando che, a prescindere da guerre
di quel tipo, è l’economia che, sfruttando incautamente e spregiudicatamente le
risorse del pianeta, quelle ambientali e quelle umane, mette a rischio l’umanità
e quindi anche la vita religiosa, insieme alla vita in genere.
Propongo
di seguito la sintesi del pensiero politico che ho individuato nell’enciclica Laudato si’. Ad eccezione delle parti tra
parentesi quadre, che indicano miei elementi di raccordo, si tratta solo delle
parole scritte in quel documento. Pur trattandosi solo di una sintesi di temi
particolari, rimane un documento lungo e complesso, che richiede un certo
impegno nella lettura e nella comprensione. Vale la pena di affrontarlo, come
tirocinio alla cittadinanza.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente
papa - Roma, Monte Sacro, Valli
1. Più di cinquant’anni fa, mentre il mondo
vacillava sull’orlo di una crisi nucleare, il santo Papa Giovanni XXIII scrisse un’Enciclica con
la quale non si limitò solamente a respingere la guerra, bensì volle
trasmettere una proposta di pace. Diresse il suo messaggio Pacem in terris a tutto il “mondo cattolico”, ma aggiungeva “e a tutti gli
uomini di buona volontà”. Adesso, di fronte al deterioramento globale
dell’ambiente, voglio rivolgermi a ogni persona che abita questo pianeta. Nella
mia Esortazione Evangelii gaudium, ho scritto ai membri della Chiesa per mobilitare un
processo di riforma missionaria ancora da compiere. In questa Enciclica, mi
propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa
comune.
Il
mio predecessore Benedetto XVI ha rinnovato l’invito a «eliminare le cause strutturali
delle disfunzioni dell’economia mondiale e correggere i modelli di crescita che
sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente» Ha ricordato che
il mondo non può essere analizzato solo isolando uno dei suoi aspetti, perché
«il libro della natura è uno e indivisibile» e include l’ambiente, la vita, la
sessualità, la famiglia, le relazioni sociali, e altri aspetti. Di conseguenza,
«il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la
convivenza umana».
Questi contributi dei Papi
raccolgono la riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e
organizzazioni sociali che hanno arricchito il pensiero della Chiesa su tali
questioni.
La sfida urgente di proteggere
la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia
umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo
che le cose possono cambiare.
Rivolgo un invito urgente a
rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta.
Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale
che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti.
2. La continua accelerazione dei cambiamenti dell’umanità e del
pianeta si unisce oggi all’intensificazione dei ritmi di vita e di lavoro, in
quella che in spagnolo alcuni chiamano “rapidación” (rapidizzazione).
Benché il cambiamento faccia parte della dinamica dei sistemi complessi, la
velocità che le azioni umane gli impongono oggi contrasta con la naturale
lentezza dell’evoluzione biologica. A ciò si aggiunge il problema che gli
obiettivi di questo cambiamento veloce e costante non necessariamente sono
orientati al bene comune e a uno sviluppo umano, sostenibile e integrale.
Il clima è un bene comune, di
tutti e per tutti. Esso, a livello globale, è un sistema complesso in relazione
con molte condizioni essenziali per la vita umana. Esiste un consenso
scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un
preoccupante riscaldamento del sistema climatico.
I cambiamenti climatici
sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali,
economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali
sfide attuali per l’umanità.
Molti di coloro che
detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi
soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi, cercando solo di
ridurre alcuni impatti negativi di cambiamenti climatici. Ma molti sintomi
indicano che questi effetti potranno essere sempre peggiori se continuiamo con
gli attuali modelli di produzione e di consumo.
L’acqua potabile e pulita rappresenta una
questione di primaria importanza, perché è indispensabile per la vita umana e
per sostenere gli ecosistemi terrestri e acquatici.
Mentre la
qualità dell’acqua disponibile peggiora costantemente, in alcuni luoghi avanza
la tendenza a privatizzare questa risorsa scarsa, trasformata in merce soggetta
alle leggi del mercato. In realtà, l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale,
fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e
per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani.
Anche le risorse della terra vengono depredate
a causa di modi di intendere l’economia e l’attività commerciale e produttiva
troppo legati al risultato immediato. La perdita di foreste e boschi implica
allo stesso tempo la perdita di specie che potrebbero costituire nel futuro
risorse estremamente importanti, non solo per l’alimentazione, ma anche per la
cura di malattie e per molteplici servizi. Le diverse specie contengono geni
che possono essere risorse-chiave per rispondere in futuro a qualche necessità
umana o per risolvere qualche problema ambientale.
[N]on basta pensare alle diverse specie
solo come eventuali “risorse” sfruttabili, dimenticando che hanno un valore in
sé stesse.
[O]sservando il mondo notiamo che [il]
livello di intervento umano, spesso al servizio della finanza e del consumismo,
in realtà fa sì che la terra in cui viviamo diventi meno ricca e bella, sempre
più limitata e grigia, mentre contemporaneamente lo sviluppo della tecnologia e
delle offerte di consumo continua ad avanzare senza limiti. In questo modo,
sembra che ci illudiamo di poter sostituire una bellezza irripetibile e non
recuperabile con un’altra creata da noi.
La cura degli ecosistemi richiede uno sguardo
che vada aldilà dell’immediato, perché quando si cerca solo un profitto
economico rapido e facile, a nessuno interessa veramente la loro preservazione.
Ma il costo dei danni provocati dall’incuria egoistica è di gran lunga più
elevato del beneficio economico che si può ottenere. Nel caso della perdita o
del serio danneggiamento di alcune specie, stiamo parlando di valori che
eccedono qualunque calcolo.
E’ necessario investire molto di più nella
ricerca, per comprendere meglio il comportamento degli ecosistemi e analizzare
adeguatamente le diverse variabili di impatto di qualsiasi modifica importante
dell’ambiente. Poiché tutte le creature sono connesse tra loro, di ognuna
dev’essere riconosciuto il valore con affetto e ammirazione, e tutti noi esseri
creati abbiamo bisogno gli uni degli altri.
3. Oggi riscontriamo, per esempio, la smisurata e disordinata
crescita di molte città che sono diventate invivibili dal punto di vista della
salute, non solo per l’inquinamento originato dalle emissioni tossiche, ma
anche per il caos urbano, i problemi di trasporto e l’inquinamento visivo e
acustico. Molte città sono grandi strutture inefficienti che consumano in eccesso
acqua ed energia. Ci sono quartieri che, sebbene siano stati costruiti di
recente, sono congestionati e disordinati, senza spazi verdi sufficienti. Non
si addice ad abitanti di questo pianeta vivere sempre più sommersi da cemento,
asfalto, vetro e metalli, privati del contatto fisico con la natura.
In alcuni luoghi,
rurali e urbani, la privatizzazione degli spazi ha reso difficile l’accesso dei
cittadini a zone di particolare bellezza; altrove si sono creati quartieri
residenziali “ecologici” solo a disposizione di pochi, dove si fa in modo di
evitare che altri entrino a disturbare una tranquillità artificiale. Spesso si
trova una città bella e piena di spazi verdi ben curati in alcune aree
“sicure”, ma non altrettanto in zone meno visibili, dove vivono gli scartati
della società.
Tra le componenti
sociali del cambiamento globale si includono gli effetti occupazionali di
alcune innovazioni tecnologiche, l’esclusione sociale, la disuguaglianza nella
disponibilità e nel consumo dell’energia e di altri servizi, la frammentazione
sociale, l’aumento della violenza e il sorgere di nuove forme di aggressività
sociale, il narcotraffico e il consumo crescente di droghe fra i più giovani,
la perdita di identità. Sono segni, tra gli altri, che mostrano come la
crescita degli ultimi due secoli non ha significato in tutti i suoi aspetti un
vero progresso integrale e un miglioramento della qualità della vita. Alcuni di
questi segni sono allo stesso tempo sintomi di un vero degrado sociale, di una
silenziosa rottura dei legami di integrazione e di comunione sociale.
A questo si aggiungono le dinamiche dei media
e del mondo digitale, che, quando diventano onnipresenti, non favoriscono lo
sviluppo di una capacità di vivere con sapienza, di pensare in profondità, di amare
con generosità. I grandi sapienti del passato, in questo contesto, correrebbero
il rischio di vedere soffocata la loro sapienza in mezzo al rumore dispersivo
dell’informazione. Questo ci richiede uno sforzo affinché tali mezzi si
traducano in un nuovo sviluppo culturale dell’umanità e non in un
deterioramento della sua ricchezza più profonda. La vera sapienza, frutto della
riflessione, del dialogo e dell’incontro generoso fra le persone, non si
acquisisce con una mera accumulazione di dati che finisce per saturare e
confondere, in una specie di inquinamento mentale. Nello stesso tempo, le
relazioni reali con gli altri, con tutte le sfide che implicano, tendono ad
essere sostituite da un tipo di comunicazione mediata da internet. Ciò permette
di selezionare o eliminare le relazioni secondo il nostro arbitrio, e così si
genera spesso un nuovo tipo di emozioni artificiali, che hanno a che vedere più
con dispositivi e schermi che con le persone e la natura.
4. L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e non
potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo
attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale. Di
fatto, il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in
modo speciale i più deboli del pianeta: «Tanto l’esperienza comune della vita
ordinaria quanto la ricerca scientifica dimostrano che gli effetti più gravi di
tutte le aggressioni ambientali li subisce la gente più povera». Per
esempio, l’esaurimento delle riserve ittiche penalizza specialmente coloro che
vivono della pesca artigianale e non hanno come sostituirla, l’inquinamento
dell’acqua colpisce in particolare i più poveri che non hanno la possibilità di
comprare acqua imbottigliata, e l’innalzamento del livello del mare colpisce
principalmente le popolazioni costiere impoverite che non ha dove trasferirsi.
L’impatto degli squilibri attuali si manifesta anche nella morte prematura di
molti poveri, nei conflitti generati dalla mancanza di risorse e in tanti altri
problemi che non trovano spazio sufficiente nelle agende del mondo.
49. Vorrei
osservare che spesso non si ha chiara consapevolezza dei problemi che
colpiscono particolarmente gli esclusi. Essi sono la maggior parte del pianeta,
miliardi di persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici
internazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come
un’appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera
periferica, se non li si considera un mero danno collaterale. Di fatto, al
momento dell’attuazione concreta, rimangono frequentemente all’ultimo posto.
Questo si deve in parte al fatto che tanti professionisti, opinionisti, mezzi
di comunicazione e centri di potere sono ubicati lontani da loro, in aree
urbane isolate, senza contatto diretto con i loro problemi. Vivono e riflettono
a partire dalla comodità di uno sviluppo e di una qualità di vita che non sono
alla portata della maggior parte della popolazione mondiale. Questa mancanza di
contatto fisico e di incontro, a volte favorita dalla frammentazione delle
nostre città, aiuta a cauterizzare la coscienza e a ignorare parte della realtà
in analisi parziali. Ciò a volte convive con un discorso “verde”. Ma oggi non
possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico
diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle
discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra
quanto il grido dei poveri.
Invece di risolvere i
problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre
una riduzione della natalità. Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in
via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di
“salute riproduttiva”. Però, «se è vero che l’ineguale distribuzione della
popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso
sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è
pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale». Incolpare
l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è
un modo per non affrontare i problemi. Si pretende così di legittimare
l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di
consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il
pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo. Inoltre,
sappiamo che si spreca approssimativamente un terzo degli alimenti che si
producono, e «il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del
povero». Ad ogni modo, è certo che bisogna prestare attenzione allo
squilibrio nella distribuzione della popolazione sul territorio, sia a livello
nazionale sia a livello globale, perché l’aumento del consumo porterebbe a
situazioni regionali complesse, per le combinazioni di problemi legati
all’inquinamento ambientale, ai trasporti, allo smaltimento dei rifiuti, alla
perdita di risorse, alla qualità della vita.
L’inequità non
colpisce solo gli individui, ma Paesi interi, e obbliga a pensare ad un’etica
delle relazioni internazionali. C’è infatti un vero “debito ecologico”,
soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali con
conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse
naturali compiuto storicamente da alcuni Paesi. Le esportazioni di alcune
materie prime per soddisfare i mercati nel Nord industrializzato hanno prodotto
danni locali, come l’inquinamento da mercurio nelle miniere d’oro o da diossido
di zolfo in quelle di rame. In modo particolare c’è da calcolare l’uso dello
spazio ambientale di tutto il pianeta per depositare rifiuti gassosi che sono
andati accumulandosi durante due secoli e hanno generato una situazione che ora
colpisce tutti i Paesi del mondo. Il riscaldamento causato dall’enorme consumo
di alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della terra,
specialmente in Africa, dove l’aumento della temperatura unito alla siccità ha
effetti disastrosi sul rendimento delle coltivazioni. A questo si uniscono i
danni causati dall’esportazione verso i Paesi in via di sviluppo di rifiuti
solidi e liquidi tossici e dall’attività inquinante di imprese che fanno nei
Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro
capitale: «Constatiamo che spesso le imprese che operano così sono
multinazionali, che fanno qui quello che non è loro permesso nei Paesi
sviluppati o del cosiddetto primo mondo. Generalmente, quando cessano le loro
attività e si ritirano, lasciano grandi danni umani e ambientali, come la
disoccupazione, villaggi senza vita, esaurimento di alcune riserve naturali,
deforestazione, impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento locale,
crateri, colline devastate, fiumi inquinati e qualche opera sociale che non si
può più sostenere».
Il debito estero dei
Paesi poveri si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la
stessa cosa con il debito ecologico. In diversi modi, i popoli in via di
sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano
ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del
loro futuro. La terra dei poveri del Sud è ricca e poco inquinata, ma l’accesso
alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità
vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà
strutturalmente perverso. E’ necessario che i Paesi sviluppati contribuiscano a
risolvere questo debito limitando in modo importante il consumo di energia non
rinnovabile, e apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere
politiche e programmi di sviluppo sostenibile. Le regioni e i Paesi più poveri
hanno meno possibilità di adottare nuovi modelli di riduzione dell’impatto
ambientale, perché non hanno la preparazione per sviluppare i processi
necessari e non possono coprirne i costi. Perciò, bisogna conservare chiara la
coscienza che nel cambiamento climatico ci sono responsabilità
diversificate e, come hanno detto i Vescovi degli Stati Uniti, è
opportuno puntare «specialmente sulle necessità dei poveri, deboli e
vulnerabili, in un dibattito spesso dominato dagli interessi più potenti». Bisogna
rafforzare la consapevolezza che siamo una sola famiglia umana. Non ci sono
frontiere e barriere politiche o sociali che ci permettano di isolarci, e per
ciò stesso non c’è nemmeno spazio per la globalizzazione dell’indifferenza.
Queste situazioni provocano i gemiti di
sorella terra, che si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo, con un
lamento che reclama da noi un’altra rotta. Mai abbiamo maltrattato e offeso la
nostra casa comune come negli ultimi due secoli. Siamo invece chiamati a
diventare gli strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta sia quello che
Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e
pienezza. Il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per
affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che
indichino strade, cercando di rispondere alle necessità delle generazioni
attuali includendo tutti, senza compromettere le generazioni future. Si rende
indispensabile creare un sistema normativo che includa limiti inviolabili e
assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere
derivate dal paradigma tecno-economico finiscano per distruggere non solo la
politica ma anche la libertà e la giustizia.
Degna di nota è la
debolezza della reazione politica internazionale. La sottomissione della
politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici
mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente
l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare
l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti. In questa linea il Documento
di Aparecida chiede che «negli interventi sulle risorse naturali non
prevalgano gli interessi di gruppi economici che distruggono irrazionalmente le
fonti di vita». L’alleanza tra economia e tecnologia finisce per lasciare
fuori tutto ciò che non fa parte dei loro interessi immediati. Così ci si
potrebbe aspettare solamente alcuni proclami superficiali, azioni filantropiche
isolate, e anche sforzi per mostrare sensibilità verso l’ambiente, mentre in
realtà qualunque tentativo delle organizzazioni sociali di modificare le cose
sarà visto come un disturbo provocato da sognatori romantici o come un ostacolo
da eludere.
A poco a poco alcuni
Paesi possono mostrare progressi importanti, lo sviluppo di controlli più
efficienti e una lotta più sincera contro la corruzione. E’ cresciuta la
sensibilità ecologica delle popolazioni, anche se non basta per modificare le
abitudini nocive di consumo, che non sembrano recedere, bensì estendersi e
svilupparsi. E’ quello che succede, per fare solo un semplice esempio, con il
crescente aumento dell’uso e dell’intensità dei condizionatori d’aria: i
mercati, cercando un profitto immediato, stimolano ancora di più la domanda. Se
qualcuno osservasse dall’esterno la società planetaria, si stupirebbe di fronte
a un simile comportamento che a volte sembra suicida.
Nel frattempo i poteri
economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui
prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono
ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente.
Così si manifesta che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono
intimamente connessi. Molti diranno che non sono consapevoli di compiere azioni
immorali, perché la distrazione costante ci toglie il coraggio di accorgerci
della realtà di un mondo limitato e finito. Per questo oggi «qualunque cosa che
sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del
mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta».
E’ prevedibile che,
di fronte all’esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenario
favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni. La guerra
causa sempre gravi danni all’ambiente e alla ricchezza culturale dei popoli, e
i rischi diventano enormi quando si pensa alle armi nucleari e a quelle
biologiche. Infatti «nonostante che accordi internazionali proibiscano la
guerra chimica, batteriologica e biologica, sta di fatto che nei laboratori
continua la ricerca per lo sviluppo di nuove armi offensive, capaci di alterare
gli equilibri naturali». Si richiede dalla politica una maggiore attenzione per
prevenire e risolvere le cause che possono dare origine a nuovi conflitti. Ma
il potere collegato con la finanza è quello che più resiste a tale sforzo, e i
disegni politici spesso non hanno ampiezza di vedute. Perché si vuole mantenere
oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando
era urgente e necessario farlo?
In alcuni Paesi ci
sono esempi positivi di risultati nel migliorare l’ambiente, come il
risanamento di alcuni fiumi che sono stati inquinati per tanti decenni, il
recupero di boschi autoctoni, o l’abbellimento di paesaggi con opere di
risanamento ambientale, o progetti edilizi di grande valore estetico, progressi
nella produzione di energia non inquinante, nel miglioramento dei trasporti
pubblici. Queste azioni non risolvono i problemi globali, ma confermano che
l’essere umano è ancora capace di intervenire positivamente. Essendo stato
creato per amare, in mezzo ai suoi limiti germogliano inevitabilmente gesti di
generosità, solidarietà e cura.
Nello stesso tempo,
cresce un’ecologia superficiale o apparente che consolida un certo
intorpidimento e una spensierata irresponsabilità. Come spesso accade in epoche
di profonde crisi, che richiedono decisioni coraggiose, siamo tentati di
pensare che quanto sta succedendo non è certo. Se guardiamo in modo
superficiale, al di là di alcuni segni visibili di inquinamento e di degrado,
sembra che le cose non siano tanto gravi e che il pianeta potrebbe rimanere per
molto tempo nelle condizioni attuali. Questo comportamento evasivo ci serve per
mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo. E’ il modo in cui
l’essere umano si arrangia per alimentare tutti i vizi autodistruttivi:
cercando di non vederli, lottando per non riconoscerli, rimandando le decisioni
importanti, facendo come se nulla fosse.
5. Su molte questioni concrete la Chiesa non ha
motivo di proporre una parola definitiva e capisce che deve ascoltare e
promuovere il dibattito onesto fra gli scienziati, rispettando le diversità di
opinione. Basta però guardare la realtà con sincerità per vedere che c’è un
grande deterioramento della nostra casa comune. La speranza ci invita a
riconoscere che c’è sempre una via di uscita, che possiamo sempre cambiare
rotta, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi. Tuttavia,
sembra di riscontrare sintomi di un punto di rottura, a causa della grande
velocità dei cambiamenti e del degrado, che si manifestano tanto in catastrofi
naturali regionali quanto in crisi sociali o anche finanziarie, dato che i
problemi del mondo non si possono analizzare né spiegare in modo isolato. Ci
sono regioni che sono già particolarmente a rischio e, aldilà di qualunque
previsione catastrofica, è certo che l’attuale sistema mondiale è insostenibile
da diversi punti di vista, perché abbiamo smesso di pensare ai fini dell’agire
umano: «Se lo sguardo percorre le regioni del nostro pianeta, ci si accorge
subito che l’umanità ha deluso l’attesa divina».
[…Q]uesta Enciclica si apre a un dialogo con
tutti per cercare insieme cammini di liberazione, voglio mostrare fin
dall’inizio come le convinzioni di fede offrano ai cristiani, e in parte anche
ad altri credenti, motivazioni alte per prendersi cura della natura e dei
fratelli e sorelle più fragili. Se il solo fatto di essere umani muove le
persone a prendersi cura dell’ambiente del quale sono parte, «i cristiani, in
particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri
nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede»
6. Insistere nel dire che l’essere umano è immagine di Dio non dovrebbe
farci dimenticare che ogni creatura ha una funzione e nessuna è superflua.
Tutto l’universo materiale è un linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto
smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio. La storia
della propria amicizia con Dio si sviluppa sempre in uno spazio geografico che
diventa un segno molto personale, e ognuno di noi conserva nella memoria luoghi
il cui ricordo gli fa tanto bene.
Quando ci si rende conto
del riflesso di Dio in tutto ciò che esiste, il cuore sperimenta il desiderio
di adorare il Signore per tutte le sue creature e insieme ad esse, come appare
nel bellissimo cantico di san Francesco d’Assisi:
«Laudato sie, mi’
Signore,
cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte»
Le creature di questo
mondo non possono essere considerate un bene senza proprietario: «Sono tue,
Signore, amante della vita» (Sap 11,26). Questo induce alla
convinzione che, essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri
dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia
universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole
e umile. Voglio ricordare che «Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che
ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per
ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una
mutilazione».
Questo non significa
equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore
peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità. E nemmeno
comporta una divinizzazione della terra, che ci priverebbe della chiamata a
collaborare con essa e a proteggere la sua fragilità. Queste concezioni
finirebbero per creare nuovi squilibri nel tentativo di fuggire dalla realtà
che ci interpella. Si avverte a volte l’ossessione di negare alla persona
umana qualsiasi preminenza, e si porta avanti una lotta per le altre specie che
non mettiamo in atto per difendere la pari dignità tra gli esseri umani.
Certamente ci deve preoccupare che gli altri esseri viventi non siano trattati
in modo irresponsabile, ma ci dovrebbero indignare soprattutto le enormi
disuguaglianze che esistono tra di noi, perché continuiamo a tollerare che
alcuni si considerino più degni di altri. Non ci accorgiamo più che alcuni si
trascinano in una miseria degradante, senza reali possibilità di miglioramento,
mentre altri non sanno nemmeno che farsene di ciò che possiedono, ostentano con
vanità una pretesa superiorità e lasciano dietro di sé un livello di spreco
tale che sarebbe impossibile generalizzarlo senza distruggere il pianeta.
Continuiamo nei fatti ad ammettere che alcuni si sentano più umani di altri,
come se fossero nati con maggiori diritti.
Non può essere
autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se
nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione
per gli esseri umani. È evidente l’incoerenza di chi lotta contro il traffico
di animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davanti
alla tratta di persone, si disinteressa dei poveri, o è determinato a
distruggere un altro essere umano che non gli è gradito. Ciò mette a rischio il
senso della lotta per l’ambiente. Non è un caso che, nel cantico in cui loda Dio
per le creature, san Francesco aggiunga: «Laudato si’, mi’ Signore, per quelli
ke perdonano per lo tuo amore». Tutto è collegato. Per questo si richiede una
preoccupazione per l’ambiente unita al sincero amore per gli esseri umani e un
costante impegno riguardo ai problemi della società.
D’altra parte, quando
il cuore è veramente aperto a una comunione universale, niente e nessuno è
escluso da tale fraternità. Di conseguenza, è vero anche che l’indifferenza o
la crudeltà verso le altre creature di questo mondo finiscono sempre per
trasferirsi in qualche modo al trattamento che riserviamo agli altri esseri
umani. Il cuore è uno solo e la stessa miseria che porta a maltrattare un
animale non tarda a manifestarsi nella relazione con le altre persone. Ogni
maltrattamento verso qualsiasi creatura «è contrario alla dignità umana». Non
possiamo considerarci persone che amano veramente se escludiamo dai nostri
interessi una parte della realtà: «Pace, giustizia e salvaguardia del creato
sono tre questioni del tutto connesse, che non si potranno separare in modo da
essere trattate singolarmente, a pena di ricadere nuovamente nel riduzionismo». Tutto
è in relazione, e tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in
un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna delle
sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello
sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra.
7. Oggi, credenti e non credenti sono d’accordo sul fatto che la
terra è essenzialmente una eredità comune, i cui frutti devono andare a
beneficio di tutti. Per i credenti questo diventa una questione di fedeltà al
Creatore, perché Dio ha creato il mondo per tutti. Di conseguenza, ogni
approccio ecologico deve integrare una prospettiva sociale che tenga conto dei
diritti fondamentali dei più svantaggiati. Il principio della subordinazione
della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il
diritto universale al loro uso, è una “regola d’oro” del comportamento sociale,
e il «primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale».
La tradizione cristiana non ha mai
riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e
ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata.
L’ambiente è un bene
collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne
possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo
facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli
altri. Per questo i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa
significa il comandamento “non uccidere” quando «un venti per cento della
popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni
povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere».
A nulla ci servirà descrivere i
sintomi, se non riconosciamo la radice umana della crisi ecologica. Vi è un
modo di comprendere la vita e l’azione umana che è deviato e che contraddice la
realtà fino al punto di rovinarla. Perché non possiamo fermarci a riflettere su
questo? Propongo pertanto di concentrarci sul paradigma tecnocratico dominante
e sul posto che vi occupano l’essere umano e la sua azione nel mondo.
[…N]on possiamo ignorare che
l’energia nucleare, la biotecnologia, l’informatica, la conoscenza del nostro
stesso DNA e altre potenzialità che abbiamo acquisito ci offrono un tremendo
potere. Anzi, danno a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il
potere economico per sfruttarla un dominio impressionante sull’insieme del
genere umano e del mondo intero.
[Si] tende
a credere che «ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso,
accrescimento di sicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale, di
pienezza di valori», come se la realtà, il bene e la verità
sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia.
Il fatto è che «l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza»,
perché l’immensa crescita
tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per
quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza. Ogni epoca tende a
sviluppare una scarsa autocoscienza dei propri limiti. Per tale motivo è possibile
che oggi l’umanità non avverta la serietà delle sfide che le si presentano, e
«la possibilità dell’uomo di usare male della sua potenza è in continuo
aumento» quando «non esistono norme di libertà, ma solo pretese necessità di
utilità e di sicurezza». L’essere umano non è pienamente autonomo. La sua libertà si ammala
quando si consegna alle forze cieche dell’inconscio, dei bisogni immediati,
dell’egoismo, della violenza brutale. In tal senso, è nudo ed esposto di fronte
al suo stesso potere che continua a crescere, senza avere gli strumenti per
controllarlo. Può disporre di meccanismi superficiali, ma possiamo affermare
che gli mancano un’etica adeguatamente solida, una cultura e una spiritualità
che realmente gli diano un limite e lo contengano entro un lucido dominio di sé.
8. […O]ra
ciò che interessa è estrarre tutto quanto è possibile dalle cose attraverso
l’imposizione della mano umana, che tende ad ignorare o a dimenticare la realtà
stessa di ciò che ha dinanzi. Per questo l’essere umano e le cose hanno cessato
di darsi amichevolmente la mano, diventando invece dei contendenti. Da qui si
passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto
entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia. Ciò
suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che
conduce a “spremerlo” fino al limite e oltre il limite. Si tratta del falso
presupposto che «esiste una quantità illimitata di energia e di mezzi
utilizzabili, che la loro immediata rigenerazione è possibile e che gli effetti
negativi delle manipolazioni della natura possono essere facilmente assorbiti».
[…L]a tecnica ha una tendenza a
far sì che nulla rimanga fuori dalla sua ferrea logica, e «l’uomo che ne è il
protagonista sa che, in ultima analisi, non si tratta né di utilità, né di
benessere, ma di dominio; dominio nel senso estremo della parola».
Per questo «cerca di afferrare
gli elementi della natura ed insieme quelli dell’esistenza umana».
Si riducono così la capacità
di decisione, la libertà più autentica e lo spazio per la creatività
alternativa degli individui.
Il paradigma tecnocratico
tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica.
L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza
prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La
finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi
finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento
ambientale. In alcuni circoli si sostiene che l’economia attuale e la
tecnologia risolveranno tutti i problemi ambientali, allo stesso modo in cui si
afferma, con un linguaggio non accademico, che i problemi della fame e della miseria
nel mondo si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato. Non è una
questione di teorie economiche, che forse nessuno oggi osa difendere, bensì del
loro insediamento nello sviluppo fattuale dell’economia. Coloro che non lo
affermano con le parole lo sostengono con i fatti, quando non sembrano
preoccuparsi per un giusto livello della produzione, una migliore distribuzione
della ricchezza, una cura responsabile dell’ambiente o i diritti delle
generazioni future. Con il loro comportamento affermano che l’obiettivo della
massimizzazione dei profitti è sufficiente. Il mercato da solo però non
garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale. Nel
frattempo, abbiamo una «sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico che
contrasta in modo inaccettabile con perduranti situazioni di miseria
disumanizzante», mentre non si mettono a punto con sufficiente
celerità istituzioni economiche e programmi sociali che permettano ai più
poveri di accedere in modo regolare alle risorse di base. Non ci si rende conto
a sufficienza di quali sono le radici più profonde degli squilibri attuali, che
hanno a che vedere con l’orientamento, i fini, il senso e il contesto sociale
della crescita tecnologica ed economica.
La specializzazione propria della
tecnologia implica una notevole difficoltà ad avere uno sguardo d’insieme. La
frammentazione del sapere assolve la propria funzione nel momento di ottenere
applicazioni concrete, ma spesso conduce a perdere il senso della totalità,
delle relazioni che esistono tra le cose, dell’orizzonte ampio, senso che
diventa irrilevante. Questo stesso fatto impedisce di individuare vie adeguate
per risolvere i problemi più complessi del mondo attuale, soprattutto quelli
dell’ambiente e dei poveri, che non si possono affrontare a partire da un solo
punto di vista o da un solo tipo di interessi. Una scienza che pretenda di
offrire soluzioni alle grandi questioni, dovrebbe necessariamente tener conto
di tutto ciò che la conoscenza ha prodotto nelle altre aree del sapere,
comprese la filosofia e l’etica sociale. Ma questo è un modo di agire difficile
da portare avanti oggi. Perciò non si possono nemmeno riconoscere dei veri
orizzonti etici di riferimento.
La cultura ecologica non si può
ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si
presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve
naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero,
una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che
diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico.
Ciò che sta accadendo ci pone di fronte
all’urgenza di procedere in una coraggiosa rivoluzione culturale. La scienza e la
tecnologia non sono neutrali, ma possono implicare dall’inizio alla fine di un
processo diverse intenzioni e possibilità, e possono configurarsi in vari modi.
Nessuno vuole tornare all’epoca delle caverne, però è indispensabile rallentare
la marcia per guardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli sviluppi
positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini
distrutti da una sfrenatezza megalomane.
9. La mancanza di preoccupazione per misurare i danni alla natura e
l’impatto ambientale delle decisioni, è solo il riflesso evidente di un
disinteresse a riconoscere il messaggio che la natura porta inscritto nelle sue
stesse strutture. Quando non si riconosce nella realtà stessa l’importanza di
un povero, di un embrione umano, di una persona con disabilità – per fare solo
alcuni esempi –, difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura
stessa. Tutto è connesso. Se l’essere umano si dichiara autonomo dalla realtà e
si costituisce dominatore assoluto, la stessa base della sua esistenza si
sgretola, perché «Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio
nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col
provocare la ribellione della natura».
Questa situazione ci
conduce ad una schizofrenia permanente, che va dall’esaltazione tecnocratica
che non riconosce agli altri esseri un valore proprio, fino alla reazione di
negare ogni peculiare valore all’essere umano. Ma non si può prescindere
dall’umanità. Non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere
umano nuovo. Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia. Quando la persona
umana viene considerata solo un essere in più tra gli altri, che deriva da un
gioco del caso o da un determinismo fisico, «si corre il rischio che si
affievolisca nelle persone la coscienza della responsabilità». Un
antropocentrismo deviato non deve necessariamente cedere il passo a un
“biocentrismo”, perché ciò implicherebbe introdurre un nuovo squilibrio, che
non solo non risolverà i problemi, bensì ne aggiungerà altri. Non si può
esigere da parte dell’essere umano un impegno verso il mondo, se non si
riconoscono e non si valorizzano al tempo stesso le sue peculiari capacità di
conoscenza, volontà, libertà e responsabilità.
La critica
all’antropocentrismo deviato non dovrebbe nemmeno collocare in secondo piano il
valore delle relazioni tra le persone. Se la crisi ecologica è un emergere o
una manifestazione esterna della crisi etica, culturale e spirituale della
modernità, non possiamo illuderci di risanare la nostra relazione con la natura
e l’ambiente senza risanare tutte le relazioni umane fondamentali. Quando il
pensiero cristiano rivendica per l’essere umano un peculiare valore al di sopra
delle altre creature, dà spazio alla valorizzazione di ogni persona umana, e
così stimola il riconoscimento dell’altro.
Un
antropocentrismo deviato dà luogo a uno stile di vita deviato.
La
cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad
approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a
lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa
logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli
anziani che non servono ai propri interessi. È anche la logica interna di chi
afferma: “lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’economia,
perché i loro effetti sulla società e sulla natura sono danni inevitabili”. Se
non ci sono verità oggettive né principi stabili, al di fuori della
soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate, che limiti
possono avere la tratta degli esseri umani, la criminalità organizzata, il
narcotraffico, il commercio di diamanti insanguinati e di pelli di animali in
via di estinzione? Non è la stessa logica relativista quella che giustifica
l’acquisto di organi dei poveri allo scopo di venderli o di utilizzarli per la
sperimentazione, o lo scarto di bambini perché non rispondono al desiderio dei
loro genitori? E’ la stessa logica “usa e getta” che produce tanti rifiuti solo
per il desiderio disordinato di consumare più di quello di cui realmente si ha
bisogno. E allora non possiamo pensare che i programmi politici o la forza
della legge basteranno ad evitare i comportamenti che colpiscono l’ambiente,
perché quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità
oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come
imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare.
In
qualunque impostazione di ecologia integrale, che non escluda l’essere umano, è
indispensabile integrare il valore del lavoro, tanto sapientemente sviluppato
da san Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Laborem exercens. Ricordiamo che,
secondo il racconto biblico della creazione, Dio pose l’essere umano nel
giardino appena creato (cfr Gen 2,15) non
solo per prendersi cura dell’esistente (custodire), ma per lavorarvi affinché
producesse frutti (coltivare). Così gli operai e gli artigiani «assicurano la
creazione eterna» (Sir38,34). In realtà, l’intervento umano che favorisce il
prudente sviluppo del creato è il modo più adeguato di prendersene cura, perché
implica il porsi come strumento di Dio per aiutare a far emergere le
potenzialità che Egli stesso ha inscritto nelle cose: «Il Signore ha creato
medicamenti dalla terra, l’uomo assennato non li disprezza» (Sir 38,4).
Siamo chiamati al lavoro fin dalla nostra
creazione. Non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il
progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il
lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di
maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale. In questo senso,
aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per
fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di
consentire loro una vita degna mediante il lavoro. Tuttavia l’orientamento dell’economia ha favorito un tipo di progresso
tecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione della
diminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine. È un
ulteriore modo in cui l’azione dell’essere umano può volgersi contro sé stesso.
La riduzione dei posti di lavoro «ha anche un impatto negativo sul piano
economico, attraverso la progressiva erosione del “capitale sociale”, ossia di
quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle
regole, indispensabili ad ogni convivenza civile». In definitiva «i costi
umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche
comportano sempre anche costi umani». Rinunciare ad investire sulle
persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la
società.
Perché continui ad essere
possibile offrire occupazione, è indispensabile promuovere un’economia che
favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale. Le autorità hanno il diritto e la responsabilità di
adottare misure di chiaro e fermo appoggio ai piccoli produttori e alla
diversificazione della produzione. Perché vi sia una libertà economica della
quale tutti effettivamente beneficino, a volte può essere necessario porre
limiti a coloro che detengono più grandi risorse e potere finanziario. La
semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali
impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso
al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica.
L’attività imprenditoriale, che è una nobile vocazione orientata a produrre
ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, può essere un modo molto fecondo
per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto se
comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo
servizio al bene comune.
10. Dal momento che tutto è intimamente
relazionato e che gli attuali problemi richiedono uno sguardo che tenga conto
di tutti gli aspetti della crisi mondiale, propongo di soffermarci adesso a
riflettere sui diversi elementi di una ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali.
L’ecologia studia le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui si
sviluppano. Essa esige anche di fermarsi a pensare e a discutere sulle
condizioni di vita e di sopravvivenza di una società, con l’onestà di mettere
in dubbio modelli di sviluppo, produzione e consumo. Non è superfluo insistere
ulteriormente sul fatto che tutto è connesso. Quando parliamo di
“ambiente” facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra
la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la
natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra
vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Le
ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del
funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei
suoi modi di comprendere la realtà. Data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più
possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte
del problema.
Se tutto è in relazione, anche lo stato di
salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l’ambiente e
per la qualità della vita umana: «Ogni lesione della solidarietà e
dell’amicizia civica provoca danni ambientali».
In tal senso, l’ecologia sociale è
necessariamente istituzionale e raggiunge progressivamente le diverse
dimensioni che vanno dal gruppo sociale primario, la famiglia, fino alla vita
internazionale, passando per la comunità locale e la Nazione. All’interno di
ciascun livello sociale e tra di essi, si sviluppano le istituzioni che
regolano le relazioni umane. Tutto ciò che le danneggia comporta effetti
nocivi, come la perdita della libertà, l’ingiustizia e la violenza. Diversi
Paesi sono governati da un sistema istituzionale precario, a costo delle
sofferenze della popolazione e a beneficio di coloro che lucrano su questo
stato di cose. Tanto all’interno dell’amministrazione dello Stato, quanto nelle
diverse espressioni della società civile, o nelle relazioni degli abitanti tra
loro, si registrano con eccessiva frequenza comportamenti illegali. Le leggi
possono essere redatte in forma corretta, ma spesso rimangono come lettera
morta.
Per poter parlare di autentico sviluppo,
occorrerà verificare che si produca un miglioramento integrale nella qualità
della vita umana, e questo implica analizzare lo spazio in cui si svolge
l’esistenza delle persone. Gli ambienti in cui viviamo influiscono sul nostro
modo di vedere la vita, di sentire e di agire. Al tempo stesso, nella nostra
stanza, nella nostra casa, nel nostro luogo di lavoro e nel nostro quartiere
facciamo uso dell’ambiente per esprimere la nostra identità. Ci sforziamo di
adattarci all’ambiente, e quando esso è disordinato, caotico o saturo di
inquinamento visivo e acustico, l’eccesso di stimoli mette alla prova i nostri
tentativi di sviluppare un’identità integrata e felice.
E’
necessario curare gli spazi pubblici, i quadri prospettici e i punti di
riferimento urbani che accrescono il nostro senso di appartenenza, la nostra
sensazione di radicamento, il nostro “sentirci a casa” all’interno della città
che ci contiene e ci unisce. È importante che le diverse parti di una città
siano ben integrate e che gli abitanti possano avere una visione d’insieme invece
di rinchiudersi in un quartiere, rinunciando a vivere la città intera come uno
spazio proprio condiviso con gli altri. Ogni intervento nel paesaggio urbano o
rurale dovrebbe considerare come i diversi elementi del luogo formino un tutto
che è percepito dagli abitanti come un quadro coerente con la sua ricchezza di
significati. In tal modo gli altri cessano di essere estranei e li si può
percepire come parte di un “noi” che costruiamo insieme. Per questa stessa
ragione, sia nell’ambiente urbano sia in quello rurale, è opportuno preservare
alcuni spazi nei quali si evitino interventi umani che li modifichino
continuamente.
La mancanza di
alloggi è grave in molte parti del mondo, tanto nelle zone rurali quanto nelle
grandi città, anche perché i bilanci statali di solito coprono solo una piccola
parte della domanda. Non soltanto i poveri, ma una gran parte della società
incontra serie difficoltà ad avere una casa propria. La proprietà della casa ha
molta importanza per la dignità delle persone e per lo sviluppo delle famiglie.
Si tratta di una questione centrale dell’ecologia umana. Se in un determinato
luogo si sono già sviluppati agglomerati caotici di case precarie, si tratta
anzitutto di urbanizzare tali quartieri, non di sradicarne ed espellerne gli abitanti.
Quando i poveri vivono in sobborghi inquinati o in agglomerati pericolosi, «nel
caso si debba procedere al loro trasferimento e per non aggiungere sofferenza a
sofferenza, è necessario fornire un’adeguata e previa informazione, offrire
alternative di alloggi dignitosi e coinvolgere direttamente gli interessati». Nello
stesso tempo, la creatività dovrebbe portare ad integrare i quartieri disagiati
all’interno di una città accogliente. «Come sono belle le città che superano la
sfiducia malsana e integrano i differenti e che fanno di tale integrazione un
nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno
architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione,
favoriscono il riconoscimento dell’altro!».
La qualità della vita
nelle città è legata in larga parte ai trasporti, che sono spesso causa di
grandi sofferenze per gli abitanti. Nelle città circolano molte automobili
utilizzate da una o due persone, per cui il traffico diventa intenso, si alza
il livello d’inquinamento, si consumano enormi quantità di energia non
rinnovabile e diventa necessaria la costruzione di più strade e parcheggi, che
danneggiano il tessuto urbano. Molti specialisti concordano sulla necessità di
dare priorità al trasporto pubblico. Tuttavia alcune misure necessarie
difficilmente saranno accettate in modo pacifico dalla società senza un
miglioramento sostanziale di tale trasporto, che in molte città comporta un
trattamento indegno delle persone a causa dell’affollamento, della scomodità o
della scarsa frequenza dei servizi e dell’insicurezza.
Il riconoscimento della
peculiare dignità dell’essere umano molte volte contrasta con la vita caotica
che devono condurre le persone nelle nostre città. Questo però non dovrebbe far
dimenticare lo stato di abbandono e trascuratezza che soffrono anche alcuni
abitanti delle zone rurali, dove non arrivano i servizi essenziali e ci sono
lavoratori ridotti in condizione di schiavitù, senza diritti né aspettative di
una vita più dignitosa.
11. L’ecologia
integrale è inseparabile dalla nozione di bene comune, un principio che svolge
un ruolo centrale e unificante nell’etica sociale. E’ «l’insieme di quelle
condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli
membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente».
Il bene comune
presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale, con diritti
fondamentali e inalienabili ordinati al suo sviluppo integrale. Esige anche i
dispositivi di benessere e sicurezza sociale e lo sviluppo dei diversi gruppi
intermedi, applicando il principio di sussidiarietà. Tra questi risalta
specialmente la famiglia, come cellula primaria della società. Infine, il bene
comune richiede la pace sociale, vale a dire la stabilità e la sicurezza di un
determinato ordine, che non si realizza senza un’attenzione particolare alla
giustizia distributiva, la cui violazione genera sempre violenza. Tutta la
società – e in essa specialmente lo Stato – ha l’obbligo di difendere e
promuovere il bene comune.
Nelle condizioni
attuali della società mondiale, dove si riscontrano tante inequità e sono
sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani
fondamentali, il principio del bene comune si trasforma immediatamente, come
logica e ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarietà e in una
opzione preferenziale per i più poveri. Questa opzione richiede di trarre le
conseguenze della destinazione comune dei beni della terra, ma, come ho cercato
di mostrare nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, esige
di contemplare prima di tutto l’immensa dignità del povero alla luce delle più
profonde convinzioni di fede. Basta osservare la realtà per comprendere che
oggi questa opzione è un’esigenza etica fondamentale per l’effettiva
realizzazione del bene comune.
Le crisi
economiche internazionali hanno mostrato con crudezza gli effetti nocivi che
porta con sé il disconoscimento di un destino comune, dal quale non possono
essere esclusi coloro che verranno dopo di noi. Ormai non si può parlare di
sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le generazioni. Quando pensiamo
alla situazione in cui si lascia il pianeta alle future generazioni, entriamo
in un’altra logica, quella del dono gratuito che riceviamo e comunichiamo. Se
la terra ci è donata, non possiamo più pensare soltanto a partire da un
criterio utilitarista di efficienza e produttività per il profitto individuale.
Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale, bensì di una questione
essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto
appartiene anche a coloro che verranno. Che tipo di mondo desideriamo
trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?
Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato, perché non si può
porre la questione in maniera parziale. Quando ci interroghiamo circa il mondo
che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al
suo senso, ai suoi valori. Se non pulsa in esse questa domanda di fondo, non
credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti
importanti. Le previsioni catastrofiche ormai non si
possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime
generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco
e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in
maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare
solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo periodicamente in
diverse regioni. L’attenuazione degli effetti dell’attuale squilibrio dipende
da ciò che facciamo ora, soprattutto se pensiamo alla responsabilità che ci
attribuiranno coloro che dovranno sopportare le peggiori conseguenze.
La difficoltà a prendere sul
serio questa sfida è legata ad un deterioramento etico e culturale, che accompagna
quello ecologico. L’uomo e la donna del mondo postmoderno corrono il rischio
permanente di diventare profondamente individualisti, e molti problemi sociali
attuali sono da porre in relazione con la ricerca egoistica della soddisfazione
immediata, con le crisi dei legami familiari e sociali, con le difficoltà a
riconoscere l’altro. Molte volte si è di fronte ad un consumo eccessivo e miope
dei genitori che danneggia i figli, che trovano sempre più difficoltà ad
acquistare una casa propria e a fondare una famiglia. Inoltre, questa
incapacità di pensare seriamente alle future generazioni è legata alla nostra
incapacità di ampliare l’orizzonte delle nostre preoccupazioni e pensare a
quanti rimangono esclusi dallo sviluppo.
12. Dalla metà del secolo scorso, superando
molte difficoltà, si è andata affermando la tendenza a concepire il pianeta
come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune. Un mondo
interdipendente non significa unicamente capire che le conseguenze dannose
degli stili di vita, di produzione e di consumo colpiscono tutti, bensì,
principalmente, fare in modo che le soluzioni siano proposte a partire da una
prospettiva globale e non solo in difesa degli interessi di alcuni Paesi.
L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune. Ma lo stesso
ingegno utilizzato per un enorme sviluppo tecnologico, non riesce a trovare
forme efficaci di gestione internazionale in ordine a risolvere le gravi
difficoltà ambientali e sociali.
Per i Paesi poveri le priorità devono
essere lo sradicamento della miseria e lo sviluppo sociale dei loro abitanti;
al tempo stesso devono prendere in esame il livello scandaloso di consumo di
alcuni settori privilegiati della loro popolazione e contrastare meglio la
corruzione. Certo, devono anche sviluppare forme meno inquinanti di produzione
di energia, ma per questo hanno bisogno di contare sull’aiuto dei Paesi che
sono cresciuti molto a spese dell’inquinamento attuale del pianeta.
Urgono accordi internazionali che
si realizzino, considerata la scarsa capacità delle istanze locali di
intervenire in modo efficace. Le relazioni tra Stati devono salvaguardare la
sovranità di ciascuno, ma anche stabilire percorsi concordati per evitare catastrofi
locali che finirebbero per danneggiare tutti. Occorrono quadri regolatori
globali che impongano obblighi e che impediscano azioni inaccettabili, come il
fatto che imprese o Paesi potenti scarichino su altri Paesi rifiuti e industrie
altamente inquinanti.
Il XXI secolo, mentre mantiene una governance [=struttura
dei poteri pubblici nei loro reciproci rapporti e bilanciamento] propria di
epoche passate, assiste ad una perdita di potere degli Stati nazionali,
soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, con caratteri
transnazionali, tende a predominare sulla politica. In questo contesto, diventa
indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed
efficacemente organizzate, con autorità designate in maniera imparziale
mediante accordi tra i governi nazionali e dotate del potere di sanzionare. Come
ha affermato Benedetto XVI nella linea già sviluppata dalla dottrina sociale
della Chiesa, «per il governo dell’economia mondiale; per risanare le economie
colpite dalla crisi, per prevenire peggioramenti della stessa e conseguenti
maggiori squilibri; per realizzare un opportuno disarmo integrale, la sicurezza
alimentare e la pace; per garantire la salvaguardia dell’ambiente e per
regolamentare i flussi migratori, urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già
tratteggiata dal mio Predecessore, [san] Giovanni
XXIII». In tale prospettiva, la diplomazia
acquista un’importanza inedita, in ordine a promuovere strategie internazionali
per prevenire i problemi più gravi che finiscono per colpire tutti.
n solo ci sono vincitori e
vinti tra i Paesi, ma anche all’interno dei Paesi poveri, in cui si devono
identificare diverse responsabilità. Perciò, le questioni relative all’ambiente
e allo sviluppo economico non si possono più impostare solo a partire dalle
differenze tra i Paesi, ma chiedono di porre attenzione alle politiche
nazionali e locali.
Dinanzi alla
possibilità di un utilizzo irresponsabile delle capacità umane, sono funzioni
improrogabili di ogni Stato quelle di pianificare, coordinare, vigilare e
sanzionare all’interno del proprio territorio. La società, in che modo ordina e
custodisce il proprio divenire in un contesto di costanti innovazioni
tecnologiche? Un fattore che agisce come moderatore effettivo è il diritto, che
stabilisce le regole per le condotte consentite alla luce del bene comune. I
limiti che deve imporre una società sana, matura e sovrana sono attinenti a
previsione e precauzione, regolamenti adeguati, vigilanza sull’applicazione
delle norme, contrasto della corruzione, azioni di controllo operativo
sull’emergere di effetti non desiderati dei processi produttivi, e intervento
opportuno di fronte a rischi indeterminati o potenziali. Esiste una crescente
giurisprudenza orientata a ridurre gli effetti inquinanti delle attività imprenditoriali.
Ma la struttura politica e istituzionale non esiste solo per evitare le cattive
pratiche, bensì per incoraggiare le buone pratiche, per stimolare la creatività
che cerca nuove strade, per facilitare iniziative personali e collettive.
Il dramma di una
politica focalizzata sui risultati immediati, sostenuta anche da popolazioni
consumiste, rende necessario produrre crescita a breve termine. Rispondendo a
interessi elettorali, i governi non si azzardano facilmente a irritare la
popolazione con misure che possano intaccare il livello di consumo o mettere a
rischio investimenti esteri. La miope costruzione del potere frena
l’inserimento dell’agenda ambientale lungimirante all’interno dell’agenda
pubblica dei governi. Si dimentica così che «il tempo è superiore allo spazio»,
che siamo sempre più fecondi quando ci preoccupiamo di generare processi,
piuttosto che di dominare spazi di potere. La grandezza politica si mostra
quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando
al bene comune a lungo termine. Il potere politico fa molta fatica ad
accogliere questo dovere in un progetto di Nazione.
Non si può pensare a ricette
uniformi, perché vi sono problemi e limiti specifici di ogni Paese e regione. È
vero anche che il realismo politico può richiedere misure e tecnologie di
transizione, sempre che siano accompagnate dal disegno e dall’accettazione di
impegni graduali vincolanti. Allo stesso tempo, però, in ambito nazionale e
locale c’è sempre molto da fare, ad esempio promuovere forme di risparmio
energetico. Ciò implica favorire modalità di produzione industriale con massima
efficienza energetica e minor utilizzo di materie prime, togliendo dal mercato
i prodotti poco efficaci dal punto di vista energetico o più inquinanti.
Possiamo anche menzionare una buona gestione dei trasporti o tecniche di
costruzione e di ristrutturazione di edifici che ne riducano il consumo
energetico e il livello di inquinamento. D’altra parte, l’azione politica
locale può orientarsi alla modifica dei consumi, allo sviluppo di un’economia
dei rifiuti e del riciclaggio, alla protezione di determinate specie e alla
programmazione di un’agricoltura diversificata con la rotazione delle colture.
È possibile favorire il miglioramento agricolo delle regioni povere mediante
investimenti nelle infrastrutture rurali, nell’organizzazione del mercato
locale o nazionale, nei sistemi di irrigazione, nello sviluppo di tecniche
agricole sostenibili. Si possono facilitare forme di cooperazione o di
organizzazione comunitaria che difendano gli interessi dei piccoli produttori e
preservino gli ecosistemi locali dalla depredazione. È molto quello che si può
fare!
È indispensabile la
continuità, giacché non si possono modificare le politiche relative ai
cambiamenti climatici e alla protezione dell’ambiente ogni volta che cambia un
governo. I risultati richiedono molto tempo e comportano costi immediati con
effetti che non potranno essere esibiti nel periodo di vita di un governo. Per
questo, senza la pressione della popolazione e delle istituzioni, ci saranno
sempre resistenze ad intervenire, ancor più quando ci siano urgenze da
risolvere. Che un politico assuma queste responsabilità con i costi che
implicano, non risponde alla logica efficientista e “immediatista”
dell’economia e della politica attuali, ma se avrà il coraggio di farlo, potrà
nuovamente riconoscere la dignità che Dio gli ha dato come persona e lascerà,
dopo il suo passaggio in questa storia, una testimonianza di generosa
responsabilità. Occorre dare maggior spazio a una sana politica, capace di
riformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche, che
permettano di superare pressioni e inerzie viziose. Tuttavia, bisogna
aggiungere che i migliori dispositivi finiscono per soccombere quando mancano
le grandi mete, i valori, una comprensione umanistica e ricca di significato,
capaci di conferire ad ogni società un orientamento nobile e generoso.
La previsione dell’impatto ambientale delle
iniziative imprenditoriali e dei progetti richiede processi politici
trasparenti e sottoposti al dialogo, mentre la corruzione che nasconde il vero
impatto ambientale di un progetto in cambio di favori spesso porta ad accordi
ambigui che sfuggono al dovere di informare ed a un dibattito approfondito.
Uno studio di impatto ambientale non dovrebbe
essere successivo all’elaborazione di un progetto produttivo o di qualsiasi politica,
piano o programma. Va inserito fin dall’inizio e dev’essere elaborato in modo
interdisciplinare, trasparente e indipendente da ogni pressione economica o
politica. Dev’essere connesso con l’analisi delle condizioni di lavoro e dei
possibili effetti sulla salute fisica e mentale delle persone, sull’economia
locale, sulla sicurezza.
In ogni discussione riguardante
un’iniziativa imprenditoriale si dovrebbe porre una serie di domande, per poter
discernere se porterà ad un vero sviluppo integrale: Per quale scopo? Per quale
motivo? Dove? Quando? In che modo? A chi è diretto? Quali sono i rischi? A
quale costo? Chi paga le spese e come lo farà? In questo esame ci sono
questioni che devono avere la priorità. Per esempio, sappiamo che l’acqua è una
risorsa scarsa e indispensabile, inoltre è un diritto fondamentale che
condiziona l’esercizio di altri diritti umani. Questo è indubitabile e supera
ogni analisi di impatto ambientale di una regione.
13. La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non
deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia.
Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la
politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della
vita, specialmente della vita umana. Il salvataggio ad ogni costo delle banche,
facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere
e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che
non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e
apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per
sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova
regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza
virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri
obsoleti che continuano a governare il mondo. La produzione non è sempre
razionale, e spesso è legata a variabili economiche che attribuiscono ai
prodotti un valore che non corrisponde al loro valore reale. Questo determina
molte volte una sovrapproduzione di alcune merci, con un impatto ambientale non
necessario, che al tempo stesso danneggia molte economie regionali. La
bolla finanziaria di solito è anche una bolla produttiva. In definitiva, ciò
che non si affronta con decisione è il problema dell’economia reale, la quale
rende possibile che si diversifichi e si migliori la produzione, che le imprese
funzionino adeguatamente, che le piccole e medie imprese si sviluppino e creino
occupazione, e così via.
In questo contesto bisogna sempre ricordare che «la
protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo
finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi
del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente». Ancora una volta, conviene evitare una concezione magica del
mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita
dei profitti delle imprese o degli individui. È realistico aspettarsi che chi è
ossessionato dalla massimizzazione dei profitti si fermi a pensare agli effetti
ambientali che lascerà alle prossime generazioni? All’interno dello schema
della rendita non c’è posto per pensare ai ritmi della natura, ai suoi tempi di
degradazione e di rigenerazione, e alla complessità degli ecosistemi che
possono essere gravemente alterati dall’intervento umano. Inoltre, quando si
parla di biodiversità, al massimo la si pensa come una riserva di risorse
economiche che potrebbe essere sfruttata, ma non si considerano seriamente il
valore reale delle cose, il loro significato per le persone e le culture, gli
interessi e le necessità dei poveri.
Quando si pongono tali
questioni, alcuni reagiscono accusando gli altri di pretendere di fermare
irrazionalmente il progresso e lo sviluppo umano. Ma dobbiamo convincerci che
rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a
un’altra modalità di progresso e di sviluppo. Gli sforzi per un uso sostenibile
delle risorse naturali non sono una spesa inutile, bensì un investimento che
potrà offrire altri benefici economici a medio termine. Se non abbiamo
ristrettezze di vedute, possiamo scoprire che la diversificazione di una
produzione più innovativa e con minore impatto ambientale, può essere molto
redditizia. Si tratta di aprire la strada a opportunità differenti, che non
implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma
piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo.
Per esempio, un
percorso di sviluppo produttivo più creativo e meglio orientato potrebbe
correggere la disparità tra l’eccessivo investimento tecnologico per il consumo
e quello scarso per risolvere i problemi urgenti dell’umanità; potrebbe
generare forme intelligenti e redditizie di riutilizzo, di recupero funzionale
e di riciclo; potrebbe migliorare l’efficienza energetica delle città; e così
via. La diversificazione produttiva offre larghissime possibilità
all’intelligenza umana per creare e innovare, mentre protegge l’ambiente e crea
più opportunità di lavoro. Questa sarebbe una creatività capace di far fiorire
nuovamente la nobiltà dell’essere umano, perché è più dignitoso usare
l’intelligenza, con audacia e responsabilità, per trovare forme di sviluppo
sostenibile ed equo, nel quadro di una concezione più ampia della qualità della
vita. Viceversa, è meno dignitoso e creativo e più superficiale insistere nel
creare forme di saccheggio della natura solo per offrire nuove possibilità di
consumo e di rendita immediata.
In ogni modo, se in alcuni
casi lo sviluppo sostenibile comporterà nuove modalità per crescere, in altri
casi, di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per
molti decenni, occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo, a porre
alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi.
Sappiamo che è insostenibile il comportamento di coloro che consumano e
distruggono sempre più, mentre altri ancora non riescono a vivere in conformità
alla propria dignità umana. Per questo è arrivata l’ora di accettare una certa
decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa
crescere in modo sano in altre parti. Diceva Benedetto XVI che «è necessario
che le società tecnologicamente avanzate siano disposte a favorire
comportamenti caratterizzati dalla sobrietà, diminuendo il proprio consumo di
energia e migliorando le condizioni del suo uso».
Affinché sorgano
nuovi modelli di progresso abbiamo bisogno di «cambiare il modello di sviluppo
globale», la qual cosa implica riflettere responsabilmente «sul
senso dell’economia e sulla sua finalità, per correggere le sue disfunzioni e
distorsioni». Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura
con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso.
Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro.
Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed
economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente
superiore, non può considerarsi progresso. D’altra parte, molte volte la
qualità reale della vita delle persone diminuisce – per il deteriorarsi
dell’ambiente, la bassa qualità dei prodotti alimentari o l’esaurimento di
alcune risorse – nel contesto di una crescita dell’economia. In questo quadro,
il discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo
di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della
logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e
ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di
marketing e di immagine.
195. Il
principio della massimizzazione del profitto, che tende ad isolarsi da qualsiasi
altra considerazione, è una distorsione concettuale dell’economia: se aumenta
la produzione, interessa poco che si produca a spese delle risorse future o
della salute dell’ambiente; se il taglio di una foresta aumenta la produzione,
nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un
territorio, distruggere la biodiversità o aumentare l’inquinamento. Vale a dire
che le imprese ottengono profitti calcolando e pagando una parte infima dei
costi. Si potrebbe considerare etico solo un comportamento in cui «i costi
economici e sociali derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni siano
riconosciuti in maniera trasparente e siano pienamente supportati da coloro che
ne usufruiscono e non da altre popolazioni o dalle generazioni future». La
razionalità strumentale, che apporta solo un’analisi statica della realtà in
funzione delle necessità del momento, è presente sia quando ad assegnare le
risorse è il mercato, sia quando lo fa uno Stato pianificatore.
Qual è il posto della politica? Ricordiamo il
principio di sussidiarietà, che conferisce libertà per lo sviluppo delle
capacità presenti a tutti i livelli, ma al tempo stesso esige più
responsabilità verso il bene comune da parte di chi detiene più potere. È vero
che oggi alcuni settori economici esercitano più potere degli Stati stessi. Ma
non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di
propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti della crisi
attuale. La logica che non lascia spazio a una sincera preoccupazione per
l’ambiente è la stessa in cui non trova spazio la preoccupazione per integrare
i più fragili, perché «nel vigente modello “di successo” e “privatistico”, non
sembra abbia senso investire affinché quelli che rimangono indietro, i deboli o
i meno dotati possano farsi strada nella vita».
Abbiamo bisogno di
una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo
approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi
aspetti della crisi. Molte volte la stessa politica è responsabile del proprio
discredito, a causa della corruzione e della mancanza di buone politiche
pubbliche. Se lo Stato non adempie il proprio ruolo in una regione, alcuni
gruppi economici possono apparire come benefattori e detenere il potere reale,
sentendosi autorizzati a non osservare certe norme, fino a dar luogo a diverse
forme di criminalità organizzata, tratta delle persone, narcotraffico e
violenza molto difficili da sradicare. Se la politica non è capace di rompere
una logica perversa, e inoltre resta inglobata in discorsi inconsistenti,
continueremo a non affrontare i grandi problemi dell’umanità. Una strategia di
cambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non basta
inserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in
discussione la logica soggiacente alla cultura attuale. Una politica sana
dovrebbe essere capace di assumere questa sfida.
La politica e
l’economia tendono a incolparsi reciprocamente per quanto riguarda la povertà e
il degrado ambientale. Ma quello che ci si attende è che riconoscano i propri
errori e trovino forme di interazione orientate al bene comune. Mentre gli uni
si affannano solo per l’utile economico e gli altri sono ossessionati solo dal
conservare o accrescere il potere, quello che ci resta sono guerre o accordi
ambigui dove ciò che meno interessa alle due parti è preservare l’ambiente e
avere cura dei più deboli. Anche qui vale il principio che «l’unità è superiore
al conflitto».
Un cambiamento
negli stili di vita potrebbe arrivare ad esercitare una sana pressione su
coloro che detengono il potere politico, economico e sociale. È ciò che accade
quando i movimenti dei consumatori riescono a far sì che si smetta di
acquistare certi prodotti e così diventano efficaci per modificare il
comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i
modelli di produzione. È un fatto che, quando le abitudini sociali intaccano i
profitti delle imprese, queste si vedono spinte a produrre in un altro modo.
Questo ci ricorda la responsabilità sociale dei consumatori.
La
coscienza della gravità della crisi culturale ed ecologica deve tradursi in
nuove abitudini. Molti sanno che il progresso attuale e il semplice accumulo di
oggetti o piaceri non bastano per dare senso e gioia al cuore umano, ma non si
sentono capaci di rinunciare a quanto il mercato offre loro. Nei Paesi che
dovrebbero produrre i maggiori cambiamenti di abitudini di consumo, i giovani
hanno una nuova sensibilità ecologica e uno spirito generoso, e alcuni di loro
lottano in modo ammirevole per la difesa dell’ambiente, ma sono cresciuti in un
contesto di altissimo consumo e di benessere che rende difficile la maturazione
di altre abitudini. Per questo ci troviamo davanti ad una sfida educativa.
i. L’esistenza di leggi e norme non è sufficiente a lungo termine per limitare
i cattivi comportamenti, anche quando esista un valido controllo. Affinché la
norma giuridica produca effetti rilevanti e duraturi è necessario che la
maggior parte dei membri della società l’abbia accettata a partire da
motivazioni adeguate, e reagisca secondo una trasformazione personale. Tali
azioni diffondono un bene nella società che sempre produce frutti al di là di
quanto si possa constatare, perché provocano in seno a questa terra un bene che
tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente. Inoltre, l’esercizio di
questi comportamenti ci restituisce il senso della nostra dignità, ci conduce
ad una maggiore profondità esistenziale, ci permette di sperimentare che vale
la pena passare per questo mondo. Alla politica e alle varie
associazioni compete uno sforzo di formazione delle coscienze. Compete anche
alla Chiesa. Tutte le comunità cristiane hanno un ruolo importante da compiere
in questa educazione.
14. […N]on basta che ognuno sia
migliore per risolvere una situazione tanto complessa come quella che affronta
il mondo attuale. I singoli individui possono perdere la capacità e la libertà
di vincere la logica della ragione strumentale e finiscono per soccombere a un
consumismo senza etica e senza senso sociale e ambientale. Ai problemi sociali
si risponde con reti comunitarie, non con la mera somma di beni individuali:
«Le esigenze di quest’opera saranno così immense che le possibilità delle
iniziative individuali e la cooperazione dei singoli, individualisticamente
formati, non saranno in grado di rispondervi. Sarà necessaria una unione di
forze e una unità di contribuzioni». La conversione ecologica che
si richiede per creare un dinamismo di cambiamento duraturo è anche una
conversione comunitaria.
La cura per
la natura è parte di uno stile di vita che implica capacità di vivere insieme e
di comunione. Gesù ci ha ricordato che abbiamo Dio come nostro Padre comune e
che questo ci rende fratelli. L’amore fraterno può solo essere gratuito, non
può mai essere un compenso per ciò che un altro realizza, né un anticipo per
quanto speriamo che faccia. Per questo è possibile amare i nemici. Questa
stessa gratuità ci porta ad amare e accettare il vento, il sole o le nubi,
benché non si sottomettano al nostro controllo. Per questo possiamo parlare di
una fraternità universale.
Occorre sentire
nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una
responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere
buoni e onesti. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci
gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il
momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco.
Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci
l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di
nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura
della cura dell’ambiente.
L’esempio di santa
Teresa di Lisieux ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a non
perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi
piccolo gesto che semini pace e amicizia. Un’ecologia integrale è fatta anche
di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza,
dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del consumo esasperato è
al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita in ogni sua forma.
L’amore, pieno di
piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta in
tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore. L’amore per la
società e l’impegno per il bene comune sono una forma eminente di carità, che
riguarda non solo le relazioni tra gli individui, ma anche «macro-relazioni,
rapporti sociali, economici, politici». Per questo la Chiesa ha proposto
al mondo l’ideale di una «civiltà dell’amore». L’amore sociale è la
chiave di un autentico sviluppo: «Per rendere la società più umana, più degna
della persona, occorre rivalutare l’amore nella vita sociale – a livello,
politico, economico, culturale - facendone la norma costante e suprema
dell’agire». In questo quadro, insieme all’importanza dei piccoli gesti
quotidiani, l’amore sociale ci spinge a pensare a grandi strategie che
arrestino efficacemente il degrado ambientale e incoraggino una cultura
della cura che impregni tutta la società. Quando qualcuno riconosce la
vocazione di Dio a intervenire insieme con gli altri in queste dinamiche
sociali, deve ricordare che ciò fa parte della sua spiritualità, che è
esercizio della carità, e che in tal modo matura e si santifica.
Non tutti sono chiamati a
lavorare in maniera diretta nella politica, ma in seno alla società fiorisce
una innumerevole varietà di associazioni che intervengono a favore del bene
comune, difendendo l’ambiente naturale e urbano. Per esempio, si preoccupano di
un luogo pubblico (un edificio, una fontana, un monumento abbandonato, un
paesaggio, una piazza), per proteggere, risanare, migliorare o abbellire
qualcosa che è di tutti. Intorno a loro si sviluppano o si recuperano legami e
sorge un nuovo tessuto sociale locale. Così una comunità si libera
dall’indifferenza consumistica. Questo vuol dire anche coltivare un’identità
comune, una storia che si conserva e si trasmette. In tal modo ci si prende
cura del mondo e della qualità della vita dei più poveri, con un senso di
solidarietà che è allo stesso tempo consapevolezza di abitare una casa comune
che Dio ci ha affidato. Queste azioni comunitarie, quando esprimono un amore
che si dona, possono trasformarsi in intense esperienze spirituali.
15. Dopo questa
prolungata riflessione, gioiosa e drammatica insieme, propongo due preghiere,
una che possiamo condividere tutti quanti crediamo in un Dio creatore
onnipotente, e un’altra affinché noi cristiani sappiamo assumere gli impegni
verso il creato che il Vangelo di Gesù ci propone.
Preghiera per la nostra terra
Dio Onnipotente,
che sei presente in tutto l’universo
e nella più piccola delle tue creature,
Tu che circondi con la tua tenerezza
tutto quanto esiste,
riversa in noi la forza del tuo amore
affinché ci prendiamo cura
della vita e della bellezza.
Inondaci di pace, perché viviamo come fratelli e sorelle
senza nuocere a nessuno.
O Dio dei poveri,
aiutaci a riscattare gli abbandonati
e i dimenticati di questa terra
che tanto valgono ai tuoi occhi.
Risana la nostra vita,
affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo,
affinché seminiamo bellezza
e non inquinamento e distruzione.
Tocca i cuori
di quanti cercano solo vantaggi
a spese dei poveri e della terra.
Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa,
a contemplare con stupore,
a riconoscere che siamo profondamente uniti
con tutte le creature
nel nostro cammino verso la tua luce infinita.
Grazie perché sei con noi tutti i giorni.
Sostienici, per favore, nella nostra lotta
per la giustizia, l’amore e la pace.
Preghiera cristiana con il creato
Ti lodiamo, Padre, con tutte
le tue creature,
che sono uscite dalla tua mano potente.
Sono tue, e sono colme della tua presenza
e della tua tenerezza.
Laudato si’!
Figlio di Dio, Gesù,
da te sono state create tutte le cose.
Hai preso forma nel seno materno di Maria,
ti sei fatto parte di questa terra,
e hai guardato questo mondo con occhi umani.
Oggi sei vivo in ogni creatura
con la tua gloria di risorto.
Laudato si’!
Spirito Santo, che con la
tua luce
orienti questo mondo verso l’amore del Padre
e accompagni il gemito della creazione,
tu pure vivi nei nostri cuori
per spingerci al bene.
Laudato si’!
Signore Dio, Uno e
Trino,
comunità stupenda di amore infinito,
insegnaci a contemplarti
nella bellezza dell’universo,
dove tutto ci parla di te.
Risveglia la nostra lode e la nostra gratitudine
per ogni essere che hai creato.
Donaci la grazia di sentirci intimamente uniti
con tutto ciò che esiste.
Dio d’amore, mostraci il nostro posto in questo mondo
come strumenti del tuo affetto
per tutti gli esseri di questa terra,
perché nemmeno uno di essi è dimenticato da te.
Illumina i padroni del potere e del denaro
perché non cadano nel peccato dell’indifferenza,
amino il bene comune, promuovano i deboli,
e abbiano cura di questo mondo che abitiamo.
I poveri e la terra stanno gridando:
Signore, prendi noi col tuo potere e la tua luce,
per proteggere ogni vita,
per preparare un futuro migliore,
affinché venga il tuo Regno
di giustizia, di pace, di amore e di bellezza.
Laudato si’!
Amen.