Ancora su minoranze che tiranneggiano
In una democrazia dovrebbe comandare la maggioranza e, poiché la ricchezza tende ad accentrarsi nelle mani di chi comanda, le diseguaglianze sociali dovrebbero tendere a ridursi. È così che accade nell’Europa Occidentale, il nostro mondo? È così in Italia?
Comunque, pur in presenza di marcate diseguaglianze sociali, in un regime democratico ci si dovrebbe aspettare che, almeno, i più non avessero seri problemi a procurarsi ciò che è indispensabile per vivere e mettere su famiglia, vale a dire, uso un’espressione del politico cattolico è democristiano Giorgio La Pira, pane, casa, lavoro. E i vecchi e i malati dovrebbero essere assistiti, perché vecchiaia e malattia sono problemi di tutti. Se, però, prendiamo in mano un quotidiano, ci accorgiamo presto che questo non accade più nell’Italia di oggi, sempre più persone, pur lavorando, non riescono ad acquisire quei beni essenziali e questo anche se le statistiche economiche ci dicono che l’Italia è ancora un Paese ricco e non già per le sue risorse naturali, come petrolio e altre materie prime presenti nel sottosuolo, ma per come si sa lavorare. Si parla anche, a questo proposito, di lavoro povero, che è quando si lavora ma si rimane sotto la soglia statistica della povertà e il lavoro rimane precario.
Questa, anche se molto peggiore, era anche la situazione della Gran Bretagna della seconda metà dell’Ottocento quando vi visse esule Karl Marx (Treviri 1818 – Londra 1883), nonostante che si fosse in un regime democratico. Ne scrisse in particolare nel primo libro de Il capitale.
Approfondite voi com’è e funziona la società italiana d’oggi. È un dovere della persona di fede. Nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa
è spiegato il perché.
A me pare che l’economia sia nelle mani dei grandi capitalisti, che la governano non tanto come persone fisiche ma mediante sofisticati strumenti giuridici quali sono le società commerciali, e che, nel governare le istituzioni pubbliche di tenga conto principalmente dei loro interessi. E non di rado si avverte un certo fastidio verso l’azione dei sindacati dei lavoratori, le istituzioni associative che cercano di migliorare le condizioni contrattuali del lavoro dipendente. Quando poi si parla della necessità di sacrifici nell’interesse nazionale, di solito si tratta di sofferenze che colpiscono le persone che in società stanno peggio. È stato osservato che, addirittura, il potere d’acquisto dei salari, intendendo con questa parola estensivamente i corrispettivi per il lavoro dipendente, è diminuito negli ultimi vent’anni. La remunerazione del capitale investito nelle attività economiche è invece considerata una variabile indipendente, che deve rimanere in linea con quella corrente nel mondo, perché, altrimenti, si osserva, i capitali vengono investiti altrove. I sistemi giuridici, ormai integrati a livello mondiale nell’era della globalizzazione, consentono ai capitalisti di sganciarsi rapidamente dalle aziende e anche di trasferirle altrove. I lavoratori non hanno analoghe opportunità. Mentre per il capitale non ci sono confini, per loro ci sono, eccome. I cosiddetti migranti economici, spesso tanto disprezzati, sono in definitiva persone lavoratrici che tentano di trasferirsi altrove alla ricerca di migliori condizioni di lavoro.
Come accade che in un regime politico in cui dovrebbe comandare la maggioranza, in definitiva comandi la minoranza di chi sta meglio?
Ragionateci sopra.
I problemi sociali di più derivano dalla presenza di minoranze quali omosessuali, immigrati neri, marxisti ed ebrei, come sostengono alcun3, o dal prevalere di una minoranza che in società hanno avuto la meglio?
Per lenire questa situazione sono necessarie provvidenze, norme e istituzioni sociali, che in Italia dal 1948 sono anche previste in Costituzione, anche per l’azione determinante di cattolici democratici, quale fu, ad esempio, Giorgio La Pira, che ho prima ricordato.
Si legge, ad esempio, nell’art. 36:
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.
Si tratta di una norma che vi pare sempre rispettata nell’Italia di oggi?
Va detto che provvidenze, norme e istituzioni del genere furono deliberate in Italia proprio durante il fascismo mussoliniano. In particolare, nel quadro dell’ordinamento corporativo dei rapporti di lavoro, furono emanati negli anni ‘30 i primi Contratti collettivi nazionali di lavoro con forza di legge dello Stato, che rimasero in vigore anche nella nuova Repubblica democratica fino a che vennero sostituiti dalla contrattazione collettiva di diritto privato.
È certamente in questione la proprietà, e in particolare quella dei mezzi di produzione.
Il Papa Leone 13º definì la proprietà, nell’enciclica Delle novità - Rerum novarim un diritto naturale, vale a dire un diritto che della quale le persone non possono essere private per volontà politica, ma certamente nella tradizione della Chiesa non la si è mai ritenuta un diritto assoluto.
Ecco come se ne parla nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa:
b) La ricchezza esiste per essere condivisa
328 I beni, anche se legittimamente posseduti, mantengono sempre una destinazione universale; è immorale ogni forma di indebita accumulazione, perché in aperto contrasto con la destinazione universale assegnata da Dio Creatore a tutti i beni. La salvezza cristiana, infatti, è una liberazione integrale dell'uomo, liberazione dal bisogno, ma anche rispetto al possesso stesso: « L'attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede » (1 Tm 6,10). I Padri della Chiesa insistono sulla necessità della conversione e della trasformazione delle coscienze dei credenti, più che su esigenze di cambiamento delle strutture sociali e politiche del loro tempo, sollecitando chi svolge un'attività economica e possiede beni a considerarsi amministratore di quanto Dio gli ha affidato.
329 Le ricchezze realizzano la loro funzione di servizio all'uomo quando sono destinate a produrre benefici per gli altri e la società: « Come potremmo fare del bene al prossimo — si chiede Clemente Alessandrino — se tutti non possedessero nulla? ». Nella visione di san Giovanni Crisostomo, le ricchezze appartengono ad alcuni affinché essi possano acquistare merito condividendole con gli altri.687 Esse sono un bene che viene da Dio: chi lo possiede lo deve usare e far circolare, così che anche i bisognosi possano goderne; il male va visto nell'attaccamento smodato alle ricchezze, nella volontà di accaparrarsele. San Basilio il Grande invita i ricchi ad aprire le porte dei loro magazzini ed esclama: « Un grande fiume si riversa, in mille canali, sul terreno fertile: così, per mille vie, tu fa' giungere la ricchezza nelle abitazioni dei poveri ». La ricchezza, spiega san Basilio, è come l'acqua che sgorga sempre più pura dalla fontana se viene attinta con frequenza, mentre imputridisce se la fontana rimane inutilizzata. Il ricco, dirà più tardi san Gregorio Magno, non è che un amministratore di ciò che possiede; dare il necessario a chi ne ha bisogno è opera da compiere con umiltà, perché i beni non appartengono a chi li distribuisce. Chi tiene le ricchezze solo per sé non è innocente; darle a chi ne ha bisogno significa pagare un debito.
La nostra Costituzione, frutto della collaborazione di forze socialiste e cristiano democratiche, riflette quella concezione:
Articolo 41
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.
Articolo 42
La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
Questa politica di riequilibrio sociale ha costi rilevanti. I tributi servono anche a finanziarla, non solo a pagare i costi di quelli che, nella concezione liberale, sono le funzioni essenziali dello stato: governo, normazione, giustizia, polizia, difesa. È quindi significativo il fastidio che si avverte da parte del ceto politico quando tratta di tasse. Significa che si adotta la visione della minoranza di chi sta meglio.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli