Alcide De Gasperi e la democrazia
[Dal libro di Pietro Scoppola, La proposta politica di De Gasperi, Il Mulino 1977, pagg.76-78]
La riflessione di De Gasperi [sulla democrazia], anche se non formulata in maniera sistematica, appare chiara e coerente nella sua linea fondamentale. Vi sono nel suo pensiero premesse dottrinali attinte dalla tradizione tomista; troviamo nei suoi appunti la citazione classica di S.Tommaso comune alla cultura politica dei cattolici del suo tempo, aperti ai valori della democrazia: omnes aliquam partem habeant in principatu: per hoc enim conservatur pax populi et omnes talem ordinationem amant et custodiunt [traduzione mia: tutti partecipino in qualche modo al governo: da ciò infatti dipende il mantenimento della pace nel popolo e che tutti amino e custodiscano tale ordinamento].
Ma vi è in De Gasperi una riflessione storica che lo rende consapevole e partecipe della grande tradizione democratico-liberale europea. Il cenno al duplice senso della rivoluzione francese implica non solo l’affermazione della libertà individuale e degli ordinamenti rappresentativi ma anche, sulla linea del Toqueville, l’idea di una democrazia pluralistica, che esprime una società articolata in cui individuo e stato non sono più entità astratte e contrapposte. Per De Gasperi non vi è contrasto, ma profonda armonia fra una democrazia così intesa e le esigenze più profonde del cristianesimo. Aveva già espresso con forza questo convincimento in una lettera a Jacini del 1932, rafforzando e rendendo più esplicito il giudizio formulato pubblicamente sulla Storia d’Europa di Benedetto Croce:
M’irrita come una ingiustizia – aveva scritto – mi turba il suo clericalismo, ossia il suo perfetto consenso con le dottrine più retrive della vecchia «Civiltà Cattolica»: quell’identificare ch’egli fa tra la vita, la prassi, il pensiero cattolico con i più discutibili atteggiamenti dell’autorità ecclesiastica e magari con la politica del Papa Re: quel trascurare di proposito la grande corrente liberale e democratica che pervade la Chiesa lungo tutto il secolo XIX: la quale corrente, se assume qua e là (come nel Lamennais dell’ultima maniera) aspetti ereticali, e se non giunge mai, o quasi mai, a trionfare della politica della Curia Romana, rimane nella sua quasi totalità, dal Rosmini al Montalambert al Curci del Vaticano Regio [Carlo Maria Curci, Il Vaticano regio tarlo superstite della Chiesa cattolica. Studi dedicati al giovane clero e al laicato credente, Fratelli Bencini Editori 1883], nei limiti della più rigida e fervente ortodossia.
Quelli che agli occhi del Croce sono fermenti, direi trascurabili, malattie passeggere dell’organismo clericale, rappresentano invece ai miei occhi le manifestazioni più profonde della vitalità immortale della Chiesa. E il Croce, che a proposito della letteratura settecentesca ha rilevato tanto acutamente come non nelle lettere propriamente dette si debbano ricercare le più alte manifestazioni artistiche di quel periodo, ma all’infuori di quelle, ossia negli scrittori scientifici, politici, filosofici: il Croce, dico, applicando il medesimo criterio ai fenomeni di cui stiamo parlando, avrebbe dovuto riconoscere ad esempio, come nel conflitto dell’Avenir [Quotidiano cattolico liberale (Parigi1830-1831), diretto da F. de Lamennais. Ebbe fra i redattori H. Lacordaire e C. Montalambert; propugnò la libertà di stampa, di associazione, di insegnamento e la separazione fra Chiesa e Stato. Combattuto dall’alto clero e dai partiti di destra, fu condannato da Gregorio XVI (enciclica Mirari vos, del 15 agosto 1832) – da Treccani on line] lo spirito della Chiesa abitasse nelle pieghe del saio di Lacordaire [Jean-Baptiste Henri (in religione Henri-Dominique) Lacordaire – prete e frate domenicano] almeno quanti nei paludamenti di Gregorio XVI: allo stesso modo come ai tempi della Benincasa [Caterina Benincasa, detta Santa Caterina da Siena, vissuta nel Trecento] esso spirava a Siena piuttosto che ad Avignone: ai tempi del poverello [Francesco d’Assisi], piuttosto alla Porziuncola che in Vaticano. Idee pericolose – ti sento dire (vedo la smorfia) – idee intinte di protestantesimo e di modernismo. No caro, i dogmi, grazie a Dio sono pochi, il Sillabo non è un dogma e la proclamata infallibilità pontificia ha avuto il provvidenziale effetto di restringere, piuttosto che allargare, la sfera dell’autorità dogmatica del Pontefice: la vita, la gloria della Chiesa è fatta da tutti i fedeli, non esclusi quelli che in dati momenti storici sono apparsi al volgo come eretici – Savonarola e S.Giovanna d’Arco insegnino. Se il Croce erra, come erra certamente stabilendo l’equazione «libertà=liberalismo=partito liberale», bisogna per combatterlo negargli anche quest’altra ch’egli afferma con pari nettezza: «cattolicesimo=Santa Sede=politica pontificia». Sono, a mio avviso, due errori di metodo, analoghi e paralleli.
Se gli studi, ai quali attendo da qualche anno, potessero giovare a qualche cosa, essi mi dovrebbero servire proprio a questo: a dimostrare come la perenne vitalità del cristianesimo abbia lievitato, per così dire, tutta la massa delle idee e degli sforzi tendenti, lungo tutto il XIX secolo, verso la libertà: come essa, attraverso incomprensioni e contrasti, sia stata molla potente di azione in seno al liberalismo medesimo: come la voce della tradizione cristiana abbia risuonato, sì, sulle labbra d’un d’Ondes Reggio, un Tommaseo, ma anche a volte, su quelle di un Cavour, di un Ricasolo, e, perché no, di un Mazzini. Il che non potevano vedere – irretiti com’erano nella difesa, d’altronde legittima, di passioni e d’interessi politici materiali- gli uomini che lottavano per i diritti della Chiesa: ma ben dobbiamo vederlo oggi noi, storici: ed anche noi cattolici, se non vogliamo attribuire al liberalismo come tale alcune delle sue rivendicazioni più belle, semplici riflessi, inconsapevoli utilizzazioni della grande tradizione cattolica.
Questa lettera lucida e appassionata, scritte in circostanze che escludono ogni preoccupazione tattica, offre una chiave essenziale di lettura di tutta l’opera politica di De Gasperi nel secondo dopoguerra,
L’accettazione delle libertà moderne e della democrazia fondata su suffragio universale e sugli ordinamenti rappresentativi significa in particolare per i cattolici italiano piena accettazione del Risorgimento italiano: la Conciliazione del ’29 rappresenta per De Gasperi – che si stacca in questo dall’interpretazione di Patti proposta dalla «Civiltà Cattolica» la quale aveva visto in essi l’avvio di una restaurazione confessionale dello Stato e della società italiana – la premessa di una piena libertà di movimento per i cattolici italiani,
Pertanto si legge nel Testamento [Testamento politico, del 1943]:
I cattolici italiani […] sono ora più che mai destinati a riprendere la tradizione di libertà che li ricongiunge ai neoguelfi – Manzoni, Rosmini, Troya, Capponi, Tosti, Tommaseo – e alle menti più illuminate del Risorgimento; e a proclamare con Cesare Balbo che i governi rappresentativi non sono un’invenzione nuova di nuove ideologie, ma un prodotto della civiltà progredita, uno svolgimento della natura umana, conformata dal Creatore ad una progredente libertà (C. Balbo, Monarchia rappresentativa).
La tradizione cattolico-liberale italiana insomma rappresenta per De Gasperi il tramite necessario per ricollegarsi al grande movimento liberale europeo.