Consiglio pastorale parrocchiale
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Chi
è la persona laica?
Per
persona laica si intende la persona battezzata che partecipa all’apostolato,
vale a dire alla diffusione e pratica del vangelo, libera da legami gerarchici relativi
al ministero esercitato nell’Ordine sacro o legati a condizioni di vita
religiosa consacrata.
Le
persone laiche agiscono nella società in autonomia, seguendo con sapienza in
spirito di fede l’autonomia delle cose terrene.
Molti nostri contemporanei, però,
sembrano temere che, se si fanno troppo stretti i legami tra attività umana e
religione, venga impedita l'autonomia degli uomini, delle società, delle
scienze.
Se per autonomia delle realtà
terrene si vuol dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e
valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora
si tratta di una esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa è
rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del
Creatore.
[dalla
Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo La gioia e la
speranza, del Concilio Vaticano 2°, n.36
Ecco
come si parla delle persone laiche nella stessa Costituzione La gioia
e la speranza, al n.43:
Ai laici spettano
propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali.
Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente
sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina,
ma si sforzeranno di acquistare una vera perizia in quei campi. Daranno
volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità. Nel rispetto
delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua
nuove iniziative, ove occorra, e ne assicurino la realizzazione.
Spetta alla loro coscienza,
già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della
città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale.
Non pensino però che i loro
pastori siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge,
anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che
proprio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi, piuttosto,
la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo
attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero.
Per lo più sarà la stessa
visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe circostanze, a una
determinata soluzione. Tuttavia, altri fedeli altrettanto sinceramente potranno
esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, come succede abbastanza
spesso e legittimamente.
Ché se le soluzioni proposte
da un lato o dall'altro, anche oltre le intenzioni delle parti, vengono
facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi
ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in
favore della propria opinione l'autorità della Chiesa.
Invece cerchino sempre di
illuminarsi vicendevolmente attraverso un dialogo sincero, mantenendo sempre la
mutua carità e avendo cura in primo luogo del bene comune.
I laici, che hanno
responsabilità attive dentro tutta la vita della Chiesa, non solo son tenuti a
procurare l'animazione del mondo con lo spirito cristiano, ma sono chiamati
anche ad essere testimoni di Cristo in ogni circostanza e anche in mezzo alla
comunità umana.
Così se ne tratta nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le
genti, deliberata nel medesimo concilio, ai n.31 e 33:
31. Col nome di laici si intende
qui l'insieme dei cristiani ad esclusione dei membri dell'ordine sacro e dello
stato religioso sancito nella Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati
incorporati a Cristo col battesimo e costituiti popolo di Dio e, nella loro
misura, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo,
per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di
tutto il popolo cristiano.
Il carattere secolare è proprio e
peculiare dei laici. Infatti, i membri dell'ordine sacro, sebbene talora
possano essere impegnati nelle cose del secolo, anche esercitando una
professione secolare, tuttavia per la loro speciale vocazione sono destinati
principalmente e propriamente al sacro ministero, mentre i religiosi col loro
stato testimoniano in modo splendido ed esimio che il mondo non può essere
trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini.
[…]
Per loro vocazione è proprio
dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole
secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e
lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale,
di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a
contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del
mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e
in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la
testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro
speranza e carità. A loro quindi particolarmente spetta di illuminare e
ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo
che siano fatte e crescano costantemente secondo il Cristo e siano di lode al
Creatore e Redentore.
32. La santa Chiesa è, per divina
istituzione, organizzata e diretta con mirabile varietà. «A quel modo, infatti,
che in uno- stesso corpo abbiamo molte membra, e le membra non hanno tutte le
stessa funzione, così tutti insieme formiamo un solo corpo in Cristo, e
individualmente siano membri gli uni degli altri » (Rm 12,4-5).
Non c'è quindi che un popolo di Dio
scelto da lui: « un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo » (Ef 4,5);
comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la
grazia di adozione filiale, comune la vocazione alla perfezione; non c'è che
una sola salvezza, una sola speranza e una carità senza divisioni. Nessuna
ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla stirpe o
nazione, alla condizione sociale o al sesso, poiché « non c'è né Giudeo né
Gentile, non c'è né schiavo né libero, non c'è né uomo né donna: tutti voi
siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28 gr.; cfr. Col 3,11).
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Sulla base delle mie letture sulla sinodalità
dell’anno scorso e di quest’anno, ho cercato di definire che cosa sia la persona
laica senza utilizzare il criterio residuale del non essere né parte del
clero o di un ordine religioso, considerate, in una concezione clericale, le
condizioni di vita che possono realizzare la perfezione della vita di fede. Dunque,
mi è parso che, almeno nella società europea del nostro tempo, ciò che connota
le persona laiche è di essere libere. Una libertà che non è scritta
nelle norme del diritto canonico, il diritto costruito intorno alla
Chiesa-stato, ma che le persone laiche si sono conquistate ed esercitano
continuamente, anche se non ne sono ancora del tutto consapevoli. La mancata
corrispondenza dell’assetto istituzionale ecclesiastico a questa realtà della
libertà delle persone laiche ne determina l’obsolescenza. Quanto tempo gli
rimane? Alcuni professori amici miei, in linea con altri specialisti,
soprattutto sociologi, lo stimano in una ventina d’anni, se non sarà riformato.
In modo molto avveduto, papa Francesco ha
avviato la riforma che occorre, impostandola sullo sviluppo della sinodalità
che significa partecipare in dialogo all’esame delle questioni
rilevanti per la comunità e alle decisione: la sinodalità è, in fin dei conti,
co-decisione. Se non è questo, non esiste.
In questi giorni sto leggendo in e-book il
libro a cura di Riccardo Battocchio e di Livio Tonello Sinodalità.
Dimensione della Chiesa, pratiche nella Chiesa, edito da Edizioni
Messaggero Padova e dalla Facoltà Teologica del Triveneto, 2020
Padova, e in particolare i contributi di Roberto Repole, Il Sinodo
diocesano. Una prospettiva teologica, di Matteo Visioli, Il Sinodo
diocesano: atto di governo episcopale ed evento di comunione. Aspetti
canonistici, di Vito Mignozzi, Il
Consiglio pastorale diocesano e parrocchiale e di Livio Tonello, Sinodalità
e Consigli pastorali diocesano e parrocchiale. Prospettiva teologico pastorale.
Si è d’accordo nell’individuare il Consiglio
pastorale parrocchiale come uno degli strumenti per imparare e costruire la
sinodalità. In effetti uno dei principi organizzativi di qualsiasi consiglio,
quindi quando ci si riunisce in consiglio, che, come ricordano gli
autori citati, è diverso dal semplice consigliare, è la libertà di
espressione del proprio pensiero e il rispetto della dignità altrui, altrimenti
è si fa una cosa diversa. E libertà è proprio quello che cercano le persone
laiche che vorrebbero impegnarsi attivamente (non vi sono solo loro nella
Chiesa, ci sono, ad esempio, quelle che vogliono essere semplicemente guidate).
Il problema è che preti e religiosi, non parliamo poi dell’episcopato, non
hanno pratica di relazioni di collaborazione con persone libere, innanzi tutto
perché non lo sono loro stessi. Quindi, poi, si osserva che la sinodalità
basata sui Consigli sta declinando.
Troppo poche persone sono veramente preparate
a praticarla, in particolare sia tra il clero che tra le persone laiche. Queste ultime hanno
imparato, in regime di democrazia, la libertà, ma non a viverla come Chiesa e
nella Chiesa. Questo a parte gli ambienti ecclesiali intellettuali, come ad
esempio è il MEIC - Movimento
ecclesiale di impegno ecclesiale e
gran parte dell’Azione Cattolica, dove è centrale la pratica
dell’auto-formazione.
In particolare l’episcopato teme, e a ragione,
i processi democratici, che hanno portato alla liberazione delle persone laiche
dall’arrogante predominio di una piccola minoranza di patriarchi. E’ arrogante
il potere che non ascolta le
altre persone. E’ importante, quindi, che i processi sinodali che l’anno scorso
papa Francesco ha tentato di avviare si siano aperti con una fase di ascolto,
che però, in genere, non c’è stata. Si sono solo inscenati incontri di ascolto,
nei quali però non ci si è realmente ascoltati ne si è stati ascoltati. Chissà
che scriveranno all’esito di questa finzione al segretariato istituito in
Diocesi per poi riferire in sede nazionale.
Il centro della democrazia come oggi la si
teorizza e la si pratica non è il principio di maggioranza - infatti le
questioni più importanti non sono decise a maggioranza ma occorre il consenso
totalitario, come sul principio di uguaglianza - ma la dignità sociale e
individuale delle persone: essa si attua attraverso un sistema di limiti ad
ogni potere, perché ogni potere (teoricamente) senza limiti vessa, umilia, le
altre persone. Naturalmente il principio maggioritario è importante, perché è
umiliante anche dover semplicemente subire le decisioni di una minoranza sulle questioni
essenziali della vita, senza che ciò sia giustificato da una particolare
competenza implicata nelle decisione, ma, ad esempio, solo dal fatto di essere
stati investiti di quel potere mediante un certo rituale liturgico. Bisogna
chiarire su questo: non è in questione il potere in sé, che può essere
variamente distribuito in una società a seconda delle situazioni e delle
decisioni da prendere, quello di un comandante militare non è lo stesso, ad
esempio, di quello di un presidente di un’associazione ricreativa, ma il potere
senza limiti. Questo è veramente
intollerabile. In democrazia, poi, ogni potere deve mantenere un certo dovere
di rendiconto con la base sociale, deve
conseguire una certa legittimazione popolare.
Ciò posto,
gli autori che ho sopra citato, iniziano tutti mettendo in rilevo i problemi
che si incontrano in ambito ecclesiale quando ci si riunisce in consiglio. Infatti, poi, la
decisione è solo del clero, a tutti i livelli e per qualsiasi tipo di
decisione, che si tratti di deliberare un dogma o di stabilire l’orario delle
messe domenicali.
Nonostante questa
difficoltà, gli esperti, per ciò che ho capito, sono in genere d’accordo che si
debba proseguire sulla via dei Consigli pastorali. In particolare in un famoso studio diffuso
il 2 marzo 2018 dalla Commissione internazionale Internazionale, un organismo
ausiliario istituito, presso il Dicastero
per la dottrina della fede, La sinodalità nella vita e nella missione della
Chiesa [ https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20180302_sinodalita_it.html
] si raccomanda di rendere obbligatorio il Consiglio pastorale parrocchiale, come
avvenuto nella Diocesi di Roma.
3.2.3 La sinodalità nella vita
della parrocchia
83. La parrocchia
è la comunità dei fedeli che realizza in forma visibile, immediata e quotidiana
il mistero della Chiesa. In parrocchia si apprende a vivere da discepoli del
Signore all’interno di una rete di relazioni fraterne nelle quali si
sperimenta la comunione nella diversità delle vocazioni e delle generazioni,
dei carismi, dei ministeri e delle competenze, formando una comunità concreta
che vive in solido la sua missione e il suo servizio, nell’armonia del
contributo specifico di ciascuno.
84. In essa
sono previste due strutture di profilo sinodale: il Consiglio pastorale
parrocchiale e il Consiglio per gli affari economici, con la partecipazione
laicale nella consultazione e nella pianificazione pastorale. Appare in tal
senso necessario rivedere la normativa canonica che attualmente soltanto
suggerisce la costituzione del Consiglio pastorale parrocchiale rendendola
obbligatoria, come ha fatto l’ultimo Sinodo della Diocesi di Roma. L’attuazione
di una effettiva dinamica sinodale nella Chiesa particolare chiede inoltre che
il Consiglio pastorale diocesano e i Consigli pastorali parrocchiali lavorino
in modo coordinato e siano opportunamente valorizzati.
Com’è però che nella nostra parrocchia, nella
Diocesi di Roma, il Consiglio
pastorale parrocchiale da anni non si riunisce? Beh, si potrebbe dire che anche
i preti hanno imparato a disobbedire, come hanno fatto le persone laiche. Ma
per queste ultime la disobbedienza è in genere una scelta di libertà, mentre
non convocare il Consiglio pastorale parrocchiale è una scelta contro la
libertà. Significa eliminare anche questa forma embrionale di codecisione. E’
accaduto però non arbitrariamente, devo riconoscere, ma per una ragione, nella nostra parrocchia:
perché quando ci si riuniva emergevano brutalmente le radicali divisioni tra di
noi e il lavoro era poco produttivo. Atteggiamenti fondamentalistici rendevano
l’esperienza in Consiglio, per come mi è stato riferito, un’esperienza forte, diciamo così. Così però la nostra
vita sociale di fede ne è risultata impoverita, e, così com’è, poco attraente per
chi non vuole rinchiudersi in riserve religiose senza nemmeno provare a
interagire con ciò che c’è intorno. Ma direi meglio: inutile.
In una società civile in cui è consentita la
partecipazione in condizione di libertà al governo delle istituzioni, e negli
ultimi anni si è vissuta una vera rivoluzione in questo campo, si fa a meno di farsi umiliare in una Chiesa-stato che non
tollera la libertà, strutturata ancora come un impero feudale, nel quale non si
ha alcun diritto sociale e per ogni cosa bisogna attendere il prete. Una Chiesa
che, nel clero e religiosi, è talvolta spietata verso certe situazioni di
sofferenza personale e ancora pratica quello che la teologa Simona Segoloni
Ruta, nel suo contributo nel libro che ho citato, definisce gender system,
un sistema di pesante, crudele, del tutto ingiustificata, discriminazione
maschilista verso le donne.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli