1. Laudato si’. - Appunti di lettura
1. Laudato si’. Ecologia
integrale
“Credo che Francesco sia l’esempio
per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia
integrale, vissuta con gioia e autenticità.” [Enciclica di papa Francesco Laudato
si’, 24-5-15, diffusa ieri 18-6-15, n.10]
Un aspetto che mi pare
caratterizzare l’enciclica Laudato si’ è la concezione
di una ecologia integrale.
La natura ci parla del suo
Creatore. Se però consideriamo i fatti della natura prescindendo dall’umanità,
essi non ci parlano di un Creatore buono. La natura infatti è crudele e
violenta, è un sistema in cui tutti i viventi si nutrono altri viventi e
l’equilibrio, sempre precario nel lungo periodo, viene ottenuto con la costante
decimazione o soppressione di specie. Ma anche l’umanità ne fa parte ed è per
questo che possiamo pensare a una ecologia, vale a dire
ad una scienza dell’ambiente,della casa comune,
ad una natura buona ed anche ad un Creatore
buono. In religione diciamo che l’essere umano è immagine
dell’Altissimo. E gli esseri umani tendono verso un Creatore buono.
Ecologia integrale significa
ritenere che la natura da salvare e integrare non comprenda solo i viventi non
umani, ma anche questi ultimi, però anche con i viventi
umani, e che la creazione di una casa comune, di
un ambiente, ispirato all’idea di un Creatore buono richieda
quindi di intervenire anche nell’organizzazione sociale
degli esseri umani. E’ stato osservato che questa prospettiva è rivoluzionaria,
nel senso che richiede un profondo mutamento di mentalità ma anche modifiche
sociali molto incisive.
L’economia e la finanza
contemporanee sono in fondo ispirate alle dinamiche della natura non umana, in
cui pesce grosso mangia pesce piccolo e ciò non fa problema. Anche le
concezioni razziste dei nazifascismi europei del secolo scorso furono nella
stesa linea. Anche alcune concezioni ecologiche contemporanee considerano
l’umanità prevalentemente un problema per gli altri viventi. Certi estremisti
sono per lasciare libero corso alla natura non umana, anche a spese degli umani,
e in ciò vedono l’unica ecologia valida.
L’enciclica si pone in una
prospettiva diversa. Misticamente, con Francesco d’Assisi, coglie l’unità dei
viventi e la mano nell’Altissimo in essa. Ma realizzare un’unità buona dei
viventi richiede un impegno umano, la mano degli esseri umani guidata da quella
dell’Altissimo, non basta lasciar fare alla natura non umana.
Ma per realizzare ciò che serve non basta solo l’ispirazione della religione,
occorre una sapienza umana ancora da costruire. Ciò che possiamo constatare è
che l’impatto delle società umane sull’ambiente (non inteso come il
campo di guerra della lotta per la vita ma religiosamente come casa
comune), guidato da una cieca logica di sfruttamento e prevaricazione
in fondo sull’esempio della natura non umana, tende a divenire catastrofico e a
condurre all’annientamento integrale della natura,
umani e non umani compresi.
2.Laudato si’. Riforma
sociale
[dall’Enciclica di papa
Francesco Laudato si’, 24-5-15, diffusa il 18-6-15]
[…]
La continua accelerazione dei
cambiamenti dell’umanità e del pianeta si unisce oggi all’intensificazione
dei ritmi di vita e di lavoro, in quella che in spagnolo alcuni chiamano “rapidación”
(rapidizzazione) [rapidizzazione: neologismo usato nella
traduzione in italiano dell’enciclica. Non attestato prima d’ora nella lingua
italiana]. Benché il cambiamento faccia parte della dinamica dei sistemi
complessi, la velocità che le azioni umane gli impongono oggi
contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica. A ciò si
aggiunge il problema che gli obiettivi di questo cambiamento veloce e
costante non necessariamente sono orientati al bene comune e a uno sviluppo
umano, sostenibile e integrale. Il cambiamento è qualcosa di auspicabile,
ma diventa preoccupante quando si muta in deterioramento del mondo e della
qualità della vita di gran parte dell’umanità (n.18)
[…]
La cura degli ecosistemi
richiede uno sguardo che vada aldilà dell’immediato, perché quando si cerca solo un
profitto economico rapido e facile, a nessuno interessa veramente la loro
preservazione. Ma il costo dei danni provocati dall’incuria egoistica
è di gran lunga più elevato del beneficio economico che si può ottenere. Nel
caso della perdita o del serio danneggiamento di alcune specie, stiamo parlando
di valori che eccedono qualunque calcolo. Per questo, possiamo essere testimoni
muti di gravissime inequità (v.nota n.1) quando si
pretende di ottenere importanti benefici facendo pagare al resto dell’umanità,
presente e futura, gli altissimi costi del degrado ambientale. (n.36)
[…]
Se teniamo conto del fatto
che anche l’essere umano è una creatura di questo mondo, che ha diritto a
vivere e ad essere felice, e inoltre ha una speciale dignità, non possiamo
tralasciare di considerare gli effetti del degrado ambientale, dell’attuale
modello di sviluppo e della cultura dello scarto sulla vita delle persone. (n.43)
[…]
L’ambiente umano e
l’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare
adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che
hanno attinenza con il degrado umano e sociale. Di fatto, il
deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo
speciale i più deboli del pianeta (n.48)
[…]
Queste situazioni provocano i
gemiti di sorella terra, che si uniscono ai gemiti degli abbandonati del
mondo, con un lamento che reclama da noi un’altra rotta. Mai abbiamo
maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli. Siamo
invece chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta
sia quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace,
bellezza e pienezza. Il problema è che non disponiamo ancora
della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di
costruire leadership che indichino strade, cercando di
rispondere alle necessità delle generazioni attuali includendo tutti, senza
compromettere le generazioni future. Si rende indispensabile creare
un sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione
degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma
tecno-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la
libertà e la giustizia. (n.53)
Nota:
(1) inequità [così
nel testo italiano dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium diffuso
da Libreria Editrice Vaticana. Neologismo dallo spagnolo. Nel testo inglese è
reso con inequality (=ineguaglianza - nell'inglese il termine
è spesso implicitamente associato all'idea di ingiustizia). Nel testo spagnolo,
lingua nella quale il documento è stato verosimilmente pensato, si
legge inequidad, da cui verosimilmente il neologismo italiano: in
un dizionario spagnolo si definisce "El concepto de inequidad se ha
considerado sinónimo del concepto de desigualdad. Es fundamental diferenciar
estos dos conceptos. Mientras desigualdad implica diferencia entre individuos o
grupos de población, inequidad representa la calificación de esta diferencia
como injusta…"; quindi "disuguaglianza ingiusta".]
L’enciclica Laudato
si’ è presentata come un documento del magistero sociale. Essa è
espressione del pensiero sociale delle nostre collettività religiose, ma, a
differenza delle altre fonti che un fedele può anche ignorare, pretende di
essere presa in considerazione per l’autorità che compete al nostro massimo
capo religioso.
In passato il magistero
sociale si è presentato in genere sotto forma di autorizzazioni.
C’erano collettività di fedeli che recepivano innovazioni culturali e sociali
del mondo in cui erano immerse e, ad un certo punto, l’autorità religiosa, in
genere attestata su posizioni reazionarie, consentiva alle
nuove tendenze manifestate dalla gente. In particolare questa dinamica si è
manifestata sui temi del lavoro, della democrazia e della libertà di coscienza
e di altre libertà civili. Quindi, semplificando: una società che
spingeva in avanti e capi religiosi che, ad un certo punto,
dopo molti tentennamenti e non senza molte riserve e cautele, l’autorizzavano a
farlo, rimanendo però sempre in retroguardia. Questo è stato vero anche per la
più spettacolare manifestazione dell’apertura al nuovo delle
nostre gerarchie religiose, quella prodottasi nel corso del Concilio Vaticano
2° (1962-1965). Anche in quel caso si trattò di riconoscere e autorizzare un
moto di riforma che da almeno vent’anni si era prodotto nelle collettività dei
fedeli.
Nel caso dell’enciclica Laudato
si’ la situazione è diversa.
Riferendoci alla specifica
situazione italiana, le collettività dei fedeli si manifestano in prevalenza su
posizioni reazionarie, in quasi tutti i campi in cui un orientamento religioso
può incidere sulla vita sociale. E’ il prodotto di una lunga stagione in cui la
gerarchia religiosa ha duramente represso, e comunque scoraggiato, ogni forma
di innovazione, federandosi sostanzialmente con la destra politica nazionale.
Le ragioni per cui lo si è fatto sono molte, ma principalmente, ad un certo
punto, alla fine degli anni ’70, si è temuta la dispersione del gregge.
Lo si è compattato intorno alla figura di un Papa come il Woytyla, il quale
impersonava un tipo di capo religioso fortemente innovativo e dotato di grande
carisma, instaurando una sorta di culto della personalità,
un’adesione emotiva e immediata che rendeva sconveniente il dissenso, in quanto
presentato come offesa personale a una persona amica e buona (“non vuoi bene
al Papa”?). Con l’autorità papale si è poi prodotta una immane letteratura
normativa, intesa a chiudere autorevolmente e definitivamente ogni questione
aperta e controversa, imponendo ai teologi che tenessero al riconoscimento
della gerarchia di attenersi a quella linea dettata con forza di legge, in
particolare con il Catechismo della Chiesa Cattolica.
L’enciclica Laudato si’ si
pone, in questa situazione italiana, all’avanguardia rispetto alle collettività
religiose. Vuole stimolare ungregge in genere riottoso e desideroso
di rimanere ben chiuso nei propri ovili, ad uscire e andare
avanti. Svolge quindi quell’attività di impulso all’innovazione che in passato
è stato espresso dal m ondo dei fedeli. In particolare, essa vuole produrre
qualcosa, nello specifico una riforma sociale, che supera le nostre attuali
capacità di società di fedeli. Aderire all’ordine di idee proposto
dall’enciclica richiederà uno sforzo culturale innanzi tutto tra noi gente di
fede. Tenendo conto anche che la riforma sociale è cosa che compete
primariamente ai fedeli laici.
“…non disponiamo ancora della
cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire
leadership che indichino strade, cercando di rispondere alle necessità delle
generazioni attuali includendo tutti, senza compromettere le generazioni
future.”, è scritto
nell’enciclica. Eppure una cultura su tante altre cose l’abbiamo, ad esempio
sulla supposta ideologia gender, contro la quale (in realtà contro
riforme civili invocate dalla gran parte degli italiani e la cui mancanza
genera tanta sofferenza sociale e ci pone alla retroguardia nella nostra nuova
Europa) oggi insorgeranno tanti di noi (non io), in piazza San Giovanni. Ma
abbiamo quella che servirebbe per contrastare quella che nell’enciclica è
chiamata, con neologismo apparso per la prima volta nel 2013 nell’esortazione
apostolicaEvangelii Gaudium (=la gioia del Vangelo), inequità e
che può essere definita come diseguaglianza ingiusta. Essa sta
portando alla rovina il mondo ed è la causa del degrado, insieme, ambientale e
sociale.
E’ questione “dell’attuale
modello di sviluppo e della cultura dello scarto sulla vita delle
persone.” L’ecologia integrale proposta dall’enciclica
comprende la natura umana e quella umana e volendo creare un mondo in cui ogni
essere umano abbia diritto a vivere e ad essere felice, e
inoltre con una speciale dignità, e per questo
intendendo contrastare il degrado ambientale, perché tutti i viventi sono
connessi e sono inseriti in una medesima natura e gli esseri umani non possono
essere felici al di fuori di essa, esige la riforma sociale, che
comprende anche quella politica: “Si rende indispensabile creare un
sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli
ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma
tecno-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la
libertà e la giustizia.”
Libertà e Giustizia:
a queste parole, che in Italia furono la bandiera di uno dei movimenti
antifascisti più attivi e culturalmente fecondi, propugnatore di una vera e
propria rivoluzione liberal-socialista, anche se politicamente emarginato nel
secondo dopoguerra nel clima della guerra fredda tra blocco occidentale e
sovietico, troppo a lungo è stato vietato, da noi e altrove nel mondo, di dare
seguito nella nostra confessione religiosa. Troppo a lungo ogni anelito
di liberazione di ispirazione religiosa è stato represso,
silenziato o, comunque, scoraggiato. E’ ora di ripartire?
3. Laudato si’. Amore
civile e politico
[dall’Enciclica di papa Francesco Laudato si’,
24-5-15, diffusa il 18-6-15]
Politica ed economia in dialogo per
la pienezza umana
189. La politica non deve
sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al
paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune,
abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in
dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente
della vita umana.
[…]
190. […]Ancora una volta, conviene
evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi
si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui. È
realistico aspettarsi che chi è ossessionato dalla massimizzazione dei profitti
si fermi a pensare agli effetti ambientali che lascerà alle prossime
generazioni?
[…]
193. In ogni modo, se in
alcuni casi lo sviluppo sostenibile comporterà nuove modalità per crescere, in
altri casi, di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta
per molti decenni, occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo, a porre
alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi. Sappiamo
che è insostenibile il comportamento di coloro che consumano e distruggono
sempre più, mentre altri ancora non riescono a vivere in conformità alla
propria dignità umana.
[…]
194. Affinché sorgano nuovi modelli
di progresso abbiamo bisogno di « cambiare il modello di sviluppo
globale »,[dal Messaggio per la Giornata mondiale della Pace
2010, del papa Benedetto 16°] la qual cosa implica riflettere
responsabilmente « sul senso dell’economia e sulla sua finalità, per correggere
le sue disfunzioni e distorsioni ». [dal Messaggio per la Giornata
mondiale della Pace 2010, del papa Benedetto 16°] Non
basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita
finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema
le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si
tratta di ridefinire il progresso.
[…]
Educazione e spiritualità ecologica
202. Molte cose devono
riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di
cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e
di un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe
lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge
così una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi
processi di rigenerazione.
[…]
La conversione ecologica
216. La grande ricchezza della
spiritualità cristiana, generata da venti secoli di esperienze personali e
comunitarie, costituisce un magnifico contributo da offrire allo sforzo di
rinnovare l’umanità.
[…]
Amore civile e politico
228. La cura per la natura è
parte di uno stile di vita che implica capacità di vivere insieme e di comunione.
Gesù ci ha ricordato che abbiamo Dio come nostro Padre comune e che questo ci
rende fratelli.L’amore fraterno può solo essere gratuito, non può
mai essere un compenso per ciò che un altro realizza, né un anticipo per quanto
speriamo che faccia. Per questo è possibile amare i nemici. Questa
stessa gratuità ci porta ad amare e accettare il vento, il sole o le nubi,
benché non si sottomettano al nostro controllo. Per questo possiamo
parlare di una fraternità universale.
[…]
229. Occorre sentire
nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità
verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti. Già
troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica,
della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere
che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale
distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci
l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di
nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura
della cura dell’ambiente.
230. L’esempio di santa Teresa
di Lisieux ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a
non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi
piccolo gesto che semini pace e amicizia. Un’ecologia integrale è fatta
anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della
violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del
consumo esasperato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita
in ogni sua forma.
231. L’amore, pieno di
piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta in
tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore. L’amore
per la società e l’impegno per il bene comune sono una forma eminente di
carità, che riguarda non solo le relazioni tra gli individui, ma anche
« macro-relazioni, rapporti sociali, economici, politici »
[dall’enciclica Caritas in Veritate (=l’amore nella verità)
del papa Benedetto 16°, 2009]. Per questo la Chiesa ha proposto al mondo
l’ideale di una « civiltà dell’amore ». L’amore sociale è la chiave di
un autentico sviluppo: « Per rendere la società più umana, più degna
della persona, occorre rivalutare l’amore nella vita sociale – a livello,
politico, economico, culturale - facendone la norma costante e suprema
dell’agire ».[citazione dal Messaggio per la Giornata Mondiale della
Pace 1977 del papa Paolo 6°]. In questo quadro, insieme
all’importanza dei piccoli gesti quotidiani, l’amore sociale ci spinge a
pensare a grandi strategie che arrestino efficacemente il degrado ambientale e
incoraggino una cultura della cura che impregni tutta la
società.Quando qualcuno riconosce la vocazione di Dio a
intervenire insieme con gli altri in queste dinamiche sociali, deve ricordare
che ciò fa parte della sua spiritualità, che è esercizio della carità,
e che in tal modo matura e si santifica.
232. Non tutti sono chiamati a
lavorare in maniera diretta nella politica, ma in seno alla società
fiorisce una innumerevole varietà di associazioni che intervengono a
favore del bene comune, difendendo l’ambiente naturale e urbano. Per
esempio, si preoccupano di un luogo pubblico (un edificio, una fontana, un
monumento abbandonato, un paesaggio, una piazza), per proteggere, risanare,
migliorare o abbellire qualcosa che è di tutti. Intorno a loro si
sviluppano o si recuperano legami e sorge un nuovo tessuto sociale locale.
Così una comunità si libera dall’indifferenza consumistica. Questo vuol dire
anche coltivare un’identità comune, una storia che si conserva e si trasmette.
In tal modo ci si prende cura del mondo e della qualità della vita dei più
poveri, con un senso di solidarietà che è allo stesso tempo consapevolezza di
abitare una casa comune che Dio ci ha affidato.Queste azioni comunitarie,
quando esprimono un amore che si dona, possono trasformarsi in intense
esperienze spirituali.
Mie osservazioni
Non sarà facile per le nostre
collettività religiose, la cui ottica politica è da molti anni immiserita
intorno ai temi dei valori non negoziabili(sostanzialmente
l’ideologia della nostra gerarchia del clero in materia di aborto e prevenzione
di gravidanze indesiderate, eutanasia, procreazione assistita, unioni civili,
omosessualità, finanziamenti alla scuola privata, insegnamento della religione
nelle scuole pubbliche, tassazione dei redditi delle organizzazioni religiose),
assuefarsi alla grandiosa visione politica della prima enciclica di papa
Francesco. Essa fa del Papa una delle persone più a rischio nel mondo, in
quanto, con la sua ancora grande autorità di capo religioso di circa ottocento
milioni di fedeli nel mondo, ha osato prospettare una rivoluzione per opporsi
alle dispotiche dinamiche dell’economia, finanza e tecnocrazia contemporanee,
per condurle sotto il dominio di una politica che si proponga di realizzare
un’unione fraterna di tutto il genere umano, unafraternità universale,
in armonia con tutti i viventi non umani e gli ambienti naturali del pianeta.
Per quanto l’enciclica si ponga sulla via della precedente Caritas in
veritate (=l’amore nella verità) del papa Benedetto 16°, del 2009, sia
nelle argomentazioni, sia nello stile letterario, semplice, piano, alieno da
sottigliezze del gergo teologico, essa va molto oltre negli obbiettivi e si
muove nel solco dell’enciclicaPopulorum progressio (=lo
sviluppo dei popoli), del papa Paolo 6°, del 1967, quando invoca, esige, un
impegno di popolo per realizzarli, a partire dalla vita personale e familiare
di ciascuno fino ad estendersi alla politica nazionale e mondiale.
Papa Francesco in particolare è molto
più radicale del suo predecessore, proclamando l’insufficienza di vie
di mezzo:
Non basta conciliare, in una via di
mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione
dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un
piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta di ridefinire il
progresso. (194)
Noi dobbiamo temere, ora, per il
Papa, che si è molto esposto ed è solo, veramente solo, dentro le mura
vaticane, ma anche fuori, in particolare nell’Italia di oggi. Si sa, lo si è
sentito, che in certi ambienti, anche religiosi (!), ci si augura che egli
passi presto. Dobbiamo sperare che non gli si faccia fare la fine dell’indiano
Ghandi, Mahatma, grande anima come lui.
Una grande novità dell’enciclica Laudato
si’, rispetto agli altri documenti del genere del passato, è il numero di
citazioni da documenti di consigli episcopali mondiali.
Vengono citati nell’ordine documenti
prodotti da:
Conferenza dei Vescovi Cattolici
dell’Africa del Sud: Pastoral Statement on the environmental crisis -1999;
5° Conferenza Generale
dell’Episcopato Latino Americano e dei Caraibi: Documento di Aparecìda
- 2007;
Conferenza dei Vescovi Cattolici
delle Filippine, Lettera pastorale What is happening to our beautiful
land - 1988;
Conferenza Episcopale Boliviana -
lettera pastorale sull’ambiente e lo sviluppo umano in Bolivia: El
universo, don de Dios para la vida - 2012;
Conferenza Episcopale Tedesca.
Commissione per gli Affari social:Der Klimawandel: Brennpunkt globaler, intergenerationeller
und okologischer Gerechtigkeit - 2006;
Vescovi della Regione Patagonia -
Comahue (Argentina): Mensaje de Nadividad - 2009;
Conferenza dei Vescovi Cattolici
degli Stati Uniti: Global Climate Change: a plea for dialogue, prudence
and the common good - 2001;
Conferenza episcopale tendesca: Zukunft
der Shopfung - Zukunft del Menschheit. Erklarung der
Deutschen Bischofskonferenz zu Frage der Umwelt und der Energieversorgung - 1980;
Conferenza dei vescovi cattolici del
Canada. Commissione Affari Sociali,
lettera pastorale “You love all that exists … All things are yours,
God, Lover of Life” - 2003;
Conferenza dei vescovi cattolici del
Giappone: Reverence for life. A message for the Twenty-first
Century - 2001;
Conferenza Nazionale dei vescovi del
Brasile, A Igreja e a questao ecòlogica - 1992;
Conferenza dell’Episcopato
Domenicano, lettera pastorale Sobre la relaciòn del hombre con la
naturaleza - 1987;
Conferenza episcopale Parguayana,
lettera pastorale El campesino paraguayo y la tierra - 1983;
Conferenza episcopale della Nuova
Zelanda, Statement on Environmental Issues - 2006;
Dichiarazione Love for
Creation. An Asian Response to the Ecological Crisis, Colloquio
promosso dalla federazione delle Conferenze dei Vescovi dell’Asia - 1993;
Commissione episcopale di pastorale
sociale dell’Argentina: Una tierra por todos - 2005;
Conferenza Episcopale Portoghese,
lettera pastoraleResponsabilidade solidària pelo bem comum - 2003;
Conferenza Episcopale Boliviana,
lettera pastorale sull’ambiente e lo sviluppo umano in Bolivia: El
universo, don de Dios para la Vida - 2012;
Conferenza Episcopale Messicana,
Commissione Episcopale per la Pastorale sociale: Jesucristo, vida y
esperanza de los indìgenas y campesinos - 2008;
Conferenza dei Vescovi Cattolici
dell’Australia: A New Earth. The Enviromental Challenge -
2002.
E’ come se gli autori dell’enciclica,
la quale, come accade dal tempo dal primo documento del genere in materia
di temi sociali, la Rerum Novarum (=sulle novità) del
papa Leone 13°, del 1891, è senz’altro frutto di un lavoro collettivo e
pluridisciplinare sebbene si avverta molto sensibilmente l’apporto
caratteristico di papa Francesco nella sua stesura oltre che nell’ispirazione,
avessero voluto avvertirci che le idee e i propositi espressi nel documento
corrispondono agli auspici e agli impegni di molti e autorevoli capi religiosi
e delle comunità da essi rappresentate in tutto il mondo. Il Papa e i
suoi più stretti collaboratori non vogliono essere lasciati soli nel lavoro che
c’è da fare. E’ anche espressione di quello stile sinodale invocato
nel corso del Concilio Vaticano 2° e mai realizzato effettivamente, in
particolare nel lungo papato imperiale di Giovanni Paolo 2°.
Un’altra significativa caratteristica
dell’enciclica è il volersi collegare a una storia di fede durata venti secoli,
dalla quale dichiara che si possono imparare molte cose per pensare il futuro:
“216 La grande ricchezza della
spiritualità cristiana, generata da venti secoli di esperienze personali e
comunitarie, costituisce un magnifico contributo da offrire allo sforzo di
rinnovare l’umanità.”
E’ una storia che in genere è
completamente ignorata nella formazione religiosa di base, di secondo livello e
in quella permanente, per gli adulti. A volte sembra che, per i nostri
formatori, l’ideale sarebbe per noi vivere nel primo secolo della nostra era.
Tutto ciò che è seguito è sentito come corruzione e tradimento, ma non è così.
Certo, è stata una storia tragica, in molte parti tremenda e insopportabile, ma
è stata la nostra storia, quella da cui dobbiamo
imparare per migliorare nel futuro. E invece, eccoci qui a ripetere, sempre,
all’infinito, gli errori di sempre.
L’esigenza politica e religiosa di
un’ecologia integrale, come la si intende nell’enciclica Laudato
si’, che comprenda viventi umani e non umani e ogni aspetto della vita
umana, personale e sociale, fino a richiedere un nuovo modello di
sviluppo e, di conseguenza, un nuovo ordine mondiale, è
piuttosto recente, risale agli scorsi anni ’70. E invano ne cercheremmo basi
culturali nella letteratura precedente il Novecento. Anche le scritture
sacre originarono in un contesto umano e ambientale molto diverso da quello
enormemente antropizzato e soggetto alla tecnocrazia come quello che si è
realizzato a partire dal secolo scorso. Noi oggi capiamo di dover
essere custodi amorevoli della casa comune, intendendo
con essa l’intero pianeta, ma nella scritture questo è un compito che mi pare
essenzialmente affidato al Creatore. Nelle scritture, in contatto con la
natura troviamo figure di agricoltori, pescatori, pastori, e ad esse ci si
ispira per idealizzare capi politici e religiosi: si tratta sempre di funzioni
di sfruttamento economico della natura. Ora invece capiamo l’esigenza di
farci collaboratori nell’opera della Creazione, ispirandoci al Creatore. E’ una
tematica che, per quanto ricordo, compare nella nostra confessione religiosa a
partire dall’enciclica Redemptor Hominis (=il Redentore
dell’umanità), del papa Giovanni Paolo 2°, del 1979, e che poi venne sviluppata
nella successiva Centesimus Annus (=il Centenario
[dall’enciclica Rerum Novarum]), del medesimo papa, del 1991,
quest’ultima citata nellaLaudato si’, al n.117:
“Invece di svolgere il suo ruolo di
collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e
così finisce col provocare la ribellione della natura”
Dunque, senza conoscere la
storia recente, non possiamo avere le basi per la teologia dell’ecologia
integrale, la via indicata dal papa Francesco per cambiare
radicalmente il mondo.
Anche il pensiero di Francesco
d’Assisi, evocato nell’enciclica di papa Francesco, si muoveva in un’ottica
molto diversa da quella contemporanea. Nella natura si vedeva la
manifestazione di un’armonia originaria, progettata dal Creatore, dalla quale
gli esseri umani, nella loro vita sociale, si erano distaccati e a cui
occorreva ritornare. La Creazione come manifestazione della volontà del
Creatore, come Bibbia della natura, secondo l’ordine di idee che nel Seicento
fu poi espresso, non senza problemi ad opera della gerarchia religiosa, da
Galileo Galilei. In ciò Francesco fu un mistico. E, da questo punto di vista,
si può anche pensare di predicare ai pesci, come si racconta abbia fatto
Sant’Antonio a Rimini (qui sopra ho inserito l’immagine di un dipinto di
quell’episodio; altro dipinto sullo stesso tema si trova nella basilica di
Santa Cristina a Bolsena). Ma a noi necessita una visione più realistica della
natura.
Con Francesco d’Assisi, ci
proponiamo di amare d’un amore fraterno la natura, anche se non ci obbedisce,
se non riusciamo sempre a sottometterla, a farle fare ciò che vogliamo. Nello
stesso modo amiamo i nemici.
“L’amore fraterno può solo essere
gratuito, non può mai essere un compenso per ciò che un altro realizza, né un
anticipo per quanto speriamo che faccia. Per questo è possibile amare i
nemici. Questa stessa gratuità ci porta ad amare e accettare il vento, il sole
o le nubi, benché non si sottomettano al nostro controllo. Per questo possiamo
parlare di una fraternità universale (n.228).”
Nel Ventesimo Secolo abbiamo
raggiunto la consapevolezza che la sopravvivenza dell’umanità è
condizionata al considerare l’intero pianeta come un unico ecosistema di cui
prendersi amorevolmente cura e che ciò richiede profondi mutamenti delle nostre
organizzazioni sociali e anche dei personali stili di vita, in un’esperienza
che finisce per essere anche propriamente spirituale, come tutte quelle
veramente umane. Un esercizio, questo del prendersi cura fin
nei piccoli gesti quotidiani che ci matura e ci santifica (231).
Sulla linea del papa Paolo 6°,
anche papa Francesco afferma che l’attività sociale e politica, nel senso di
quell’ecologia integrale da lui auspicata, è amore. Forse l’enciclica potrebbe
avere uno sviluppo, una seconda puntata, per trattare il tema delle relazioni
tre fede e della democrazia: quest’ultima è la forma che la politica ha assunto
al tempo del dominio delle masse. E’ un argomento che per la nostra
gerarchia è stato sempre piuttosto critico, per i riflessi che potrebbe
comportare per la stessa sua organizzazione interna, improntata a un antico
modello feudale. Per ora, comunque, mi pare che ci sia molto lavoro da
fare per noi laici. Innanzi tutto per convincerci della fondatezza della
prospettazione della situazione mondiale fatta nell’enciclica, nella quale sono
recepiti modelli culturali che in parte sono controversi, e poi per dare
concretezza alla politica e ai modelli sociali personali di vita in essa
indicati solo a grandi linee.
4. Custodia del Creato e narrazioni
bibliche
[dall’Enciclica di papa Francesco Laudato si’,
24-5-15, diffusa il 18-6-15]
66. […] L’armonia tra il
Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preteso
di prendere il posto di Dio, rifiutando di conoscerci come creature limitate.
Questo fatto ha distorto la natura del mandato di soggiogare la terra
(Gen 1,28) e di coltivarla e custodirla (Gen 2,15). Come risultato, la
relazione originariamente armonica tra essere umano e natura si è trasformata
in un conflitto.
[…]
67.[…] Anche se è vero che qualche
volta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo non corretto, oggi
dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e
dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle
altre creature. E’ importante leggere i testi biblici nel loro contesto, con
una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a “coltivare e
custodire” il giardino del mondo (Gen 2,15). Mentre “coltivare” significa arare
o lavorare un terreno, “custodire” vuol dire proteggere, curare, preservare,
conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra
essere umano e natura. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò
di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di
tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità per le
generazioni future. In definitiva “del Signore è la terra” (Sal 24,1), a Lui
appartiene “la terra e quanto essa contiene” (Dt 10,14). Perciò Dio nega ogni
pretesa di proprietà assoluta: “Le terre non si potranno vendere per
sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e
ospiti” (Lv 25,23).
68. Questa responsabilità di fronte a
una terra che è di Dio implica che l’essere umano, dotato di
intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli
essere di questo mondo, perché “al suo comando sono stati creati. Li ha resi
stabili nei secoli per sempre; ha fissato un decreto che non passerà” (Sal 148,
5b-6). Ne consegue il fatto che la legislazione biblica si soffermi a proporre
all’essere umano diverse norme, non solo in relazione agli altri esseri umani,
ma anche in relazione agli altri esseri viventi: “Se vedi l’asino di tuo
fratello o il suo bue caduto lungo la strada, non fingerai di non averli scorti
[…] Quando cammin facendo, troverai sopra un albero o per terra un nido
d’uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando gli uccellini o le
uova, non prenderai la madre che è con i figlio” (Dt 22,4-6). In questa line,
il riposo del settimo giorno non è proposto solo per l’essere umano, ma anche
“perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino (Es 23,12).
L’apparato di citazioni
bibliche è la parte più insoddisfacente, perché meno sviluppata,
dell’enciclica Laudato si’. C’è sicuramente molto lavoro da fare
per i teologi, in particolare per i teologi biblici.
D’altra parte, i problemi
ecologici come si presentano ai tempi nostri erano sconosciuti agli autori dei
libri delle Scritture. Essi poi partivano dall’idea di una perfezione
originaria della natura, deturpata dal peccato degli esseri umani, che sappiamo
irrealistica. La natura veniva poi concepita come manifestazione della gloria
di Dio, mentre nell’era contemporanea ne vediamo anche gli equilibri instabili
e, in particolare, i problemi derivati dall’evoluzione degli organismi viventi,
quindi le imperfezioni. C’era infine l’idea di una Provvidenza che desse ad
ogni vivente di che sopravvivere, mentre l’osservazione più realistica della natura
dei tempi nostri ce la presenta come teatro di una lotta acerrima tra viventi
per la sopravvivenza a spese degli altri, uno scenario in cui tutti si nutrono
di tutti, dai micro-organismi monocellulari che colonizzano anche i nostri
corpi ai più grandi mammiferi. Oggi sappiamo, e siamo giunti ad accettare, che
questa realtà ha preceduto di molto la comparsa delle specie umane sulla Terra.
In definitiva tutto
l’insegnamento biblico in materia di ecologia come oggi la intendiamo, al tempo
dell’umanità che ha acquisito un potere straordinario di influire sull’ambiente
in cui essa e gli altri viventi non umani sono immersi, può vedersi
condensata nel versetto di Deuteronomio 2,15: “Il Signore Dio
prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo
custodisse”; che nella narrazione biblica viene però riferito a un
immaginario stato di perfezione prima della Caduta dei progenitori.
Nella realtà gli esseri umani,
fin dalla loro lenta differenziazione dai viventi non umani, si sono sempre trovati
inseriti in una natura molto violenta e omicida, della quale solo negli ultimi
due secoli hanno cominciato ad avere ragione, prima sui grandi organismi, sulle
belve predatrici, e molto più di recente anche su gran parte dei microrganismi
patogeni. Il clima, i moti tellurici e vulcanici e i grandi maremoti sfuggono
ancora al suo dominio. Quando al primo l’umanità può solo cercare di contenere
l’influsso nocivo delle emissioni, sversamenti e accumuli velenosi
nell’ambiente delle sue civiltà. E, in ultimo, le dinamiche di interazione
delle società umane ricalcano in gran parte quelle naturali, secondo il
principio che “il pesce grosso mangia il pesce piccolo”.
Come è stato osservato, infine, la
teologia che sta dietro al pensiero e all’esempio di vita di Francesco d’Assisi
in materia di natura non comprendeva la sensibilità ecologica contemporanea,
ipotizzando sostanzialmente, sulla scorta dell’insegnamento biblico, una
Creazione perfetta, manifestazione della perfezione del Creatore, a cui tornare
conformandole le società umane. Ai tempi nostri, invece, vogliamo farcicollaboratori nella
Creazione, correggendo la brutale legge di natura (a partire dalle società
umane) che, se imitata dagli esseri umani nella loro massima potenza terrena
mai raggiunta storicamente, condurrebbe alla catastrofe ecologica.
La scarsità dei riferimenti
biblici si fa ancora più acuta nel campo di quelli neotestamentari.
Quelli che mi appaiono più
significativi, nell’ottica dell’ecologia integrale proposta
dall’enciclica e secondo una visione realistica della natura, sono i seguenti:
La violenza che c’è nel cuore umano
ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo
nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i
poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra,
che « geme e soffre le doglie del parto »[…] (Rm 8,22). [n.2]
[…]
Secondo la comprensione cristiana
della realtà, il destino dell’intera creazione passa attraverso il mistero di
Cristo, che è presente fin dall’origine: « Tutte le cose sono state create per
mezzo di lui e in vista di lui » (Col 1,16). [n.99]
[…]
Il Nuovo Testamento non solo
ci parla del Gesù terreno e della sua relazione tanto concreta e amorevole
con il mondo. Lo mostra anche risorto e glorioso, presente in tutto il creato
con la sua signoria universale: « È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui
tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate
tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che
stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli » (Col 1,19-20)
[100].
Tutti questi brani biblici mi
paiono suggerire l’idea di una naturapacificata come
orizzonte religioso ideale e quindi di un nostro impegno di umani in quella
direzione. Originano dalla teologia di Paolo di Tarso.
I brani evangelici in materia
di natura citati nell’enciclica fanno invece riferimento all’azione
Provvidenziale nella natura e ispirarono poi la teologia di Francesco d’Assisi.
Essi non propongono una visione realistica della natura, ma mi appaiono diretti
essenzialmente a liberare l’animo umano dall’ossessione del futuro e
dell’accumulo di ricchezze per parare le sue avversità, nel tempi di magra.
Che dobbiamo concludere? Che
non ci siano sufficienti basi teologiche della rivoluzione ecologica proposta
dall’autore della Laudato si’?
Non è così, a mio parere.
E’ che siamo solo all’inizio di
un percorso. Il quadro biblico e teologico è appena abbozzato
nell’enciclica. C’è molto lavoro da fare. La via da seguire è indicata
nell’enciclica nella costruzione di un’idea di fraternità che
comprenda anche i viventi non umani e finanche le componenti non viventi
dell’ambiente:
Così come succede quando ci
innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna,
gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua
lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il
creato, e predicava persino ai fiori e « li invitava a lodare e amare Iddio,
come esseri dotati di ragione ». La sua reazione era molto più che un
apprezzamento intellettuale o un calcolo economico, perché per lui
qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto. Per
questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste. Il suo
discepolo san Bonaventura narrava che lui, « considerando che tutte le cose
hanno un’origine comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore echiamava
le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella ».
Questa convinzione non può essere disprezzata come un romanticismo
irrazionale, perché influisce sulle scelte che determinano il nostro
comportamento. Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa
apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il
linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il
mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o
del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai
suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente
uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera
spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo
solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della
realtà un mero oggetto di uso e di dominio. [n.11]
5.Laudato si’. Scelte
obbligate
204. La situazione attuale del
mondo « provoca un senso di precarietà e di insicurezza, che a sua volta
favorisce forme di egoismo collettivo » [Giovanni Paolo II, Messaggio
per la Giornata Mondiale della Pace 1990]. Quando le persone diventano
autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria
avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da
comprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra possibile che
qualcuno accetti che la realtà gli ponga un limite. In questo orizzonte non
esiste nemmeno un vero bene comune. Se tale è il tipo di soggetto che tende a
predominare in una società, le norme saranno rispettate solo nella misura in
cui non contraddicano le proprie necessità. Perciò non pensiamo solo alla
possibilità di terribili fenomeni climatici o grandi disastri naturali,
ma anche a catastrofi derivate da crisi sociali, perché
l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi
possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca.
Le argomentazioni svolte
nell’enciclica Laudato si’ per sostenere l’esigenza di
una conversione sociale ecologica si distaccano marcatamente
da quelle che solitamente sono state esposte nel precedente magistero sociale.
Esse infatti non partono da
un’esigenza di natura etica su base scritturistica, dalla quale poi derivi la
predica sociale, ma da una considerazione realistica delle dinamiche
sociali contemporanee e del loro influsso sul deterioramento dell’ambiente
abitato dagli esseri umani. Il mondo è dinanzi alla prospettiva di una
catastrofe umanitaria, determinata da una cattiva organizzazione sociale su
scala globale e da stili di vita personali le cui ricadute sull’ambiente sono
insostenibili. Si è pertanto dinanzi alla necessità di scelte collettive
importanti. Si può decidere di seguire la via della violenza e della
distruzione reciproca, che è poi quella bestiale praticata nella natura dagli
altri viventi, o quella della fraternità universale, che ci può consentire di
sostenere pacificamente una popolazione umana enormemente aumentata in numero e
potenza, e quindi in impatto sull’ambiente, mantenendo anche un certo
livello di felicità personale e sociale. Attualmente è ancora praticata la
prima via, con qualche temperamento, quelle vie di mezzo alle
quali nell’enciclica non si dà molto credito. L’economia moderna, e ancor più
la finanza, ritiene la condizione della lotta di tutti contro tutti una
condizione naturaledell’umanità, dalla quale stima sia però anche
derivato anche un aumento del livello di benessere collettivo, su scala
globale. Laselezione e soppressione delle
organizzazioni produttive peggiori ha, in questa visione, migliorato la qualità
della produzione, nell’interesse di tutti. In realtà alcuni osservano che
questo processo sta conducendo anche nelle economie più forti, quelle
Occidentali, verso condizioni di lavoro al ribasso, che nelle economie più
deboli tengono sostanzialmente in condizione di schiavitù numerose fasce di
popolazione. Una situazione che si è presentata anche nella seconda metà
dell’Ottocento, al tempo della seconda rivoluzione industriale, con la
differenza che, a quell’epoca, l’emergere del sindacalismo e del socialismo
comportò un contrappeso sociale, per cui le asprezze del regime
dell’economia basata sul libero scontro delle forze
umane impegnate nella produzione vennero temperate con misure statali di
legislazione sociale, mentre ai tempi nostri ciò non sembra più avvenire.
Insomma, le crisi sociali sembrano risolversi in genere a scapito dei più e a
vantaggio di un ceto di privilegiati sempre più ricchi, le cui fortune, per i
meccanismi della finanza globalizzata, che consentono di spostare rapidamente
la ricchezza finanziaria dall’economia di base a casseforti giuridiche bene al
sicuro, non subiscono i contraccolpi delle crisi economiche. Infatti,
paradossalmente, i rendimenti dei capitali finanziari sono risultati sempre
molto alti, pur durante la fase recessiva globale iniziata nel 2008. Queste
fortune dei più ricchi sono in grado quindi di preservarsi e di aumentare
sempre più, mentre il potere di acquisto, e quindi di procurarsi benessere,
delle masse diminuisce costantemente. Come si osserva nell’encliclica, sulla
scorta di una visione delle dinamiche economiche proposta da parte degli
studiosi contemporanei, la crisi economica è stata pagata più duramente da coloro
che sono meno ricchi in società, e ciò per permettere un rifinanziamento delle
banche che a sua volta potesse consentire un più facile accesso al credito
industriale da parte di chi aveva risentito meno della crisi. Queste misure non
hanno poi influito sulla ripresa dell’occupazione e, anzi, alcuni studiosi
hanno previsto da tempo che, se si inizierà a uscire dalla fase recessiva, si
tratterà di una ripresa jobless, vale a dire senza aumento
dell’occupazione.
In questa situazione la parola
d’ordine lanciata dal sistema dimarketing, dai persuasori al consumo,
è “si salvi chi può!”. E infatti tutti i moniti sull’importanza di
guardare anche al bene comune vengono collegati ad un impoverimento personale,
in particolare alla situazione che si viveva nelle società del socialismo
reale, che fu rovesciato nel corso degli anni ’90 del secolo scorso in Europa
orientale. Ecco però che anche la nostra nuova Europa, basata su principi
solidaristici, sul senso del limite nell’interesse
collettivo, sta entrando in crisi. Ma un’umanità così numerosa come quella che
vive oggi sul Pianeta richiede organizzazioni capaci di governarne
razionalmente la complessità. Un mondo lasciato alle dinamiche bestiali
dell’economia e della finanza senza freni e senza regole, alla legge
della giungla (ma non quella virtuosa immaginata da Kipling nei suoi
libri per ragazzi) in cui ogni organizzazione privata non ha altro freno che
quello di analoghe organizzazioni con essa in competizione, salvo stringere
effimeri accordi tra organizzazioni simili per dividersi il dominio delle
società, al modo delle società mafiose, è semplicemente un ambiente
sociale condannato dalla sua irrazionalità, senza futuro.
Custodire significa
anche governare. Prendersi cura significa
anche dettare delle regole. Questo significa fare politica.
In genere gli autori dei
documenti del supremo magistero sociale si rivolgevano solo ai capi delle
nazioni, per le questioni politiche. Facevano loro la morale, al modo di
cappellani di corte. Speravano che alla fine cedessero su qualche cosa e
poi quello a cui puntavano maggiormente era federarsi con loro. Non pensavano
che qualcosa di buono potesse venire dalle masse. Questo dipendeva dalla
loro antica diffidenza verso la democrazia, vista aristocraticamente come il
regno delle emozioni e pulsioni della bestia umana. In genere pensavano la
democrazia come un pericolo per i valori umani, non ritenevano che
essa invece veicolasse veramente propri, grandi, valori. La piena,
sebbene abbastanza strumentale, accettazione della democrazia da parte della
nostra gerarchia del clero risale sostanzialmente al 1991 (!),
all’enciclica Centesimus Annus (=il Centenario) del papa
Giovanni Paolo 2°, e comunque essa venne solo di fronte al repentino crollo dei
regimi socialisti dell’Europa Orientale e all’esigenza di pensare rapidamente
qualcosa con cui sostituirli. Si prese quello che c’era pronto, ma, in
fondo, senza crederci veramente. E, insomma, vorrei sbagliarmi, ma il regime
che la nostra gerarchia ha visto storicamente con maggior favore mi pare essere
stato quello di Francisco Franco in Spagna, con cui la gerarchia religiosa di
quel paese si era di buon grado federata.
L’orientamento della prima
enciclica di papa Francesco va in altra direzione, anche se il discorso non è
ancora pienamente sviluppato. Del resto egli non è un capo politico, anche se
la sua enciclica ha una forte valenza politica. Si è chiamati a un lavoro
collettivo, ad una riforma sociale in senso dell’ecologia integrale secondo
principi che devono essere ancora sviluppati. E’ necessario un lavoro di
approfondimento, un impegno nella società, in particolare da parte nostra di
laici a cui questo lavoro primariamente compete.
Noi fedeli di solito veniamo
chiamati periodicamente a un lavoro di interdizione, a fare massa contro
innovazioni sgradite alla gerarchia. E questa è la politica che ci si aspetta
da noi. E’ stata, mi pare di aver capito, anche il senso della
manifestazione di popolo di sabato scorso. In quel tipo di eventi si produce
anche un effetto interno alle nostre collettività religiose, ci si conta e si
pretende potere in base al risultato di massa ottenuto. I vescovi, in queste
dinamiche italiane, contano fino a un certo punto: si vuole fare impressione
innanzi tutto sul capo supremo, acquisirne il favore, la stima. E’ una cosa a
cui siamo stati abituati, soprattutto negli ultimi quindici anni del papato
Wojtyla. Siamo stati papa-boys. L’altro giorno, di fronte alla
franca ammissione di questo intento da parte di uno degli oratori convenuti in
quella piazza, c’è chi lo ha detto sconveniente. Ma è convenuto per
tanto tempo…
Adesso però siamo chiamati a
qualcosa di diverso, a un ruolo propositivo: capire la società e progettarne il
cambiamento. Dobbiamo darci da fare, pensare, studiare, discutere. C’è
tutta un’educazione da riscoprire, da far ripartire. Non sarà
facile, dopo tanti anni in cui non lo si è voluto fare, in cui si attendeva
passivamente l’imbeccata dall’alto, l’ultimo strabordante, fluviale,
documento normativo su ogni questione controversa. E sarà ancora meno
facile in un ambiente parrocchiale come il nostro, fortemente deprivato del
pluralismo che ancora si nota in altre realtà vicine, ad esempio nella
confinante parrocchia degli Angeli Custodi, che io ho conosciuto meglio. In parrocchia
viviamo una sorta di monocultura centrata sull’interdizione, sull’idea di fare
muro contro la società in cui siamo immersi, vista come essenzialmente
malvagia.
Noi dell’Azione Cattolica
indubbiamente siamo ancora portatori di un altro tipo di cultura religiosa, più
vicina all’ordine di idee proposto nell’enciclica. La vivacità degli interventi
svolti durante le riunioni infrasettimanali del gruppo ha dimostrato che questo
è un patrimonio ideale che è rimasto costante di generazione in generazione, dai
più anziani ai più giovani.
6. Laudato si’. Felicità rivoluzionaria
[dall’Enciclica di papa Francesco Laudato si’,
24-5-15, diffusa il 18-6-15]
112. È possibile, tuttavia, allargare
nuovamente lo sguardo, e la libertà umana è capace di limitare la tecnica, di
orientarla, e di metterla al servizio di un altro tipo di progresso, più sano,
più umano, più sociale e più integrale. La liberazione dal paradigma
tecnocratico imperante avviene di fatto in alcune occasioni. Per
esempio, quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di produzione
meno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicità e di
convivialità non consumistico. O quando la tecnica si orienta prioritariamente
a risolvere i problemi concreti degli altri, con l’impegno di aiutarli a vivere
con più dignità e meno sofferenze. E ancora quando la ricerca creatrice del
bello e la sua contemplazione riescono a superare il potere oggettivante in una
sorta di salvezza che si realizza nel bello e nella persona che lo contempla. L’autentica
umanità, che invita a una nuova sintesi, sembra abitare in mezzo alla civiltà
tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una
porta chiusa.
[…]
114. Ciò che sta accadendo ci pone di
fronte all’urgenza di procedere in una coraggiosa rivoluzione
culturale.
[…]
223. Si può aver bisogno di poco e
vivere molto, soprattutto quando si è capaci di dare spazio ad altri piaceri e
si trova soddisfazione negli incontri fraterni, nel servizio, nel mettere a
frutto i propri carismi, nella musica e nell’arte, nel contatto con la natura,
nella preghiera. La felicità richiede di saper limitare alcune
necessità che ci stordiscono, restando così disponibili per le molteplici possibilità
che offre la vita.
Il limite dei documenti provenienti
dai papi è quello di essere prodotti da una singola persona. Ci si può
sempre chiedere fino a che punto essi manifestino la vita e la cultura
della collettività a cui sono diretti.
Nel caso della Laudato
si’, uno degli aspetti rivoluzionari da essa espressi
mi pare l’idea che si debba tener conto, anche in religione, della felicità.
Non è una cosa scontata. Se consideriamo le figure esemplari che sono state
proposte ai fedeli come ispirazione spirituale per la loro vita, è difficile
trovarne di quelle che abbiano considerato la propria felicità, una vera
felicità, come un obiettivo. I santi del clero, in particolare, si distinsero
per una vita improntata ad un severa penitenza, per cui, per loro, se pure si
può anche parlare in qualche caso di letizia, come per di Francesco
d’Assisi, non si può in genere parlare di vite felici.
La felicità in
religione è stata spesso accostata all’egoismo e al peccato. Essa poi viene
presentata di solito come effimera.
L’idea che si possa avere diritto
alla ricerca della felicità è rivoluzionaria, tanto che, come ho
ricordato l’altro ieri, essa fu inserita nella Dichiarazione di
indipendenza degli Stati Uniti d’America, un atto
rivoluzionario.
Lo è anche nell’enciclica,
tanto che esplicitamente si parla dirivoluzione culturale. Si tratta di
un obiettivo che richiede un lavoro collettivo e ai tempi nostri scarseggiano i
processi rivoluzionari, salvo quello che, anch’esso a sfondo
cupamente religioso ed estremamente violento, travaglia il Vicino Oriente e
l’Africa.
L’organizzazione sociale che
dirige le nostre vite non ci rende felici. Per questo occorre cambiarla
profondamente. Questa è l’idea del Papa. E noi, che ne pensiamo?
7. Laudato
si’. Un mondo bisognoso di sviluppo
[dall’Enciclica di papa Francesco Laudato si’,
24-5-15, diffusa il 18-6-15]
80. Ciononostante, Dio, che vuole
agire con noi e contare sulla nostra collaborazione, è anche in grado di trarre
qualcosa di buono dai mali che noi compiamo, perché « lo Spirito Santo possiede
un’inventiva infinita, propria della mente divina, che sa provvedere a
sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili ».[
citazione da Giovanni Paolo II, Catechesi (24
aprile 1991)]. In qualche modo, Egli ha voluto limitare sé stesso
creando un mondo bisognoso di sviluppo, dove molte cose che noi consideriamo
mali, pericoli o fonti di sofferenza, fanno parte in realtà dei dolori del
parto, che ci stimolano a collaborare con il Creatore [rimanda a Catechismo
della Chiesa Cattolica, 310]. Egli è presente nel più intimo di ogni
cosa senza condizionare l’autonomia della sua creatura, e anche questo dà luogo
alla legittima autonomia delle realtà terrene [ rimanda a Conc. Ecum. Vat.
II, Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo, 36]. Questa presenza divina, che assicura la permanenza e
lo sviluppo di ogni essere, « è la continuazione dell’azione creatrice »[
cita Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae I, q. 104,
art. 1, ad 4].1 Lo Spirito di Dio ha riempito l’universo con le
potenzialità che permettono che dal grembo stesso delle cose possa sempre germogliare
qualcosa di nuovo: « La natura non è altro che la ragione di una certa arte, in
specie dell’arte divina, inscritta nelle cose, per cui le cose stesse si
muovono verso un determinato fine. Come se il maestro costruttore di navi
potesse concedere al legno di muoversi da sé per prendere la forma della nave »
[ cita Tommaso D’Aquino, opera In octo libros Physicorum Aristotelis
expositio, lib. II, lectio 14].
81. L’essere umano, benché supponga
anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile
dall’evoluzione di altri sistemi aperti. Ognuno di noi dispone in sé di
un’identità personale in grado di entrare in dialogo con gli altri e con Dio
stesso. La capacità di riflessione, il ragionamento, la creatività,
l’interpretazione, l’elaborazione artistica ed altre capacità originali
mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico. La novità
qualitativa implicata dal sorgere di un essere personale all’interno
dell’universo materiale presuppone un’azione diretta di Dio, una peculiare
chiamata alla vita e alla relazione di un Tu a un altro tu. A partire dai testi
biblici, consideriamo la persona come soggetto, che non può mai essere ridotto
alla categoria di oggetto.
82. Sarebbe però anche sbagliato
pensare che gli altri esseri viventi debbano essere considerati come meri
oggetti sottoposti all’arbitrario dominio dell’essere umano. […]
*******
[dal Catechismo della Chiesa
Cattolica, 310]
Ma perché Dio non ha creato il
mondo a tal punto perfetto da non potervi essere alcun male? Nella sua infinta
potenza, Dio potrebbe sempre creare qualcosa di migliore [si rimanda a Tommaso
D’Aquino,Summa Theologiae, I, q.25, a.6]. Tuttavia, nella sua
sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente voluto creare un mondo
“in stato di via” verso la sua perfezione ultima. Questo divenire, nel disegno
di Dio, comporta la comparsa di certi esseri, la scomparsa di altri, con il più
perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura anche le
distruzioni. Quindi insieme con il bene fisico esiste anche ilmale
fisico, finché la creazione non avrà raggiunto la sua perfezione [si
rimanda a San Tommaso D’Aquino, Summa contra gentiles, 3, 71].
La realtà della natura, come ci
viene progressivamente svelata dalla scienza contemporanea, ci parla di sistemi
fisici, chimici e biologici in equilibrio precario, le cui dinamiche non sono
necessariamente spinte verso la perfezione, per cui nel tempo si passi dal meno
perfetto al più perfetto. Per quanto in tutto questo possa essere individuata
una logica, per cui entro certi limiti i processi della natura possono essere capiti, spiegati,
e per quanto per capire e spiegare questa logica occorra una intelligenza,
complessivamente le scienze della natura non riescono a individuare un disegno
intelligente che regga l’universo e, in particolare, un progetto verso
la perfezione del cosmo. Ma ciò che è più sconvolgente per l’animo di fede è
che la logica che riusciamo a intravedere negli eventi della natura non ci
parla di un Creatore buono. La natura, in particolare quel suo aspetto che è la
biologia dei viventi, ci appare votata alla violenza e alla distruzione. Il
sistema che regge le relazioni ecologiche degli esseri viventi è improntato a
una logica in cui tutti mangiano tutti e in cui senza la morte degli
individui non sarebbe possibile la sopravvivenza delle specie. Questa
condizione ha preceduto di molto la comparsa degli esseri umani e non può
quindi essere collegata a un male da loro prodotto: è semplicemente la
natura, che travaglia gli esseri umani come gli altri viventi.
Questa realtà, che le scienze
contemporanee ci rimandano con particolare affidabilità e precisione, era già
presente al pensiero degli antichi ed anche a quello religioso. Per quello che
so, era tuttavia del tutto estraneo al pensiero di un uomo medievale come
Francesco d’Assisi. Egli conosceva da mistico i fatti della natura in cui era
immerso, di cui faceva esperienza diretta nel modo comune in cui una persona
del suo tempo poteva farla, senza alcuno sforzo speculativo per capirne le
dinamiche, le logiche reali. Lo ritroviamo invece, sulla scorta degli antichi,
in quello di Tommaso D’Aquino, anche lui uomo medievale, ma studioso delle
scienze del suo tempo. La sua idea era quella di una Creazione ancora in
svolgimento, verso la perfezione. Essa contrasta con i risultati delle scienze
della natura nostre contemporanee nel vedere la natura indirizzata da forme
meno perfette a forme più perfette. Lo stesso problema riguarda la teologia del
gesuita francese Teilhard de Chardin (1881-1955), il cui pensiero è (molto
cautamente) citato nell’enciclica attraverso rimandi a tre papi, a partire dal
papa Paolo 6° (per decenni la sua teologia, che cercava di comprendere
l’evoluzione naturale in un’ottica religiosa, fu sospettata di errori).
L’enciclica segnala la
drammatica situazione in cui la persona di fede si trova a dover vivere nella
nostra cultura, con una fede che confida su un Creatore buono e un universo che
non ce ne parla, e cerca di indicare vie per costruire un contesto ideale che
consenta di mantenere una visione e un impegno religiosi nel mondo
contemporaneo. La raggiunta consapevolezza del problema,
assai grave, è dimostrata dalle molte citazioni (4) di una singola opera del
teologo italo-tedesco Romano Guardini (1885-1968), La fine dell’epoca
moderna, del 1950, in cui ci cerca di fare i conti con una rappresentazione
della natura più aderente a quella rimandata dalle scienze, anche con riferimento
ai fatti umani.
Si cerca quindi di presentare
l’umanità come collaboratrice dell’opera della Creazione
in un quadro di ecologia integrale in cui l’azione degli
esseri umani, recuperata ad un ordine morale e sottratta alle crudeli dinamiche
delle forze naturali come lo è lo stesso Creatore, è essenziale per la
sopravvivenza di tutti gli ecosistemi della Terra. Ci si richiama all’orizzonte
ideale proposto da Paolo, di una Creazione in preda alle doglie del parto, ma
la prospettiva che si propone è assai più di una semplice azione ostetrica,
quindi di facilitazione e assecondamento delle forze naturali, trattandosi in
realtà di costruire una nuova realtà, ponendo la nuova potenza
raggiunta dall’umanità sulla natura al servizio della sopravvivenza dei viventi,
umani e non umani. E ciò a cominciare dall’ordine sociale.
In
definitiva, con spirito religioso possiamo pensare ad un
universo buono perché esso comprende gli esseri umani, capaci
di bene, capaci di elevarsi sulla crudele legge
naturale, oltre la belva da cui originarono, per volgersi al bene
universale facendosi con-creatori. E’ una
prospettiva che, benché si cerchi di collegarla ad un pensiero del passato, è
piuttosto nuova. Ed è, in particolare, il senso del limite,
che va sviluppato culturalmente e che si pone per gli esseri umani in maniera
analoga, ma diversa, rispetto a quello del Creatore, perché da un lato
l’umanità rimarrà sempre soggetta alle forze della natura, che sono immani e
sovrastano immensamente ogni potenza umana raggiungibile in concreto, per cui
gli esseri umani non saranno mai onnipotenti nel
cosmo, e dall’altra, come scritto nell’enciclica, volgersi al bene può
significare anche creare un modello di sviluppo più
lento, meno aggressivo sulle risorse del pianeta, perché l'umanità, a
differenza del Creatore, è legata da rapporti di dipendenza ecologica con
gli altri viventi e con gli ambienti naturali del pianeta e per la sua
sopravvivenza consuma risorse naturali non disponibili
in misura illimitata.
8. Inequità
planetaria e lotta religiosa contro un modello di sviluppo
L’esortazione apostolica La gioia del Vangelo, del
2013, e l’enciclicaLaudato si’¸ del 2015, del Papa regnante,
l’argentino Jorge Mario Bergoglio, in religione Francesco,
sono espressioni di una medesima linea di pensiero. Si tratta di
documenti senza precedenti nella dottrina sociale. Al centro di essi vi è
l’analisi, anche religiosa, di una condizione di sofferenza umana definita con
il neologismo inequità.
Questa parola appare per la prima
volta in italiano nel testo nella nostra lingua dell’esortazione
apostolica Evangelii Gaudium diffuso da Libreria Editrice
Vaticana. Deriva dallo dallo spagnolo. Nel testo inglese del documento
è reso con inequality (=ineguaglianza - nell'inglese il
termine è spesso implicitamente associato all'idea di ingiustizia). Nel testo
spagnolo, lingua nella quale il documento è stato verosimilmente pensato,
si legge inequidad, da cui verosimilmente il neologismo italiano:
in un dizionario spagnolo si definisce "El concepto de inequidad se ha
considerado sinónimo del concepto de desigualdad. Es fundamental diferenciar
estos dos conceptos. Mientras desigualdad implica diferencia entre individuos o
grupos de población, inequidad representa la calificación de esta diferencia como
injusta…"; quindi "disuguaglianza ingiusta".
All’origine di questa disuguaglianza
ingiusta, ed ingiusta in quanto
fonte di sofferenza umana, vi è un modello di sviluppo economico che degrada
insieme sia l’ambiente naturale, ormai fortemente pervaso della presenza e
delle attività umane e quindi da esse condizionato, e l’ambiente sociale.
Questo modello di sviluppo è espressione di unantropocentrismo
deviato. In quest’ottica è completamente ripensato il tema
del relativismo pratico, che presentato dal Ratzinger come il
rifiuto personale di valori assoluti e in particolare di quelli religiosi della
nostra fede proclamati dalla dottrina, quindi dei dogmi di
fede, viene presentato ora come patologia sociale che spinge una persona ad
approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto (Laudato si’,n.123).
Esso deriva dall’onnipresenza di un paradigma tecnocratico, secondo
cui tutto, in particolare il bene delle persone umane, diviene irrilevante se
non serve ai propri interessi immediati (Laudato si’,n.123). In
quest’ottica si diviene insofferenti delle leggi, che vengono considerate solo
come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare (questa ideologia
consiglia infatti la deregolamentazione, in particolare del mercato
del lavoro). Il senso del lavoro viene quindi stravolto. In particolare la
finalità dell’economia è diventata quella del riduzione dei costi
di produzione in ragione della diminuzione del costo del lavoro e della
diminuzione dei posti di lavoro, che sempre più vengono sostituiti dalle
macchine (Laudato si’, n.128).
A fronte di questa situazione
di sofferenza umana, troviamo sia nellaGioia del Vangelo sia
nella Laudato si’ l’appello a un impegno di lottaper
contrastare quel modello di sviluppo fondato su un antropocentrismo deviato.
Laudato si’, 13: “Meritano una gratitudine speciale quanti lottano con
vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella
vita dei più poveri del mondo. I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si
domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza
pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi.”
Laudato si’, 55: “A poco a poco alcuni Paesi possono mostrare progressi importanti, lo
sviluppo di controlli più efficienti e una lotta più sincera contro la
corruzione. E’ cresciuta la sensibilità ecologica delle popolazioni, anche se
non basta per modificare le abitudini nocive di consumo, che non sembrano
recedere, bensì estendersi e svilupparsi. E’ quello che succede, per fare solo
un semplice esempio, con il crescente aumento dell’uso e dell’intensità dei
condizionatori d’aria: i mercati, cercando un profitto immediato, stimolano
ancora di più la domanda. Se qualcuno osservasse dall’esterno la società
planetaria, si stupirebbe di fronte a un simile comportamento che a volte
sembra suicida.”
Laudato si’, 244: “ Nell’attesa, ci uniamo per farci carico di
questa casa che ci è stata affidata, sapendo che ciò che di buono vi è in essa
verrà assunto nella festa del cielo. Insieme a tutte le creature, camminiamo su
questa terra cercando Dio, perché «se il mondo ha un principio ed è stato
creato, cerca chi lo ha creato, cerca chi gli ha dato inizio, colui che è il
suo Creatore». Camminiamo cantando! Che le nostre lotte e la nostra
preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza.”
Laudato si’, Preghiera
finale per la nostra terra:
Dio Onnipotente,
che sei presente in tutto l’universo
e nella più piccola delle tue creature,
Tu che circondi con la tua tenerezza
tutto quanto esiste,
riversa in noi la forza del tuo amore
affinché ci prendiamo cura
della vita e della bellezza.
Inondaci di pace, perché viviamo come fratelli e
sorelle
senza nuocere a nessuno.
O Dio dei poveri,
aiutaci a riscattare gli abbandonati
e i dimenticati di questa terra
che tanto valgono ai tuoi occhi.
Risana la nostra vita,
affinché proteggiamo il mondo e non lo
deprediamo,
affinché seminiamo bellezza
e non inquinamento e distruzione.
Tocca i cuori
di quanti cercano solo vantaggi
a spese dei poveri e della terra.
Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa,
a contemplare con stupore,
a riconoscere che siamo profondamente uniti
con tutte le creature
nel nostro cammino verso la tua luce infinita.
Grazie perché sei con noi tutti i giorni.
Sostienici, per favore, nella nostra lotta
per la giustizia, l’amore e la pace.
Questo
appello non viene proposto dall’autore di quei documenti tanto come maestro di
teologia e di fede quanto come persona religiosa compartecipe di una situazione
di sofferenza umana e desiderosa, anche per moventi religiosi, di intervenire
su di essa per apportare cambiamenti. Ecco perché, di fronte ai sofferenti dei
campi di battaglia di una società basata sull’inequità, viene proposto
un modello di impegno religioso basato sull’idea dell’ospedale da campo,
il luogo di soccorso d’emergenza più vicino ai sofferenti, e su quella di
essere in uscita. In altri tempi forse si sarebbe proposti di
mandare più predicatori.
L’appello di
Bergoglio cade in una società religiosa italiana che ancora non è uscita dalla
lunga glaciazione indotta dai suoi predecessori, timorosi che quel tipo di
impegno di fede che oggi viene proposto conducesse alla frammentazione e alla
dissoluzione delle nostre collettività di fede. Con molta fatica, e con forti
resistenze, si inizia, non dico a recepirlo, ma a confrontarsi con esso. Il
pensiero di Bergoglio si è formato in una società molto lontana dalla nostra,
in ogni senso: l’America Latina, un continente europeizzato che però si trova
ai margini del modello di sviluppo dominante in Occidente. L’Italia è invece al
suo centro e adotta l’ideologia dei potenti della Terra, di quelli che
nella Laudato si’ sono criticati come oppressori dei
poveri e dei lavoratori e, insieme, come responsabili del degrado dell’ambiente
naturale, in particolare di quello abitato dai più poveri. E’
stato sostanzialmente questo il senso di alcune delle principali riforme attuate
e progettate da noi, in particolare nel campo delle regole del lavoro. In
questo senso il pensiero del Bergoglio non trova ancora terreno fertile da noi.
Infatti in genere si dà per scontato che quel modello di sviluppo criticato
nella Gioia del Vangelo e nella Laudato si’ sia
inevitabile, naturale, per quanto fonte di sofferenza umana. Lo
vediamo, ad esempio, in certi atteggiamenti verso i cosiddetti immigrati
economici.
9. Cammini di liberazione
Quando si parla dell’enciclica Laudato
si’, diffusa nel 2015 dal Papa, spesso la si inquadra nei discorsi
sull’ecologia correnti, nei quali ci si lamenta del degrado dell’ambiente
naturale e della cattiva sorte degli animali che ci sono più simpatici, un po’
sulla falsariga del testo della canzone Ragazzo della via Gluck, interpretata
da Celentano dal ‘68.
Questa è la storia
di uno di noi,
anche lui nato per caso in via Gluck,
in una casa, fuori città,
gente tranquilla, che lavorava.
Là dove c'era l'erba ora c'è
una città,
e quella casa
in mezzo al verde ormai,
dove sarà?
Questo ragazzo della via Gluck,
si divertiva a giocare con me,
ma un giorno disse,
vado in città,
e lo diceva mentre piangeva,
io gli domando amico,
non sei contento?
Vai finalmente a stare in città.
Là troverai le cose che non hai avuto qui,
potrai lavarti in casa senza andar
giù nel cortile!
Mio caro amico, disse,
qui sono nato,
in questa strada
ora lascio il mio cuore.
Ma come fai a non capire,
è una fortuna, per voi che restate
a piedi nudi a giocare nei prati,
mentre là in centro respiro il cemento.
Ma verrà un giorno che ritornerò
ancora qui
e sentirò l'amico treno
che fischia così,
"wa wa"!
Passano gli anni,
ma otto son lunghi,
però quel ragazzo ne ha fatta di strada,
ma non si scorda la sua prima casa,
ora coi soldi lui può comperarla
torna e non trova gli amici che aveva,
solo case su case,
catrame e cemento.
Là dove c'era l'erba ora c'è
una città,
e quella casa in mezzo al verde ormai
dove sarà.
Ehi, Ehi,
La la la... la la la la la...
Eh no,
non so, non so perché,
perché continuano
a costruire, le case
e non lasciano l'erba
non lasciano l'erba
non lasciano l'erba
non lasciano l'erba
Eh no,
se andiamo avanti così, chissà
come si farà,
chissà...
La lirica
riprendeva ragionamenti di critica sociale e politica che all’epoca si
facevano, e che potremmo considerare di impostazione rivoluzionaria, ma rimane
ad un livello molto più superficiale, del contrasto erba - cemento e vita
rurale - vita di città. D’altra parte era destinata al grande pubblico. Bene,
nella Laudato si’ c’è molto di più.
E’ dagli anni
’60 che i Papi scrivono moltissimo. Ma scarseggiano i lettori e, ancor più, i
lettori attenti. D’altra parte, a volersi impegnare nello studio dei loro
testi, non rimarrebbe tempo per molto altro, almeno per gran parte della gente
comune. Una critica che si fa ai Papi contemporanei è che hanno lasciato ben
poco spazio alla riflessione e al dialogo, e soprattutto alla ricerca mediante
il dialogo, mettendo sempre di mezzo questi loro documenti lunghi e complessi,
che, provenendo da un’autorità religiosa e pretendendo quindi di essere
obbediti oltre che studiati, tendono a troncare le discussioni. Direi però che
la Laudato si’ è un documento di altro tipo, che apre il
dibattito invece che chiuderlo. Vi è scritto infatti che vuole aprire un
dialogo con tutti per cercare insieme cammini di liberazione [Laudato
si’, 64].
In genere
sono piuttosto insofferente verso il modo di presentare la vita religiosa come
un cammino, anche se si tratta di una metafora utilizzata fin dai
tempi antichi. Sì, si cammina, ma dove si va? In genere i traguardi sono
piuttosto vaghi. E così, appunto, questo camminare mi appare
un vagare senza una vera meta, un cammino che
non finisce mai e che soprattutto è progettato per non finire mai. L’idea è
quella della sequela, che mi attira se si tratta di seguire il
Maestro, molto meno se si tratta di seguire senza tante storie altri sedicenti
maestri. Se però si prende come riferimento per questo camminare la liberazione è
diverso, perché la liberazione è una meta. Ed è diverso
soprattutto se in questo impegnativo camminare ci
si apre al dialogo, per cui non si tratta solo di essere condotti e
di seguire, ma anche di decidere, insieme a molti
altri, dove andare e che cosa fare. Perché
in questo lavoro occorre fare innanzi tutto il punto della situazione ed
è bene farlo avendo quanti più punti di vista possibile. Lo studio delle
Scritture e la teologia non bastano. In passato, alle origini della dottrina
sociale, si è pensato invece che fossero sufficienti e che quindi, siccome
nella nostra confessione ne abbiamo un interprete autorevole assistito da
potenze soprannaturali, un Papa potesse legiferare in materia sociale e
politica, stabilendo come organizzare una società. Non è questa la pretesa
della Laudato si’.
Che
l’enciclica non rientrasse nella letteratura propriamente ecologica lo
si poteva capire già dal sottotitolo: “Enciclica sulla cura della casa
comune”. La casa è dove si abita. Nella parola ecologia la
casa c’è, perché essa contiene il termine del greco antico
òikos che significa casa (ma anche ambiente):
però è stata inventata in Germania a fine Ottocento e si riferiva allo studio
delle dinamiche degli ambienti naturali. E’ dagli anni ’60 del secolo scorso
che ha assunto un senso anche politico, come critica di un modello di sviluppo
(ne può essere considerato un indizio la canzone di Celentano che ho trascritto
sopra). La Laudato si’ si muove appunto su questa linea.
Essa infatti contiene una marcata critica politica, in particolare
dell’Occidente capitalistico, il modello economico e sociale dominante a
livello globale. Le reazioni più negative sono venute dagli Stati Uniti
d’America, che possiamo considerare ancora il centro di quel modello di
sviluppo: il Papa è stato invitato a farsi gli affari propri e a limitarsi ai
discorsi religiosi. Penso che la situazione si aggraverà ulteriormente
nell’era apertasi dopo le ultime elezioni presidenziali statunitensi.
Il discorso
sviluppato nella Laudato si’ è centrato sulle società
umane, non sulla natura. In questo si distacca marcatamente dall’ecologismo
politico che tende a considerare l’umanità una specie di malattia del pianeta.
Gli esseri umani, come tutti gli altri esseri viventi, sono di
casa sul questa Terra. Tutti i viventi sono uniti da
legami invisibili e formano una sorta di famiglia universale (Laudato
si’, 89), ma questo non significa equiparare tutti gli esseri viventi e
togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica al tempo stesso una
tremenda responsabiltà (Laudato si’, 90): non può essere autentico un sentimento
di intima unione con gli altri esseri della natura, se nel tempo stesso nel
cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani (Laudato
si’, 91).
Questa idea
che tutti i viventi, gli umani e i non umani, costituiscano una famiglia,
non è realistica. La natura è costituita in modo che i viventi si mangino tra
loro e quindi siano costantemente in lotta mortale gli uni con gli altri.
Questa è la principale obiezione a coloro che vorrebbero che gli umani
rinunciassero a nutrirsi degli altri animali. In questo modo si pongono gli
umani al di sopra della natura di cui invece sono parte. Si divinizzano gli
umani. Lo si può fare nel quadro di un discorso religioso, ma non di uno
propriamente ecologico. Se però, religiosamente, si vuole intendere che gli
umani, come viventi di un tipo molto particolare, dotati di spirito e ragione,
e anche di una potenza tecnologica che li ha portati a dominare (fino ad un
certo punto) gli ambienti da loro abitati, sentono una particolare responsabilità
anche verso gli altri viventi e si propongono di fare del mondo, quindi anche
degli ambienti naturali, la casa di tutti i viventi, nel senso innanzi tutto di
porsi dei limiti allo sfruttamento delle risorse
naturali, e quindi anche di ogni tipo di vita umana e non umana, allora il
discorso della famiglia universale diviene accettabile.
Ma a quel punto in questione non è tanto l’ecologia, ma un modello di sviluppo
delle società umane. E infatti l’enciclica è piena di raccomandazioni su come
migliorare l’organizzazione sociale e politica, a partire però da una
conversione personale ad uno stile di vita definito sobrio. Esso richiede
la costruzione di una spiritualità personale. Questo è un
apporto caratteristico dell’enciclica ed ha un’origine religiosa. Di solito i
modelli di sviluppo sono collegati a politiche e queste ultime a interessi
confliggenti che, ad un certo punto, possono trovare un accomodamento in un
equilibrio precario di rapporti di forza sociale, ma sono sempre in balìa
degli egoismi collettivi. Da qui il senso di precarietà e insicurezza
dell’insieme, tanto maggiore nel mondo globalizzato contemporaneo nel quale,
per le dimensioni gigantesche dei fenomeni sociali, ne sembra impossibile il
governo razionale. Tuttavia una rivoluzione culturale (Laudato
si, 114) che portasse a nuovi stili personali di vita per via di
conversione potrebbero avere anche una efficacia propriamente economica e
politica, come quando i movimenti dei consumatori riescono a far sì che si
smetta di acquistare certi prodotti e così diventano efficaci per
modificare il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto
ambientale e i modelli di produzione (Laudato si’i, 206).
L’esperienza corrente è invece quella di una manipolazione dei consumatori da parte
delle imprese, in particolare di quelle maggiori che hanno raggiunto un potere
tale da poter condizionare addirittura le politiche degli stati, per creare
meccanismi consumistici compulsivi, per cui le persone finiscono per essere
travolte dal vortice degli acquisti e delle spese superflue (Laudato
si’, 203).
10. Critica
sociale, fede religiosa e azione sociale: sviluppi nella dottrina sociale
La dottrina sociale fin dall’origine ha espresso anche una
marcata critica sociale. Il primo documento del genere dell’era contemporanea
viene considerata l’enciclica Le novità, diffusa nel 1891 dal papa
Gioacchino Pecci ed era in polemica con il socialismo. Considerava necessarie
le diseguaglianze sociali, quelle che nell’enciclica Laudato si’ vengono
definite con il neologismo inequità, vale a dire diseguaglianze
ingiuste. Leggiamo infatti nel documento del Pecci:
1 - Necessità delle ineguaglianze sociali e del lavoro
faticoso
14. Si stabilisca dunque in primo luogo questo principio,
che si deve sopportare la condizione propria dell'umanità: togliere dal mondo
le disparità sociali, è cosa impossibile. Lo tentano, è vero, i socialisti, ma
ogni tentativo contro la natura delle cose riesce inutile. Poiché la più grande
varietà esiste per natura tra gli uomini: non tutti posseggono lo stesso
ingegno, la stessa solerzia, non la sanità, non le forze in pari grado: e da
queste inevitabili differenze nasce di necessità la differenza delle condizioni
sociali. E ciò torna a vantaggio sia dei privati che del civile consorzio,
perché la vita sociale abbisogna di attitudini varie e di uffici diversi, e
l'impulso principale, che muove gli uomini ad esercitare tali uffici, è la
disparità dello stato. Quanto al lavoro, l'uomo nello stato medesimo
d'innocenza non sarebbe rimasto inoperoso: se non che, quello che allora
avrebbe liberamente fatto la volontà a ricreazione dell'animo, lo impose poi,
ad espiazione del peccato, non senza fatica e molestia, la necessità, secondo
quell'oracolo divino: Sia maledetta la terra nel tuo lavoro; mangerai
di essa in fatica tutti i giorni della tua vita (Gen 3,17). Similmente
il dolore non mancherà mai sulla terra; perché aspre, dure, difficili a
sopportarsi sono le ree conseguenze del peccato, le quali, si voglia o no,
accompagnano l'uomo fino alla tomba. Patire e sopportare è dunque il retaggio
dell'uomo; e qualunque cosa si faccia e si tenti, non v'è forza né arte che
possa togliere del tutto le sofferenze del mondo. Coloro che dicono di poterlo
fare e promettono alle misere genti una vita scevra di dolore e di pene, tutta
pace e diletto, illudono il popolo e lo trascinano per una via che conduce a
dolori più grandi di quelli attuali. La cosa migliore è guardare le cose umane
quali sono e nel medesimo tempo cercare altrove, come dicemmo, il rimedio ai
mali.
L’enciclica Le novità non è stata il
primo documento della dottrina sociale, che si è sviluppata fin dalle
origini e in modo sempre più imponente man mano che, dal Quarto secolo della
nostra era, cresceva la rilevanza politica della nostra fede (questa non è
stata una caratteristica solo dell’Islam) e la conseguente potenza
politica dell’apparato religioso.
Nell’Ottocento troviamo un
altro importante documento della dottrina sociale, quello definito Sillabo (=elenco,
dalla prima parola dell’espressione Elenco dei principali errori della
nostra epoca), allegato all’enciclica Con quanta cura (e pastorale
vigilanza), diffusa nel 1864 dal papa Giovanni Maria Mastai Ferretti, nel
quale si condannavano alcune delle principali idee del liberalismo, tra le
quali la libertà di coscienza in materia religiosa, inserita tra le mostruose,
false e perverse opinioni. Lo potete leggere alla pagina WEB
https://w2.vatican.va/content/pius-ix/it/documents/epistola-encyclica-quanta-cura-8-decembris-1864.html
L’enciclica Le novità segna però l’inizio
di un nuovo filone della dottrina sociale, nel quale, criticando
principalmente il socialismo, se ne recepiscono alcune idee di giustizia
sociale. In uno sviluppo durato più di un secolo, si è arrivati quindi a
ribaltare la posizione del magistero sulle diseguaglianze sociali, che ora
vengono definite non solo ingiuste, ma anche peccaminose dal
punto di vista religioso. I ragionamenti sulle cause sociali delle
diseguaglianze ingiuste sono stati molto approfonditi nel magistero del papa
Karol Wojtyla, in particolare a partire dall’esortazione apostolica
post-sinodaleRiconciliazione è penitenza, del 1984), e
dall’enciclica La sollecitudine sociale (della Chiesa), diffusa
nel 1987. Sono documenti che potete leggere sul Web ai seguenti indirizzi:
http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_02121984_reconciliatio-et-paenitentia.html
http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_30121987_sollicitudo-rei-socialis.html
Nella discussione dell’assemblea del Sinodo dei vescovi del 1983
emerse la discussione sui peccati sociali, vale a dire
quelli che riguardano i rapporti sociali e dipendono anche dall’organizzazione
delle società, con le loro strutture sociali, ad esempio i
peccati contro la giustizia nei rapporti sia da persona a persona, sia
dalla persona alla comunità, sia ancora dalla comunità alla persona, quelli
contro i diritti della persona umana, a cominciare dal diritto alla vita, non
esclusa quella del nascituro, o contro l'integrità fisica di qualcuno; ogni
peccato contro la libertà altrui, specialmente contro la suprema libertà di
credere in Dio e di adorarlo; ogni peccato contro la dignità e l'onore del
prossimo, ogni peccato contro il bene comune e contro le sue esigenze, in tutta
l'ampia sfera dei diritti e dei doveri dei cittadini, quelli dei dirigenti
politici, economici, sindacali, che, pur potendolo, non s'impegnano con
saggezza nel miglioramento o nella trasformazione della società secondo le
esigenze e le possibilità del momento storico, quelli dei lavoratori, che
vengono meno ai loro doveri di presenza e di collaborazione, perché le aziende
possano continuare a procurare il benessere a loro stessi, alle loro famiglie, all'intera
società, e infine quelli che si manifestano nei rapporti tra le varie
comunità umane.
Nell’esortazione
post-sinodale Riconciliazione e penitenza ci si
preoccupò che l’idea di peccato sociale non andasse a sminuire
la responsabilità delle persone per il peccato personale,
osservando che, anche denunciando come peccati sociali certe situazioni o
certi comportamenti collettivi di gruppi sociali più o meno vasti, o
addirittura di intere nazioni e blocchi di nazioni, si dovesse avere
consapevolezza che anche in tali casi il peccato sociale deriva
dall'accumulazione e dalla concentrazione di molti peccati personali. Si tratta
infatti dei personalissimi peccati di chi genera o favorisce
l'iniquità o la sfrutta. Tuttavia il discorso venne ripreso e sviluppato molto
nella successiva enciclica La sollecitudine sociale, introducendo
il concetto di strutture di peccato, vale a dire la
somma dei fattori sociali negativi, derivanti in
particolare dall’organizzazione civile e politica delle società, che agiscono
in senso contrario a una vera coscienza del bene comune universale e
all'esigenza di favorirlo, orientando le persone verso il peccato sociale.
Esse, rafforzandosi e diffondendosi, diventano sorgente di altri peccati,
condizionando la condotta degli uomini. Negli anni ’80 si viveva ancora, in
particolare in Europa in un mondo diviso in blocchi politici con ideologie
molto marcate, quello degli stati con organizzazione dell’economia capitalista
e quello degli stati con organizzazione dell’economia socialista. Wojtyla
nell’enciclica citata ne parlò come di due forme diverse di imperialismo,
di ostacoli da superare in quanto caratterizzate da strutture di peccato, in
particolare mediante decisioni di ordine politico,
orientate da determinazioni essenzialmente morali, le quali, per i
credenti, specie se cristiani, si devono ispirare ai principi della fede con
l'aiuto della grazia divina. Questa impostazione aprì la strada ad una critica
sociale molto più ampia che nel passato, diretta in particolare ad una
riorganizzazione sociale e politica che negli anni ’80 si palesò sempre più
urgente soprattutto per la crisi terminale, intuita da pochi ma molto
chiaramente dal Wojtyla, dell’imperialismo sovietico, e quindi della metà
orientale dell’Europa di allora. Questi ragionamenti sfociarono in uno dei più
grandi e innovativi documenti della dottrina sociale, vale a dire
l’enciclica Il Centenario, diffusa dal Wojtyla nel 1991 in
occasione del centenario dall’enciclica Le novità, nel quale, tra
l’altro, è contenuta per la prima volta l’accettazione incondizionata della
democrazia come unico sistema politico rispettoso della dignità umana. Questo
filone del magistero conteneva anche un forte appello al laicato di fede
all’impegno sociale, richiamandosi al precedente dell’enciclica Lo
sviluppo dei popoli, diffusa nel 1967 dal papa Giovanni Battista
Montini. Critica sociale e azione sociale dovevano andare di pari passo,
in questo recependo l’insegnamento del socialismo storico. Questo pur
considerando che il Wojtyla, formatosi da capo religioso nell’ambiente del
totalitarismo comunista polacco, fu sempre marcatamente anti-socialista, nel
filone della prima dottrina sociale ottocentesca.
Grosso modo si possono
distinguere queste fasi nella critica sociale espressa dalla nostra dottrina
sociale:
- dal Quarto secolo e per tutto il
primo millennio della nostra era: consolidamento dell’affermazione della nostra
fede come ideologia politica prevalente tra i popoli intorno al Mediterraneo e
poi anche nel nord Europa e lotta di stato contro i dissenzienti teologici e
religiosi, dall’Ottavo secolo affermazione progressiva del papato romano come
principato vassallo degli imperatori germanici in polemica con l’imperatore
bizantino;
- nel secondo millennio e fino al
Settecento: consolidamento della posizione del papato romano, come impero
religioso feudale, nei confronti dell’impero germanico, dei nascenti
stati nazionali europei, e dell’impero bizantino fino alla metà del
Quattrocento, nonché nei confronti della società civile, mediante un esteso e
pervasivo sistema poliziesco-giudiziario;
- dal Settecento e fino al Concilio
Vaticano 2° (1962-1965): polemica del papato contro liberalismo, democrazia,
socialismo, e stati costruiti su queste ideologie, con sollevazione crescente
delle masse cattoliche utilizzate come corpo politico in difesa del papato;
- dal Concilio Vaticano 2°: critica
ideologica e politica basata su principi religiosi di giustizia sociale con
coinvolgimento attivo delle massa cattoliche nei processi democratici, per
determinare politiche per il rivolgimento delle strutture sociali di peccato:
processi di riforma religiosa e sociale che coinvolgono anche ruolo, funzioni e
poteri del papato romano.
Fino all’enciclica Laudato
si’ la critica sociale su base religiosa espressa dalla dottrina
sociale era caratterizzata dalla pretesa di autosufficienza: si riteneva
sostanzialmente che nelle Scritture e nelle tradizione teologica vi fosse tutto
ciò che occorreva per proclamare giusti principi di organizzazione sociale e questo
nonostante i sempre più estesi riferimenti alla situazione storica e sociale e
all’impiego di nozioni tratte dalle scienze sociali. L’enciclica Laudato
si’ è invece caratterizzata da un’analisi che parte dalle
considerazioni delle scienze naturali e sociali, applicandovi poi i
ragionamenti teologici della nostra fede. Questo metodo in particolare è
evidenziato dalla menzione di due autori: il filosofo e teologo tedesco Romano
Guardini (1885-1968), e in particolare del suo lavoro dal titolo La
fine dell’epoca moderna, del 1965, e dello scienziato teologo gesuita
Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955). Ciò crea una base per un’ampia
condivisione, anche al di là degli ambienti religiosi, degli impegni
sociali e politici conseguenti, la base per un dialogo con tutti per cercare insieme cammini di liberazione [Laudato si’, 64].
Mario Ardigò
- Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli