Il futuro della
dottrina sociale e del pensiero e azione sociali da essa ispirati
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dal WEB. 23 giugno 1996: il papa Giovanni Paolo 2° a Berlino, davanti alla Porta di Brandeburgo, insieme ai cristiano democratici Helmut Kohl, cancelliere tedesco, e Eberhard Diepgen, sindaco della città |
1. Cooperare per una visione
collettiva affidabile della storia.
Ho esposto alcune
riflessioni di sintesi sugli influssi politici della dottrina sociale. L’ho
fatto, naturalmente, dal mio punto di vista, che è piuttosto limitato.
Ci sono storici di professione, maestri nel
loro campo, che hanno trattato l’argomento non solo molto più diffusamente, ma
anche meglio e sulla base di una raccolta di fonti molto più completa e scientificamente
vagliata. Ma chi si propone di collaborare all’azione collettiva nella
direzione e secondo i principi della dottrina sociale non può esimersi dal
maturare visioni e convinzioni personali su quel tema, a fini essenzialmente
pratici, perché in queste cose non si parte mai da zero, ma è come montare su
un treno ad una stazione intermedia del suo viaggio, e allora occorre capire da
dove viene, quando arriverà, quando ripartirà,
e dove è diretto.
Fuori di metafora: il futuro è determinato anche
dal passato, che quindi occorre conoscere.
Conoscere tutto è ormai impossibile nella vita di un singolo
essere umano. Si cerca di avere una visione affidabile del mondo in cui si vive
e in particolare, dei campi in cui si deve operare. Affidabile non significa
sempre veritiera: significa credibile sulla base delle
fonti che si sono esaminate e dei contributi portati dalla collettività a cui
si è connessi per certe attività. Accade come in archeologia: la scoperta di
nuovi reperti, può cambiare la ricostruzione del passato.
Nel leggere ciò che scrivo, si tenga presente
che il mio vuole essere solo un contributo personale per arrivare ad una
visione collettiva affidabile di eventi passati e del presente, per capire che
fare nel futuro: non è un partito preso o una pretesa di affermare la verità su ciò che tratto. Dalla metà degli
anni ’70 sono stato testimone consapevole della storia di cui scrivo. Molti
altri, però, lo sono stati ed alcuni di loro in posizioni di osservazione
migliori, più ravvicinate. Sono ancora viventi alcuni dei protagonisti di certi
eventi che, per la loro importanza, sono definiti storici. Ne cito, ad esempio, due: Henry Kissinger, segretario di
stato statunitense dal 1969 al 1977, sotto le presidenze federali dei
repubblicani Richard Nixon e di Gerald Ford, - per certi versi la Cina di oggi
è anche frutto della sua politica estera - e Michail Gorbacev, l’ultimo segretario
generale del Partito comunista sovietico, dal 1985 al 1991 - l’Europa di oggi è
risultata anche dalla sua politica estera-.
2.Ragionare su scala globale.
In Italia da molto tempo siamo abituati a
parlare di politica su piccola scala, fondamentalmente limitandoci ad una
dimensione nazionale.
Ragionando di dottrina sociale,
creata per la massima parte dal magistero dei papi e da quello dei saggi
riuniti nell’ultimo Concilio ecumenico detto Vaticano 2°, tenutosi a Roma dal 1962 al 1965, si è invece proiettati in una dimensione
mondiale, quella in cui si muove il Papato. E’ una visione tanto esaltante da
togliere quasi il respiro: essa abbraccia la storia di oltre un millennio,
dall’Ottavo secolo della nostra era ad oggi. Tuttavia va anche osservato
questo: la missione della nostra Chiesa, e quindi del suo sovrano secondo le
sue particolari leggi, è molto più vasta. Non si limita all’azione sociale e a
quella politica, benché dalla metà dell’Ottocento si sia presa coscienza del
loro collegamento con la carità / agàpe in senso religioso. L’azione sociale e
politica è tuttavia molto importante per
un laico, perché è il suo campo principale di attività nella collettività,
quello in cui può svolgere ruoli di primo piano e addirittura collaborare
attivamente all’ideazione, alla formazione del pensiero in una posizione di
avanguardia, come frutto di una ricerca spinta oltre i confini di ciò che è
stato già detto, scritto, stabilito, formalizzato. Ma, per quanto in concreto
l’azione sociale possa partire anche dall’occuparsi della fontana del quartiere, come si è invitati a fare oggi, occorre fare
pratica, e fin da molto piccoli, di una realtà enormemente più vasta, quella
appunto ben presente alla dottrina sociale in tutta la sua ormai secolare
storia, e questo in particolare per il vertiginoso intensificarsi delle
relazioni sociali nel mondo globalizzato,
interdipendente, per cui la nostra felicità non dipende solo da ciò che
accade nel quartiere in cui viviamo, ma anche da ciò che accade dall’altra
parte del globo.
Questa dimensione così estesa non è arbitraria
dal punto di vista della fede, o frutto di una volontà di potenza, in
particolare di europei che vogliono continuare ad avere il mondo nelle loro
mani.
E’ la fede che richiede di
ragionare in termini globali. E’
spiegato bene nella Costituzione dogmatica Lumen
Gentium - Luce per le gente, deliberata dal Concilio Vaticano 2°:
3. Tutti gli uomini sono chiamati a formare il
popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve
estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l'intenzione
della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana una e volle
infine radunare insieme i suoi figli dispersi (cfr. Gv 11,52).
[…]
9.
[…] il popolo messianico, pur non
comprendendo effettivamente l'universalità degli uomini e apparendo talora come
un piccolo gregge, costituisce tuttavia per tutta l'umanità il germe più forte
di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di
vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumento della
redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cfr. Mt
5,13-16), è inviato a tutto il mondo.
[…]
13. […] in tutte quindi le nazioni della terra è
radicato un solo popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i
cittadini del suo regno non terreno ma celeste.
[…]
Questo carattere di universalità, che adorna e
distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa
cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l'umanità, con
tutti i suoi beni, in Cristo capo, nell'unità dello Spirito di lui.
In virtù
di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti
e a tutta la Chiesa, in modo che il tutto e le singole parti si accrescono per
uno scambio mutuo universale e per uno sforzo comune verso la pienezza
nell'unità.
[…]
Tutti gli uomini sono quindi
chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove
la pace universale; a questa unità in vario modo appartengono o sono ordinati
sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli
uomini senza eccezione, che la grazia di Dio chiama alla salvezza.
3.La dottrina sociale ha un
futuro?
3.1 Il Papato fa politica fin dall’Ottavo secolo della nostra
era. La fa nella dimensione e con ambizioni di un imperatore religioso fin dall’anno
Mille. Fare politica per il Papato ha a lungo significato
trattare da pari con gli altri sovrani europei, sovrano fra sovrano, ma sovrano
con ambizioni imperiali. A differenza degli altri sovrani, l’azione politica
del Papato non fu determinata in genere da volontà di dominio e di potenza, ma piuttosto
da quella di consentire l’espansione della missione religiosa del clero e degli
ordini religiosi nei regni degli altri sovrani e di contrastare la diffusione
di costumi religiosi ritenuti errati. Il Papato si accontentò di un piccolo
dominio, come re di uno stato, nell’Italia centrale, che non mirò ad estendere
quanto a conservare. Come monarca in Italia fu coinvolto nelle beghe politiche
dei vari principi della penisola, operando anche piuttosto spregiudicatamente,
secondo i costumi degli altri sovrani, in particolare nei primi sei secoli del
suo dominio, fino alla riforma che fu attuata nel Concilio di Trento, tenutosi
tra il 1545 e il 1563, dal quale uscirono la Chiesa e la religione che mi furono
presentate nella mia prima formazione di fede e che durarono più o meno
invariate fino al Concilio Vaticano 2°.
Da quando iniziò a fare politica il Papato sviluppò propri
orientamenti che pretese di imporre agli altri sovrani per una supremazia che
concepiva insieme come religiosa e politica. La pesante corona a tre strati,
detta Triregno, dismessa da Paolo 6°
durante il suo pontificato (ma egli fu incoronato papa con quel copricapo), simboleggia bene
quella dottrina: il Papa come padre dei re, rettore del mondo, Vicario di
Cristo. Quegli orientamenti, nel
loro complesso, erano già una dottrina
sociale, quella parte del magistero che si occupa di dare indicazioni sull’ordinamento
della società in modo che non contrasti con le esigenze etiche della fede.
Tuttavia, quando si parla di dottrina sociale, ci si riferisce a quella parte del magistero
sociale che si sviluppo negli anni in cui il Papato organizzò una forza sociale
in Italia per sostenere le sue rivendicazioni politiche verso il Regno d’Italia,
che l’aveva privato, conquistandolo militarmente, del suo piccolo regno
nell’Italia centrale, e in particolare della sua capitale, Roma. In questo caso
il pensiero e l’azione sociali a sostegno del Papato precedettero il magistero,
dalla metà dell’Ottocento, creando
correnti politiche intransigenti verso quelle nazionaliste che pretendevano
Roma, per farne la capitale di un nuovo stato unitario nazionale. Esse si collegarono a
precedenti esperienze di azione sociale reazionarie dirette contro le idee
filosofiche dell’Illuminismo, in particolare di quello francese, e contro la
politica dei rivoluzionari francesi di fine Settecento e poi dell’imperatore francese Napoleone Bonaparte,
regnante tra il 1804 e il 1815, il quale tra il 1806 e il 1808 aveva
conquistato lo stato pontificio, Roma
compresa, facendo prigioniero il Papa,
Pio 7°, Barnaba Chiaramonti, nel 1809.
3.2. Si fa iniziare la dottrina sociale, nel senso che ho precisato, dall’enciclica Rerum Novarum - Le novità, diffusa nel 1891 dal papa Vincenzo Gioacchino
Pecci, regnante come Leone 13°.
Le pretese politiche del Papato,
dopo la conquista di Roma da parte del Regno d’Italia nel 1870, si presentavano
come di tipo rivoluzionario rispetto alla politica democratico-liberale
del nuovo stato nazionale unitario italiano. La dottrina sociale ne fu l’ideologia
sociale, quella mediante la quale si chiamarono a raccolta gli italiani di fede
in difesa di quelle pretese.
Che io sappia, in nessun’altra
parte del mondo oltre che in Italia la dottrina sociale acquisì questa forte dimensione propriamente
politica, di opposizione
al regime dominante e di agitazione sociale. In particolare,
la polemica contro il regime comunista sovietico che dal 1917 divenne egemone
nei vastissimo territorio euro-asiatico del soppresso Impero russo, fu
essenzialmente religiosa, non tanto politica, in particolare contro l’ideologia atea di quel regime, in un tempo
in cui la dottrina sociale non aveva ancora assimilato tra i suoi valori sociali quelli democratici. Questa linea
continuò anche, nel secondo dopoguerra, quindi dal 1945, nei confronti dei
regimi comunisti divenuti egemoni negli stati dell’Europa orientale conquistati
dall’Armata Rossa sovietica durante la guerra, salvo che nel caso, per quanto
riguarda la Polonia, dell’enciclica Laborem
Exercens - Mediante il lavoro,
diffusa nel 1981 dal papa san Karol Wojtyla, regnante come Giovanni Paolo 2°,
agli esordi della rivoluzione democratica in quella nazione. In Polonia,
tuttavia, passato il decennio rivoluzionario, mi sembra che la dottrina sociale
in linea con il Concilio Vaticano 2° abbia cessato di fare scuola; anzi credo
che sia possibile affermarlo per la dottrina sociale in genere. L’asse politico
di quello stato ha preso a oscillare tra un socialdemocrazia piuttosto
laicizzata, metamorfosi del passato socialismo imperante, e un conservatorismo
con qualche aggancio religioso ma di tipo pre-conciliare e nazionalistico.
In sostanza l’Italia fu a lungo
il principale laboratorio politico della dottrina sociale, oltre che la nazione
nella quale si crearono, per il Papato, le ragioni politiche per idearla. L’occasione storica fu la
minaccia politica al Papato portata dal nazionalismo italiano nelle sue varie
espressioni, quella repubblicana mazziniana
e garibaldina e quella monarchico-cavouriana. Agli inizi del Novecento
si aggiunse quella comunista nella linea sovietica. Non si trattò solo di
elaborare un nuovo capitolo del catechismo o solo una ideologia politica di
ispirazione religiosa, ma di suscitare un movimento popolare di massa a
sostegno delle pretese politiche di libertà, indipendenza e autonomia del
Papato. L’Azione Cattolica, strutturata nel 1906 come strettamente integrata con la
gerarchia del clero, sia a livello di
vertice che a livello diocesano, fu lo strumento sociale di attivismo,
formazione e propaganda in quel senso. Dato il compito che le era stato assegnato
essa molto presto, come già accaduto con precedenti analoghe aggregazioni
laicali, virò verso l’impegno politico. In definitiva costruì, sotto la diretta supervisione del Papato, un modello di partito cristiano, distinto da se stessa e
dall’organizzazione del clero ma con esse integrato non giuridicamente,
statutariamente, ma mediante rapporti di tipo personale tra i rispettivi
dirigenti e, soprattutto, per avere un medesimo corpo sociale di riferimento
per militanza e propaganda. Nel mondo non mi pare di individuare un’esperienza
politico-sociale con quelle caratteristiche, neppure dove si costituirono
partiti di manifesta ispirazione cristiana, con denominazioni contenenti richiami ad una democrazia cristiana o al popolo, ad esempio in Germania, in Cile
o in El Salvador. In particolare, In Italia, in definitiva, fin dal cedimento e crollo del
regime fascista (1943-1945), gli anni della costruzione della nuova democrazia popolare repubblicana, il partito
cristiano, come lo definì l’ideologo
e storico Gianni Baget Bozzo, risultò costituito dal Papato, dalla gerarchia
del clero e dal clero e ordini religiosi (in particolare gesuiti e francescani), dall’Azione Cattolica e dal partito propriamente detto,
la Democrazia Cristiana, che presentava liste alle elezioni e selezionava la
classe di governo e parlamentare. Questo modello, egemone in Italia dal 1945 al 1994 come forza di governo, comportava in certa misura la sacralizzazione della politica, vale a dire la legittimazione
sacrale di un orientamento politico e di governo e di una classe politica.
Entrò in crisi negli anni ’70 nella fase attuativa dei deliberati del Concilio
Vaticano 2 che, con la ristrutturazione dell’associazionismo laicale secondo il
principio dell’autonoma dei laici, comportava una desacralizzazione della politica, campo proprio e principale del
laico.
Desacralizzare significava relativizzare, poter
sottoporre a critica e verifica. Il processo iniziò in Azione Cattolica nel
1964, ancora negli ultimi tempi del Concilio, con la presidenza nazionale del
giurista Vittorio Bachelet. La desacralizzazione finì poi per coinvolgere la
stessa politica del Papato in Italia, la fonte della dottrina sociale. E,
infine, lo stesso Papato, come istituzione, del quale si cominciò ad invocare la riforma. E’ a
questo punto che quel modello di partito
cristiano iniziò ad apparire
controproducente per gli stessi interessi politici del Papato. Si era negli
ultimi anni del regno religioso del beato Giovanni Battista Montini, Paolo 6°.
Nel 1978, scomparvero tragicamente due dei principali esponenti del partito cristiano, Aldo Moro, professore
di diritto, costituente, parlamentare, ministro, presidente del Consiglio, uno dei più brillanti e creativi esponenti del riformismo sociale cattolico-democratico, assassinato dai terroristi comunisti delle brigate rosse, e il
beato Giovanni Battista Montini, colui che aveva dato un contributo
determinante a portare il cattolicesimo italiano su posizioni democratiche,
dopo il cedimento al fascismo del Papato, cominciando dalla formazione culturale e religiosa, attraverso la Federazione Universitaria Cattolica Italiane e il Movimento Laureati di Azione Cattolica, entrambi fino agli anni '70 parti integranti dell'Azione Cattolica, di una nuova classe dirigente politica democratica nazionale.
3.3. Quello di san Karol Wojtyla, succeduto nel 1978
al beato Montini con il nome di Giovanni Paolo 2°, scelto per significare la
continuità con gli ideali espressi dal Concilio Vaticano 2° svoltosi sotto i
papi Giovanni 23° e Paolo 6°, fu un papato molto diverso da
tutti quelli precedenti: espresse una nuova dottrina sociale. Al centro degli
interessi di quel Papato non fu più l’Italia, ma l’Europa, da un lato e dall’altro
della linea di demarcazione tra i regimi democratici occidentali e quelli
comunisti di stampo sovietico. Con la caduta di questi ultimi sembrò che anche
l’ultimo nemico fosse stato abbattuto. La dottrina sociale non sembrò più
essere destinata a suscitare un movimento politico di massa a sostegno e in
difesa del Papato: se ne accentuò il rilievo morale. In fin dei conti l’ordine
politico europeo che si venne instaurando sembrò non creare più problemi per il
Papato. Una fotografia riassume bene la situazione ed è quella che ho inserito
all’inizio. Il papa Giovanni Paolo 2° fotografato il 23 giugno 1996 a Berlino,
già molto malato con tutta evidenza, davanti alla Porta di Brandeburgo - luogo simbolico sia dello sconfitto regime nazionalsocialista che della frattura politica inferta al popolo tedesco dallo sconfitto regime comunista tedesco di scuola sovietica instaurato nella Germania Orientale -, insieme al cancelliere tedesco cristiano
democratico Helmut Kohl e al sindaco di
Berlino Eberhard Diepgen, anche lui cristiano democratico. Al termine di
questo testo, trascrivo il discorso che tenne in quell’occasione. Leggendolo
sembra che una civiltà dell’amore fosse a portata di mano. Quanto diversa quell’atmosfera
da quella, cupa, che si respirò qui a Roma, nella basilica di San Giovanni in Laterano, alla
messa funebre per Aldo Moro, celebrata il 13 maggio 1978 dal papa Paolo 6°, in cui furono pronunciate queste parole:
Ed ora le nostre labbra,
chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata
all’ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il «De
profundis», il grido cioè ed il pianto dell’ineffabile dolore con cui la
tragedia presente soffoca la nostra voce.
E chi può ascoltare il nostro lamento, se non
ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra
supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio,
innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito
immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per
lui, per lui.
Ho trovato sul Web un’immagine di quell’orazione
funebre che incollo qui sotto.
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dal WEB. 13 maggio 1978: papa Paolo 6° legge l'orazione funebre per Aldo Moro in San Giovanni in Laterano, a Roma |
Nel 1978 l’Italia cessò di
essere il laboratorio politico della dottrina sociale e la nostra Azione
Cattolica di esserne il principale agente sociale. Una via che sembrò sconfitta
sul campo, così come vittoriosa sul campo apparve quella impersonata da san
Wojtyla. Impegnata nella mediazione con i socialismi europei la prima,
nettamente contraria ad ogni socialismo la seconda.
Un Papato come quello impersonato da san
Wojtyla, che si era imposto sulla scena internazionale per virtù propria, non aveva
bisogno in Italia di un agente sociale a sua protezione: nessuna formazione
politica di rilievo osava in quel momento, in Italia, opporsi ad esso. L’influenza politica di
quel modello fu dimostrata in modo spettacolare nel corso della veglia funebre per il papa, nella Basilica di San Pietro in Vaticano, nell'aprile 2005, quando accanto alla salma del Papa si inginocchiarono, l’uno vicino all'altro, ben
tre presidenti statunitensi, i due Bush e Clinton. Ecco la foto che ho trovato
sul Web.
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dal WEB. Aprile 2005: tre presidenti statunitensi inginocchiati accanto alla salma del Papa, durante la veglia funebre nella Basilica di San Pietro in Vaticano |
Piuttosto veniva a costituire un
elemento di disturbo il laicato adulto formatosi proprio in Azione Cattolica, che, desacralizzando la politica, aveva iniziato a desacralizzare
anche quella ecclesiale. Questo giustificò un’azione perché fosse messo a
tacere ogni dissenso espresso. Cessando la possibilità di analisi critica, finì
anche la creatività. L’ambiente del laicato italiano si inaridì.
3.4. La situazione ha iniziato a
mutare con l’elezione di papa Francesco. Ma si è in un contesto completamente
diverso da quello tra il 1891 il 1978, quello della dottrina sociale di matrice
italiana, e anche da quello tra il 1978 e il 1991, gli anni della dottrina
sociale sul modello polacco, ideata e diffusa da san Wojtyla. Nel primo il
contesto critico di riferimento per il Papato era stata quello italiano, nel
secondo quello europeo. E nel periodo di
papa Bergoglio? E’ il mondo intero. Si ragiona su scala globale, secondo le
dimensioni dei problemi dell’umanità contemporanea.
La caratteristica molto evidente
dell’attuale Papato è che al centro dei suoi interessi politici non è più il
Papato medesimo. Questo orientamento era già iniziato sotto il regno di
Giovanni Paolo 2°, ma a quell’epoca il modello di Papato ricevuto dalla
tradizione, quello romano, apparve ancora uno strumento utile
per interagire sullo scenario internazionale in quella grande strategia ideata
da san Wojtyla. Un modello fortemente sacralizzato e centrato sulla persona del
pontefice regnante, come mai era avvenuto prima. Del resto, nel rinnovamento
della catechesi degli anni ’70, non si era detto che al centro della fede non
vi è una dottrina ma una Persona, sia pure divina? La fortissima personalizzazione di quel Papato ne compensò gli aspetti
storicamente obsoleti che però ricevettero nuova forza, in particolare quello
del potere imperiale del sovrano religioso, arbitro assoluto della
dottrina della fede.
La struttura del Papato ai tempi
di Giovanni Paolo 2° fu quella che intorno all’anno Mille era stata organizzata
mutuandola dal più splendido dei sovrani europei di allora, l’imperatore romano di Costantinopoli, integrata con il sistema feudale
ricevuto dai sovrani germanici. Del resto essa era stata ideata in tempi in cui
la massima autorità terrena era quella imperiale.
Ai giorni nostri la struttura che,
almeno giuridicamente, dovrebbe essere la più potente del mondo è quella delle
Nazioni Unite e appunto queste mi pare essere stata presa come riferimento per
una riforma del Papato. Il modello imperiale sta un po’ stretto, in questa prospettiva.
E quale possiamo considerare il
laboratorio politico del nuovo Papato? E’ ancora presto per dirlo. E non
possiamo neppure prevedere realisticamente se l’attuale Papa arriverà ad
attivarne uno. E’ un ultraottantenne. E’ possibile che possa essere l’intero
continente Latino-americano, l’ambiente da cui deriva molta parte della nuova
dottrina sociale caratteristica dell’attuale Papato. Questo significa che non c’è
da attendersi una ripresa del vecchio modello di partito cristiano. E nemmeno di aspettarsi precise indicazioni politiche per un’azione sociale ispirata dalla fede nel
continente europeo, secondo l’esempio di san Wojtyla.
Questo non vuol dire però che
non ci sia da fare in quel campo. Ma che si dovrà far molto conto sull’autonomia
e sulla creatività del laicato di fede, molto più di un tempo. L’ideologia su
cui ci è basata la fondazione dell’Unione Europea e impregnata di pensiero
sociale cristiano: esso è alla base dei principali valori proclamati. Senza una
base sociale di sostegno questa situazione potrebbe però velocemente cambiare.
Nella crisi catalana in corso nella Penisola iberica, ad esempio, non si è
avvertita l’influenza del cattolicesimo sociale, pur in una nazione in cui anagraficamente
i fedeli cattolici sembrano ancora prevalere, così come scarsa influenza l’ebbe,
dall’inizio degli anni ’90, nella crisi esplosiva della dissoluzione della
Jugoslavia comunista, pur se a staccarsi furono anche popoli a maggioranza
cattolica, come la Slovenia e la Croazia.
La stessa dottrina sociale, nell’era
di papa Francesco, è divenuta policentrica, secondo il modello Latino-Americano
e non è più asservita al sostegno degli interessi politici del Papato come
istituzione, ma è al servizio della sopravvivenza dell’umanità in un mondo globalizzato.
Uno dei suoi nuovi centri propulsori e anche di ideazione potrebbe sicuramente
ancora essere l’ambiente del cattolicesimo politico italiano, per la sua lunga
tradizione di laboratorio sociale del
Papato.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli
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VISITA PASTORALE IN
GERMANIA (21-23 GIUGNO 1996)
CERIMONIA DI CONGEDO
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
Porta di Brandeburgo (Berlino)
Domenica, 23 giugno 1996
Cari Berlinesi,
signore e signori!
1. È giunto il
momento dell’addio; è per me molto commovente, potermi incontrare questa sera
con voi, presso la Porta di Brandeburgo, nel cuore di Berlino.
Consentitemi
di iniziare ringraziandovi. Ringrazio il Presidente della Repubblica per il suo
invito a visitare la Germania. Le parole particolarmente cordiali che mi ha
rivolto venerdì al mio arrivo all’aeroporto di Paderborn/Lippstadt, e la
cortesia con la quale mi ha accolto questa mattina al castello Bellevue, qui
nella capitale, mi hanno fatto sentire fra voi come a casa.
Signor Cancelliere, sono
molto lieto della sua presenza. Lei è il principale artefice dell’unità dal suo
popolo da poco ripristinata. Lei ha colto l’opportunità storica di ridare la
libertà a diciassette milioni di connazionali e di realizzare l’unità del
popolo tedesco. Ha osato chiedere non piccoli sacrifici agli abitanti del suo
Paese per realizzare l’unità nella libertà. Voglia Dio dare la forza a lei e
alla sua patria di portare a termine quest’opera!
Il mio
sincero ringraziamento va anche a lei, Sindaco di Berlino, che insieme al
signor Cancelliere mi ha rivolto parole tanto preziose. Rivolgo inoltre il mio
saluto alla Presidente del Bundestag Tedesco, così come ai Presidenti del
Parlamento di Berlino, ai membri del Governo, del Senato berlinese come anche
ai deputati del Bundestag Tedesco e del Parlamento di Berlino.
Esprimo un profondo
ringraziamento all’Episcopato tedesco, a voi, miei fratelli nell’Episcopato,
che avete dato un contributo essenziale a questo viaggio. Per voi questo
viaggio è anche un viaggio di colui che, per incarico di Cristo, Capo della
Chiesa:
- si reca dai fedeli per
infondere forza e coraggio nella fede,
- si incontra con i
portavoce delle sorelle e dei fratelli divisi, per approfondire la ricerca
dell’unità,
- incontra i
rappresentanti della comunità ebraica in questo Paese, per esprimere ancora una
volta il rispetto della Chiesa cattolica,
- non desidera altro che
annunciare a tutti gli uomini il messaggio liberatore del Vangelo e la conoscenza
di Cristo, che supera ogni cosa (cf.Fil 3,8).
La vostra vicinanza,
cari fratelli nell’Episcopato, mi riempie di fiducia. È la missione dell’unico
Signore che anima voi e me ed è il medesimo amore che riempie voi e me: il
messaggio dell’amore di Dio, che non ha indietreggiato neanche davanti alla
croce, raggiunge il cuore di tutti gli uomini e li fa rispondere con amore
disinteressato. Ringrazio in particolare i miei fratelli, il Cardinale Georg
Maximilian Sterzinsky e l’Arcivescovo Johannes Joachim Degenhardt, le cui
arcidiocesi ho visitato. Vorrei ringraziare inoltre il Presidente della vostra
Conferenza Episcopale per le cordiali parole di commiato che mi ha rivolto.
A
questo punto, ringrazio tutti coloro che hanno preparato questa visita con un
lavoro duro e scrupoloso, quanti hanno garantito il suo tranquillo svolgimento
e gli operatori dei mezzi di comunicazione sociale che lo hanno seguito.
I Berlinesi e i
tedeschi, durante questa visita, mi hanno fatto sentire il loro affetto e la
loro vicinanza. A tutti loro va il mio più sentito ringraziamento.
2. Fin dall’inizio
desideravo sinceramente, durante questa visita pastorale in Germania, venire
qui a Berlino. Naturalmente, in primo luogo, volevo incontrare i fedeli di
questa Arcidiocesi, che, come tutti i Berlinesi, hanno dovuto sopportare la
dolorosa divisione della loro città per decenni e ciononostante non si sono
fatti fuorviare e, con profondo senso di solidarietà e di affetto, hanno
sperimentato che la forza della violenza e della coercizione, dei muri e dei
fili spinati, non ha potuto lacerare i cuori degli uomini.
In
nessun altro luogo come in questo, durante la violenta divisione del vostro
Paese, il desiderio di unità si è collegato così tanto a una opera di
edificazione. La Porta di Brandeburgo è stata occupata da due dittature
tedesche. Ai dittatori nazionalsocialisti serviva da imponente scenario per le
parate e le fiaccolate ed è stata murata dai tiranni comunisti. Poiché avevano
paura della libertà, gli ideologi trasformarono una porta in un muro. Proprio
in questo punto di Berlino, simultaneamente punto di congiunzione d’Europa e
punto di divisione innaturale tra Est e Ovest, proprio in questo punto si è
manifestato a tutto il mondo il volto spietato del comunismo, al quale
risultano sospetti i desideri umani di libertà e di pace. Esso teme però
soprattutto la libertà dello spirito, che dittatori bruni e rossi volevano
murare.
3. Gli uomini erano
divisi tra loro da muri e confini micidiali. E in questa situazione la Porta di
Brandeburgo, nel novembre del 1989, è stata testimone del fatto che gli uomini
si sono liberati dal giogo dell’oppressione spezzandolo. La Porta chiusa di
Brandeburgo era lì come simbolo della divisione; quando infine fu aperta,
divenne simbolo dell’unità e segno del fatto che era stata finalmente
realizzata l’aspirazione della Legge fondamentale al raggiungimento dell’unità
e della libertà della Germania nella libera autodeterminazione. E così si può
dire a ragione: la Porta di Brandeburgo è diventata la Porta della libertà.
In
questo luogo così permeato di Storia mi sento spinto a rivolgere un urgente
appello per la libertà a tutti voi qui presenti, al popolo tedesco, all’Europa,
anch’essa chiamata all’unità nella libertà, a tutti gli uomini di buona
volontà. Possa questo appello raggiungere anche quei popoli ai quali fino ad
oggi è stato negato il diritto all’autodeterminazione, ai non pochi popoli -
sono di fatto molti - ai quali non sono garantite le libertà fondamentali della
persona: la libertà di fede, di coscienza e la libertà politica.
4. L’uomo è
chiamato alla libertà.
Libertà
non significa diritto all’arbitrio. La libertà non è un
"lasciapassare"! Chi trasforma la libertà in un lasciapassare le ha
già inferto un colpo mortale. L’uomo libero è tenuto alla verità, altrimenti la
sua libertà non è più concreta di un bel sogno, che si dissolve al risveglio.
L’uomo non deve la propria esistenza a se stesso, ma è una creatura di Dio; non
è padrone della propria vita e di quella altrui; se vuole essere uomo nella verità,
deve udire e ascoltare. La sua libera creatività si sviluppa in modo efficace e
duraturo solo se si basa come su incrollabile fondamento sulla verità, che è
stata data all’uomo. Allora l’uomo potrà realizzarsi, anzi potrà superare se
stesso. Non c’è libertà senza verità.
5. L’uomo è
chiamato alla libertà.
L’idea
della libertà può essere trasformata in realtà di vita laddove gli uomini
insieme ne sono convinti e pervasi, nella consapevolezza dell’unicità e della
dignità dell’uomo e della sua responsabilità al cospetto di Dio e dell’umanità.
Solo dove insieme ci si fa garanti della libertà e si combatte per essa in
solidarietà, essa viene acquisita e rimane inalterata. La libertà del singolo
non va separata dalla libertà degli altri, di tutti gli altri uomini. Laddove
gli uomini restringono lo sguardo al proprio campo vitale e non sono più
disposti a impegnarsi per gli altri anche senza vantaggi personali, lì la
libertà è in pericolo. La libertà vissuta, invece, nella solidarietà produce un
impegno per la giustizia nell’ambito politico e sociale e fa volgere lo sguardo
verso di essa. Non c’è libertà senza solidarietà.
6. L’uomo è
chiamato alla libertà.
La
libertà è un bene molto prezioso, che ha un alto prezzo. Richiede nobiltà
d’animo e questa implica spirito di sacrificio; richiede vigilanza e coraggio
contro le forze che la minacciano, dall’interno e dall’esterno. Animati dallo
spirito di sacrificio, molti uomini nella vita di tutti i giorni sono pronti
con naturalezza alla rinuncia, nella famiglia o fra gli amici. Si sacrificano
per la libertà coloro che per la sua difesa dalle minacce interne o esterne
accettano svantaggi, che quindi vengono risparmiati agli altri, fino a
rischiare la propria vita. Nessuno può esimersi dalla sua responsabilità
personale verso la libertà. Non c’è libertà senza sacrificio.
7. L’uomo è
chiamato alla libertà.
Berlino
è una città profondamente vitale e sotto molteplici aspetti creativa. Nella sua
ben visibile internazionalità si incontrano molteplici tradizioni e forme di vita.
Berlino è una apprezzata città di cultura e d’arte, di cinema e di musei, un
luogo di scambio e di trasmissione culturale. Ritengo molto importante la forza
espressiva di queste forme della cultura umana, essendo essa la capacità di
portare avanti e di concretizzare con le nostre forze la creazione divina.
Esorto perciò tutti gli artisti e gli scienziati a usare i loro talenti per
edificare una vasta "civiltà dell’amore", come io, sull’esempio del
mio predecessore Paolo VI, l’ho chiamata talvolta, una civiltà "fondata
sui valori universali della pace, della solidarietà, della giustizia e della
libertà. E l’"anima" della civiltà dell’amore è la cultura della
libertà: la libertà degli individui e delle nazioni, vissuta in una solidarietà
e responsabilità oblative" ( Discorso all’Assemblea Generale dell’ONU, n.
18, 5.10.1995).
Quando si è fatta
l’esperienza dell’amore, si è fatta anche l’esperienza della libertà.
Nell’amore l’uomo supera se stesso, abbandona se stesso, perché il suo
interesse è per l’altro, perché vuole che la vita dell’altro si realizzi.
Crollano così le barriere dell’egocentrismo e si prova la gioia dell’impegno
comune volto a fini superiori. Rispettate l’inviolabile dignità di ogni singolo
uomo, dal primo istante della sua esistenza terrena fino all’ultimo respiro!
Ricordatevi sempre del riconoscimento che la vostra Legge fondamentale antepone
a tutte le altre dichiarazioni: la dignità dell’uomo è inviolabile! Liberatevi
per una libertà nella responsabilità! Aprite le porte a Dio!
La
nuova casa Europa, della quale parliamo, ha bisogno di una Berlino libera e di
una Germania libera. Ha soprattutto bisogno di aria per respirare, di finestre
aperte, attraverso le quali lo spirito della pace e della libertà possa
entrare. L’Europa ha quindi bisogno, non da ultimo, di uomini convinti che
aprano le porte, di uomini che tutelino la libertà mediante la solidarietà e la
responsabilità. Non solo la Germania, ma anche tutta l’Europa ha bisogno per
questo del contributo indispensabile dei cristiani.
Esorto tutti i Berlinesi
e tutti i tedeschi, ai quali sono grato per la pacifica rivoluzione dello
spirito che ha portato all’apertura della Porta di Brandeburgo: non spegnete lo
Spirito! Tenete aperta questa porta, per voi e per tutti gli uomini! Tenetela
aperta con lo spirito dell’amore, della giustizia e della pace! Tenete aperta
la porta con l’apertura dei vostri cuori! Non c’è libertà senza
amore.
L’uomo
è chiamato alla libertà. Annuncio a tutti voi che mi
ascoltate: la pienezza e la compiutezza di questa libertà ha un nome: Gesù
Cristo.
È colui che ha detto di
sé: io sono la porta. In lui l’uomo ha accesso alla pienezza della libertà e
della vita. È colui che rende l’uomo veramente libero, poiché dissipa le
tenebre dal cuore degli uomini e rivela la verità. Compie il suo cammino come
nostro fratello e realizza la sua solidarietà con noi donando la sua vita per
noi. In tal modo ci libera dal peccato e dalla morte. Fa sì che riconosciamo
nel prossimo il suo volto, il volto del vero fratello. Ci mostra il volto del
Padre e diventa per tutti il vincolo dell’amore.
Cristo
è il nostro Salvatore, è la nostra libertà.
8. La giornata volge al
termine. Ma nei nostri cuori serbiamo la luce, della quale abbiamo potuto
gioire oggi. Rimaniamo uniti nella speranza che ci anima. Prima del mio ritorno
a Roma vi invito di cuore ad un nuovo incontro nella Città Eterna in occasione
del grande Giubileo dell’anno 2000.
Dio
benedica Berlino, Dio protegga la Germania!