Potere partecipato a partire dall’essere informati
Sinodalità è co-decisione o non è tale. La si distingue dalla collegialità che si ha quando un’autorità pubblica o privata è esercitata da più persone costituite come un unico centro di potere, quindi come se ciò che esse comandano d’intesa fosse ordinato da un’unica persona. Sinodalità si ha quando, riguardo a certe decisioni, più centri di potere raggiungono delle intese senza abolire il loro pluralismo. Il tipo elementare di “centro di potere” è quello manifestato dalle singole persone. L’obiettivo fondamentale della sinodalità è quindi quello di raggiungere intese sul da farsi nelle dinamiche sociali, in cui si entra in relazione con altre persone per collaborare per scopi comuni. La forma elementare di ciò che si intende per “sinodalità” è la consuetudine, per la quale certe regole sociali vengono spontaneamente osservate, con la convinzione però che si debba farlo, anche se non formalmente ordinate da un unico centro di potere che è riuscito a imporre la propria autorità alla collettività di riferimento.
Le persone di fede libere da vincoli derivanti dall’appartenenza al clero o ad ordini religiosi non esercitano attualmente alcun potere ecclesiastico. Esse sono la quasi totalità delle persone di fede riconosciute come appartenenti alle nostre Chiese, le quali, dunque, non sono sinodali. Modelli di Chiese sinodali sono invece quelle del protestantesimo riformato che fanno riferimento alla teologia di Giovanni Calvino (1509-1564). I problemi che i cattolici hanno avuto dal Cinquecento in materia di sinodalità, che hanno fatto della loro Chiesa un modello di autocrazia clericale, si devono principalmente alla reazione del Papato contro le Chiese sorte dalla Riforma protestante. L’idea che tutte le persone di fede potessero aver voce in religione venne condannata come eretica, ma ai tempi nostri il fondamento teologico di ciò è stato messo in questione, ad esempio nel documento del 2018 della Commissione Teologica Internazionale (un collegio di consulenti istituito presso il Dicastero per la Dottrina della fede) intitolato La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa [https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20180302_sinodalita_it.html], che per noi non specialisti del ramo può essere un buon inizio per farsi un’idea su quei temi. Quindi, fin dall’inizio del suo Regno, ma in particolare dal 2015, papa Francesco ha esortato le Chiese che sono in Italia a sviluppare una struttura sinodale. Nell’autunno dello scorso anno sono stati deliberati un processo sinodale che mette capo al Sinodo dei vescovi, che si concluderà nell’autunno del prossimo anno, e uno che mette capo alla nostra Conferenza episcopale, di più lungo corso, con una tappa per fare il punto durante l’Anno Santo del 2025. Siamo ancora agli inizi. La nostra Chiesa non è certamente ancora sinodale se riferiamo la sinodalità a tutte le persone di fede.
Non vi è sinodalità, quindi co-decisione, dove la gente è solo consultata, ma poi chi ritiene di avere l’autorità può prescindere dal parere espresso.
In realtà, nell’Europa occidentale e in particolare in Italia, la gente di fede si è espressa su temi religiosi molto importanti, di natura etica, ad esempio sulla genitorialità consapevole e sulla stabilità delle relazioni coniugali, esprimendo consuetudini divergenti dalle pronunce in materia dell’autorità ecclesiastica. Si tratta certamente di forme di sinodalità, per altro disconosciute. I costumi democratici, almeno nell’Europa occidentale, hanno liberato dalla costrizione di seguire norme etiche le quali, benché argomentate teologicamente a differenza (in genere) delle contrastanti consuetudini, si sono rivelate, nella pratica, insostenibili e quindi insensate. Questa essendo la situazione, si teme che la sinodalità porti a un degrado etico nelle nostre Chiese.
In prospettiva bisognerebbe porsi il problema di decisioni rilevantissime per le persone di fede che vengono prese in ambiti molto ristretti, o, addirittura, come avvenne per l’enciclica Della vita umana, del 1968, che si occupò appunto tra l’altro di genitorialitá responsabile, da parte di un unico centro di potere, per come in genere riferiscono gli storici della Chiesa. Tuttavia non credo che nel nostro secolo si arriverà a una soluzione soddisfacente in merito, tenendo conto, ad esempio, che, come osservato da Papa Francesco, si è ancora molto indietro nell’attuazione dei principi di organizzazione ecclesiale deliberati durante il Concilio Vaticano 2º, nei quali non si trova la sinodalità ma l’affermazione della dignità di tutte le persone del Popolo di Dio, che della sinodalità è il presupposto. Più produttiva potrebbe rivelarsi la via indicata da papa Francesco di cominciare dalle realtà di base, che poi sono le uniche in cui realmente la Chiesa è vissuta, tutto il resto essendo solo burocrazia, naturalmente dal punto di vista antropologico, fatte salve le fantasiose concezioni delle teologie.
In una realtà di base, come la nostra parrocchia, ci sono cose da fare nell’interesse comune, come ad esempio stabilire la collocazione delle statue dei santi e dei dipinti nella chiesa parrocchiale, i turni di servizio in chiesa per mantenerla aperta durante il giorno, i turni per la sua pulizia, la programmazione dell’utilizzo dei locali parrocchiali. In queste cose non è necessaria una particolare competenza per decidere, gli argomenti sono alla portata di tutti. Tuttavia, la sinodalità non richiede che tutti decidano tutto, perché altrimenti, anche a questo livello, si sarebbe presto ingolfati nelle decisioni da prendere, con conseguente disaffezione. È importante, invece, che tutti siano portati a conoscenza delle decisioni da prendere e che, a loro richiesta, possano essere ascoltati da coloro che, nel quadro della ripartizione degli oneri decisionali, spetta di decidere. Così come che ci sia una sede, una qualche assemblea più largamente rappresentativa, davanti alla quale coloro che hanno l’onere di decidere possano essere chiamati per spiegare le loro decisioni. Questo corrisponde al principio di teoria dell’amministrazione pubblica detto della casa di vetro, per il quale le mura delle stanze del potere devono essere trasparenti, per consentire a chiunque di sapere e controllare. Attualmente nella nostra parrocchia le persone di fede del quartiere, a parte la trentina circa che sono direttamente impegnate nei servizi parrocchiali, nulla sa e nulla può sapere di come, quando e che cosa si decide.
La prima e fondamentale forma di partecipazione sinodale non è quella della deliberazione di una decisione, ma dell’essere informati di ciò che c’è da decidere e delle relative procedure.
Se, come è consigliabile, si potesse utilizzare il Consiglio pastorale parrocchiale come organo di propulsione della sinodalità parrocchiale, si potrebbe pensare a un sistema di sue commissioni, per i vari settori decisionali, in cui fare tirocinio di sinodalità, prima di tutto informativa.
So che a volte i preti considerano questo della sinodalità un impegno che è una gran perdita di tempo. Sono sfiancati dalla gestione degli affari correnti e arrivano a sera stanchissimi e angosciati per le molte cose da fare che hanno dovuto lasciare indietro. Questo accade perché pretendono di fare tutto loro. La sinodalità è, sì, co-decisione, ma è anche corresponsabilità nell’impegno: la comunità che è organizzata in modo sinodale è quella in cui c’è più tempo per fare ciò che si deve, perché il tempo che ciascuna persona può ragionevolmente mettere a disposizione della Chiesa (per la maggior parte delle persone ci sono anche la cura della famiglia e il lavoro in società) è moltiplicato per molte più persone.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli