Minoranze che tiranneggiano maggioranze
Oggi non ci sono più in Italia partiti socialisti di massa. Io ho vissuto quando c’erano. Si aderiva perché c’era tanta altra gente come te che apparteneva alla popolazione che stava peggio. I socialisti sostenevano che unitə si aveva più forza sociale e così le cose potevano cambiare. Facevano scuola su questo. L’obiettivo era di far maturare nella persona una coscienza di classe, vale a dire la consapevolezza di dov’era in società e del fatto che i suoi problemi derivavano non tanto da qualcosa che non andava in lei ma dal posto che occupava in società essendovi nata, la classe appunto. La classe era il gruppo sociale in cui si era capitatə considerato dal punto di vista della partecipazione ai processi economici. Per il socialismo nell’epoca contemporanea le classi che animavano le dinamiche sociali erano quelle de3 capitalist3 e de3 proletar3. Capitalista è chi ha il controllo del capitale, vale a dire delle risorse impiegate in attività di impresa organizzate in aziende, essendone proprietario, proletariə è chi lavora in un’azienda, alle dipendenze del capitalista, insomma chi dipende da altrə per vivere. Secondo il socialismo questo assetto dell’economia avrebbe portato ad un progressivo accentramento della ricchezza in sempre meno mani, il che avrebbe portato fatalmente al crollo del sistema perché il mercato, il sistema degli scambi di cui vive l’economia capitalista, sarebbe saltato, per mancanza di domanda. Non solo: l’impoverimento di sempre più numerose masse di proletar3 avrebbe fomentato ad un certo punto la loro rivolta. Il crollo del capitalismo e la presa del potere da parte del proletariato avrebbe prodotto l’evoluzione sociale verso società senza classi, nelle quali la proprietà delle risorse produttive sarebbe stata pubblica, non sarebbe più stato necessario dannarsi le sopravvivere e ogni persona avrebbe ottenuto secondo il suo bisogno lavorando secondo quanto era capace di fare. In questo modo di vedere le cose i socialismi italiani si rifacevano al pensiero del tedesco Karl Marx (1818-1883), la cui opera più citata ma meno letta si intitola Il capitale, in più volumi. Era quindi socialisti marxisti.
Benito Mussolini (1883-1945) fu inizialmente un socialista rivoluzionario, che faceva quindi molto affidamento, per il superamento del capitalismo, sulla violenza collettiva. Fu anche direttore del quotidiano Avanti!, del Partito socialista italiano fondato nel 1892. Facendo molto conto sulla violenza per l’evoluzione sociale, fu a favore dell’intervento dell’Italia nella Prima Guerra mondiale, il primo conflitto bellico caratterizzato dagli eserciti di massa. Come altrə, pensava che i regimi capitalistici europei ne sarebbero usciti indeboliti mentre il proletariato avrebbe conquistato una mentalità rivoluzionaria, capace di abbatterli. Tuttavia questo suo orientamento lo pose in conflitto con la maggioranza del suo partito. Dopo la guerra né fondò un altro sulla base della convinzione che l’ingiustizia sociale avrebbe potuto essere temperata con provvidenze e istituzioni rette da un nuovo tipo di stato, mantenendo il capitalismo, e che le risorse occorrenti (l’Italia era un Paese povero) ce le si sarebbe procurate mediante guerre di conquista. L’importante è che tutti, capitalisti e proletari, combattessero come un solo fascio, agli ordini di un demiurgo, ruolo che Mussolini attribuì a se stesso, il Duce, mettendo da parte il dissenso, e quindi anche il metodo democratico, nel quale si cerca di superare i contrasti nel dialogo e nella trattativa, senza sopprimere chi la pensa diversamente.
Il socialismo rivoluzionario italiano, filone politico dal quale nel 1921, per scissione dal Partito socialista, derivò il Partito comunista italiano, non credeva che per via democratica si sarebbe ottenuta l’evoluzione verso una società più giusta. Infatti l’esperienza di quel tempo aveva dimostrato che, nonostante che in democrazia avrebbero dovuto vincere le maggioranze, e i proletari erano maggioranza in Italia, in realtà i governi erano ancora controllato dalle minoranze dei capitalisti. Altra parte del socialismo che nel tempo prevalse nel partito riteneva, invece, che organizzando il proletariato come forza elettorale, si sarebbe riusciti ad insediare un governo capace di riforme sociali tali da far evolvere la società in senso più giusto: per questo loro fare affidamento sulle riforme, questə socialistə vennero indicatə come riformistə.
L’esperienza storica dimostrò che nulla di buono esce dalla violenza.
Dove il comunismo riuscì a insediare propri governi, il partito, in assenza di contrappesi sociali, rapidamente degenerò in oligarchie violente, sostituendosi ai regimi capitalistici mantenendo tuttavia schiavo il proletariato.
Non diversa la situazione nei fascismi europei: essi crollarono per effetto delle guerre da essi stessi scatenate.
Nella prima enciclica della dottrina sociale contemporanea del Papato, la Delle novità – Rerum novarum, promulgata nel 1891 dal papa Vincenzo Gioacchini Pecci, regnante come Leone 13º, si condivideva la visione marxista della divisione di classe, ma non la soluzione proposta:
Motivo dell'enciclica: la questione operaia
1. L'ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente dall'ordine politico passare nell'ordine simile dell'economia sociale. E difatti i portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell'industria; le mutate relazioni tra padroni ed operai; l'essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo, e l'unione tra loro più intima; questo insieme di cose, con l'aggiunta dei peggiorati costumi, hanno fatto scoppiare il conflitto. Il quale è di tale e tanta gravità che tiene sospesi gli animi in trepida aspettazione e affatica l'ingegno dei dotti, i congressi dei sapienti, le assemblee popolari, le deliberazioni dei legislatori, i consigli dei principi, tanto che oggi non vi è questione che maggiormente interessi il mondo. Pertanto, venerabili fratelli, ciò che altre volte facemmo a bene della Chiesa e a comune salvezza con le nostre lettere encicliche sui Poteri pubblici, la Libertà umana, la Costituzione cristiana degli Stati, ed altri simili argomenti che ci parvero opportuni ad abbattere errori funesti, la medesima cosa crediamo di dover fare adesso per gli stessi motivi sulla questione operaia. Trattammo già questa materia, come ce ne venne l'occasione più di una volta: ma la coscienza dell'apostolico nostro ministero ci muove a trattarla ora, di proposito e in pieno, al fine di mettere in rilievo i principi con cui, secondo giustizia ed equità, si deve risolvere la questione. Questione difficile e pericolosa. Difficile, perché ardua cosa è segnare i precisi confini nelle relazioni tra proprietari e proletari, tra capitale e lavoro. Pericolosa perché uomini turbolenti ed astuti, si sforzano ovunque di falsare i giudizi e volgere la questione stessa a perturbamento dei popoli.
2. Comunque sia, è chiaro, ed in ciò si accordano tutti, come sia di estrema necessità venir in aiuto senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari, che per la maggior parte si trovano in assai misere condizioni, indegne dell'uomo. Poiché, soppresse nel secolo passato le corporazioni di arti e mestieri, senza nulla sostituire in loro vece, nel tempo stesso che le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano, avvenne che poco a poco gli operai rimanessero soli e indifesi in balda della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza. Accrebbe il male un'usura divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa., continua lo stesso, sotto altro colore, a causa di ingordi speculatori. Si aggiunga il monopolio della produzione e del commercio, tanto che un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all'infinita moltitudine dei proletari un gioco poco meno che servile.
PARTE PRIMA
IL SOCIALISMO, FALSO RIMEDIO
La soluzione socialista inaccettabile dagli operai
3. A rimedio di questi disordini, i socialisti, attizzando nei poveri l'odio ai ricchi, pretendono si debba abolire la proprietà, e far di tutti i particolari patrimoni un patrimonio comune, da amministrarsi per mezzo del municipio e dello stato. Con questa trasformazione della proprietà da personale in collettiva, e con l'eguale distribuzione degli utili e degli agi tra i cittadini, credono che il male sia radicalmente riparato. Ma questa via, non che risolvere le contese, non fa che danneggiare gli stessi operai, ed è inoltre ingiusta per molti motivi, giacché manomette i diritti dei legittimi proprietari, altera le competenze degli uffici dello Stato, e scompiglia tutto l'ordine sociale.
4. E infatti non è difficile capire che lo scopo del lavoro, il fine prossimo che si propone l'artigiano, è la proprietà privata. Poiché se egli impiega le sue forze e la sua industria a vantaggio altrui, lo fa per procurarsi il necessario alla vita: e però con il suo lavoro acquista un vero e perfetto diritto, non solo di esigere, ma d'investire come vuole, la dovuta mercede. Se dunque con le sue economie è riuscito a far dei risparmi e, per meglio assicurarli, li ha investiti in un terreno, questo terreno non è infine altra cosa che la mercede medesima travestita di forma, e conseguente proprietà sua, né più né meno che la stessa mercede. Ora in questo appunto, come ognuno sa, consiste la proprietà, sia mobile che stabile. Con l'accumulare pertanto ogni proprietà particolare, i socialisti, togliendo all'operaio la libertà di investire le proprie mercedi, gli rapiscono il diritto e la speranza di trarre vantaggio dal patrimonio domestico e di migliorare il proprio stato, e ne rendono perciò più infelice la condizione.
5. Il peggio si è che il rimedio da costoro proposto è una aperta ingiustizia, giacché la proprietà prenata è diritto di natura. Poiché anche in questo passa gran differenza tra l'uomo e il bruto. Il bruto non governa sé stesso; ma due istinti lo reggono e governano, i quali da una parte ne tengono desta l'attività e ne svolgono le forze, dall'altra terminano e circoscrivono ogni suo movimento; cioè l'istinto della conservazione propria, e l'istinto della conservazione della propria specie. A conseguire questi due fini, basta al bruto l'uso di quei determinati mezzi che trova intorno a sé; né potrebbe mirare più lontano, perché mosso unicamente dal senso e dal particolare sensibile. Ben diversa è la natura dell'uomo. Possedendo egli la vita sensitiva nella sua pienezza, da questo lato anche a lui è dato, almeno quanto agli altri animali, di usufruire dei beni della natura materiale. Ma l'animalità in tutta la sua estensione, lungi dal circoscrivere la natura umana, le è di gran lunga inferiore, e fatta per esserle soggetta. Il gran privilegio dell'uomo, ciò che lo costituisce tale o lo distingue essenzialmente dal bruto, è l'intelligenza, ossia la ragione. E appunto perché ragionevole, si deve concedere all'uomo qualche cosa di più che il semplice uso dei beni della terra, comune anche agli altri animali: e questo non può essere altro che il diritto di proprietà stabile; né proprietà soltanto di quelle cose che si consumano usandole, ma anche di quelle che l'uso non consuma.
Si trattò, com’è evidente di una enciclica sul socialismo marxista. Si pensava che la giustizia sociale si sarebbe potuta ottenere se, spinti da moventi etici, 3 capitalist3 avessero moderato le loro pretese e gli Stati avessero introdotto norme e provvidenze a favore del proletariato. Le forze della produzione, capitalist3 e proletar3, si sarebbero dovuti intendere come negli ordinamenti corporativi nel Medioevo, rinunciando al conflitto tra le loro classi.
Il Papa non faceva alcun conto sulla democrazia, che il Papato aveva aspramente combattuto fino ad allora e che Leone 13º addirittura scomunicò con l’enciclica Le gravi dispute sulla questione sociale – Graves de communi re del 1901, condannando l’idea di una democrazia cristiana.
Nelle prime elezioni politiche dopo la Prima guerra mondiale, nel 1919, tuttavia, risultarono vincenti i socialisti e i popolari, che qualche mese prima avevano costituito un partito ispirato alla dottrina sociale. Non vi erano però allora le condizioni ideologiche e politiche perché si coalizzassero (i socialisti erano all’epoca duramente anticlericali e i popolari avevano il divieto del Papa) e dunque qualche anno più tardi, nel 1922, il Re diede l’incarico di Presidente del Consiglio al Mussolini, nel cui governo entrarono anche i popolari. I fascisti all’epoca erano una forza parlamentare minoritaria, ma si erano accreditati verso le forze antisocialiste per aver combattuto con efferato teppismo i socialisti italiani, tra quali a quell’epoca prevalsero i socialisti rivoluzionari, in particolare sulla suggestione della vittoriosa rivoluzione del comunismo bolscevico in Russia.
Mario Ardigó- Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli