Educarci alla sinodalità
Ho
sentito che nella burocrazia ecclesiastica la sinodalità è stata già archiviata
e si attende di passare ad altro. Quale sarà la prossima parola d’ordine?
Noi persone laiche dobbiamo invece insistere.
La fase cosiddetta di ascolto condotta, in genere, stancamente e con un
certo fastidio nelle realtà di base, per cui ascolto non vi è stato realmente, non ha esaurito il compito
che ci era stato assegnato, quello di riformare in senso sinodale
mentalità e costumi. Su questa via non si è nemmeno iniziato, perché le nostre
Chiese non sembrano nemmeno di un po’ più sinodali. Tutto funziona come prima.
Il primo grosso impedimento sta nella
normativa del diritto canonico che è stata strutturata in senso anti-sinodale.
Bisogna cominciare a lavorare nei buchi che ha lasciato, in prevalenza nelle
realtà di base, ma occorrerà, praticando la sinodalità in quell’ambito, creare
una mentalità diffusa che porti alla disapplicazione per consuetudine contraria
delle norme più spigolose. Storicamente il diritto canonico è stato molto
sensibile alle consuetudini, perché i suoi principi cardine si formarono al
tempo del diritto comune europeo, vale a dire quando i centri di produzione
normativa non erano in prevalenza gli stati e le monarchie, ma le società
viventi, con le loro consuetudini, appunto.
Il movimento per la sinodalità ecclesiale, così,
assume anche l’aspetto di un moto di liberazione, in particolare da una pesante
e obsoleta autocrazia patriarcale. Le nostre Chiese, in particolare riguardo a
clero e religiosi, non sono società libere, e la libertà di
pensiero, che alle persone laiche è consentita dai regimi democratici europei,
non è tollerata se praticata dai chierici e religiosi ed è tollerata fino ad un certo punto se manifestata dalle altre persone solo perché non contano nulla. A discrezione di un qualche gerarca chierici e religiosi possono essere rovinati.
Solo con molta fantasia questo sistema di potere crudele può essere ricondotto
alla volontà del Maestro e i teologi in genere riescono in questa missione che
apparirebbe impossibile. Poiché non sono un teologo, a me appare ancora
impossibile.
Ci vuole più libertà nelle nostre Chiese, perché
gli europei del nostro tempo ricomincino a frequentarle. Libertà significa aver
parte nelle decisioni che ci riguardano, il che significa che l’ultima parola
non può essere quella di un gerarca. Per l’attuale diritto canonico deve invece
essere quella, su qualsiasi questione, questo per garantire una presunta cattolicità
e fedeltà evangelica. Che
questo risultato sia stato storicamente ottenuto non è molto evidente, anzi.
L’autocrate regnerebbe in solitudine perché
assistito dallo Spirito, in forza del sacramento che l’ha investito di quel
potere. Non sono molto pratico di quello spiritismo e non mi interessa
esserlo. Di fatto le autocrazie ecclesiali storicamente non hanno dimostrato quella
particolare assistenza e, in genere, hanno espresso governi mediocri. Finché si
tratta di questioni patrimoniali lo si può
considerare un male insito in ogni tipo di potere che abbia a che fare
con la ricchezza materiale, ma quando si parla di questioni di coscienza è
diverso. L’autocrazia in materia di coscienza è solo mortificante.
Da soli si governa male, perché anche l’autocrate
è un organismo limitato e, proprio perché pretende di fare da solo, non riesce
a superare i propri limiti. Che ci possa essere concordia totale, e che questo possa
costituire un criterio di veritativo, indicando ciò che lo Spirito vuole da noi,
mi pare più che altro una fantasia senza riscontri pratici. La concordia, quando
si riesce ad ottenerla su una qualche decisione, ha sempre natura tattica,
frutto di un compromesso precario. Si rinuncia volontariamente e
temporaneamente a prevalere su un certo tema, pensando che la collaborazione
sia più vantaggiosa. Ma pretendere un consenso totale, unanime,
significa non tener conto di come funzionano la mente umana e le società. Bisogna
sempre ammettere la possibilità del dissenso e che, tuttavia, esso non debba
essere causa di esclusione. Ai tempi nostri la situazione in questo campo è
molto migliore rispetto a soli pochi decenni fa, ma ancora si vagheggia una
sorta di totalitarismo spiritistico.
Accettando e mantenendo la pluralità delle
coscienze in un contesto dialogico è più facile considerare realisticamente i
problemi e, soprattutto, correggersi in corsa quando occorra. Non può essere
lasciato tutto al buon animo di un gerarca, al suo spirito, come dire, paterno.
Ci devono essere procedure di garanzia per cui nessuno possa essere escluso per
decisione gerarchica per motivi di coscienza, ma anche, e questo è molto
importante, a furor di popolo. Come venne osservato fin dal primo svilupparsi
del pensiero democratico in Europa, il dispotismo delle maggioranze è
altrettanto doloroso di quello dei gerarchi.
Ma, cominciando dalle realtà di base, in
realtà ci si occuperà di questioni del tutto arbitrariamente riservate
all’assolutismo gerarchico, come quelle, ad esempio, di stabilire insieme gli
orari delle messe o la collocazione degli arredi in chiesa. Facendo pratica di
sinodalità in queste piccole cose, poi si potrà man mano dimostrare affidabilità
anche in questioni più importanti, anche se limitate ad un ambiente locale come
quello di una parrocchia. E’ necessario creare una tradizione sinodale che ora
non c’è, perché nulla è sottratto all’autocrazia. E non solo nella nostra
parrocchia il Consiglio pastorale parrocchiale non funziona: se ne lamenta dappertutto
la decadenza. Ma perché parteciparvi, se poi non si ha veramente voce in capitolo
su nulla? Perché impegnare il proprio tempo in un lavoro in cui si è
continuamente umiliati? L’umiliazione delle persone laiche è al centro della
loro disaffezione alle Chiese, in Europa. Se nella fase di ascolto sinodale
che molto male si è condotta nei mesi scorsi si fosse veramente ascoltato lo si sarebbe capito bene. Ma la presuntuosa burocrazia ecclesiastica
non sembra voler veramente ascoltare: immagina un Popolo di Dio a suo uso e costume e cerca di crearselo
intorno, venendo sistematicamente delusa, invece di provare a cambiare
veramente un’organizzazione insoddisfacente in tutto che non risale certamente
alle origini, ma che è il frutto di una lunga e tremenda storia.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente
papa - Roma, Monte Sacro, Valli