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  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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domenica 1 ottobre 2017

La questione sociale

La questione sociale

 1. Se scrivo “questione sociale”, sapete a che cosa mi riferisco?
   Un parlamentare dovrebbe conoscere l’argomento, perché è stato ed è ancora centrale nella costruzione delle democrazie contemporanee.
  Spesso se ne accenna con un pressapochismo impressionante, eppure riguarda la vita della gran parte della gente del  mondo.  In una nazione come l’Italia, lo fu fin da tempi antichi, fin dalla prima repubblica  che proprio a Roma venne organizzata, tra il Sesto e il Primo secolo dell’era antica.
  Questione nel senso che è un tema controverso, su cui ci si divide e ci si scontra. E’ un problema,  una difficoltà che si vorrebbe superare, ma che è di difficile soluzione, proprio perché controversa: chi la vuole in un modo, chi in un altro.
 Sociale  perché riguarda l’organizzazione della società e, in particolare, la partecipazione di chi sta peggio al benessere collettivo.
  In primo luogo, chi lavora alle dipendenze altrui vorrebbe migliorare le proprie condizioni. Per chi organizza la produzione e il commercio, il lavoro altrui è un costo, qualcosa che serve e che, dovendolo  pagare, la parola esatta in questo campo è retribuire, va a diminuire i profitti, vale a dire ciò che rimane di quello che si ricava dalla produzione o dal  commercio dedotti i  costi  di produzione e ciò che si deve dare, come tasse, alla società.
 In secondo luogo si vorrebbe che il carico dei  doveri  sociali e i vantaggi offerti alla società da quei doveri fossero più equamente ripartiti. In genere chi domina una società cerca di esimersi dai doveri e di attribuirsi una quota maggiore dei vantaggi sociali. Questo crea situazioni di diseguaglianza  che nell’antichità furono enormi, con le dinastie sovrane, le loro corti e i nobili con esse federati che facevano una splendida vita, mentre il resto del popolo, il popolo  come lo si definiva più semplicemente per rendere l’idea della condizione comune a masse di persone, viveva miseramente.
2.  Troviamo la  questione sociale  nelle nostre Scritture sacre e in tutta la storia dell’Europa, fin dai tempi antichi. In particolare è la storia italiana che ne è piena, fin dall’epoca della Roma antica. Abitiamo a Monte Sacro, luogo utilizzato nell’antichità per liturgie religiose: nell’anno 494 dell’era antica vi  svolse un episodio di lotta del popolo motivato dalla questione sociale, e più precisamente dalla richiesta di maggiore equità nei doveri sociali. La plebe,  la parte della popolazione non schiava dedita al lavoro nell’agricoltura, all’allevamento degli animali, al commercio e all’artigianato, si asserragliò nella zona di Monte Sacro, che all’epoca era molto fuori della città, rifiutando di proseguire il servizio militare. Le si contrapponevano i patrizi, le famiglie più antiche e potenti della città, che possedevano per averle accumulate di generazione in generazione le quote più rilevanti delle ricchezze sociali, in particolari terriere, e vivevano del lavoro altrui. Le loro attività principali erano la guerra e la direzione della società politica. L’organizzazione politica dell’antica repubblica romana fu basata su una federazione tra queste due componenti sociali, patrizi e plebei, come indicato dalla sigla che la riassume: S.P.Q.R., che significa  il Senato (l’assemblea politica dei patrizi) e il Popolo Romano. Rimasero sempre in tensione tra loro, ma trovarono un punto politico di equilibrio.
  Più vicino a noi nel tempo, la questione sociale è legata all’affermazione delle democrazie europee contemporanee. Queste ultime comportarono il trasferimento di poteri politici da dinastie sovrane, e dai ceti di nobili ad esse federate, ad istituzioni che rappresentavano, mediante l’elezione (scelta) di un ceto politico, gli interessi e la volontà degli strati sociali che dirigevano i processi produttivi, organizzati su scala industriale, quindi molto vasta e con molta tecnologia dentro, dalla metà del Settecento. Le grandi fabbriche ebbero bisogno di molta mano d’opera, di molti lavoratori, che furono richiamati nelle città dalle campagne, con la prospettiva di migliori condizioni di vita (quelle delle campagne, dominate dai grandi proprietari terrieri erano non di rado poco distinguibili da quelle degli schiavi). La vita sociale nelle città comportò un aumento dell’istruzione dei lavoratori, anche perché ciò era richiesto dai processi industriali, e generò la consapevolezza nel popolo degli squilibri sociali a favore delle classi dominanti. E anche del fatto che, partecipando in massa alla vita democratica, le cose potevano migliorare per chi stava peggio. Il metodo democratico prevede infatti il dominio delle maggioranze. Il pensiero e l’azione socialisti nacquero da questo. Iniziarono nella prima metà dell’Ottocento come sindacalismo, per avere più forza nelle contrattazioni sociali, e si svilupparono nella seconda metà di quel secolo come organizzazioni politiche. Accadde così anche nell’azione sociale ispirata dalla fede, in particolare in ambito cattolico. Prima si sviluppò l’azione sindacale e poi quella politica. Quella sindacale comprese varie forme di previdenza sociale volontaria, per il caso di infortuni e malattie: le mutue sociali.  Ma anche forme di organizzazione del lavoro in forma cooperativa: le cooperative sociali. Lo sviluppo politico venne ostacolato, in Italia, dalle controversie del Papato con il Regno d’Italia, che nel 1870 aveva soppresso, conquistandolo militarmente, il piccolo regno del Papa nell’Italia centrale, lo Stato Pontificio. Era quella che venne definita questione romana. In quella situazione il Papato volle riservare a sé le iniziative politiche in Italia;  a lungo non concesse autonomia ai fedeli in questo campo. Con l’enciclica  Rerum Novarum - Le novità, diffusa nel 1891 dal papa Vincenzo Gioacchino Pecci, regnante in religione dal 1879 al 1903 come Leone 13°, fornì ai cattolici, in particolare a quelli italiani, un manifesto ideologico in materia di questione sociale e di organizzazione dello stato. Al centro del documento vi fu la critica del socialismo, ma per proporre una diversa soluzione alla questione sociale, che veniva riconosciuta come reale, seria  e tale da implicare l'etica religiosa: si esortava ad una  collaborazione tra le classi sociali degli imprenditori e di lavoratori  che portasse al riconoscimento delle esigenze di giustizia sociale proposte dai lavoratori. Quel documento fu il primo di una lunga serie che, da ultimo, comprende anche l’enciclica Laudato si’, diffusa nel 2015 dal papa Jorge Mario Bergoglio, regnante in religione come Francesco  dal 2013.
2.1
 Riporto di seguito un brano dell’enciclica Rerum Novarum - Le novità che è utile per comprendere in quale direzione papa Pecci volesse spingere la società, per la risoluzione della questione sociale:
16. Innanzi tutto, l'insegnamento cristiano, di cui è interprete e custode la Chiesa, è potentissimo a conciliare e mettere in accordo fra loro i ricchi e i proletari, ricordando agli uni e agli altri i mutui doveri incominciando da quello imposto dalla giustizia. Obblighi di giustizia, quanto al proletario e all'operaio, sono questi: prestare interamente e fedelmente l'opera che liberamente e secondo equità fu pattuita; non recar danno alla roba, né offesa alla persona dei padroni; nella difesa stessa dei propri diritti astenersi da atti violenti, né mai trasformarla in ammutinamento; non mescolarsi con uomini malvagi, promettitori di cose grandi, senza altro frutto che quello di inutili pentimenti e di perdite rovinose. E questi sono i doveri dei capitalisti e dei padroni: non tenere gli operai schiavi; rispettare in essi la dignità della persona umana, nobilitata dal carattere cristiano. Agli occhi della ragione e della fede il lavoro non degrada l'uomo, ma anzi lo nobilita col metterlo in grado di vivere onestamente con l'opera propria. Quello che veramente è indegno dell'uomo è di abusarne come di cosa a scopo di guadagno, né stimarlo più di quello che valgono i suoi nervi e le sue forze. Viene similmente comandato che nei proletari si deve aver riguardo alla religione e ai beni dell'anima. È obbligo perciò dei padroni lasciare all'operaio comodità e tempo che bastino a compiere i doveri religiosi; non esporlo a seduzioni corrompitrici e a pericoli di scandalo; non alienarlo dallo spirito di famiglia e dall'amore del risparmio; non imporgli lavori sproporzionati alle forze, o mal confacenti con l'età e con il sesso.
17. Principalissimo poi tra i loro doveri è dare a ciascuno la giusta mercede. Il determinarla secondo giustizia dipende da molte considerazioni: ma in generale si ricordino i capitalisti e i padroni che le umane leggi non permettono di opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici, e di trafficare sulla miseria del prossimo. Defraudare poi la dovuta mercede è colpa così enorme che grida vendetta al cospetto di Dio. Ecco, la mercede degli operai... che fu defraudata da voi, grida; e questo grido ha ferito le orecchie del Signore degli eserciti (Giacomo, lettera di, 5,4). Da ultimo è dovere dei ricchi non danneggiare i piccoli risparmi dell'operaio né con violenza né con frodi né con usure manifeste o nascoste; questo dovere è tanto più rigoroso, quanto più debole e mal difeso è l'operaio e più sacrosanta la sua piccola sostanza. L'osservanza di questi precetti non basterà essa sola a mitigare l'asprezza e a far cessare le cagioni del dissidio ?
 L’organizzazione creata appositamente  dal Papato nel 1906 per l’azione sociale e politica secondo quei principi fu l’Azione Cattolica. E’ un lavoro che fu progettato con il contributo molto importante del beato Giuseppe Toniolo (esponente dell’associazionismo cattolico, sociologo ed economista, vissuto tra il 1845 e il 1918).
  Gli stati democratici europei organizzarono un sistema di istruzione pubblica di massa, in particolare istituendo scuole di primo livello, le elementari. Migliorando il livello di istruzione sempre più ampie fasce del popolo  furono elevate alla cittadinanza. Questo produsse la progressiva estensione del diritto di voto, inizialmente riservato ai maschi con determinati livelli di reddito e di istruzione. Le elezioni politiche del 1913 furono le prime, in Italia, in cui poterono votare tutti i cittadini maschi del Regno. Dal 1906 i cattolici italiani vi furono preparati proprio attraverso l’Azione Cattolica, in particolare mediante la sua branca denominata Unione nazionale tra gli elettori cattolici.
  Tra i cattolici italiani di allora si era già da tempo presa coscienza della connessione tra la questione sociale e l’organizzazione politica della società, l'ingiustizia sociale derivando anche dalla politica e potendo esservi posto rimedio mediante gli strumenti della politica, e quindi sulla necessità di affiancare l’azione propriamente sociale e sindacale a quella politica, ma quest’ultima era fortemente limitata dagli orientamenti politici del Papato, concentrato nella risoluzione politica della questione romana. Questa consapevolezza fu raggiunta anche dal Papato negli successivi, in particolare dopo che, nel 1929, con una serie di trattati, i Patti Lateranensi, furono appianate le controversie politiche con il Regno d'Italia: con l’enciclica Quadragesimo Anno - Il Quarantennale, diffusa nel 1931 dal papa Achille Ratti, regnante in religione dal 1922 al 1939 come Pio 11°, i cattolici italiani furono spinti a collaborare con le nuove istituzioni politico-sindacali organizzate dal regime fascista mussoliniano nel sistema detto corporativo (un’istituzione politica di quest’ultimo, la Camera dei fasci e delle corporazioni, sostituì la Camera dei deputati dal 1939). Dal 1941 la politica del Papato mutò, sotto il regno di Eugenio Pacelli, in religione sovrano come Pio 12° dal 1939 al 1958, indicando la via della riforma sociale, quindi della risoluzione della questione sociale, con gli strumenti della democrazia. La riforma dello stato ideata dai cattolico-democratici italiani durante la Seconda Guerra Mondiale, su impulso di una serie di radiomessaggi natalizi diffusi tra il 1941 e il 1944, prevedeva la collaborazione di partiti e sindacati democratici, quindi ispirati ai grandi valori della democrazia, tra i quali quelli fondamentali della persona e del lavoro. In effetti, i tempi della repubblica democratica, dal 1946, furono un’epoca di intense riforme sociali condotte dalle istituzioni politiche anche sulla base delle istanze sindacali. Nel 1948 fu anche fondato un sindacato di ispirazione sociale cattolica, la Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori - CISL.
  Di questo stretto collegamento tra azione politica e sindacale non sempre vi è consapevolezza. Non è un sindacato degenerato quello che fa  politica, come non è politica degenerata  quella che si occupa di risolvere la questione sociale.
 Parlando nel giugno del 2017 ai sindacalisti della CISL papa Francesco ha detto:
 «[…]Persona e lavoro sono due parole che possono e devono stare insieme. Perché se pensiamo e diciamo il lavoro senza la persona, il lavoro finisce per diventare qualcosa di disumano, che dimenticando le persone dimentica e smarrisce sé stesso. Ma se pensiamo la persona senza lavoro, diciamo qualcosa di parziale, di incompleto, perché la persona si realizza in pienezza quando diventa lavoratore, lavoratrice; perché l’individuo si fa persona quando si apre agli altri, alla vita sociale, quando fiorisce nel lavoro.
 […]
Il sindacato è espressione del profilo profetico della società. Il sindacato nasce e rinasce tutte le volte che, come i profeti biblici, dà voce a chi non ce l’ha, denuncia il povero “venduto per un paio di sandali” (cfr Amos 2,6), smaschera i potenti che calpestano i diritti dei lavoratori più fragili, difende la causa dello straniero, degli ultimi, degli “scarti”.
[…]
I profeti sono delle sentinelle, che vigilano nel loro posto di vedetta. Anche il sindacato deve vigilare sulle mura della città del lavoro, come sentinella che guarda e protegge chi è dentro la città del lavoro, ma che guarda e protegge anche chi è fuori delle mura. Il sindacato non svolge la sua funzione essenziale di innovazione sociale se vigila soltanto su coloro che sono dentro, se protegge solo i diritti di chi lavora già o è in pensione. Questo va fatto, ma è metà del vostro lavoro. La vostra vocazione è anche proteggere chi i diritti non li ha ancora, gli esclusi dal lavoro che sono esclusi anche dai diritti e dalla democrazia.
Il capitalismo del nostro tempo non comprende il valore del sindacato, perché ha dimenticato la natura sociale dell’economia, dell’impresa. Questo è uno dei peccati più grossi. Economia di mercato: no. Diciamo economia sociale di mercato, come ci ha insegnato San Giovanni Paolo II: economia sociale di mercato. L’economia ha dimenticato la natura sociale che ha come vocazione, la natura sociale dell’impresa, della vita, dei legami e dei patti. Ma forse la nostra società non capisce il sindacato anche perché non lo vede abbastanza lottare nei luoghi dei “diritti del non ancora”: nelle periferie esistenziali, tra gli scartati del lavoro. Pensiamo al 40% dei giovani da 25 anni in giù, che non hanno lavoro. Qui. In Italia. E voi dovete lottare lì! Sono periferie esistenziali.
[…]
Non c’è una buona società senza un buon sindacato, e non c’è un sindacato buono che non rinasca ogni giorno nelle periferie, che non trasformi le pietre scartate dell’economia in pietre angolari. Sindacato è una bella parola che proviene dal greco “dike”, cioè giustizia, e “syn”, insieme: syn-dike,“giustizia insieme”. Non c’è giustizia insieme se non è insieme agli esclusi di oggi.»
   Questa è stata la linea della dottrina sociale fin dall’inizio, ma in particolare quando maturò l’assimilazione della democrazia come sistema di valori, dal 1941.
  In particolare essa fu sviluppata in un importantissimo documento della dottrina sociale, veramente epocale, l’enciclica Laborem exercens - Mediante il lavoro,  diffusa nel 1981 dal papa san Karol Wojtyla, regnante in religione come Giovanni Paolo 2° dal 1978 al 2005:
«20. L'importanza dei sindacati
  Sulla base di tutti questi diritti, insieme con la necessità di assicurarli da parte degli stessi lavoratori, ne sorge ancora un altro: vale a dire, il diritto di associarsi, cioè di formare associazioni o unioni, che abbiano come scopo la difesa degli interessi vitali degli uomini impiegati nelle varie professioni. Queste unioni hanno il nome di sindacati. Gli interessi vitali degli uomini del lavoro sono fino ad un certo punto comuni per tutti; nello stesso tempo, però, ogni tipo di lavoro, ogni professione possiede una propria specificità, che in queste organizzazioni dovrebbe trovare il suo proprio riflesso particolare.
  I sindacati trovano la propria ascendenza, in un certo senso, già nelle corporazioni artigianali medioevali, in quanto queste organizzazioni univano tra di loro uomini appartenenti allo stesso mestiere e, quindi, in base al lavoro che effettuavano. Al tempo stesso, però, i sindacati differiscono dalle corporazioni in questo punto essenziale: i moderni sindacati sono cresciuti sulla base della lotta dei lavoratori, del mondo del lavoro e, prima di tutto, dei lavoratori industriali, per la tutela dei loro giusti diritti nei confronti degli imprenditori e dei proprietari dei mezzi di produzione. La difesa degli interessi esistenziali dei lavoratori in tutti i settori, nei quali entrano in causa i loro diritti, costituisce il loro compito. L'esperienza storica insegna che le organizzazioni di questo tipo sono un indispensabile elemento della vita sociale, specialmente nelle moderne società industrializzate. Ciò, evidentemente, non significa che soltanto i lavoratori dell'industria possano istituire associazioni di questo tipo. I rappresentanti di ogni professione possono servirsene per assicurare i loro rispettivi diritti. Esistono, quindi, i sindacati degli agricoltori e dei lavoratori di concetto; esistono pure le unioni dei datori di lavoro. Tutti, come già è stato detto, si dividono ancora in successivi gruppi o sottogruppi, secondo le particolari specializzazioni professionali.
 La dottrina sociale cattolica non ritiene che i sindacati costituiscano solamente il riflesso della struttura «di classe» della società e che siano l'esponente della lotta di classe, che inevitabilmente governa la vita sociale. Sì, essi sono un esponente della lotta per la giustizia sociale, per i giusti diritti degli uomini del lavoro a seconda delle singole professioni. Tuttavia, questa «lotta» deve essere vista come un normale adoperarsi «per» il giusto bene: in questo caso, per il bene che corrisponde alle necessità e ai meriti degli uomini del lavoro, associati secondo le professioni; ma questa non è una lotta «contro» gli altri. Se nelle questioni controverse essa assume anche un carattere di opposizione agli altri, ciò avviene in considerazione del bene della giustizia sociale, e non per «la lotta», oppure per eliminare l'avversario. Il lavoro ha come sua caratteristica che, prima di tutto, esso unisce gli uomini, ed in ciò consiste la sua forza sociale: la forza di costruire una comunità. In definitiva, in questa comunità devono in qualche modo unirsi tanto coloro che lavorano, quanto coloro che dispongono dei mezzi di produzione, o che ne sono i proprietari. Alla luce di questa fondamentale struttura di ogni lavoro - alla luce del fatto che, in definitiva, in ogni sistema sociale il «lavoro» e il «capitale» sono le indispensabili componenti del processo di produzione - l'unione degli uomini per assicurarsi i diritti che loro spettano, nata dalle necessità del lavoro, rimane un fattore costruttivo di ordine sociale e di solidarietà, da cui non è possibile prescindere.
 I giusti sforzi per assicurare i diritti dei lavoratori, che sono uniti dalla stessa professione, devono sempre tener conto delle limitazioni che impone la situazione economica generale del paese. Le richieste sindacali non possono trasformarsi in una specie di «egoismo» di gruppo o di classe, benché esse possano e debbano tendere pure a correggere - per riguardo al bene comune di tutta la società - anche tutto ciò che è difettoso nel sistema di proprietà dei mezzi di produzione o nel modo di gestirli e di disporne. La vita sociale ed economico-sociale è certamente come un sistema di «vasi comunicanti», ed a questo sistema deve pure adattarsi ogni attività sociale, che ha come scopo quello di salvaguardare i diritti dei gruppi particolari.
 In questo senso l'attività dei sindacati entra indubbiamente nel campo della «politica», intesa questa come una prudente sollecitudine per il bene comune. Al tempo stesso, però, il compito dei sindacati non è di «fare politica» nel senso che comunemente si dà oggi a questa espressione. I sindacati non hanno il carattere di «partiti politici» che lottano per il potere, e non dovrebbero neppure essere sottoposti alle decisioni dei partiti politici o avere dei legami troppo stretti con essi. Infatti, in una tale situazione essi perdono facilmente il contatto con ciò che è il loro compito specifico, che è quello di assicurare i giusti diritti degli uomini del lavoro nel quadro del bene comune dell'intera società, e diventano, invece, uno strumento per altri scopi.
Parlando della tutela dei giusti diritti degli uomini del lavoro a seconda delle singole professioni, occorre naturalmente aver sempre davanti agli occhi ciò che decide circa il carattere soggettivo del lavoro in ogni professione, ma al tempo stesso, o prima di tutto, ciò che condiziona la dignità propria del soggetto del lavoro. Qui si dischiudono molteplici possibilità nell'operato delle organizzazioni sindacali, e ciò anche nel loro impegno di carattere istruttivo, educativo e di promozione dell'auto-educazione. Benemerita è l'opera delle scuole, delle cosiddette «università operaie» e «popolari», dei programmi e corsi di formazione, che hanno sviluppato e tuttora sviluppano proprio questo campo di attività. Si deve sempre auspicare che, grazie all'opera dei suoi sindacati, il lavoratore possa non soltanto «avere» di più, ma prima di tutto «essere» di più: possa, cioè, realizzare più pienamente la sua umanità sotto ogni aspetto.
Adoperandosi per i giusti diritti dei loro membri, i sindacati si servono anche del metodo dello «sciopero», cioè del blocco del lavoro, come di una specie di ultimatum indirizzato agli organi competenti e, soprattutto, ai datori di lavoro. Questo è un metodo riconosciuto dalla dottrina sociale cattolica come legittimo alle debite condizioni e nei giusti limiti. In relazione a ciò i lavoratori dovrebbero avere assicurato il diritto allo sciopero, senza subire personali sanzioni penali per la partecipazione ad esso. Ammettendo che questo è un mezzo legittimo, si deve contemporaneamente sottolineare che lo sciopero rimane, in un certo senso, un mezzo estremo. Non se ne può abusare; non se ne può abusare specialmente per giochi «politici». Inoltre, non si può mai dimenticare che, quando trattasi di servizi essenziali alla convivenza civile, questi vanno, in ogni caso, assicurati mediante, se necessario, apposite misure legali. L'abuso dello sciopero può condurre alla paralisi di tutta la vita socio-economica, e ciò è contrario alle esigenze del bene comune della società, che corrisponde anche alla natura rettamente intesa del lavoro stesso.»
  Quel documento può essere considerato il manifesto  ideologico del sindacato - partito  Solidarnosc  che, costituito nel 1980, fu protagonista della rivoluzione polacca del 1980 contro il regime comunista di scuola sovietica all’epoca dominante. La Polonia ebbe un regime democratico di tipo occidentale dal 1989 e dal 1990 al 1995, Lech Walesa, il principale esponente di Solidarnosc, fu presidente dello stato.
 3. La  dottrina sociale ha una visione realistica della questione sociale e del sindacato: la questione sociale come contrasto tra masse di lavoratori e minoranze che controllano la produzione e il commercio e il sindacato come organizzazione per dare più forza ai lavoratori nella contrattazione sociale riguardante le condizioni di lavoro e le retribuzioni. Nella sua concezione il bene comune, quello della società nel suo complesso, deve però essere sempre tenuto presente dalle parti sociali, anche dal sindacato. Questo comporta raggiungere una consapevolezza  politica  degli interessi generali anche nella questione sociale e nelle controversie sindacali.
  L’ideologia politico-economica che ha prevalso dagli anni ’80, e che trova origine nelle dottrine assecondate dalle amministrazioni del presidente statunitense Ronald Reagan (in carica dal 1981 al 1989) e di Margaret Thatcher, primo ministro inglese dal 1979 al 1980, ritiene l’azione sindacale contraria al bene comune. Le sue parole d’ordine comprendono anche lo slogan  “Meno sindacato”. Secondo questa prospettiva l’economia deve essere lasciata alle sue dinamiche, alla libera contrattazione delle parti sociali: in questo modo troverà spontaneamente la via più razionale e meno costosa, migliorando l’efficienza del sistema produttivo e diffondendo ricchezza. Di fatto, dagli anni ’90 i  sindacati europei, e anche quelli italiani, hanno avuto meno forza sociale, in particolare quelli che  facevano  politica, tenendo conto del bene comune, quindi non operando solo con finalità corporative, vale a dire dirette solo ad accrescere i vantaggi e le risorse della categorie rappresentante. Le condizioni di lavoro sono peggiorate: i rapporti di lavoro si sono fatti più precari e le retribuzioni sono calate. Si parla, in proposito, di svalutazione del lavoro.
 La diffusione dei robot nelle lavorazioni industriali, ma anche nell’artigianato e nel commercio, fa prevedere che la situazione  peggiorerà di molto, in mancanza di correttivi politici. Naturalmente questo non riguarderà la parte della popolazione che controlla produzione e commercio, ma tutti gli altri. Questi ultimi sono una gran massa di gente, ma si presentano nelle varie contrattazioni sociali sempre più come singoli. In questo modo si hanno grandi organizzazioni che contrattano con singoli, siano essi lavoratori o consumatori. Le dinamiche di mercato sfavoriscono questi ultimi, perché la loro legge, in mancanza di correttivi,  è quella della giungla o del mare: pesce grosso mangia pesce piccolo. Ma in futuro potrebbe accadere che i pesci grossi  non abbiano più nemmeno interesse a mangiare  i pesci piccoli, ma solo a spianarli, a schiacciarli, come ostacoli inutili sulla strada della soddisfazioni degli interessi di chi domina l’economica. Sono appunto quegli scarti  del sistema economico e sociale ai quali si è riferito papa Francesco nel discorso ai sindacalisti della CISL.
  L’insofferenza verso il sindacalismo è un marcatore  molto importante per capire che direzione prenderà una certa politica che viene proposta, ad esempio sotto elezioni, che è appunto il tempo che stiamo vivendo attualmente.
  Se poi chi la manifesta sostiene anche che non ci si deve preoccupare della gente che perde il lavoro, questo è un altro segnale importante.
 Il pensiero sociale ispirato dalla fede, e la dottrina sociale in particolare, ritengono che la disoccupazione sia un problema che non può essere lasciato alle dinamiche spontanee del mercato, che sia un problema politico  di cui la politica si deve occupare.
  Per chi domina la produzione e il commercio l’azione sindacale  è un fattore di aumento dei costi, sia perché mira a ottenere migliori condizioni di lavoro, ad esempio più sicurezza sul lavoro e del lavoro, limitando i licenziamenti immotivati, sia perché mira a migliori retribuzioni. Sarà quindi tentato di ridurre la forza del sindacato, ad esempio vietando lo sciopero, la  principale arma sindacale, come si fece durante il regime fascista mussoliniano, o comunque cercando di limitarlo il più possibile, e cercando di indurre politiche economiche che facciano apparire inutile l’azione sindacale. Cercherà di portare i pubblici poteri contro i sindacati dei lavoratori e dalla parte degli imprenditori. Sosterrà che è per il bene di tutti, in particolare degli utenti e dei consumatori, i quali  possono essere infastiditi dalle turbative nei servizi provocate  dall’azione sindacale. Cercherà di aumentare il proprio consenso politico mettendo le varie categorie di lavoratori e utenti in contrasto tra loro. E, infine, cercherà di diffamare il sindacalismo presentando l’azione sindacale come volta solo a migliorare le condizioni del ceto dei sindacalisti, facendo apparire questi ultimi come dei privilegiati.
 Non sempre accade che i politici dicano quello che pensano e facciano quello che dicono (parafraso una celebre battuta dell’attore Al Pacino nel film The Heat - La Sfida). Ma qualche volta effettivamente accade. E’ più probabile che accada quando si limitano a seguire la corrente ed è quindi più facile farlo. E ai tempi nostri la corrente va contro il sindacato e i lavoratori da esso rappresentati. Nel valutare una politica è bene tenerne conto, perché la soluzione che si dà alla questione sociale determina poi il tipo di società in cui si vivrà e, in particolare, chi ci guadagnerà e chi ci perderà. Prima dell’avvento del sindacalismo europeo, in genere ci rimettevano le masse lavoratrici.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli