Tener conto della storia
Come vi ho scritto in precedenza, sto leggendo il libro “La sinodalità al tempo di papa Francesco – 1 – Una chiave di lettura storico dogmatica”, a cura di Nicola Salato, EDB, 2020, che è composto di una serie di brevi articoli di vari autori. Quello intitolato “La sinodalitá in prospettiva eucaristico-sinodale” è di Agostino Porreca”. Leggendolo ci si può fare un’idea dell’estrema difficoltà di sperimentare cambiamenti nella nostra Chiesa. Ma essa mi pare problema comune anche nelle altre Chiese cristiane storiche.
Porre le istituzioni ecclesiastiche in una relazione troppo stretta con la teologia dogmatica le rende non riformabili.
La gran parte della nostra dogmatica si è formata tra il Quarto e il Nono secolo, in un’era in cui ci fu la convinzione di poter creare tra i cristiani un’unità protetta da un’autoritá di tipo imperiale, a lungo rappresentata dall’imperatore con sede a Bisanzio, specchio di un ordine Celeste.
Nell’ambito di quell’autorità agivano con molta autonomia i patriarcati e gli altri episcopati, che cercavano di comporre le diversità di vedute su temi di organizzazione ecclesiastica e di definizioni di fede mediante riunioni collegiali denominate concili e sinodi. In genere con risultati precari. Da qui il frequente ricorso all’anatema (il Concilio Vaticano 2^ è stato il primo che non ne ha deliberati) e alla violenza politica.
Nell’Europa occidentale il potere dei vescovi, per influenza degli assetti istituzionali veicolati dalle dinastie germaniche succedute all’Impero romano, assunse configurazioni propriamente feudali, venendo i vescovi ad esercitare anche domini territoriali. Il dominio territoriale che il Papato iniziò ad esercitare nel Centro Italia, fino alla costituzione, in epoca moderna, di un vero e proprio stato, del quale l’attuale Cittá del Vaticano riproduce alcune caratteristiche pur non essendone il successore, originò da quella evoluzione. Altra manifestazione di questo processo fu che, dal 13^ al 19^ secolo, tre dei sette “elettori” del “Sacro Romano Imperatore” furono vescovi. Così come lo stato, costituito nel Sacro Romano Impero, del Principato vescovile di Trento, durato dall’11^ al 19^ secolo.
I riflessi sulla dogmatica di quelle concezioni del miglior potere politico sono evidenti, anche se io non ho la competenza culturale e scientifica per trattarne sistematicamente. In particolare li vedo nella Cristologia e nelle idee su che cosa è e come si deve vivere come Chiesa. Questo contesto culturale è irrimediabilmente dissonante con le diverse concezioni del potere politico che caratterizzano le democrazie europee in fase di integrazione nell’Unione Europea (una costruzione istituzionale nella quale u movimenti cristiano-democratici hanno avuto gran parte).
Conciliare le antiche concezioni con le nuove, che denotano in modo anch’esso molto evidente gli attuali processi sinodali tedesco e italiano, è impossibile.
I teologi cercano di farlo estendendo certe sacralizzazioni liturgiche allo “spirito sinodale” che si vorrebbe suscitare, in sostanza, in tutti i fedeli, in modo da farne la base per processi di più larga partecipazione, in particolare per sollevare il laicato dalla sua attuale umiliante condizione. Ciò che viene tentato sulla base della teologia eucaristica. Questa però si è già dimostrata una via che non conduce al risultato sperato. La liturgia non funziona nelle assemblee organizzative, fatte per esaminare problemi, soluzioni e programmi comuni, in cui il presupposto perché non siano solo vuoto formalismo è la libertà di esprimersi e l’accettazione del pluralismo.
La teologia ancora oggi può fare grande danno nell’argomentare solo per via di logica dai principi dogmatici soluzioni politiche senza tener conto dei risultati storicamente ottenuti, senza imparare dall’esperienza passata. Aver cercato di portare il Cielo in Terra ha generato tutte le atrocità della tremenda storia dei cristiani. Forse la sapienza dei teologi potrebbe riuscire a distinguere la mistica, che certo è dimensione irrinunciabile della nostra spiritualità, dalla costruzione sociale di una convivenza pacifica, che richiede la desacralizzazione della politica, anche di quella ecclesiale. Significherebbe anche pensare una teologia della democrazia come oggi la viviamo in Europa (e la viviamo in modo molto diverso da come la si viveva ai tempi dei primi duri scontri con le Chiese cristiane).
Scrive Porreca:
“A questa essenziale sinodalità della Chiesa, rivelata è manifestata dalla l’ex orandi [=liturgia], non corrisponde un adeguato sviluppo delle strutture sinodali, che ovviamente non possono limitarsi alle sole strutture di consultazione, non sufficientemente rispettose della corresponsabilità battesimale”.
Ecco, questo è proprio il problema!
Esso non ha una soluzione liturgica, ma deve averne una politica, che significa capire che “il Regno non è di questo mondo” e non significa regno secondo le impersonificazioni che storicamente vi furono a tutti i livelli, e anche nella nostra Chiesa. Ciò comporterebbe una diversa configurazione politica della nostra gerarchia, senz’altro pensabile senza ledere la dogmatica. L’ideale dei “Principi vescovi” sta tramontando. Le Chiese cristiane storiche arrivate ai tempi nostri hanno realizzato ciò che mai era accaduto nella storia, vale a dire un’unità di agápe e di reciproca stima che corrisponde finalmente ai comandi evangelici, e ciò pur nel pluralismo religioso. Ciò che chiedevamo, e ancora chiediamo, nelle nostre preghiere sta iniziando a manifestarsi.
Per la loro estrema sacralizzazione, incrostata e appesantita dalla gestione dei patrimoni ecclesiastici, la riforma delle istituzioni di vertice della nostra Chiesa si è rivelata storicamente impossibile, nonostante le sincere buone intenzioni di molti. L’unica sperimentazione che si può tentare, sperando realisticamente in qualche risultato,è quella da fare nelle realtà di base, come le parrocchie.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma