Comandare da soli
Nei gruppi di mammiferi sociali
si osservano talvolta maschi dominanti che si impongono con la forza sugli
altri maschi e sulle femmine. In particolare questo accade nei Primati, l’Ordine
nel quale la classificazione tassonomica della biologia comprende anche la
nostra specie. Non si tratta ancora di politica, perché manca la cultura che
iniziò a manifestarsi con la capacità di linguaggio. Nelle più antiche culture
europee la politica in senso proprio, come governo di società, iniziò a
manifestarsi come sviluppo di quel dominio maschile in piccoli gruppi di tipo
famigliare verso il patriarcato. Nell’antichità storica si osservano società
politiche organizzate come regni, dove il re svolge, oltre alle funzioni propriamente
di governo, anche funzioni sacerdotali di mediazione con la divinità, di
legislatore e di giudice. La trasmissione del potere avveniva all’interno di cerchie limitate di maschi dominanti nelle quali poteva osservarsi il formarsi di
dinastie sovrane, nelle quali il ruolo di comando tendeva a passare di padre in
figlio. La caratteristica principale del potere regio è nel potere di un
patriarca dominante con la sua corte. Questa è ancora l’organizzazione della
nostra Chiesa. Essa, in particolare, è ancora un’espressione del feudalesimo,
organizzazione politica che si affermò tra gli europei dal 7° Secolo circa, per
influsso delle popolazioni germaniche che, prendendo il controllo della parte
occidentale dell’antico Impero romano, ne erano state progressivamente inculturate
portandovi usi propri. Si tratta di un regime primitivo e obsoleto, che
tuttavia si è restii a modificare in quanto lo si è sacralizzato, immaginando,
in particolare, che corrisponda alla volontà del Maestro. La sinodalità che
oggi è proposta ne è un tentativo di riforma.
L’attuale organizzazione ecclesiastica è molto legata all’idea politica
di verità, che è il sistema di definizioni che si usa per
stabilire chi è dentro e chi fuori. Questo criterio, profondamente
diverso dall’idea evangelica di verità fondata essenzialmente su prassi
virtuose e solidali, risale alle origini e, a cavallo tra il Primo e il Secondo
secolo fu fatto proprio dalla primitiva organizzazione patriarcale delle nostre
Chiese giustificandone il predominio. Il patriarca fu visto come fonte di unità
intorno a verità intesa in quel senso. La ricerca di intese tra patriarcati portò
poi alla forma di sinodalità episcopale, come attività assembleare di
patriarchi per decidere su questioni di definizioni e di disciplina che, inglobando
poi a lungo anche gerarchi civili, è praticamente l’unica di cui abbiamo testimonianze
storiche nella nostra Chiesa (nelle Chiese protestanti, dal Cinquecento, se ne
sviluppò invece un’altra maggiormente partecipata). Sviluppandosi il potere di
tipo imperiale del Papato romano, dall’Undicesimo secolo, esso entrò in
conflitto con quella sinodalità patriarcale fino al Quattrocento, in
controversie in cui ebbero un ruolo determinante i sovrani civili. Dal Cinquecento
nella nostra Chiesa il contrasto si risolse a favore del Papato romano che,
organizzatosi come uno stato secondo lo spirito dei tempi, diventò un’autocrazia
con l’attribuzione dell’infallibilità in materia di verità al Papa
regnante proclamata durante il Concilio Vaticano 1°, iniziato nel 1870, sospeso
per la conquista militare dello Stato Pontificio da parte del Regno d’Italia e
mai più ripreso.
Le nuove concezioni riguardanti ciò che ci si aspetta dalle persone di
fede, donne comprese, sviluppate poi durante il Concilio Vaticano 2°, tenutosi
a Roma tra il 1962 e il 1965, portò nella fase attuativa dei principi
deliberati in quel consesso, a ideare una nuova forma di sinodalità, intesa
come cooperazione di tutti a decidere ciò che riguarda tutti. Essa però non ha
precedenti nella nostra Chiesa e ha trovato finora un ostacolo insuperabile nel
patriarcalismo gerarchico feudale che ancora la domina. Addirittura le si
volle sbarrare la strada, a livello degli episcopati, con tre importanti provvedimenti normativi: il
Codice di diritto canonico deliberato dal Papato romano nel 1983 https://www.vatican.va/archive/cod-iuris-canonici/ita/documents/cic_libroII_342-348_it.html,
l’Istruzione sui Sinodi diocesani deliberata nel 1997 dalla Congregazione
per i vescovi e dalla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cbishops/documents/rc_con_cbishops_doc_20041118_diocesan-synods-1997_it.html
e il Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi “Successori degli
apostoli – Apostolorum successores” deliberata nel 2004 dalla Congregazione
per i vescovi https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cbishops/documents/rc_con_cbishops_doc_20040222_apostolorum-successores_it.html
. Tutti questi provvedimento sono riconducibili all’azione di governo
ecclesiastico del papa Giovanni Paolo 2°.
Fino al regno di papa Francesco, iniziato nel 2013, la richiesta di sinodalità
popolare fu vista come istanza critica del Papato e del sistema gerarchico
feudale organizzato intorno ad esso e quindi sospettata di indisciplina grave,
in particolare perché diretta contro un infallibile.
L’attuale sistema della normativa ecclesiastica rende praticabile una sinodalità
popolare solo nelle realtà di base. La considerazione da tener presente in
quest’ambito è che l’organizzazione monarchica appare inefficiente, per i
limiti delle singole persone. In teologia si fantastica anche di una infallibilità
popolare nel credere che la gente saprebbe manifestare e che non è particolarmente
evidente nella storia di tutte le Chiese cristiane. Quindi, sulla base dell’esperienza,
essere in molti a decidere su un questione non è garanzia di un buon risultato.
Piuttosto è nel poter ragionare insieme prendendo in esame tutte le questioni
nelle loro varie facce e sulla base dei risultati dell’esperienza che può essere
vista la via per correggere ciò che non va, cercando ciascuno di superare con l’aiuto
degli altri i propri limiti. Come osservano gli specialisti che da qualche anno
hanno studiato questa nuova forma di sinodalità, sarebbe però necessario
costruire un nuovo contesto istituzionale a questo livello, per fare in modo di
consentire quel dialogo libero e poi di arrivare a deliberazioni collettive che
abbiano un certo grado di obbligatorietà, e che quindi non siano solo
consultive. Questo può essere preceduto da sperimentazioni sul campo. A livello
di base si è avvantaggiati dal fatto che, in genere, non si fa questione di verità
come discrimine dell’appartenenza. Tuttavia questo finora non è bastato a liberare
le potenzialità di collettività animate da una certa sinodalità. Anche alla base
decide tutto il clero in spirito patriarcale. I risultati sono in genere
mediocri. Il principale effetto riscontrabile facilmente è che gli adulti che
vanno regolarmente in chiesa sono in larga prevalenza i più anziani. Gli altri
non tollerano più di essere umiliati. Poiché la gente più attiva in società
rimane fuori, anche l’influenza della Chiesa in società decade. Le iniziative
della gerarchia per mantenerla per via di transazione politica facendo a meno del
popolo ha dato i risultati che vediamo.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli