Fede bimba
Parlo con chi si è
allontanato e ci tiene subito a rinfacciarmi i divieti che sembrano connaturati
alla nostra religione. Vorrebbe quasi che me ne facessi difensore d’ufficio.
Non ci penso proprio!
Vuoi diventare una persona di fede o vuoi farti anche prete, frate o
suora? Se ti basta essere una persona di fede (a volte nel clero e tra i
religiosi si incontrano difficoltà ad esserlo), non mi tirare di mezzo i
divieti: fa quello che ti consiglia la tua coscienza. Ne sei responsabile:
decidi tu. Ti vuoi cacciare in mezzo
all’organizzazione clericale? Allora è un altro discorso. Lì avrai dei
superiori, come al militare. Pensaci bene. Si fa un lavoro utile, ma molto duro,
e c’è la disciplina, un insieme stringente di doveri. Non è per tutti. Io non
lo sopporterei. Due le cose che mi urterebbero: appunto l’avere superiori tra
il clero e il dovere sforzarsi di esser buono pena l’ipocrisia. Quest’ultima è
la controindicazione più forte alla vita ecclesiastica: per non avere guai ci
si concede un po’ di ipocrisia, per poi rendersi conto che essa tende a
dilagare. Allora si fanno gli esercizi
spirituali per rimettersi in linea,
ma insomma… I costumi curiali sono spesso pieni di ipocrisia, di falsa bontà:
altrimenti, sembra di capire, non si resisterebbe. Va così in molti altri
ambienti. Ma in questi ultimi l’ipocrisia, il mostrarsi quello che non si è, di solito non riguarda direttamente la bontà, ma, ad esempio, la competenza
professionale, la ricchezza, il successo e via dicendo. Ma perché, allora, ci
si caccia in un’impresa simile, ci si fa preti o religiosi? Per alcuni è una
professione come le altre, ma ci sono quelli che vi avvertono qualcosa che
altrove non c’è, la possibilità di essere strani,
controcorrente, impunemente. Un certo senso di libertà, proprio mentre sembra
che la si ripudi in certe altre cose. Ma a te che non vuoi farti prete o suora,
che importa?
Hai
ancora una fede bambina.
La fede bimba è primitiva. C’è molta immaginazione accreditata dai
genitori e dai loro luogotenenti. L’autorità dei genitori è la prima ad essere
sacralizzata: sembra che se vai contro di loro, vai contro il Cielo. Questo
significa sacralizzare. Si fanno le prime Confessioni e si spifferano
la marachelle contro mamma e papà. Crescendo deve diventare tutto diverso. Francesco d’Assisi combinò una
scenata in piazza contro il padre e l’hanno fatto santo subito.
Per molti, però, la fede rimane così, bimba,
da bimbo, o ritorna così in certi frangenti. Ci si crede in pericolo e si prega
di scamparne. Si invoca il prodigio. Questa è una fede primitiva: quella
mediante la quale si cerca di ammansire potenze superne capricciose. Per
carità, nulla di male. Succede a tutti. Anch’io ho nel cuore preghiere così. Perché,
però, il Cielo dovrebbe venire in soccorso a me e non ad un altro? Lui, il Giusto. Su questo ragionò Primo Levi in alcuni suoi
scritti. Sosteneva, se ben ricordo, non ho sotto mano il testo, che, al posto
di Dio, avrebbe vomitato quella preghiera egoistica. Quando si mise molto male
per me, come sembrava stesse mettendosi per lui, me ne ricordai e anch’io, ad un certo punto non riuscii più a
pregare in quel modo. E sono rimasto così. Ho ripudiato una certa idea del
soprannaturale. Ho la fede, ma non seguo la religiosità dei miracoli. Non è
obbligatorio, del resto. Non me ne faccio nulla dell’immagine di un dio
volubile e venale, da ammansire, come si
pensava che fossero gli dei dell’antichità.
Mi rinfacciano che Dio non c’è,
che nessuno l’ha mai visto. Neanch’io, che credete? Dio nessuno l’ha mai visto, è scritto. Ma per me l’esistenza di Dio
non è un problema, anzi non è il problema. Si cresce e si scopre il
soprannaturale in noi. Capiamo che siamo più di ciò che appare: mente, ciccia e
ossa. Il centro di tutto è agàpe, noi
quando ci vogliamo bene, non noi da soli, ma noi e/con gli altri: anche lì c’è più di quello che
appare. Quello che gli antichi pensavano nel più alto dei Cieli, lo pensiamo
tra noi. S’è fatto come noi, sosteniamo: per questo condivide l’agàpe, è addirittura
agàpe e la diffonde, l’anima. Sta
scritto anche questo. Vediamo il volto divino nell’altro che ci avvicina? E’
principio di ogni sapienza, ci insegnano i saggi. Trattiamo gli altri come
animali, come anche persone religiose fecero e fanno ancora? Stolti che siamo!
Dobbiamo temere la Nèmesi, il castigo, il contrappasso: chi mostro si fa, cadrà
in mano dei mostri che lui stesso ha evocato. Le società mostrificate non
generano il santo, abortiscono, anche se promettono gloria o semplicemente la
salvezza a spese di altri. Non è una
favola: è storia, è accaduto veramente, accade e accadrà. Le nostre Scritture,
ragionando su storia molto antica, trattano proprio di questo. «La storia
insegna che l’esercizio del potere può provocare il rischio di fare
inebriare» ha detto l’altro giorno il
Presidente Sergio Mattarella, persona che si è formata umanamente nella nostra
fede. La storia è piena di questi mostri ebbri, ed anche quella biblica ne
narra per sventare il rischio di imitarli o di farcene seguaci.
Abbiamo imparato il senso religioso della giustizia dall’antico
ebraismo, ma siamo andati veramente molto più in là. Abbiamo esteso fino ai
confini della Terra, ad ogni volto umano, l’idea di popolo, di un popolo che riesce
ad essere santo in quanto giusto, non
comprando i favori e la complicità di un qualche dio. Non abbiamo una terra santa a cui tornare, un nostro popolo da separare
dagli altri. La famiglia umana:
l’umanità come un’unica famiglia. Questo è il popolo che riteniamo pieno di
santità, già costituito, solo da radunare. La santità non nasce dalla terra
come le zucchine. Per questo ogni terra che si voglia santa è, in fondo, un inganno. La santità è in ogni anima umana. Noi ce ne
facciamo cercatori. Questa è l’intuizione all’origine della nostra vita religiosa. Quella che ci ha spinti fino
agli estremi confini della Terra. Tutto il resto è contorno, compresa la lunga
serie di doveri religiosi. Non è per
spirito di dovere che si cerca quella giustizia che la religione
ci insegna. E’ per quel soprannaturale che è in noi.
In un suo film, il regista Woody Allen
impersona un uomo che, disperato, tenta varie religioni e anche la nostra.
Parla col prete, ma gli viene detto che ci vorrà tempo, dovrà leggere dei libri,
partecipare ad incontri. Allora lui va in un negozio di ricordini religiosi,
come quelli che ci sono qui a Roma intorno al Vaticano, e compra un Crocifisso
che muove gli occhi, la foto del Papa e qualche santino, una cioccolata e un
liquore fatti dai monaci: questo è appunto il contorno. Il contorno non lo soddisfa. Non ha tempo per
il resto. Passa oltre. Non è per disperazione che si diventa religiosi. La
religione non è medicina per la disperazione, non serve a questo. Serve quando arde il cuore.
Ho letto che Donald Trump, nel suo fortunato show The apprentice, esteso ormai
a una nazione intera sembra e, attraverso essa, al mondo intero, sosteneva che
un buon contratto, un buon accordo commerciale, è quello in cui lui si
avvantaggia molto di più dell’altro contraente, ha la meglio, ricava di più e
al prezzo più basso, e l’altro ci rimette. Gli antichi giuristi romani
predicavano invece l’equità, il dare a ciascuno il suo, una certa
proporzionalità, insomma, tra ciò che si prende e ciò che si dà. Per un figlio,
però, si è disposti anche a dare la propria vita, purché lui sia salvo. Che
cosa è questo? E per un fratello che si farebbe, e si fa? Accade tutti i
giorni. Io sono uno che è stato salvato da suo fratello, anche a rischio della
sua vita. Abbiamo visto i Vigili del Fuoco a Genova appesi nel vuoto sul
moncone del grande ponte diruto, e per molti, ne sono sicuro, è stato come se ardesse loro il cuore nel petto. Non è così? Ma i genitori
di quei Vigili, vedendoli in pericolo, che avranno pensato? Che pensa un padre
o una madre quando il figlio rischia la vita per gli altri, o anche solo per un
altro fratello? Che cosa ci spinge ad accettare che siano messi in pericolo
coloro che ci sono più cari e ad esserne, alla fine anche orgogliosi, se va
bene. E se va male? Di qualcosa del
genere parla un brano evangelico che ti propongo nella traduzione in Italiana
fatta per la Conferenza Episcopale Italiana e pubblicata nel 2008. E’ tratta dal
Vangelo di Luca, dal versetto 13 al 23 del capitolo 24 [lo trovi sul WEB
all’indirizzo http://www.vatican.va/archive/ITA0001/__PVK.HTM
]
«Ed ecco in quello stesso
giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette
miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era
accaduto.
Mentre discorrevano e discutevano insieme,
Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano
incapaci di riconoscerlo.
Ed egli disse loro: "Che sono questi
discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?". Si fermarono, col
volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: "Tu solo sei
così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi
giorni?". Domandò: "Che cosa?". Gli risposero: "Tutto
ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole,
davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi
lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno
crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò
son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune
donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e
non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una
visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.
Alcuni
dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne,
ma lui non l'hanno visto".
Ed
egli disse loro: "Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei
profeti!
Non
bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua
gloria?". E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in
tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furon vicini al villaggio dove erano
diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano.
Ma essi insistettero: "Resta con noi
perché si fa sera e il giorno già volge al declino". Egli entrò per
rimanere con loro.
Quando fu
a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede
loro.
Allora
si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro
vista.
Ed essi si dissero l'un l'altro: "Non ci
ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino,
quando ci spiegava le Scritture?".
E
partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti
gli Undici e gli altri che erano con loro. »
Quell’ardere
del cuore è l’inizio della nostra fede. Ad un fedele viene evocato
anche da quel brano evangelico. Lo legge e la fede gli si rianima. E’ così per
tutti gli altri brani biblici. E’ per questo che teniamo sempre la Bibbia
vicino a noi. Per inciso: diffondere e spiegare la Bibbia è parte del lavoro del clero e dei religiosi. A me l’hanno
spiegata loro e non solo spiegata, ma anche, per così dire, nonostante i tanti
problemi della vita curiale, impersonata.
Anche altri hanno però collaborato.
Io ci ho messo un po’ di buona volontà,
di quando in quando. Quando ho sete, attingo. Tu, hai sete di cose come queste?
Mario Ardigò – Azione
Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli