Le
persone in politica finiscono per deludere
1. Dalla metà degli
anni ’90 la politica in Italia è fortemente personalizzata, nel senso che
sembra si debba innanzi tutto scegliere un capo, il resto seguirà. Questa
tendenza è iniziata più o meno quando, nello stesso periodo, è stata proclamata
la morte delle ideologie. Di ideologia si parla intendendo varie cose. In politica è
un storia che spiega da dove si viene, che sta accadendo e dove si vuole andare
e che viene accettata da una certa collettività come criterio di orientamento.
La politica è il governo della società e la società cambia incessantemente,
quindi anche le ideologie cambiano, vengono costantemente aggiornate. Se ne
possono seguire le storie. Non è che ai tempi nostri non ci siano ideologie: ci
sono, ma sono meno in rilievo, se ne parla di meno. Le ideologie che prevalgono
in Occidente, e quindi anche in Italia, sono infatti, in genere, di tipo conservatore: si
ritiene che la società così com'è non possa, e anzi non debba, essere cambiata, se
non in aspetti di dettaglio. Queste ideologie non fanno scalpore come quelle di rivoluzione o anche solo di riforma. Non è conservatrice l’attuale dottrina sociale,
una delle poche ideologie di riforma che ancora si stanno affermando. Da noi le
ideologie prevalenti ritengono che la società sia dominata dai fatti economici
e che questi ultimi si svolgano secondo le dinamiche della natura: pesce grosso
mangia pesce piccolo. Sopravvive il più adatto. Questo meccanismo di evoluzione della natura
fu teorizzato tra i primi dall’inglese Charles Darwin, vissuto nell’Ottocento. Applicata ai fatti sociali, come ideologia, questa teoria viene
chiamata darwinismo sociale. Ve ne
sono state diverse versioni. Una venne diffusa dal nazismo tedesco. Oggi si
parla di neo-darwinismo. La società è vista, sotto
questo aspetto, come costituita di attori economici costantemente in lotta: poiché sopravvive il più adatto,
ad esempio l’azienda più adatta e le altre falliscono, conseguirebbe un
miglioramento dell’economia e anche dell’intera società. L’idea è affine a
quella, proposta dai futuristi italiani e dal fascismo mussoliniano, della
guerra come solo igiene del mondo, anch'essa un darwinismo sociale. Gli economisti però hanno scoperto che, in
realtà, in economia non sopravvive il più adatto e nemmeno il migliore, ma
colui che sta sfruttare meglio certe possibilità di condizionare il
comportamento degli attori del mercato, i quali non agiscono in modo razionale ma emotivo. Vince chi riesce a condizionarne le emozioni. Questa scoperta è stata assimilata anche dai politici, che hanno iniziato ad
utilizzare spregiudicatamente le tecnologie di marketing, che sono quelle
che appunto cercano di influenzare il mercato, in particolare facendo
applicazione di strategie psicologiche per la personalizzazione del loro potere, per proporre in primo luogo se stessi personalmente.
Questa personalizzazione porta all’affermazione
di capi politici, piuttosto che di ideologie. Si fa appello all’affidamento
nella persona, e non viene spiegato, in dettaglio, come si pensa di raggiungere
certi risultati. Il politico si limita spesso ad indicare obiettivi, tarandoli
sui desideri e sulle paure del pubblico, quindi sulle sue emozioni. Non si preoccupa di dare coerenza alla
propria politica. Ad esempio propone di ridurre le tasse e
contemporaneamente di aumentare la spesa pubblica, il che richiederebbe più
tasse.
2. La personalizzazione
della politica semplifica il lavoro del politico. In particolare non gli
richiede di esibire un certo curricolo, ad esempio sui suoi studi o sui risultati positivi di precedenti esperienze. Questo non
conta. E nemmeno conta presentare una squadra di collaboratori, come si fa in
genere quando si deve affrontare un lavoro complesso, come, ad esempio,
costruire una grande opera pubblica. Tutto rimane in superficie. Conta la
simpatia della persona, la sua disinvoltura davanti alle telecamere, come dice le cose, non le cose che dice.
La personalizzazione della politica porta
poi, per quelli che hanno successo, a un potere di tipo personale, in cui conta
molto la fedeltà al capo.
Questo accadde in modo eclatante durante l’egemonia,
in Germania, di Adolf Hitler e, in Italia, di Benito Mussolini. Il primo aveva
completato solo le scuole elementari, il secondo era di professione maestro
elementare, oltre che giornalista. Tuttavia il primo, quello delle scuole
elementari, nel corso degli anni ’30, finì
per prendere il sopravvento sul maestro elementare. L’Europa, negli anni
tra il 1933 e il 1945, fu profondamente cambiata dalle loro politiche. Tutta la grande
cultura europea contò poco, ci si lasciò condurre da quei due. Essi però non basarono
tutto sulla personalizzazione: produssero anche ideologie piuttosto elaborate di
trasformazione sociale. Ma al fondo, tutto si riduceva a darwinismo sociale: pesce grosso mangia pesce piccolo, quindi bisogna cercare di essere di quelli grossi. Quelle ideologie, con il senno del poi, ci appaiono poco aderenti
alla realtà, e addirittura per certi versi primitive, ma non sembrarono così quando presero piede. E anche oggi c'è chi ne ha nostalgia. Ideologia e
personalizzazione lavorarono bene insieme. La gente, anche i più colti, si
lasciarono trascinare. Poca resistenza sviluppò la nostra religione. Questo, oggi,
sorprende, in una fede in cui parla tanto di amore. Ma per quale motivo? L’ideologia neo-darwinistica
che oggi prevale in Occidente non ci
fa assolutamente problema ed è, in fondo, basata sugli stessi fondamenti di quelle del nazismo e del fascismo: popoli
in lotta in cui deve prevalere il più adatto e in questo starebbe la sola
igiene del mondo.
Di solito si accostano le figure del tedesco
Adolf Hitler e dell’italiano Benito Mussolini a quella del georgiano Iosif
Stalin, il despota comunista che, dopo essere stato tra i protagonisti della rivoluzione
russa dal 1917, egemonizzò l’Unione Sovietica dal 1926 al 1953, anno della sua morte.
Vengono presentati come tre pazzi. Ma pazzi non erano. Personalizzarono tendenze politiche presenti nelle società del
loro tempo. Altrimenti non avrebbero avuto seguito tra la gente, e invece
furono molto popolari. Allora potremmo dire che ad essere pazze erano le società da loro dominate. Impariamo, allora, a non
fare i pazzi in politica.
Stalin, in particolare, fu un politico molto diverso
dagli altri due. Non inventò un movimento, ma si inserì nel grande filone
del socialismo rivoluzionario, nel quale iniziò come rivoluzionario di professione. Propose una sua via al
socialismo che cercò di sviluppare secondo la dottrina elaborata da Lenin, che
prevedeva di forzare la società per accelerarne la trasformazione
sociale: su di essa si sviluppò un dibattito a livello mondiale tra i vari
socialismi, molti dei quali la condivisero. Stalin, fino alla fine, scrisse molto teorizzando quella via. Viene ricordato come persona dura e assai
determinata, fin dalle prime esperienze di agitazione sociale. Dicono di lui
che difficilmente si riuscisse a fargli cambiare idea. Questo lo rese un ottimo
agitatore politico. Ma il suo regime
rimase instabile fino alla Seconda Guerra Mondiale, nonostante le repressioni
stragiste che mirarono ad annichilire ogni opposizione e ogni dissenso, secondo il proposito di forzare la società a seguire una certa via al socialismo. L’ultima
guerra mondiale fu la grande occasione di Stalin, che, agendo in ciò che gli
riusciva meglio, vale a dire come rivoluzionario di professione e agitatore
sociale, riuscì a suscitare un potente movimento di popolo in Russia per resistere all’invasione
dei fascismi europei guidati dai nazisti tedeschi, stabilizzando il regime sovietico. Gli riuscì, in fondo, quello
che si proponeva Mussolini: la rigenerazione sociale mediante la guerra. Sviluppò
poi una diplomazia internazionale personale molto efficace, per cui, nelle foto
dell’epoca, compare tra gli altri grandi, lo statunitense Roosevelt e il
britannico Churchill. Il mondo uscito dalla guerra, quello diviso
nelle sfere di influenza di due super potenze, gli Stati Uniti d’America e l’Unione
sovietica, che durò fino all’inizio degli anni ’90, nacque anche da questa sua
azione, in un certo senso piuttosto personalizzata,
alla quale fu data l’occasione storica di affermarsi a seguito delle politiche
aggressive di Hitler e Mussolini e degli altri capi fascisti impegnati nella
Seconda guerra mondiale. Dopo la morte di Stalin, questa personalizzazione della politica staliniana venne
criticata nella stessa Unione Sovietica come espressione di un inaccettabile culto
della personalità. Ma non è questo che, in fondo, ancora si cerca di
praticare nell’Italia di oggi? E’ pazzia?
3. Un potere personalizzato tende a diventare dispotico. Storicamente è sempre accaduto così. Non basta mettere
nero su bianco delle regole contro il dispotismo. La Costituzione fatta
scrivere da Stalin nel 1936 è piena di grandi principi di libertà e, in parte,
è stata presa a modello per scrivere la nostra Costituzione. Ma rimase sempre,
nella massima parte, un libro dei sogni. Contava solo la fedeltà personale a Stalin e il seguire
pedissequamente l’ideologia dal lui diffusa e aggiornata. L’enorme carisma
personale conquistato da Stalin durante l’ultima guerra mondiale, in Unione Sovietica e all’estero, in
particolare tra i partiti comunisti, stabilizzò non solo il suo potere, ma
anche quello dei suoi successori: esso entrò in crisi solo nel corso degli anni
’80, per l’emergere di nuove tendenze democratiche nel comunismo di scuola
sovietica.
Che
lezioni trarre dalla storia? Le persone finiscono sempre per deludere in
politica, se si lascia loro troppo campo libero. L’appello alla fedeltà
personale e alla fiducia senza andare tanto per il sottile dovrebbe sempre
essere respinto. Le ideologie proposte dovrebbero sempre essere passate ad uno
stringente vaglio critico. Come si vogliono raggiungere certi obiettivi? Il politico ce lo deve spiegare punto per punto, passo per passo, passando una sorta di esame di maturità in cui noi elettori siamo la commissione d'esame. Si è preparato? Sa le cose? Ha delle lacune? Come risponde alle obiezioni?
E il male è sempre male, sia che lo facciamo noi
nella nostra vita personale, sia che se lo faccia lecito un capo politico. La
regola d’oro, non fare agli altri quello
che non vorresti fosse fatto a te, vale sempre. Se si esonerano i capi
politici dal rispetto della morale di base, poi, col tempo, ne potrebbero
uscire dei despoti. Spesso, invece, chiediamo ai capi politici di fare il male
che non ci sentiremmo di compiere personalmente, o anche di giustificare il male
che facciamo. Questa è appunto la politica populista.
E’ questo che accade, ad esempio, quando
prestiamo ascolto a discorsi xenofobi, di avversione contro gli stranieri che sono tra
noi o che vorrebbero venirci, o francamente razzisti, di disprezzo per qualche etnia
diversa dalla nostra, che sia quella dell’italiano meridionale o dell’africano.
L’etica come medicina per la personalizzazione
eccessiva? Può essere un’idea. Ma deve partire da noi stessi. Una buona politica, del capo politico come degli altri cittadini, è quella che ha un’etica, una
sola, non un’etica ad assetto variabile, ad esempio a seconda di chi ha la
peggio.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli