Sinodalità e governo ecclesiale
Sinodalità è partecipazione e co-decisione e quindi ha certamente a che
fare con il governo ecclesiale. Attualmente quest’ultimo è ancora strutturato
come un’autocrazia feudale, pensata intorno all’anno Mille. E’ quindi senz’altro
obsoleto. Papa Francesco ha proposto la sinodalità come principio di riforma
ecclesiastica proprio per cambiarlo. In parrocchia però si è presentata la sinodalità
più o meno come un’estensione del catechismo, e così si è veramente fuori
strada.
Il fondamento teologico del governo ecclesiale che oggi in genere viene
utilizzato per mantenere quella organizzazione è quello del sacerdote-re-profeta.
Esso risale al protestante riformato francese Giovanni Calvino, vissuto nel Cinquecento.
Declinato in versione cattolica viene inteso nel senso che il regno, quindi
il governo, debba essere appannaggio di chi si ritiene abbia la pienezza del sacerdozio, vale a dire dei vescovi. Il
modello di Calvino era molto più esteso e riferiva quelle qualità alla cristianità,
intesa come i cittadini di una città che aveva scelto di professare la fede
cristiana. Nella cristianità istituzioni civili ed ecclesiastiche erano integrate,
tanto che le prime decidevano che cosa bisognasse credere per fede e professare un certo Credo era un obbligo di cittadinanza. Il modello di
Calvino fu realizzato nel Cinquecento nella svizzera Ginevra. Quel modello
comporta una pesante ipoteca delle immaginifiche nostre teologie sulla
politica, che è essenzialmente arte pratica. E’ un problema che si presenta praticamente
in tutte le denominazioni cristiane, per quanto ai tempi nostri con molti meno
problemi di un tempo in Occidente per il fatto che il governo civile, a partire
da metà Ottocento e in questi ambienti, è stato progressivamente desacralizzato.
Nella Chiesa cattolica, organizzata ancora come uno stato assolutistico e totalitario,
è ancora molto sensibile.
Negli scorsi anni Venti, l’assolutismo
del governo ecclesiale cattolico ebbe un picco, con la teologia del Cristo
Re esposta nell’enciclica Nella prima [enciclica] – Quas primas, del 1925, del papa Achille Ratti, sotto
la cui autorità vennero conclusi a Roma, nel palazzo del Laterano, i Patti
Lateranensi con il governo del Regno
d’Italia capeggiato da Benito Mussolini, Duce del fascismo italiano. In questo
quadro il Maestro viene trasfigurato
come un imperatore e l’impero
di Cristo in terra è governato in
sua vece dal Papa.
Il passo fondamentale di quel documento è il seguente:
La peste della età nostra è il così detto
laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili
Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava
nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l'impero di Cristo su
tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di
Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i
popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana
fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello
di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi
all'arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi
furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo
sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter
fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell'irreligione e nel disprezzo
di Dio stesso.
A quell’epoca nel laicismo, peste dei tempi,
era annoverato anche il pensiero democratico. Per nostra buona sorte, dal 1939
il successore di quel Papa, il papa Eugenio Pacelli, regnante come Pio 12°,
ribaltò quella posizione, almeno quanto alla democrazia. Per il resto si
dovette attendere il Concilio Vaticano 2° e ancora il processo di riforma da
esso avviato non si è completato. Ancora
c’è chi ripete la sciocca frase “La
Chiesa non è una democrazia” a chi vorrebbe una reale sinodalità, non la
misera finzione che finora è stata inscenata.
Come
si sia potuto fare del mite Maestro di Galilea, colui che insegnò a governare come
chi serve e che disse che il suo Regno non era di questo mondo,
addirittura un imperatore universale è cosa che si può capire solo
studiando la teologia, e in particolare quella cattolica di corte.
Di fatto, possiamo richiamarci alla Costituzione Luce per le genti –
Lumen gentium per fondare la
dignità di ogni persona di fede, donne comprese, e quindi per chiedere una
riforma sinodale di come si governano le realtà di prossimità, in particolare
le parrocchie, che poi sono quelle che contano veramente, tutto il resto
essendo costituito da burocrazia ecclesiastica. Naturalmente in quel documento c’è
anche tutta la sfiancante gerarchia totalitaria che ha ancora nelle proprie
mani dottrina, beni e amministrazione del personale: va considerato un inizio.
Più di così non si riuscì a fare. E questa è anche un prima importante lezione
di politica: nei lavori di un’assemblea a carattere sinodale è più produttivo
trovare formule di mediazione che certificare l’impossibilità di un accordo.
Bisogna osservare che da allora la gente di fede rimase molto meno
passiva su questioni fondamentali, valendosi degli strumenti della democrazia. La
prima manifestazione eclatante di questo orientamento si ebbe, in Italia, nel 1974, nel
referendum imposto alle persone laiche cattoliche dalla gerarchia, in cui si
votò in larga maggioranza contro la linea di quest’ultima, credenti e non
credenti.
Poiché ad una sinodalità reale era sbarrata la strada nelle istituzioni
ecclesiastiche principali, parrocchie, diocesi, Santa Sede, si seguì la via dei nuovi movimenti,
molti dei quali a carattere reazionario, e, nell’Azione Cattolica di una
riforma sinodale all’interno dell’associazione.
Ora ci si lamenta di un certo frazionamento dell’associazionismo, ma nelle istituzioni ecclesiastiche c’è ancora troppo poco
spazio.
Nelle parrocchie, in particolare, per quanto ne so, la cultura corrente,
fatta di concezioni e costumi, è piuttosto povera, e in genere intollerante:
sembra costruita sulle esigenze di persone molto anziane, giunte, come dire,
alla pace dei sensi. Più o meno sorregge la pietà personale e qualche forma caritativa.
Del resto i preti vogliono controllare tutto e sono sempre in meno, senza aprirsi
alla sinodalità non ce la farebbero. Sinodalità significa anche collaborazione
attiva e quindi più la si fa, più si è e quindi più si riesce a fare. Spesso
il modello di presenza in chiesa è
costituito da qualche persona fissata che va dal parroco a lamentarsi di qualche
cosa, per poi tornare nel nulla. I preti ci soffrono. Lo lamenta anche il Papa:
la delazione, la maldicenza, la calunnia…pratica di tutti i giorni. Ma è l’autocrazia clericale che
porta a questo.
Ma come e chi chiamare dentro per cambiare qualcosa?
Bisogna osservare che in questo c’è una importante differenza con le
istituzioni politiche pubbliche della nostra Repubblica, ad esempio il Comune,
la Città metropolitana, la Regione, lo Stato. Poiché quelle comandano a prescindere dal
fatto che i cittadini lo accettino, solo per il fatto di vivere in un certo
territorio, allora tutti i maggiorenni cittadini sono abilitati al voto e a
candidarsi, senza altri accertamenti. Solo in casi rari, certe condanne ad
esempio, si può essere privati dei diritti politici. Poiché c’è questo
potere, non legato ad una accettazione di chi vi è sottoposto, allora è stato istituito,
come suo limite (le democrazie avanzate contemporanee sono sistemi di
limiti ad ogni potere, pubblico o privato), il diritto di candidarsi e di votare sul solo presupposto della
cittadinanza. Per cui ci sono persone che vanno a votare senza sapere nulla di
nulla di tutto, anche se questo ormai riguarda solo i più anziani, perché le persone
giovani residenti sono altamente scolarizzate.
Nella costruzione della sinodalità ecclesiale dovrebbe essere diverso. Questo ha una rilevanza
quando ci si pone il problema per organizzare, ad esempio, votazioni per far eleggere
qualche membro del Consiglio pastorale parrocchiale da parte dell’Assemblea
parrocchiale, composta da tutti i parrocchiani (di solito si comprendono
anche gli ultra quattordicenni). Benché la Chiesa sia organizzata come uno stato,
con un proprio territorio, del quale quello parrocchiale è una porzione amministrativa,
essa non è uno stato, nel senso
che non si impone a una persona solo per il fatto che vive in una certa zona. Noi
siamo liberi da questo tipo di dominio ecclesiastico, anche se i gerarchi
immaginano ancora di esercitarlo. La democrazia ci difende da questa ingerenza autoritaria.
Ciò comporta che per costituire l’assemblea parrocchiale non possa bastare essere Cresimati e vivere in un certo territorio, senza magari
essere mai passati in parrocchia, ma sia
necessario manifestarsi in un
qualche modo, essere riconosciuti, come membri
attivi della collettività. La procedura per questo riconoscimento può essere la
più varia, ma ci deve essere, perché è insita nell’idea di sinodalità partecipativa, che significa anche assunzione di responsabilità.
Così, anche per candidarsi a qualsiasi incarico, ad esempio come membro del Consiglio pastorale parrocchiale, non dovrebbe bastare la Cresima (spesso anche il catechismo per la Cresima è piuttosto povero e poco
integrato con il percorso scolastico del catechizzando) e la residenza (nella nostra parrocchia
abbiamo vissuto una forte immigrazione da altre zone di Roma, con persone attirate da un movimento
che vi si era insediato), ma ci dovrebbe essere il riconoscimento di una cultura
minima di base, ad esempio sui fondamentali della fede, sulla storia
ecclesiastica, compresa quella recente, e l’aver fatto un certo tirocinio
positivo nella collaborazione ecclesiale. Ciò che si può facilmente conseguire
perché l’Ufficio catechistico diocesano, a richiesta dei parroci, manda dei
formatori a tenere lezioni. Che potrebbero essere integrate valendosi ad
esempio dei tirocinanti per il dottorato in catechetica della vicina università
salesiana. Il cominciare ad attuare forme
di sinodalità (all’inizio necessariamente limitate e via via più estese)
potrebbe dare occasione di farne tirocinio.
Mario Ardigò
– Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli