Sinodo e sinodalitá
Nel prossimo ottobre inizierà il “processo sinodale” della Chiesa italiana. La proposta è nuova. Non lo si vuole infatti solo come un’assemblea dei vescovi italiani e dei loro invitati, preceduta da una consultazione della base, ad esempio delle parrocchie, ma come un’attività di riforma del modo di essere e di fare Chiesa che coinvolga tutti i fedeli. In modo che le decisioni non calino solo dai vertici, ma scaturiscano anche dal tirocinio, dalle sperimentazioni e dalle proposte emergenti nella base. La novità sta appunto in questo: di coinvolgere in quel modo la base. Stando alle esperienze storiche è infatti più facile cambiare in basso che in alto, a causa della rigidità delle strutture di potere ai vertici.
Si stanno pubblicando molti studi sul tema della sinodalitá, anche accessibili a chi non è teologo, ma ha solo una acculturazione generica al discorso teologico.
Anch’io sto facendo alcune letture e vorrei farvi parte di ciò che credo di stare capendo.
È chiaro che si tratta di materia molto complessa, perché la storia delle nostre Chiese lo è. Anche i grandi esperti la affrontano con l’umiltà che è tipica della vera scienza, vale a dire quella che è sempre in ricerca. Tanto più se la si affronta senza aver avuto una formazione scientifica. Si legge, quindi, per poter porre ulteriori domande alla comunità di coloro che si interrogano e ricercano.
La cosa che mi pare emerga con molta chiarezza è che le Chiese delle origini erano organizzate in modo molto diverso da ora, in particolare nel Primo secolo, nel corso del quale si consolidarono le tradizioni confluite negli Scritti Sacri che definiamo Nuovo Testamento. Agli inizi la guida era sinodale. Per la scarsità delle fonti abbiamo però informazioni insufficienti a stabilire con precisione il metodo seguito, per imitarlo. Dal Secondo secolo piuttosto rapidamente la direzione delle Chiese locali si accentrò intorno a “un” vescovo, sul cui ministero venne costruita la teologia del “la Chiesa è dove è il vescovo”. Quasi contemporaneamente si sviluppò il sacerdozio, modellato culturalmente su quello dell’antico giudaismo palestinese, come attributo di una persona, non più quindi legato al servizio in una determinata comunità. Dall’inculturazione del Vangelo nelle filosofie ellenistiche, in un’interazione caratterizzata da aspri conflitti teologico-politici con caratteristiche molto diverse dal giudaismo delle origini, si sviluppò un sistema teologico con una diversa visione del mondo nella sua interazione con il Cielo, che, in modo ancora piuttosto misterioso, coinvolse la classe dirigente dell’antico impero romano. All’inizio del Quarto secolo venne proclamata la libertà religiosa, quindi anche la libertà di essere e vivere da cristiani, e il cristianesimo rapidamente sostituì l’antica religione politeistica come ideologia pubblica dell’impero; alla fine del Quarto secolo il cristianesimo fu dichiarato religione obbligatoria per tutti i sudditi. Dal Quarto al Nono secolo la politica dell’impero influì potentemente nella definizione dei principali dogmi, vale a dire delle formulazioni principali delle convinzioni di fede, di quella che ormai era una nuova religione. Tutti i concili svolti nel Primo Millennio e riconosciuti come “ecumenici”, vale a dire riguardanti tutte le Chiese, furono convocati e di fatto anche presieduti, direttamente o da loro delegati, dagli imperatori romani. Il vescovo di Roma vi inviò dei delegati. L’impero “romano”, a quell’epoca, non era più centrato su Roma, ma su Bisanzio/Costantinopoli, secondo il grandioso disegno politico realizzato dal 326 dall’imperatore Costantino Primo (306-337), nato in Serbia e morto in Anatolia nelle vicinanze dell’attuale Izmir. Costantino pensò se stesso come vescovo supremo, Vicario del Cielo, addirittura apostolo. La sua figura e la sua teologia politica, organizzata intorno a se stesso fu celebrata dal vescovo palestinese e scrittore (in greco) Eusebio di Cesarea, che fu suo consigliere e che fu protagonista del primo concilio ecumenico, quello svoltosi a Nicea, in Anatolia,nel 325, che definì ciò che è per noi Cristo, vale a dire il fondamento della nostra fede.
“Da Costantino, ma soprattutto con Teodosio [nato in Spagna nel 347 e morto a Milano nel 395] le disposizioni dei sinodi diventano anche leggi per lo stato […] In ambito intraecclesiale la normatività delle scelte dei sinodi precede il riconoscimento civile” [da Nicola Salato, La sinodalitá al tempo di Francesco -1- Una chiave di lettura storica dogmatica, EDB,2020 (anche in eBook).
In sostanza, dal Secondo secolo il Sinodo diventò cosa per capi religiosi, tanto che nel libro che ho citato si osserva che i Padri della Chiesa (scrittori di teologia tra il 1^ e il 7^ secolo il cui pensiero è riconosciuto come particolarmente importante per la definizione della nostra fede) non conoscono la sinodalitá, ma solo il sinodo, in quella accezione.
La proposta attuale di un “processo sinodale” riecheggia quindi le più lontane origini del nostro vivere come Chiesa.
Mario Ardigó; Azione Cattolica in San Clemente papa; Roma, Monte Sacro, Valli