Democrazia in
sintesi: storia, metodo, valori
0. Ripubblico alcune note su storia, metodo, valori della
democrazia. Come cittadini ci stiamo preparando alle elezioni politiche della
prossima primavera. Sento in giro che qualche volta si è poco convinti della
democrazia, si è democratici tiepidi. Di questi tempi la democrazia ha molti
diffamatori e può essere che si sia un po’ perduto il contatto vivo con essa:
un ripasso è sempre utile. Anzi, nella preparazione scolastica, si dovrebbe
sempre partire da lì.
1. La democrazia è una
forma di organizzazione della società in cui si vuole realizzare un’ampia
partecipazione alle decisioni comuni.
Democrazia è
una parola greca che si compone di altre due parole greche: dèmos,
che significa popolo, e cràtos, che significa potere.
Dunque significa il potere del popolo.
Gli antichi greci furono tra i
primi a ragionare sul potere sociale.
Contrapponevano la democrazia,
il potere dei più, alla monarchia, il potere di uno solo, e
alla oligarchia, il potere di pochi.
Anche in democrazia i capi
sono pochi, ma devono rispondere ai più, non hanno un potere illimitato e
possono essere periodicamente sostituiti.
Ciò che distingue una
democrazia da una oligarchia è dunque la possibilità di critica sociale
e l’esistenza di regole che limitino il
potere dei capi e ne prevedano la periodica sostituzione con metodi che
coinvolgano i più.
Schematicamente: in una
democrazia il potere tende a salire dal basso, perché i più possono scegliere i
pochi che saranno i loro capi; in una oligarchia il potere scende dall’alto,
perché i pochi che comandano scelgono i loro successori e quelli che
comanda ai livelli inferiori.
Ogni democrazia, degenerando,
tende a diventare una oligarchia, mentre ogni oligarchia è insidiata dai
processi democratici, così come ogni monarchia.
Nelle società complesse non
esistono vere monarchie: queste ultime, a ben vedere, sono in genere delle
oligarchie dinastiche, quindi basate su una rete di famiglia, per cui il potere
supremo rimane tra parenti che se lo trasmettono di generazione in generazione.
Un altro tipo di oligarchia è
la ierocrazia (un'altra parola greca composta da ieròs,
che significa sacro, e da cràtos): in essa i capi
ritengono di essere stati scelti in modo soprannaturale per fare da tramite tra
il Cielo e il mondo umano.
Attualmente la nostra Chiesa
è, dal punto di vista dell’organizzazione del potere, una oligarchia-ierocrazia
in cui si stanno sviluppando processi democratici.
La Repubblica italiana è
invece attualmente una democrazia in cui si stanno sviluppando processi
oligarchici: questa è una tendenza che è in atto in tutto il mondo, salvo che
in pochi stati.
Paradossalmente le monarchie
dell’Europa settentrionale sono i sistemi politici in cui i processi
democratici sono più attivi e al sicuro. La degenerazione oligarchica è
segnalata dalla restrizione della possibilità di critica sociale, ad esempio di
quella giornalistica, dell’ampliamento in durata ed estensione dei poteri dei
capi e dal contemporaneo indebolirsi dei limiti a questi poteri, ad esempio
della possibilità di ricorrere in giudizio contro le loro decisioni, e
dalla difficoltà della periodica sostituzione di chi comanda ai vertici
supremi.
Le monarchie e le oligarchie
in genere cadono a seguito di processi rivoluzionari, più o meno violenti. Le
democrazie possono evolvere in oligarchie senza atti formalmente rivoluzionari.
Queste informazioni vengono
date di solito agli studenti all’inizio dei corsi di Legge, Scienze politiche e
Sociologia, ma dovrebbero rientrare nel patrimonio culturale di tutti i
cittadini. Se ne dovrebbe parlare anche in parrocchia, se si vuole che prepari
i laici di fede a svolgere in società i compiti impegnativi indicati
nell’enciclica Laudato si’.
2. Ogni forma di organizzazione sociale cambia
continuamente. Questa è la lezione che ci viene dallo studio dei fatti umani,
fin da quelli più antichi.
Possiamo farci un’idea di come si era in tempi molto lontani studiando
le società umane meno evolute che ancora ci sono e che verosimilmente vivono
come i primitivi.
L’evoluzione delle società umane è stata favorita dalla conquista del
linguaggio e soprattutto da quella della scrittura. Con la produzione di
documenti scritti inizia la storia umana.
A quel punto le società erano già piuttosto complesse.
Dal
punto di vista biologico discendiamo da esseri viventi sociali. Come erano i
nostri progenitori non umani? Si pensa che fossero simili alle scimmie
antropomorfe (parola che significa: con
aspetti fisici e movenze simili a quelle umane) che vivono in gruppi
sociali dominati da un maschio che si accoppia con molte femmine e al quale
altri maschi sono sottomessi. L’evoluzione biologica è sociale ha reso
possibile organizzazioni più complesse, dominate da oligarchie di maschi o, più
raramente, di femmine. Tra i maschi probabilmente contavano di più i cacciatori
e i guerrieri e gli anziani, questi ultimi perché sapevano come andavano le
cose del mondo sulla base di una lunga esperienza. Nelle società primitive contemporanee
i capi sono anche mediatori con le divinità. Fin dalle origini probabilmente
era così. Gli esseri umani capivano di essere dominati da potenze non umane,
innanzi tutto quelle della natura, e le deificavano. Per rendersele propizie si
escogitarono dei riti, delle cerimonie simboliche, che avevano bisogno di chi
compisse le azioni prescritte: questo era il compito dei sacerdoti. I re, le
figure dominanti tra gli oligarchi, erano in genere sacerdoti. Fin dalle
origini troviamo quindi il potere connesso con la religione. Uno dei compiti
degli oligarchi, e i particolare dei re, era quello di risolvere le
controversie civili e religiose: questo produsse una giurisprudenza, vale a
dire una tradizione nelle decisioni con cui si risolvevano le liti, connotata
religiosamente. C’era un ordine nell’universo, di carattere sacro perché non in dominio umano, e, nel caso
venisse turbato, occorreva rimediare per ripristinarlo. La religione e il diritto servivano a questo e venivano
somministrati da giudici/sacerdoti. A ben vedere qualcosa delle origini rimane
anche nelle contemporanee ideologie religiose e giuridiche e questa è una
costante nelle cose umane, sia di quelle biologiche che sociali.
Ai
tempi nostri si ha talvolta l’idea che le società umani siano radicate in certi posti. Questo è uno sviluppo politico relativamente
recente nella storia umana, che si è avuto probabilmente con lo sviluppo
dell’agricoltura tra i 20.000 e i 10.000 anni addietro. Le società umane delle
origini erano verosimilmente nomadi e troviamo tracce di loro lunghissime
migrazioni per tutta la Terra. Abbiamo indizi molto convincenti che i
progenitori degli attuali Europei provenissero dal centro dell’Africa.
Il radicamento politico su un territorio sviluppò molto la
concezione giuridica della proprietà,
sulla base delle controversie che sorgevano. Si divenne proprietari di terra e
anche di altri esseri umani. I re, che concepivano sé stessi inizialmente come
figure paterne, come padri
del loro popolo, iniziarono ad agire
come proprietari di esso. Cercarono a lungo un’investitura
divina. E’ significativo che, ad un certo punto, gli antichi imperatori romani
assumessero anche la carica di pontefice
massimo, il più importante sacerdote dei lori tempi. E sommo Pontefice è uno dei
nomi con cui oggi si indica il Papa. Il potere politico veniva in questo modo
collegato all’ordine universale, cosmico (cosmo
è una parola del greco antico che significa universo).
Si ebbe così una sacralizzazione del potere, che significa appunto collegare il
potere all’ordine cosmico. Quest’ultimo veniva considerato come voluto dagli dei soprannaturali. Ciò che riguardava le cose
soprannaturali era sacro, nel senso
di sottratto religiosamente al potere degli esseri umani sotto pena di gravi
conseguenze. Solo speciali mediatori tra gli umani e il soprannaturale potevano
accostare il sacro. Sacralizzare il potere significò volerlo sottrarre alle
contestazioni e ad altri pretendenti. Il potere sacerdotale, di mediazione tra umani e soprannaturale, era
accentrato in chi deteneva il potere politico
e costituiva un’arma in più a presidio di quel potere. Vi furono anche
re che vollero farsi dei, ma in genere dei tra altri dei: vollero essere
considerati una delle potenze soprannaturali del mondo. Questa sacralizzazione del potere è ancora molto forte nella nostra
organizzazione religiosa.
3. La sacralizzazione del
potere politico spiega perché i processi democratici siano stati considerati
anche delle eresie e l’importanza che ha per la loro
affermazione il principio della laicità delle
istituzioni pubbliche.
Secondo il
principio della laicità dello stato, le istituzioni pubbliche
non devono far ricorso alla religione per motivare quello che fanno ed è
vietata ogni discriminazione su base religiosa.
La sacralizzazione del potere
si è sviluppata in varie forme nelle civiltà del mondo. In un discorso sulla
democrazia, però, interessa particolarmente il modo europeo, perché è da
europei che sono state ideate le prime democrazie contemporanee. E poi noi
italiani siamo europei.
Dal Quarto secolo della
nostra era, in Europa, la sacralizzazione del potere avvenne secondo la
teologia della nostra fede. Questo la mette in questione e ci mette
in questione, come persone di fede, parlando di democrazia. I sistemi politici
che scelsero come sede suprema del loro potere la città di Bisanzio,
nella regione greca della Tracia, furono il modello originario di quella
sacralizzazione: di là dominarono l’imperoromano, ridottosi
poi progressivamente a porzioni sempre più piccole del territorio originario,
procedendo le invasioni di popoli dal nord Europa e quelle arabe nel
meridione. Quello fu anche il modello della magnificenza liturgica dei
cerimoniali del potere europei. Ogni sovrano europeo vi si richiamò, compresi i
Papi. E’ significativo che tutti i Concili ecumenici, vale
a dire le assemblee deliberative comprendenti tutti i capi religiosi della
nostra fede, del primo Millennio della nostra era siano stati indetti
dagli imperatori di Bisanzio. In questo modello c’era
un sovrano celeste, soprannaturale, di cui quello terreno, l’imperatore era
un delegato. Le culture dei popoli che dal nord Europa avevano conquistato la
parte occidentale dell’Impero romano lo assimilarono. Nel Nono secolo della
nostra era, oligarchie di popolazioni germaniche costituirono un Sacro
Romano Impero, un’organizzazione politica sacralizzata secondo la nostra
fede durata circa mille anni. Possiamo riconoscere che la sacralizzazione del
potere politico funzionò bene nel renderlo più stabile. Traccia di questa
sacralizzazione la troviamo nei preamboli delle leggi del Regno d’Italia,
piuttosto vicino a noi nel tempo, dove è scritto che il sovrano regna e
legifera “per grazia di Dio”. Il Trattato tra la Santa
Sede e l’Italia, concluso l’11-2-1929 tra il papato romano, regnante
Achille Ratti - Pio 11°, e il Regno d’Italia, rappresentato da capo del Governo
dell’epoca Benito Mussolini, Duce del Fascismo, inizia con “In nome della
Santissima Trinità”. Formule analoghe furono impiegate negli atti
legislativi e di governo degli stati europei, ma il riferimento alla divinità
si trova anche in quelli di diversi stati islamici contemporanei.
La sacralizzazione giustifica
il potere assoluto, vale a dire senza limiti, del
sovrano. Non c’è autorità più alta di quella celeste, dunque anche quella del
delegato terreno di quella potenza non può riconoscerne un’altra superiore nel
mondo. La sacralizzazione del suo potere spiega perché, ancora oggi, il Papa è,
secondo il diritto canonico, quello della nostra organizzazione religiosa, un
sovrano assoluto. Si tratta, nelle nostre organizzazioni religiose, di un
processo che si è sviluppato nel secondo millennio della nostra era, non era
originario nella nostra fede. Nei secoli precedenti il papato, all’inizio, era
stato politicamente subordinato all’imperatore romano, in
realtà al potere politico supremo con sede in Bisanzio. Successivamente divenne
politicamente un feudatario (che significa principe di
livello inferiore, legato alla fedeltà ad un sovrano superiore) degli
imperatori germanici e da questi ebbe il suo regno nell’Italia centrale. Nel
secondo millennio della nostra era volle costituirsi come un impero religioso,
come supremo mandatario (che significa delegato) celeste, con un
potere più alto di quello dell’imperatore civile. Da qui una serie molto lunga
di conflitti politici tra il papato romano e le monarchie civili europee, e tra
queste ultime per ragioni anche religiose che coinvolgevano la loro sacralizzazione, quindi
la giustificazione del loro potere assoluto, con alterne vicende, fino a che,
tra il Cinquecento e il Seicento cominciò a svilupparsi il processo di laicizzazione del
potere politico. Questo consentì lo sviluppo e l’affermazione dei processi
democratici. Indebolitasi la giustificazione sacrale del
potere, ne occorreva trovare un’altra. Ma come giustificare, in questo nuovo
quadro, un potere assoluto, per di più attribuito a una sola
persona, scelta nelle generazioni di un’unica famiglia, come accadeva nelle
monarchie europee dinastiche? La persistente attuale, forte, sacralizzazione
del potere del papato romano ha impedito finora l’affermazione di processi
analoghi nella nostra organizzazione religiosa.
4.
Gli esseri umani, nella loro biologia
e nella loro psicologia, quindi nel corpo e nella mente, e le loro
organizzazioni sociali, in ogni loro aspetto, mutano continuamente.
Se non se ne è convinti, è inutile procedere con i ragionamenti sulla
democrazia, in particolare sulla democrazia come la si concepisce dalla metà
del secolo scorso. Perché, appunto, quel tipo di democrazia serve a far
cambiare la società pacificamente, ma a farla cambiare. La sacralizzazione del
potere politico serve invece a contrastare la tendenza delle società a
cambiare, travolgendo che le domina. In una società dominata da un potere sacralizzato un
cambiamento può essere solo rivoluzionario e violento. Un potere è sacralizzato quando
lo si ritiene frutto di una volontà soprannaturale, la volontà del Cielo. Si
istituisce così un continuità tra l’ordine dell’universo e quello politico, che
si ritiene scaturire da una medesima volontà. Ciò che è sacro si
ritiene sottratto al dominio umano sotto pena di gravi conseguenze, di
punizioni divine. Un potere sacralizzato, in cui chi domina
concepisce sé stesso come delegato del Cielo, si sentirà autorizzato
a irrogarle per conto della potenza celeste che
l’ha delegato. Tutte le società europee in cui si svilupparono, dalla
metà del Settecento, processi democratici erano dominate da regimi
assolutistici sacralizzati, nelle quali le dinastie regnanti, e i sovrani di
volta in volta da esse espressi, governavano“per grazia di Dio”.
Anche nel mondo contemporaneo vi sono poteri politici sacralizzati.
Siamo europei: anche nelle nostre società è così. La massima sacralizzazione
del potere politico si riscontra, nelle società europee, quelle del nostro
continente e quelle di colonizzazione europee, nella nostra Chiesa. Essa sotto
molti aspetti è ancora organizzata come un impero religioso, quindi come uno
stato, e ne possiede anche un simulacro qui da noi in città, nel quartiere
romano di Borgo. Lo definisce stato in modo non del
tutto conforme al Trattato che nel 1929 il papato romano,
regnante Achille Ratti - Pio 11°, concluse “ In nome della Santissima
Trinità”, come è scritto nel preambolo di quell’accordo internazionale,
con il Regno d’Italia, rappresentato nell’occasione del Duce del
Fascismo, Benito Mussolini. Infatti in quel Trattato si
legge che “è istituita la Città del Vaticano”, e mai si parla di
tale entità politica come di uno stato. Ma anche negli stati
dell’Unione Europea, benché basata sul principio della laicità delle
istituzioni pubbliche, si avvertono vari livelli di sacralizzazione del
potere politico. Una ripresa di sacralizzazione politica si avverte negli stati
dell’Europa orientale che all’inizio degli anni ’90 uscirono dal dominio dei
regimi comunisti. A livello simbolico, il mantenere il Crocifisso negli spazi
pubblici è una manifestazione di sacralizzazione delle
istituzioni pubbliche, anche se ora se ne propongono altre giustificazioni, in
genere poco convincenti dove vige il principio supremo della laicità
dello Stato.
Il principio giuridico,
e addirittura costituzionale, della laicità dello Stato significa
prendere atto che non vi è potere politico che possa arrogarsi di governare “per
grazia di Dio, sottraendosi così al giudizio collettivo e alla possibilità
di essere cambiato. Esso è fondamentale per lo sviluppo dei processi
democratici. E’ chiaro che non è in questione la nostra religione, ma la
sua strumentalizzazione politica, per lasacralizzazione del
potere politico.
Storicamente il processo
di desacralizzazione del potere politico iniziò con il
finire dell’era storia che definiamo Medioevo europeo,
nel Quattrocento. Esso fu innescato da sviluppi dell’economia che andarono di
pari passo a quelli delle scienze. Nelle città si aprirono nuovi spazi di
libertà per aumentare il benessere privato e collettivo, le relazioni
commerciali si intensificarono, si scoprirono nuove terre, che apparivano come
nuovi mondi. Lo sviluppo delle scienze, nelleuniversità europee
cominciò a rendere un’immagine più realistica del cosmo e dei fatti naturali.
Dal Duecento in Europa si
svilupparono università degli studi, istituzioni di studi
superiori, le quali in genere, in epoca e ambienti sociali di fortissima sacralizzazione del
potere politico, erano dominate dalla teologia della nostra fede. L’ordine
naturale e sociale dovevano combaciare, andare di pari passo, perché frutto di
una medesima volontà celeste, che aveva istituito sulla terra dei delegati, tra
i quali il papato romano, proprio in quell’epoca, pretendeva di essere il più
potente. A quel periodo risale l’istituzione del potente sistema di polizia
politica del papato romano, l’Inquisizione, che segnò tragicamente il
secondo Millennio, travagliando le vite di quasi tutti i riformatori in ogni
campo, fino all’affermazione dei processi democratici nel Settecento. Un
esempio di come la si pensava a quei tempi lo si ritrova nella Divina
Commedia di Dante Alighieri, scritta nel Trecento, un documento
essenzialmente di critica politica e religiosa in cui si riflettono le
concezioni dell’epoca sull’universo.
Il primo regno ad essere
colpito dal processo di desacralizzazione, quindi ad essere messo
in questione nella sua legittimazione sacrale, fu, nel Cinquecento,
il papato romano, con la Riforma promossa del monaco
agostiniano Martin Lutero (1483-1546) professore nell’università di Wittemberg,
nella regione tedesca della Sassonia, nel Nord-Est della Germania. Questo
processo, originato da controversie teologiche, ebbe prestissimo risvolti
politici, manifestando chiaramente di riguardare anche la sacralizzazione del
potere politico, anche se ad essere contestata era la sacralizzazione del
papato romano non la sacralizzazione del potere politico in sé. Il vero
processo di desacralizzazione iniziò invece dopo una lunga serie di conflitti
bellici tra regni europei che rivendicavano diverse forme di propria
sacralizzazione e in genere lo si fa risalire ad accordi di pace conclusi nel 1648
nella regione tedesca della Vestfalia, nel Nord-Ovest della Germania.
Il papato romano, fino ad
epoca recente, reagì sempre duramente ai tentativi di desacralizzare il
suo potere politico. Una della ultime manifestazioni di ciò fu
l’enciclica Quas primas [= Nella prima (enciclica)],
del papa Achille Ratti - Pio 11°, diffusa nel 1925, in cui, criticando il laicismo (l’orientamento
culturale volto ad escludere la religione dai discorsi pubblici), si critica in
realtà il principio della laicitàdello stato. In essa si legge
(testo integrale su
https://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_11121925_quas-primas.html )
Il "laicismo"
La peste della età nostra è il così
detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o
Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran
tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l'impero
di Cristo su tutte le genti;si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce
dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di
governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco
la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e
indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al
potere civile e fu lasciata quasi all'arbitrio dei principi e dei magistrati.
Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire
alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati
i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione
nell'irreligione e nel disprezzo di Dio stesso.
In seguito il papato romano usò
toni più sfumati, riconducendo la sua pretesa di potere all’ambito
essenzialmente spirituale. Di fatto rimase uno dei principali agenti politici
in Italia, e lo è stato fino all’inizio del regno di papa Francesco, ma
operando attraverso la mediazione prima di un partito cristiano desacralizzato,
vale a dire di ispirazione religiosa ma senza la pretesa di essere delegato da
poteri soprannaturali, e poi di più correnti politiche desacralizzate,
presenti in vari partiti politici, trasversali come si suole dire.
A conclusione di questo discorso, tengo a precisare che
bisogna convincersi di questo: non sono le religioni che minacciano la
pace politica, come talvolta sento sostenere, ma la sacralizzazione
del potere politico. Se il potere politico è sacralizzato,
allora viene a dipendere per la propria stabilità
da una, e una sola, religione. Per questo diventerà
intollerante della altre e queste ultime lo avverseranno per affermare il
proprio diritto civico ad esistere o per affermare un potere politico
sacralizzato basato sulle proprie convizioni di fede. Se invece lo
si desacralizza, quindi se trova giustificazioni non
religiose per la propria sussistenza, potrà reggere società in cui si
manifestano più concezioni religiose e anche concezioni ateistiche. Un esempio
di ciò lo vediamo nella prima delle democrazie contemporanee, gli Stati Uniti
d’America, in cui un potere politico totalmente desacralizzato regge una
società complessivamente molto religiosa, secondo diverse confessioni.
5. L’evoluzione degli organismi e delle
società lascia tracce di ciò che c’era prima in ciò che si è evoluto. Ecco
perché, ragionando sul futuro, è importante conoscere la storia, quindi gli
eventi passati. Sotto certi profili il passato non è sempre veramente passato.
Lo vediamo, ad esempio, nelle lingue umane. Dico “lingua” e parlo
latino, la lingua della Roma di duemila anni fa, ma insieme anche l’italiano di
oggi.
La Questione romana ha
travagliato la storia italiana dall’unità nazionale, nel 1861, alle elezioni
politiche del 1913, le prime a cui poterono votare tutti gli adulti maschi
cittadini italiani. Il papato romano, come reazione alla conquista militare del
suo piccolo stato nell’Italia centrale da parte del Regno d’Italia, vietò
ai fedeli italiani, obbligandoli per fede e quindi considerando in peccato
mortale i trasgressori, la partecipazione alle elezioni politiche nazionali,
sia come candidati sia come elettori. Il Re Savoia venne scomunicato (in un
Regno che nel suo Statuto proclamava: “La Religione
Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato”!).
Successivamente il papato romano contrastò duramente i processi democratici
nazionali, vietando espressamente di considerarli validi per portare valori di
fede nell’organizzazione sociale italiana, vietando quindi ogni idea di una democrazia
cristiana, punendo come eretici coloro che non si uniformavano a
quest’orientamento. Negli anni Venti del secolo scorso contrattò con il
Mussolini, il Duce del Fascismo, il simulacro di stato che ancora possiede nel
quartiere romano di Borgo, concludendo nel 1929 accordi con i quali accettava
gravissime limitazioni alla libertà di azione dei preti, che fino ad allora
erano stati protagonisti della vita sociale italiana, e di tutti gli altri
fedeli, considerando così chiuso provvidenzialmente il
conflitto con il Regno d’Italia. E, infine, con l’enciclica Il
Quarantennale, del 1931, spinse gli italiani verso il fascismo proclamando
di apprezzarne l’ordinamento corporativo, invitando i fedeli a collaborarvi, ma
anche l’azione repressiva politica contro le organizzazioni socialiste. Nessuna
autocritica è mai venuta dal papato per questa tragedia nazionale, salvo il
riconoscere, come fece il papa Montini, la natura provvidenziale della
fine dello Stato Pontificio, il regno politico dei papi. Questa autocritica
deve però venire da noi fedeli: dobbiamo essere consapevoli dell’influenza
negativa che, a lungo, la religione ha avuto nello sviluppo della democrazia
nazionale.
La lunghissima sacralizzazione dei
poteri politici in Europa fece ritenere al papato romano di non essere sacro a
sufficienza senza un proprio dominio politico territoriale, senza un
proprio stato. Questo perché, fino alla fine della Seconda guerra
mondiale, nel 1945, lo stato era ritenuto la sede del potere
supremo, vale a dire di quello che non riconosceva altri poteri sopra
di sé (questa è proprio la formula che definiva il potere statale nei
manuali di diritto pubblico di una volta): il papato romano storicamente,
dall’inizio del Secondo millennio della nostra era, non volle riconoscere alcun
potere politico sopra di sé e dunque ritenne che gli fosse
indispensabile possedere uno stato. Nel mondo di oggi
non è più così. Si è costituita una potente organizzazione sovranazionale,
quella delle Nazioni Unite, che dà direttive agli stati e questi
ultimi sono spesso legati ad altre organizzazioni simili, come accade nella
nostra Unione Europea. Si organizzano azioni internazionali per
deporre dittatori o per far cessare crudeltà e guerre. Un potere
che possieda uno stato non può più essere considerato
solo per questo supremo. Se ne sono accorti anche nel piccolo regno
di quartiere dei papi, quando non avevano adeguato le loro procedure di
controllo finanziario alla normativa internazionale antiriciclaggio e allora
gli si sono spenti i bancomat. Sono dovuti di corsa correre ai ripari.
Ecco come la
rivista Panorama ha sintetizzato quella vicenda in un
articolo del gennaio 2013:
I bancomat funzionano in tutta la Capitale, ma non in quei 44
ettari che stando alle leggi (umane e anche divine) proprio Roma non sono: si
tratta del perimetro della Città del Vaticano.
È così dal primo gennaio: ai musei Vaticani, ma anche al
distributore, al supermercato, al magazzino abbigliamento, al tabacchi ed
elettronica, alla posta e in farmacia, si paga come una volta: solo in contanti
o al massimo tramite il bancomat interno emesso dallo Ior, l'Istituto per le opere di Religione , che
però i numerosi turisti e italiani che frequentano i Sacri Palazzi non hanno.
Colpa di Bankitalia, che non ha
poteri in quei 44 ettari, ma che ha imposto a Deutsche Bank Italia,
braccio italiano della prima banca privata tedesca, di disattivare i POS a San
Pietro e dintorni, che gestisce dal 1997.
E per farlo Via Nazionale ha più di una ragione: il Vaticano non
può utilizzare POS gestiti con banche italiane, perché - secondo la normativa
antiriciclaggio - è un soggetto extracomunitario non
equivalente a fini della vigilanza sul riciclaggio del denaro .
San Pietro, in altre parole, trattato come la peggiore isola
caraibica. Ma le regole sono regole: Deutsche Bank Italia, infatti, è un
soggetto di diritto italiano e quindi controllato da Bankitalia. Quindici anni
fa aveva aperto POS in Vaticano senza richiedere la necessaria autorizzazione.
La storia ci ha lasciato in eredità
il piccolo regno di quartiere dei Papi che oggi è sentito più che altro come un
impaccio da chi lo governa. Sotto certi aspetti è un po’ un parco a
tema, come Disneyland, con tanti pittoreschi figuranti. Non è
come capi di stato che i papi contano nel mondo, ma come
capi spirituali di circa un miliardo di fedeli. Possedere uno
stato è anche sotto certi altri aspetti controproducente per il papato romano,
come segnalarono ai tempi del compromesso con il fascismo gli studiosi di
diritto ecclesiastico: i fedeli infatti vi entrano un po’ come stranieri. Si
potrebbe tornare indietro? Il Papa è un sovrano assoluto nel suo piccolo regno,
certo che potrebbe farlo, ma, in realtà, non può. Quella storia di
cui parlavo lo condiziona, lo limita. Accade anche a noi qualcosa di simile in
tante cose e, in particolare, nella questione della democrazia. Questo perché
il cedimento al fascismo, avvenuto ormai tanto tempo fa, ha lasciato tracce
profonde in noi, nella cultura a cui ci riferiamo prendendo decisioni. Fascismo
e religione si compenetrarono reciprocamente e, sotto certi aspetti, quando
pensiamo al modello ideale di fedele, a volte ci richiamiamo al modello
clerico-fascista. In genere non ce ne accorgiamo, perché non curiamo a sufficienza
la memoria storica. Accade ad esempio quando ci confrontiamo con l’ebraismo o
con le genti che arrivano da noi dall’Africa. Nelle questioni sulla famiglia.
Su quella del Crocifisso nelle aule pubbliche. E in molte altre. Quando si
sostiene superficialmente che la Chiesa non è una democrazia si
ragiona in quel modo. Innanzi tutto: la Chiesa non è uno stato e
non dovrebbe nemmeno possederne uno. Ne siamo convinti? Prendiamo sul serio
le parole del Maestro quando disse che il suo Regno non era di questo
mondo? Se però, nel mondo, si costituiscono delle
istituzioni per vivere collettivamente la religione, come possono essere un
ente caritativo, un’università, o una parrocchia, perché non si dovrebbe
praticarvi il metodo democratico, che oggi è generalmente riconosciuto come
migliore di quello feudale di tanti secoli fa? Perché, si sostiene,
altrimenti i valori di fede sarebbero nelle mani delle maggioranze. Bene,
su questo si può discutere. Bisogna capire bene, innanzi tutto, che cosa
intendiamo, ai tempi nostri, per democrazia.
7. Per chi scrivo queste brevi note sulla
democrazia? Non per chi ne sa già abbastanza: chi ha studiato Legge, Scienze
politiche e Sociologia, i preti, chi fa il dirigente in
Azione Cattolica, chi è interessato all’argomento e ha già approfondito per suo
conto. Scrivo per tutti gli altri, in particolare per i più giovani. La democrazia
infatti è nelle loro mani, è una loro responsabilità per costruire il futuro.
L’Azione Cattolica ritiene proprio compito specifico sviluppare una formazione
per quel lavoro in società. Ed eccomi qui a scrivere. Ne so un po’ di più? Ho
studiato Legge e ho approfondito un po’.
La democrazia, più o meno come
noi ancora oggi la intendiamo, è un regime politico che si manifestò
nell’antica Grecia, nel 6° secolo dell’era antica, quindi circa cinquecento
anni prima che si formassero le nostre prime collettività di fede. Gli antichi
greci produssero anche un pensiero molto sofisticato sulla politica, che era
legato ad una sapienza più ampia e profonda che si chiedeva il senso della vita
umana e dell’universo, la filosofia. Molti dei concetti che usiamo
parlando di democrazia risalgono a quei tempi. Ma le nostre democrazie sono
molto diverse da quelle dell’antica Grecia e, anzi, queste ultime, con i
criteri dei nostri tempi, non le considereremmo nemmeno democrazie. Perché
coinvolgevano una esigua minoranza di maschi adulti, forse un dieci per cento,
si pensa, di tutta la popolazione degli adulti residenti. Questa era la quota
degli adulti maschi liberi. Liberi da
che cosa? Fondamentalmente dal lavoro. Occuparsi dello stato veniva
considerato incompatibile con il lavoro servile, vale a dire di
quello che facevano gli schiavi, gente in proprietà altrui, ma anche le donne,
e che consentiva di produrre i beni indispensabili per la vita quotidiana.
La schiavitù non venne posta
in questione dalla nostra religione e venne abolita solo in virtù
dell’affermarsi dei processi democratici in Europa. E, tuttavia, ragioni per
abolirla vennero trovate proprio nella teologia della nostra fede: nel fatto
che riteniamo di essere stati creati e di essere
all'origine figli di un unico Padre. Da qui
l’idea che si sia creati uguali. Quindi i processi
democratici contemporanei sorsero in Europa, nel Settecento, sulla base
di concezioni che intendevano liberare gli esseri umani dalle
schiavitù sociali perché li si considerava uguali per
natura, vale a dire all’origine. Certo, ognuno era diverso dall’altro,
ma come ogni figlio è diverso dal fratello.
Il padre tra loro fa parti uguali.
Evidenzio che la liberazione delle donne è molto più recente di quella
degli schiavi.
Benché dette con le parole
della teologia della nostra fede, si tratta di concezioni che fecero fatica ad
affermarsi in religione. Oggi non sono più avversate dalla nostra dottrina. Di
solito cito, a questo proposito, la nota n.793 del Compendio della
dottrina sociale della Chiesa (2004), dove, a proposito dell’amicizia
civile da intendere come forma di fraternità alla base della pacifica
convivenza sociale, si citano le parole di Karol Wojtyla - Giovanni Paolo
2° in un’omelia tenuta il 1 giugno 1980 durante il suo primo viaggio in
Francia: «“Libertà, uguaglianza, fraternità’” è stato il motto della
Rivoluzione francese. In fondo sono idee cristiane ». Che
progresso da quando una simile frase sarebbe stata invece condannata come
eretica, solo poco più di un secolo prima! Ma si dovette arrivare al 1991, con
l’enciclica del Wojtyla Il Centenario, nell’anniversario dei cento
anni dalla prima enciclica della dottrina sociale, la Le Novità,
del 1891, del papa Vincenzo Gioacchino Pecci - Leone 13°, per arrivare alla
piena accettazione della democrazia contemporanea. Si tratta comunque di
argomenti ancora controversi in religione. I reazionari considerano
l’accettazione della democrazia una degenerazione del magistero e
giungono a contestare i papi più recenti perché, soprattutto in politica, hanno
detto cose diverse dai papi di un tempo.
Certo, ai tempi in cui si
formarono le nostre collettività delle origini, gli antichi processi
democratici si erano da tempo estinti. Il regno e l’impero erano le forme
politiche dominanti. E negli scritti sacri prodotti dall’esperienza di quelle
collettività non troviamo dottrine politiche. Il Maestro non fu un capo
politico. Parlò di un Regno, ma non di questo mondo.
Il detto che gli è attribuito “Date a Cesare quel che è di Cesare…”,
non va inteso, naturalmente, come una sorta di regolamento di condominio tra
poteri nel mondo, quello di Cesare, il nome a cui si
richiamarono tutti gli imperatori romani, e quello Celeste,
ma nel senso che su tutto prevalgono le esigenze della fede. Così appunto lo
intesero i primi nostri fedeli che si fecero ammazzare in forme in genere
particolarmente crudeli, quando non poterono procurarsi carte false attestanti
l’adempimento dell’obbligo di compiere atti sacri per l’imperatore romano, pur
di non riconoscere, con un atto rituale, la divinità dei Cesari. Fatto sta che
le nostre prime organizzazioni religiose assunsero presto un aspetto
monarchico, come piccoli regni federati tra loro con intese di comunione:
si riconoscevano reciprocamente con lettere di comunione, in cui ci
si attestava di andare d’accordo. Ci si scambiavano anche lettere di scomunica,
e piuttosto frequentemente! Una situazione piuttosto effervescente alla quale
venne posta fine quando l’imperatore, Cesare, all’esito di un
processo ancora piuttosto misterioso, decise di assumere la nostra fede come
propria forma di sacralizzazione politica, e quindi come
ideologia dei proprio regno politico, nel Quarto secolo della
nostra era.
8. Gli antichi filosofi greci,
ragionando sulle esperienze politiche dei loro tempi, diffidarono della
democrazia. Vi partecipava una minoranza della popolazione che
praticamente non doveva occuparsi d’altro, ma anche questa gente si lasciava
trascinare dall’emotività, non aveva la pazienza d’approfondire, seguiva quelli
che meglio mostravano di saper agitare le collettività
divenendone guide. I più decidevano secondo i propri interessi
privati o di gruppo, premiando le guide che mostravano di voleri favorire, ma
chi arrivava al potere promettendo di farlo spesso ne
abusava. Ogni potere supremo tendeva rapidamente a degenerare, per cui
occorreva correre ai ripari. Non sarebbe stato meglio scegliere guide
politiche tra persone competenti e animate dall’intenzione di fare il
bene di tutti? Ecco perché gli antichi filosofi greci pensarono a loro stessi
come alle migliori guide delle collettività politiche, ma non riuscirono mai ad
esserlo. Al massimo furono consiglieri di chi comandava di
volta in volta. Ma che cos’è poi il bene? Al dunque rimangono i rapporti di
forza nella società. E chi giunge ai vertici tende a mantenere il potere che
ha: poiché è il numero che fa la forza, tende a creare una sua corte,
un gruppo che lo spalleggia per avere in cambio un po’ del potere sugli altri.
Le assemblee limitano chi comanda e allora chi ha il potere tende a limitarle a
sua volta, riducendone gli spazi di decisione, fino ad abolirle addirittura.
Ogni potere politico tende a diventare assoluto, libero da vincoli, da limiti.
In fondo è storia anche dei nostri giorni.
In un mondo fatto di
tanti servi abbruttiti dal lavoro, in cui l’accesso alla conoscenza era di
pochi, sembrava inverosimile che la gente comune avesse voce in capitolo nelle
cose della politica. E questo anche nelle epoche storiche in cui si
manifestarono processi democratici, come nell’antica Roma prima che cadesse nel
dominio di imperatori assoluti, nel primo secolo dell’era antica,
nell’età d’oro dei Comuni europei, le esperienze di libertà
delle industriose città dall’inizio del Secondo Millennio della nostra era e
fino al Trecento, o nel regno inglese dal Duecento. La magnificenza della corti
che si riunivano intorno a chi era riuscito ad assolutizzare il
proprio potere politico supremo gravava sul duro lavoro dei più, che, oppressi
dal lavoro, non avevano la capacità di occuparsi della politica, in
particolare organizzandosi collettivamente, e cadevano in mani altrui, anche se
non fino alla condizione di schiavi. A lungo si ritenne che questa fosse una
situazione naturale e che la ribellione fosse un grave
delitto. I poteri assoluti proposero diverse
giustificazioni di loro stessi, del perché dovessero essere assoluti. La
loro sacralizzazione li aiutò in questo: si presentarono
come delegati dal Cielo per fare il bene di tutti. Altrimenti la società
sarebbe caduta in rovina, in preda alla violenza e all’arbitrio. A lungo questa
situazione di temuta anarchia fu assimilata alla democrazia,
dove di quest’ultima si erano perse esperienza e memoria.
Quello che ho cercato di
sintetizzare spiega perché, quando ci si propose di coinvolgere tutti nei
processi politici, nelle decisioni comuni, si iniziò con l’idea di liberare
il lavoro. E’ un processo recente: risale alla seconda metà dell’Ottocento.
Nella Costituzione italiana vigente ne vediamo il frutto maturo: proclama
l’Italia come una repubblica democratica fondata
sul lavoro. Ma su un lavoro libero. Ai nostri tempi ha
iniziato ad esserlo sempre meno, lo sappiamo. E anche i processi democratici
sono entrati in crisi.
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Mario Ardigò - Azione Cattolica in
San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli