Dal
WEB:
http://www.settimanesociali.it/wp-content/uploads/2017/10/Gatti-26-ottobre.pdf
48ª
Settimana Sociale “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo,
solidale” Cagliari, 26-29 ottobre 2017
Intervento
di Sergio Gatti, Vicepresidente del Comitato Scientifico
Cagliari, 26 ottobre 2017
Buon pomeriggio a tutti.
1. I luoghi e i volti.
I luoghi hanno
un’anima e parlano.
C’è un angolo su questo palco che raccoglie e
ricorda gli strumenti di lavoro di ieri, di oggi e di domani. Alcuni tipici di
questa terra misteriosa e affascinante che è la Sardegna. Terra di pastori, di
pescatori, di agricoltori, di minatori, di operai, di imprenditori, di
migranti “economici”, di ricercatori, di in-novatori.
I volti sono legati ad un luogo, sono
espressione di una famiglia, una comunità, un territorio dove vivono. I
ritratti sono i protagonisti di questa Settimana Sociale. Il lavoro ha a che
fare con le persone e con i luoghi, anche nell’era del lavoro digitale, del
lavoro a distanza, del lavoro “agile”.
Il lavoro in Sardegna è una questione molto
complessa.
In Italia anche. Ma è ancora più complessa,
la questione lavoro, in quel continente che comincia a un’ora di volo da qui
facendo rotta verso sud.
La Sardegna è al centro delle due sponde
Mediterranee, quella europea e quella africana.
I volti, lo avete sentito da mons. Santoro,
sono stati al centro della nostra riflessione. E’ stato il nostro approccio
differente. I numeri, le tendenze, le analisi statistiche sono indispensabili,
ma in questo caso vengono un momento dopo.
Il primo dei 75 passi verso Cagliari che
abbiamo proposto nell’Instrumentum Laboris ricorda come lavorare voglia
dire “diventare più uomo e più donna”, voglia dire “partecipare alla creazione
del mon-do”.
Anche oggi e qui, allora ripetiamo
l’esercizio. Cominciamo dai volti. Immagine e somiglianza del Creatore, il più
grande fra i lavoratori…
Non possiamo all’esordio di queste giornate,
non dedicare un pensiero e una preghiera a coloro che a causa del lavoro hanno
perso la vita, ai loro familiari, ai loro colleghi, ai loro amici. Sono stati
696 nei primi nove mesi di questo 2017.
E non possiamo non ricordare e non pregare
per almeno tre persone che hanno perduto la vita, per ma-no di altri uomini,
perché col loro lavoro volevano riformare le regole del lavoro degli altri,
rendere migliore il lavoro degli italiani.
Indipendentemente dalla condivisione o meno
delle loro idee e delle loro proposte, vogliamo ricordare Ezio Tarantelli,
Massimo D’Antona, Marco Biagi.
2. La nostra Settimana Sociale
La nostra Settimana Sociale è
una Settimana 4x4.
E’ stata chiamata ad arrampicarsi su piste
impegnative. Ma con un motore pieno di energia, un carburante raro che è la
fiducia tenace. La fiducia è quella risorsa contro-intuitiva, è scarsa ma più
la usi più cresce. E non rovina l’ambiente, anzi lo tonifica.
Nella storia ultra-centenaria delle Settimane
Sociali, il lavoro era stato messo a tema solo altre due volte, nel 1946 e nel
1970. Ed erano anch’esse stagioni travagliate, passaggi d’epoca dove cambiavano
paradigmi e la storia doveva scavalcare una faglia. Anche allora, erano strade
in salita.
Nel 1946, la Settimana Sociale accompagnò di
fatto la scrittura della nostra Costituzione. La XX si tenne a Venezia
anch’essa in ottobre ed era dedicata a I problemi del lavoro.
Cinque mesi dopo, l’Assemblea costituente -
era il pomeriggio del 24 marzo di 71 anni fa - approvò l’articolo 1 della
Costituzione. Con quel voto si chiuse un dibattito che era durato mesi al quale
contri-buirono La Pira, Dossetti, Togliatti, Tupini e tanti altri. I lavori
della Settimana Sociale veneziana eb-bero il loro peso. Matrici culturali e
politiche diverse giunsero ad una sintesi. Il testo della Costituzione è quello
che conosciamo, “la Repubblica si fonda sul lavoro”. Pilastro laico di
democrazia e libertà
Nel 1970 la 40ma Settimana Sociale si tenne a
Brescia e accompagnò la nascita dello Statuto dei lavo-ratori, una pietra
miliare della storia sociale ed economica del nostro Paese.
Nel 2017 questa nostra edizione guarda al
lavoro come origine e, allo stesso tempo, al lavoro come de-stinazione della
transizione più penetrante che stiamo vivendo, la transizione tecnologica. Il
lavoro sta cambiando profondamente.
In uno studio dell’Università di Oxford si
rileva che il 47% dei lavori che conosciamo non ci sarà più da qui al 2037,
vent’anni. “Ma a estinguersi saranno le professioni che possono essere sostituite
dalla robotica e dall’intelligenza artificiale. Per il resto non ci sarà
necessariamente un aumento della disoc-cupazione, bensì un cambiamento del
mercato del lavoro”.
Non è detto che a Oxford abbiano ragione
sulle percentuali. Ma il fenomeno è reale, è in atto. Di qui la centralità
della preparazione delle competenze. La digitalizzazione, l’automazione, la
gestione dei dati delle persone, le nuove modalità di selezione e fruizione dei
servizi-acquisto dei prodotti ci riguardano. Il governo dello sviluppo
tecnologico ci pone responsabilità inedite.
Come un’onda che cambia in silenzio eppure in
profondità i nostri tratti antropologici: “the
product is me”, il prodotto dell’economia digitale è ciascuno di noi.
In questi mesi di lavoro come Comitato
abbiamo annotato alcune cose sul nostro taccuino, tutte di sapore politico e
culturale. Alcune:
• intervenire per
diminuire le disuguaglianze e impostare una relazione positiva tra condizione
di lavoro umano e innovazione tecnologica. È di questi giorni un saggio sulle
nuove disuguaglianze, tra queste anche la divaricazione tra lavoratori a più
alta qualifica (con maggiore occupabilità e migliori condizioni reddituali) e
lavoratori con mansioni a basso tasso di conoscenza;
• coordinarsi a
livello internazionale per evitare forme di dumping sociale;
• indirizzare il
rafforzamento della capacità tecnologica verso modelli competitivi basati
sull’innovazione e sulla qualità dei prodotti piuttosto che sulla compressione
dei costi del lavoro;
• aggiornare in
modo strutturale le competenze a fronte dei nuovi paradigmi produttivi che
cam-biano il concetto di luogo e di tempo di lavoro. Nascono nuove figure
professionali che richiedono competenze costantemente aggiornate;
• investire sul
capitale delle conoscenze: istruzione, formazione professionale,
sintonizzazione tra accumulazione di conoscenze e lavoro, nuovi profili
manageriali;
• superare il gap
infrastrutturale di alcune nostre regioni;
• affrontare
l’emergere di nuove professioni e nuovi mercati caratterizzati dall’assenza di
una re-golamentazione capace di garantire diritti e tutele adeguati e la giusta
valorizzazione del lavoro.
• non dimenticare
limiti preesistenti e cruciali per il lavoro e l’economia italiana, quali la
denata-lità e la longevità della popolazione, la necessità di ridurre lo
squilibrio di genere nel mercato del lavoro (in termini sia di maggiore
occupazione femminile, sia di riduzione del differenziale retributivo e
contributivo, sia di contrasto alla violenza fuori e dentro i luoghi di
lavoro), l’economia illegale, le di-suguaglianze territoriali e la gestione
sostenibile dei processi di internazionalizzazione delle relazioni economiche.
Su tutti questi fronti abbiamo visto che chi
ha responsabilità politiche è impegnato. Una stagione di riforme si è avviata.
I numeri dell’occupazione sono in crescita, non ancora abbastanza. I giudizi e
le valutazioni sono aperti e i più diversi. Le chiavi di lettura sono ormai
diverse. Alcune norme hanno visto la luce. Altre non ancora e sono urgenti. Ne
parleremo.
3. Perché una Settimana 4x4?
Perché siamo partiti da quattro aggettivi.
Abbiamo lavorato su quattro registri e
utilizzato quattro linguaggi.
Abbiamo poi organizzato le proposte attorno a
quattro capitoli.
E vorrei con voi provare a orientarmi attorno
a quattro domande cardinali.
3.1. I quattro
aggettivi.
Sono quelli che
ci hanno accompagnato: “libero, creativo,
partecipativo, solidale”. Li ha scritti di proprio pugno Papa Francesco
quando era arcivescovo di Buenos Aires. Li ha poi ripresi e incisi nella sua Evangelii
gaudium.
Quattro aggettivi riferiti al lavoro che
diventa quelle quattro cose lì solo ad una condizione. Se chi lavora, se i
lavoratori sono liberi, creativi, partecipativi, solidali. Solo le persone
possono portare nel lavoro libertà, creatività, partecipazione, solidarietà.
Nessun decreto di per sé potrà renderlo quelle quat-tro cose lì, nessun
contratto di lavoro è in se stesso sufficiente.
Occorre quindi investire sulle persone, che
hanno un volto, sulla crescita integrale di quei volti. Ognuno con una propria
radice e con un proprio presente e un domani che si può costruire.
Il nostro
fondatore, il fondatore delle Settimane Sociali, Giuseppe Toniolo, ebbe a
scrivere che il cri-stiano che vuole incidere sull’economia deve avere due
cose: competenza e visione.
E che il capitale e le banche debbono essere
al servizio del lavoro.
Sono visioni semplici eppure lungimiranti,
quasi rivoluzionarie. Possono trovare applicazione oggi in-tervenendo su
approcci culturali e sulle regole.
(Ne avete trovato
traccia nell’IL (=strumento di lavoro),
ai punti 53, 54 ma anche la 73.)
3.2. Dopo gli
aggettivi, i quattro registri.
La denuncia, l’ascolto e il racconto,
l’Atlante delle buone pratiche, le proposte responsabili e coraggio-e.
3.3. I quattro
linguaggi.
Le foto di volti e l’infografica: la mostra
itinerante dedicata al lavoro che non vogliamo.
Il cinema: il film-reportage su Il lavoro che
vogliamo
Le esperienze di vita – una ricerca e una
selezione accurata, applicando una precisa metodologia - che narrano un’Italia
poco raccontata.
Infine le parole dette e scritte, la
riflessione, il confronto, l’elaborazione, un pezzo teatrale.
I quattro linguaggi hanno preso forma per la
prima volta nella storia delle Settimane utilizzando strate-gicamente tutti i
canali di comunicazione e di coinvolgimento: dalla app dedicata a ciascuno di
voi ai social, al sito, oltre che giornali, tv, radio, i convegni, i seminari,
i workshop.
3.4. Le quattro
sfere delle proposte.
Ne accenno solo i titoli.
La centralità della formazione.
Il nuovo lavoro.
I nuovi modelli di vita.
La strategicità dell’Europa.
3.5. Infine
quattro domande-bussola alle quali rispondere insieme.
1. Dove eravamo
rimasti?
Annodiamo il filo delle Settimane Sociali.
Sì, non possiamo non vedere dove eravamo rimasti nel 2013, a Torino, quando il
tema della Settimana Sociale era la famiglia. Alcune proposte hanno trovato un
seguito, vuoi sul piano culturale vuoi su quello normativo. La verifica ex post
è un esercizio dove-roso.
2. Dove vogliamo
approdare?
Vogliamo provare a portare cambiamento.
Con gli impegni che assumeremo, con le
proposte che metteremo a punto, affinando alcune di quelle già scritte nell’IL
e con quelle che emergeranno dai 99 tavoli, dalle visite ai luoghi di lavoro,
dai tre panel paralleli.
3. Come vogliamo
arrivarci?
Sviluppando il metodo che abbiamo voluto
sperimentare. Il metodo della partecipazione, dello studio, del capire per
proporre.
Ci siamo messi in ascolto, abbiamo cercato di
leggere non solo i documenti e le statistiche, ma anche il mondo reale.
Cerchiamo di influenzare gli esiti e orientare
le soluzioni.
Facendo tesoro di quanto scritto da associazioni,
istituzioni, parti sociali, singoli, lavoratori e studenti, da quanto rilevato
col metodo della ricerca-selezione-classificazione delle “buone pratiche”. Ma
soprattutto con il confronto, la condivisione, la discussione anche vivace,
l’elaborazione che emergerà in queste giornate cagliaritane.
4. Come vogliamo
salutarci ripartendo da Cagliari?
Partiremo da Cagliari ognuno più ricco e più
capace di incidere nel proprio ambito. E potremmo ripar-tire da Cagliari ognuno
con una sorta di “manifesto” di proposte chiare e di impegni responsabili. Un
“manifesto” che potrà contenere almeno quattro ingredienti:
- l’Instrumentum
Laboris: 75 passi verso Cagliari;
- un messaggio al
Paese, a tutti gli italiani. Non solo ai Cattolici italiani che vivono dentro e
fuori l’Italia; non solo ai cattolici in Italia, quelli non italiani che vivono
e lavorano in Italia. Un messaggio sul senso del lavoro, sulla dimensione
politica del lavoro, sulla necessità del lavoro che unge di dignità il pane
quotidiano: perché lavorare a tutti gli italiani. Quelli che…
- gli impegni che
si assume la comunità ecclesiale italiana;
- un pacchetto
articolato di proposte concrete, alcune le consegneremo al Governo Italiano
altre alle Istituzioni europee, in particolare all’unica Istituzione
democraticamente eletta, ovvero il Parlamento europeo.
Questo Manifesto dovrà ancora essere tenace e
robusto come una quattro per quattro. Perché Cagliari è solo una tappa.
Le proposte saranno di tre tipi: alcune
immediatamente cantierabili, altre strutturali, altre ancora “profetiche”.
Le proposte cantierabili, che cercheremo di
rendere precise e tecnicamente solide, potrebbero anche trovare spazio tra le
misure della Legge di stabilità per il 2018 che il presidente Gentiloni sabato
pro-babilmente ci illustrerà nei suoi capitoli dedicati al lavoro.
Le proposte strutturali potrebbero richiedere
una maturazione politica e normativa di medio periodo.
Le proposte profetiche sono
quelle che richiedono anche un passaggio culturale, istituzionale, politico,
infine normativo.
4. La
Settimana Sociale, cos’è.
La Settimana Sociale è il luogo che produce
novità. Non c'è spazio per la sfiducia, per la paura. La Set-timana Sociale non
è il luogo per quanti si lasciano prendere da qualche dose di cinismo e dalla
tenta-zione di rinunciare. Le Settimane Sociali sono nate per affrontare e
possibilmente risolvere problemi, non per studiarli e basta.
Le Settimane Sociali sono una forma di
“Chiesa in uscita”, di “Chiesa col grembiule”.
Il nostro impegno individuale è
indispensabile, ma quasi mai è sufficiente per costruire cambiamento, per
cambiare in meglio il lavoro che non va, per contribuire a costruire quello che
non c'è, a trasforma-re quello fuorilegge. La dottrina sociale ha portato
cambiamento. Dalla Rerum novarum alla Populo-rum progressio,
dalla Laborem Exercens alla Laudato Si’.
Puntavano al cambiamento e lo hanno generato.
In modi diversi. Anche ispirando politiche economiche.
I nostri cercatori di lavoro hanno trovato
molte storie, gli imprenditori, i lavoratori, i professionisti, i sindaci, gli
amministratori, i legislatori, gli insegnanti, i sindacalisti, i pastori. Ne è
nato una sorta di “movimento”. Il “movimento” ha preso piede, è in cammino. E
Cagliari è una tappa.
Lungo la pista per giungere a Cagliari
abbiamo incontrato tutt'altro che indifferenza. Nelle nostre gior-nate abbiamo
incontrato il dolore, la sofferenza, la disillusione. Ma hanno prevalso i loro contrari.
Se è vero che oggi dobbiamo denunciare il
lavoro che non vogliamo, è ancora più vero che vogliamo soprattutto raccontare
un’Italia diversa, un’Italia che probabilmente è maggioranza.
La responsabilità e il coraggio
dell’intrapresa e non la pigrizia comoda dell'attesa. L'adrenalina e la
de-terminazione della sfida da vincere e non l'apatia e la mollezza degli alibi
che deresponsabilizzano.
5. Una
stagione di riforme. Qualcosa si sta muovendo.
La strada per costruire il lavoro che
vogliamo si è nutrita di buone pratiche, bellissimi incontri, e ci sarà una
ragione se l'Italia è seconda in Europa per manifattura e prima per produzione
ed esportazione di prodotti agricoli. In forte crescita nel turismo.
All’avanguardia nella robotica per la produzione e nella ricerca e produzione
farmaceutica. E molto altro.
Siamo ancora indietro, ma intanto 800 mila
occupati negli ultimi tre anni sono stati registrati
La strada è lunga, non mancano ostacoli e
difficoltà.
La forza per affrontarli verrà dall’importanza
della sfida che abbiamo accolto. Dalla vitalità di ciò in cui crediamo.
Valori cristiani e in quanto tali universali:
la libertà, la solidarietà, la democrazia, la partecipazione, la creatività:
Azioni concrete che traducono il credere
operoso, lo sperare tenace, l'amare paziente.
La forza viene anche dal pensiero evangelico,
per definizione controcorrente.
Abbiamo di fronte
il Discorso della montagna, dove i vinti di questa Terra sono dichiarati beati,
e i vincitori un po' meno.
Senza dimenticare che in quello stesso giorno
del Discorso della montagna Gesù di Nazareth insegna-va per la prima volta il
Padre nostro ai suoi discepoli. Che si può anche interpretare come Pane nostro.
Dacci il nostro lavoro quotidiano per il pane materiale, quello spirituale,
quello intellettuale.
Il lavoro – che, ripeto, unge
di dignità il pane quotidiano - percorre l’Antico e il Nuovo testamento.
Prevale il pastore nell’Antico, più frequente il pescatore nel Nuovo. Abramo e
Mosè conducono il gregge sulle alture, Gesù nasce tra i pastori e cresce in
casa di falegnami, ma poi si dedica alla pesca, ai pescatori, al pesce che
mangia e fa mangiare anche quando risorge.
Dal Vangelo che nutre l’andare
controcorrente, deriva anche a noi che siamo qui la forza per diminuire le
disuguaglianze, per chiedere che la stabilità macroeconomica e quella
finanziaria siano al servizio dello sviluppo durevole e inclusivo, che
valorizza l’ambiente naturale e punta alla coesione sociale e al dinamismo
delle generazioni. Con la consapevolezza dei vincoli che abbiamo.
Cinquant’anni fa,
la Populorum Progressio ha dato frutti.
Il lavoro è il motore della populorum progressio. Il cattivo lavoro
e il non lavoro, possono essere la causa della populorum regressio. Guardiamo avanti.
La Speranza è quella che Sant’Agostino
descrive con due gambe, lo sdegno e il coraggio. Nei nostri giorni di Cagliari
la denuncia e la proposta sono sdegno e sono coraggio.
Grazie e buon lavoro!