Radicati in un sogno buono
[Papa Francesco: dal dialogo con giovani e anziani avuto dal Papa alla presentazione del suo libro Sharing The Wisdom Of Time / La Saggezza Del Tempo all’Istituto Patristico Augustinianum, Martedì, 23 ottobre 2018]
Difendere
la tradizione del sogno: dagli anziani ai giovani. Dalle radici dei sogni degli
anziani, scorre la linfa di un popolo
“Che
cosa direbbe Lei, da nonno, a giovani che vogliono avere fiducia nella vita,
che desiderano costruirsi un futuro all’altezza dei loro sogni?” La risposta è:
incomincia a sognare. Sognare così, sfacciatamente, senza vergogna. Sognare.
Sognare è la parola. E difendere i sogni come si difendono i figli. Questo è
difficile da capire ma è facile da sentire: quando tu hai un sogno, una cosa
che non sai come dirla, ma la custodisci e la difendi perché l’abitudine
quotidiana non te la tolga. Aprirsi a orizzonti che sono contro le chiusure. Le
chiusure non conoscono gli orizzonti, i sogni sì! Sognare, e prendere i sogni
dagli anziani. Portare su di sé gli anziani e i loro sogni. Portare addosso
questi anziani, i loro sogni; non ascoltarli, registrarli, e poi dire “adesso
andiamo a divertirci”. No. Portarli addosso. Il sogno che noi riceviamo da un
anziano è un peso, costa portarlo avanti. E’ una responsabilità: dobbiamo
portarli avanti. Tu non puoi portarti tutti gli anziani addosso, ma i loro
sogni sì, e questi portali avanti, portali, che ti farà bene. Non solo
ascoltarli, scriverli, no: prenderli e portarli avanti. E questo ti cambia il
cuore, questo ti fa crescere, questo ti fa maturare. E’ la maturazione propria
di un anziano.
[…]
E’ stata una bella esperienza, con gli anziani, non mi spaventavano.
Stavo sempre con i giovani, ma… E con queste esperienze ho capito la capacità
di sognare che hanno gli anziani, perché c’è sempre un consiglio: “Vai così,
fai questo…, ti racconto questo, non dimenticarti di questo…”. Un consiglio non
imperativo, ma aperto, e con tenerezza. E questi consigli mi davano un po’ il
senso della storia e dell’appartenenza. La nostra identità non è la carta
d’identità che abbiamo: la nostra identità ha delle radici, e ascoltando gli
anziani noi troviamo le nostre radici, come l’albero, che ha le proprie radici
per crescere, fiorire, dare frutto. Se tu tagli le radici all’albero, non
crescerà, non darà dei frutti, morirà, forse. C’è una poesia – l’ho detto tante
volte – una poesia argentina di uno dei nostri grandi poeti, Bernardez, che
dice: “Quello che l’albero ha di fiorito, viene da quello che ha di
sotterrato”. Ma non un andare alle radici per chiudersi lì, come un
conservatore chiuso, no.
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1.
Maurizio Bettini ha scritto
contestando la verità dell’immagine di radici
degli esseri umani. Ricordo un suo
articolo sul periodico mensile Il margine
del 2001, intitolato Contro le radici - tradizione, identità,
memoria, e, più di recente, del
2012, un libro con il medesimo titolo, in cui ha ampliato e sviluppato il
ragionamento dell’articolo, ancora in commercio edito da Il Mulino solo in ebook. Di seguito mi rifaccio anche alle sue
argomentazioni
Gli esseri umani non hanno radici. Non nascono dalla terra come i
pomodori, né ad essa sono vincolati per sopravvivere. Legati ad un posto
finiscono per sentirsene prigionieri. E’ una realtà che è evidente a tutti.
Quella delle radici è solo un’immagine per significare altro. Nella
sua irrealtà è anche, in fondo, un sogno.
Dal punto di vista
naturalistico, nessun europeo è spuntato dalla terra del continente europeo. Tracce
molto antiche della nostra specie, che l’antropologia definisce Sapiens sapiens, l’unica del genere Homo, nell’ordine dei Primati, nel quale scientificamente sono
classificate anche le scimmie, sono state rinvenute in Africa e la
paleontologia ha individuato lunghe migrazioni dei nostri progenitori da laggiù
verso Oriente e poi verso Settentrione. La mente che si è sviluppata
biologicamente in noi in milioni di anni ci ha poi permesso di avere particolari
relazioni tra noi che sono state la base delle nostre culture, in particolare mediante i linguaggi dai quali poi sono derivate le varie forme di scrittura.
Che cos'è una cultura?
Secondo la definizione di Edward Burnett
Taylor in "Primitive Culture"
(=la cultura dei primitivi), Murray, Londra, 1871):
Cultura o civiltà è un insieme
complesso che include la conoscenza,
le credenze, l'arte,
la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità
e abitudine
acquisita dall'uomo come membro della società»
Un’altra
definizione di cultura molto precisa si trova al n.53 della
costituzione La gioia e la speranza - Gaudium et spes, del Concilio Vaticano 2°:
«Con il termine generico di “cultura” si vogliono indicare tutti quei mezzi con i
quali l'uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo
corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il
lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la
società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine,
con l'andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi
esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di
molti, anzi di tutto il genere umano.
Di conseguenza la cultura presenta necessariamente un aspetto
storico e sociale e la voce “cultura” assume un significato sociologico ed etnologico. In
questo senso si parla di pluralità delle culture. Infatti dal diverso di far uso delle cose, di lavorare, di
esprimersi, di praticare la religione e di formare i costumi, di fare le leggi
e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di
coltivare il bello, hanno origine i diversi stili di vita e le diverse scale di
valori. Cosi dalle usanze tradizionali si forma il patrimonio proprio di ciascun
gruppo umano. Così pure si costituisce l'ambiente storicamente definito in cui
ogni uomo, di qualsiasi stirpe ed epoca, si inserisce, e da cui attinge i beni
che gli consentono di promuovere la civiltà.»
Nasciamo immersi in quella fitta rete di
relazioni sociali che costituisce le culture umane e che è frutto di una storia, vale a dire di narrazioni, regole
e comportamenti appresi: questa è la tradizione, che andrebbe definita con
più precisione come tradizione culturale. Ne fanno parte anche
le religioni, che sono tradizioni culturali
di convinzioni e manifestazioni individuali e collettive di una fede nel
soprannaturale. «[…] la cultura presenta necessariamente un aspetto storico e sociale e la voce “cultura” assume un significato sociologico ed etnologico.»,
scrissero i saggi del Concilio: bisogna sempre tenere bene a mente
queste parole. Ciò che si afferma della cultura
si può integralmente dire anche
delle religioni, perché le religioni sono culture umane. Nascono delle società umane, sono frutto di tradizioni sociali ed etniche (quel tipo di relazioni
sociali che originano tra genitori e
figli, tra generazioni), sono modellate dalle conoscenze e consuetudini
umane. Anche l’epica di un popolo, vale a dire il racconto della
sua grandezza tra gli altri popoli, si basa su questo.
Quando parliamo di radici umane è al radicamento
culturale che ci riferiamo.
Significa che abbiamo difficoltà a pensarci e a sapere che fare al di fuori di
una certa cultura e in questo senso ci pensiamo come radicati in essa.
Il radicamento culturale più forte, quello a cui pensiamo maggiormente quando parliamo delle nostre radici, è quello linguistico, perché si realizza da molto piccoli, tanto che, a proposito della nostra prima lingua si parla di lingua materna. Ci è molto difficile parlare in un'altra lingua, per successivi radicamenti culturali, senza che si percepisca un accento. Eppure anche la lingua materna la apprendiamo, è frutto di relazioni culturali, non è come l'atto dei succhiare, che si pensa esserci trasmesso per via genetica e può pensarsi come effettivamente radicato, non però ad una terra, ma alla nostra struttura biologica.
La realtà così com’è, tuttavia, spesso non ci appaga e non ci serve. Non ci
serve, innanzi tutto, da un punto di vista sociale, per realizzare ciò che occorre in società. Il passato, in particolare, ad una considerazione realistica, delude. Così ci rappresentiamo la realtà e la sua storia con una certa libertà, dal punto di
vista culturale: è qui che inizia il sogno.
Quando diamo particolare importanza a questi sogni, per costruire le nostre
società, essi assumono le caratteristiche di miti, e diventano
indiscutibili. Si perde consapevolezza sociale delle loro origini, si rammenta
solo di averli ricevuti da una tradizione che si perde nei tempi.
Assumono connotati etnici e quindi
vengono rafforzati dal naturale senso di rispetto per gli avi. Elementi mitici
si trovano in ogni religione, ad esempio nelle nostre Scritture, e in ogni ideologia politica, vale a dire di
governo sociale. Il loro corso e la loro struttura dipendono da chi comanda in
religione e in politica in un certo momento, e come tale dirige la società e la sua
produzione culturale: quindi, di solito, lo favoriscono. Questo spiega perché il
sogno delle radici e i miti
hanno di solito valenza politica di
conservazione o addirittura di reazione, vale a dire che servono a frenare i
cambiamenti. Quando, però, i cambiamenti servono, come in genere servono sempre
nelle società umane le quali sono di solito in rapida evoluzione, occorre
sottoporli a critica, in particolare demitizzando e desacralizzando
ciò che era stato mitizzato e
sacralizzato: questo significa recuperare consapevolezza della natura storica
di certe convinzioni e di certi costumi per autorizzarne il cambiamento. Una
spettacolare occasione in cui si è fatto
quel lavoro è stata quella del Concilio Vaticano 2° (1962-1965). In un certo
senso ai tempi nostri si sta tornando indietro, si vorrebbero recuperare certi
miti che erano stati decostruiti negli ultimi decenni del Novecento, in
particolare i miti della nazione a cui si vorrebbero incorporare, al fine di
dar loro più consistenza, antichi miti religiosi. Ecco che si ripropone,
dunque, il discorso delle radici. I mali sociali di oggi sarebbero
stati causati dall’essersene distaccati. L’immagine dell’albero sradicato serve a rendere l’idea di un corpo sociale al quale
non giunge più la linfa che lo faceva vivere. Ma le culture dalle quali si
pensa di essere stati staccati sono in genere rappresentante molto liberamente,
con molta fantasia, il loro ricordo è sogno,
delineano un passato alternativo,
come si vorrebbe, si sogna, che fosse stato, una retropia, vale a dire un’utopia
nel passato, un passato che non c’è mai stato per fondare un futuro
alternativo. E’ di questo tipo la mitizzazione che in religione ancora qualche
volta si fa del Medioevo europeo, il lungo travaglio sociale e culturale dal
Quinto al Quindicesimo secolo dal cui faticoso tramonto sono scaturite le nostre attuali
culture europee, in particolare con un intenso lavoro di demitizzazione e di de-/ri-sacralizzazione,
vale a dire di rimaneggiamento religioso.
2. Nelle parole del Papa che
ho sopra citato si ritrova l’immagine
dello sradicamento come male sociale:
«La nostra identità non è la carta
d’identità che abbiamo: la nostra identità ha delle radici, e ascoltando gli
anziani noi troviamo le nostre radici, come l’albero, che ha le proprie radici
per crescere, fiorire, dare frutto. Se tu tagli le radici all’albero, non
crescerà, non darà dei frutti, morirà, forse.»
Ma il radicamento proposto dal Papa non è
riferito tanto alle culture del passato,
secondo la classica impostazione reazionaria, ma ai sogni degli anziani, che
è cosa molto diversa. Questa è una grande novità.
I sogni degli anziani sono
in genere fortemente critici con la cultura nella quale sono stati immersi.
Sono anziano e lo so bene. L’anziano, in particolare il genitore, sogna
per la discendenza un futuro
migliore del suo passato, e questo anche se tenda a mitizzare quel passato. La
cultura dell’anziano è tendenzialmente conservatrice, perché, andando avanti
con gli anni, si moltiplicano le nostre paure e si teme che cambiando si vada
in peggio, ma il sogno dell’anziano non lo è, perché riguarda il
futuro della sua discendenza, che l’anziano sogna più forte e migliore di lui.
«Il sogno che noi riceviamo da un
anziano è un peso, costa portarlo avanti. E’ una responsabilità: dobbiamo
portarli avanti. Tu non puoi portarti tutti gli anziani addosso, ma i loro
sogni sì, e questi portali avanti, portali, che ti farà bene», ha detto il Papa. Ma tutti i sogni degli
anziani meritano questo impegno?
Il papa Giovanni Paolo 2°,
avvicinandosi il Grande Giubileo dell’Anno
2000, e sono passati ormai 18 anni da allora, i giovani non hanno idea di come inizi a
correre il tempo da una certa età della vita in poi!, ci guidò nel lavoro di purificazione della memoria, che significa distinguere, alla luce dei
valori di fede, i sogni che meritano di essere proseguiti e quelli che non lo
meritano, in un certo senso criticando le radici, quelle retropie di un passato immaginato che vengono utilizzate per indirizzare il futuro in un certa direzione. Sotto questo punto di vista, e riprendendo l’immagini delle radici e del radicamento,
è addirittura doveroso sradicarsi da certe culture del passato, o da alcuni loro aspetti, come ad esempio quelle
dei nazionalismi europei di Ottocento e Novecento, dunque anche dal nostro nazionalismo, perché hanno prodotto gli orrori di
cui la storia degli europei è piena. Ma, ancor prima, fu un sogno malvagio che costruì la cultura dell'invasione europea delle Americhe, che si attuò attraverso il genocidio di nativi, vale a dire di quelli che erano giunti in quei posti nel corso di più antiche migrazioni (neanche loro erano spuntati da quelle terre), e delle loro culture. Se
noi, sognando certe culture del passato, immaginandovi di doverci di nuovo radicare in esse come la soluzione
giusta per l’oggi sulla base di una loro immaginifica e irreale
rappresentazione storica, le replicassimo nel nostro oggi, ne conseguirebbero
gli orrori del passato, ma molto aggravati da progresso che abbiamo conseguito
negli strumenti di distruzione. Per dirne una: rispettiamo la figura di
Giuseppe Garibaldi, patriota nazionalista italiano, ma sarebbe disastroso
replicare, oggi, la sua sanguinosa cultura guerresca. E ancora, nella stessa linea di pensiero: pur comprendendo
le ragioni storiche e culturali, e anche certi aneliti religiosi, delle Crociate volte a recuperare alla
cristianità una presunta Terra Santa,
come se la santità spuntasse dal suolo o vi rimanesse incorporata al passaggio del
Santo, sarebbe folle, avendo il senno
del poi, di come è andata, delle sciagure stragiste e dei danni di lunga durata che hanno prodotto, replicarle in
un qualsiasi modo.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli