Fascismo
storico e neofascismi
0. Poiché l’argomento è
tornato d’attualità in questi giorni, ripubblico alcuni interventi sul tema del
fascismo storico e dei neofascismi. Il
primo è quello che visse nella società italiana, finendo per egemonizzarla a lungo, dal
1914 al 1945; i secondi sono i movimenti che attualmente in Italia al primo esplicitamente si richiamano,
adottandone in particolare i simboli e, in parte, la mentalità e proponendosi
di farne il proprio modello di azione politica. La differenza dal fascismo
storico è tuttavia molto rilevante e piuttosto evidente per chi abbia
sufficiente sensibilità storica. Il fascismo storico aveva una grande
considerazione per l’Italia e gli italiani, vi vedeva una civiltà superiore
destinata ad espandersi in Europa e intorno al bacino del Mediterraneo, ma
anche più in là. I neofascismi di oggi, in genere, pensano agli italiani come
ad un popolo da proteggere da influenze straniere, in una specie di riserva, un po’ come si fece, e ancora si
fa, per i nativi nord-americani. Chiunque arrivi tra noi, da dovunque arrivi,
fosse anche dalle regioni più depresse dell’Africa, è visto come in grado di
minacciare l’integrità della società italiana, che quindi è considerata come un
realtà debole, a carattere recessivo, un po’ come qui a Roma, nei nostri
parchi, le popolazioni degli scoiattoli rossi europei di fronte all’invasione
di quelli grigi di importazione americana. Solo che questi ultimi sono
effettivamente più forti, mentre per sconvolgere le etnie italiane basterebbe
anche gente che
viene da noi spinta unicamente dalla propria disperazione.
1. In un programma di formazione alla
politica che si faccia in Italia occorre affrontare il tema del fascismo
storico, quello che iniziò a aggregarsi già nel 1914, per promuovere l’entrata
dell’Italia nella Prima guerra mondiale, esplosa in Europa nel luglio di
quell’anno tra Germania, Austria, Turchia, da una parte, e Francia,
Inghilterra, Russia e Serbia, dall’altra, quello che fu sconfitto come regime
politico nel 1945, prolungando il suo influsso ideologico anche in epoca
repubblicana in esperienze politiche e sindacali che in qualche modo vi si
richiamarono, sia pure in un contesto di accettazione del metodo democratico.
E’ però un tema difficile per un
cattolico, perché il Papato, la Chiesa italiana, che negli anni Venti e Trenta
molto più di oggi era controllata dal Papato, e i cattolici italiani vi furono
molto coinvolti. Le relazioni con il fascismo storico, la sua ideologia e le
sue organizzazioni furono molto profonde. Entrambe le parti ne uscirono in
parte trasformate. L’integrazione tra ideologia fascista e cultura religiosa
diede vita ad un modo di pensare che fu tramandato di generazione in
generazione, come accade per i fatti religiosi, sopravvisse alla fine del
fascismo storico, e pervade tuttora la società italiana, anche se non se ne è
sempre consapevoli. Può essere questa la ragione dell’interesse della gente per
il fascismo?
Segnalo come fonti affidabili sul
fascismo le voci dell’enciclopedia Treccani on line
http://www.treccani.it/enciclopedia/fascismo/
e
http://www.treccani.it/enciclopedia/benito-mussolini/
L’ideologia del fascismo storico
ebbe al suo centro l’idea della guerra come mezzo per la rigenerazione della
nazione italiana, vista come centro di una grande civiltà destinata ad
espandersi nel mondo. Dal punto di vista del militante era molto importante il
proposito di sacrificarsi per la Patria. Si tratta di modi di
pensare estranei, in genere, a quelli di oggi. Anche tra i gruppi che al
fascismo storico esplicitamente oggi si richiamano.
L’Africa fu molto importante per
il fascismo storico, che vi guidò gli italiani in una serie di conflitti
sanguinosi e costosi per lo stato dal 1922 al 1932 in Libia e dal 1935 al 1936
in Etiopia. Era assolutamente assente l’idea di usare la violenza per impedire
agli africani di venire in Italia. Il fascismo, anzi, si propose di costruire
un impero multinazionale esteso anche in Africa, sul modello dell’antico impero
romano, e ciò avrebbe comportato necessariamente l’integrazione tra popoli e
culture.
Era assente dall’ideologia del
fascismo storico la paura dei migranti, per la ragione che, quando conquistò il
potere, gli italiani erano da tempo un popolo di migranti, sia verso gli altri
stati europei, sia verso posti molto più lontani, come le Americhe o
l’Australia.
Un elemento molto importante
dell’ideologia fascista fu quello di proporsi di pacificare d’autorità i
conflitti sociali tra lavoratori dipendenti e imprenditori, impegnando
direttamente lo stato in questo e attuando un vasto programma di provvidenze
sociali. Pacificare con le buone o con le cattive, anche con la violenza di
piazza, attuata mediante apposite squadre di
combattenti che agivano nel contesto civile. Lo squadrismo degli
inizi fu poi trasformato in un'istituzione dello stato, in una vera
e propria milizia pubblica. Tutto questo, però,
non tanto avendo la giustizia sociale come obiettivo finale, ma per avere un
popolo di soldati, e di madri e spose di soldati, da scagliare nelle guerre di
conquista per realizzare un impero. Si pensava che le risorse per
sostenere questo programma sarebbero derivate da quelle conquiste, in
particolare colonizzando l’Africa, vale a dire
trasferendovi gli italiani lavoratori. Questo programma piacque agli
imprenditori italiani che temevano gli sviluppi del socialismo rivoluzionario,
che aveva conquistato la Russia con la rivoluzione bolscevica del 1917. Anche
in Italia, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, si erano manifestate
agitazioni di tipo rivoluzionario promosse da formazioni socialiste, che
avevano impaurito in particolare i grandi proprietari terrieri e i
maggiori industriali. Questi ultimi pensavano anche di beneficiare dalle guerre
progettate dal fascismo, che avrebbero richiesto ingenti mezzi da commissionare
all'industria nazionale.
Il programma di guerre del
fascismo prometteva ricchezze a tutti, ai più ricchi e ai più poveri. La
pervasiva propaganda del regime convinse gli italiani. Il fascismo generò un
sistema politico-istituzionale totalitario, nel senso che
pretendeva di controllare tutte le manifestazioni della società italiana. In
questo poteva trovare un ostacolo nella Chiesa cattolica, che da molti anni
stava conducendo un programma di riforma sociale in Italia. Di fatto, nella
seconda metà degli anni ’20 si venne ad un’intesa, che si manifestò, in
particolare nella conclusione dei Patti Lateranensi nel 1929.
In base ad essi la politica in Italia doveva essere riservata alle istituzioni
promosse dal regime. Nel 1931 per qualche mese si ebbero contrasti tra le
organizzazioni fasciste e quelle cattoliche, che presto furono risolti nel
senso indicato dal Concordato, quella parte dei Patti
Lateranensi che riguardava la condizione della Chiesa italiana
nello stato. Dai Patti Lateranensi il Papato ebbe di
nuovo un suo piccolo regno a Roma, denominato Città del Vaticano,
e ingenti pagamenti a titolo di risarcimenti per la guerra che gli era stata
mossa nel secolo precedente e che aveva portato alla fine dello Stato
pontificio.
Il fascista cattolico
divenne il modello del cittadino esemplare. Alcuni elementi dell’ideologia
fascista passarono nella cultura cattolica, ad esempio nel campo della famiglia
e della condizione della donna. Anche la Chiesa si presentava come un faro di
civiltà, ma, a differenza del fascismo, lo era veramente stata storicamente. Il
fascismo era invece un’esperienza culturale molto giovane: si giovò sicuramente
del lustro che gli derivava dal riconoscimento che all’epoca fu fatto dal
Papato del suo carattere provvidenziale nella storia
nazione.
Il documento che produsse
maggiormente questo effetto fu, oltre ai Trattati lateranensi, l’enciclica Quadragesimo
Anno - Il Quarantennale, diffusa nel 1931 dal papa Achille Ratti, Pio
11° in religione, nella quale leggiamo:
«92. Recentemente, come tutti sanno,
venne iniziata una speciale organizzazione sindacale e corporativa, la quale,
data la materia di questa Nostra Lettera enciclica, richiede da Noi qualche
cenno e anche qualche opportuna considerazione.
93. Lo Stato riconosce giuridicamente il
sindacato e non senza carattere monopolistico, in quanto che esso solo, così
riconosciuto, può rappresentare rispettivamente gli operai e i padroni, esso
solo concludere contratti e patti di lavoro. L'iscrizione al sindacato è
facoltativa, ed è soltanto in questo senso che l'organizzazione sindacale può
dirsi libera; giacché la quota sindacale e certe speciali tasse sono
obbligatorie per tutti gli appartenenti a una data categoria, siano essi operai
o padroni, come per tutti sono obbligatori i contratti di lavoro stipulati dal
sindacato giuridico. Vero è che venne autorevolmente dichiarato che il
sindacato giuridico non escluse l'esistenza di associazioni professionali di
fatto.
94. Le Corporazioni sono costituite dai
rappresentanti dei sindacati degli operai e dei padroni della medesima arte e
professione, e, come veri e propri organi ed istituzioni di Stato, dirigono e
coordinano i sindacati nelle cose di interesse comune.
95. Lo sciopero è vietato; se le parti
non si possono accordare, interviene il Magistrato.
96. Basta poca riflessione per vedere i
vantaggi dell'ordinamento per quanto sommariamente indicato; la pacifica
collaborazione delle classi, la repressione delle organizzazioni e dei conati
socialisti, l'azione moderatrice di une speciale magistratura. Per non
trascurare nulla in argomento di tanta importanza, ed in armonia con i principi
generali qui sopra richiamati, e con quello che inibito aggiungeremo, dobbiamo
pur dire che vediamo non mancare chi teme che lo Stato si sostituisca alle
libere attività invece di limitarsi alla necessaria e sufficiente assistenza ed
aiuto, che il nuovo ordinamento sindacale e corporativo abbia carattere
eccessivamente burocratico e politico, e che, nonostante gli accennati vantaggi
generali, possa servire a particolari intenti politici piuttosto che
all'avviamento ed inizio di un migliore assetto sociale.
97. Noi crediamo che a raggiungere
quest'altro nobilissimo intento, con vero e stabile beneficio generale, sia
necessaria innanzi e soprattutto la benedizione di Dio e poi la collaborazione
di tutte le buone volontà. Crediamo ancora e per necessaria conseguenza che
l'intento stesso sarà tanto più sicuramente raggiunto quanta più largo sarà il
contributo delle competenze tecniche, professionali e sociali e più ancora dei
principi cattolici e della loro pratica, da parte, non dell'Azione Cattolica
(che non intende svolgere attività strettamente sindacali o politiche), ma da
parte di quei figli Nostri che 1'Azione Cattolica squisitamente forma a quei
principi ed al loro apostolato sotto la guida ed il Magistero della Chiesa;
della Chiesa, la quale anche sul terreno più sopra accennato, come dovunque si
agitano e regolano questioni morali, non può dimenticare o negligere il mandato
di custodia e di magistero divinamente conferitole.»
Il papa Ratti realizzò nel 1923
una riforma dell’Azione Cattolica che ne accentuò il suo carattere religioso, a
scapito di quello politico, accentrandone ulteriormente nel Papato e nei
vescovi la direzione. Questo agevolò le relazioni con il fascismo, che
puntava ad ottenere il monopolio della politica. L’intesa con il fascismo si
fece sentire anche nel lavoro dell’associazione, che in gran parte si
fascistizzò. Fecero eccezione la FUCI, la Federazione Universitaria Cattolica
Italiana, il ramo degli universitari, e, più tardi, quando venne costituito nel
1932, il Movimento Laureati di Azione Cattolica. Fu la politica del
regime di discriminazione razziale verso gli ebrei
italiani a segnare un mutamento di orientamento nella Chiesa italiana. Da
notare che la discriminazione non aveva costituito un problema morale quando
aveva colpito gli africani conquistati nelle guerre coloniali. Il
cambiamento di rotta si manifestò a partire dal 1937, anno in cui fu
diffusa un enciclica con critiche sociali al nazismo tedesco. Nel 1939 il papa
Ratti morì nella fase di gestazione di un’enciclica critica contro il razzismo,
alcuni elementi della quale vennero ripresi della prima enciclica del suo
successore, il papa Eugenio Pacelli, Pio 12°, laSummi Pontificatus - Il
Sommo Pontificato, in cui si legge:
«Al lume di questa
unità di diritto e di fatto dell'umanità intera gli individui non ci appaiono
slegati tra loro, quali granelli di sabbia, bensì uniti in organiche, armoniche
e mutue relazioni, varie con il variar dei tempi, per naturale e soprannaturale
destinazione e impulso. E le genti, evolvendosi e differenziandosi secondo
condizioni diverse di vita e di cultura, non sono destinate a spezzare l'unità
del genere umano, ma ad arricchirlo e abbellirlo con la comunicazione delle
loro peculiari doti e con quel reciproco scambio dei beni, che può essere
possibile e insieme efficace, solo quando un amore mutuo e una carità vivamente
sentita unisce tutti i figli dello stesso Padre e tutti i redenti dal medesimo
sangue divino.»
Il fascismo fu
rivoluzionario, come si presentò alle origini e alla fine, o reazionario, come
si presentò negli anni ’30, quelli dell’intesa con il Papato?
Mi pare che sia stato entrambe le
cose, nel corso della sua lunga storia.
Il Papato degli anni Venti, gli
anni dell’affermazione del fascismo, era ancora politicamente di tipo
rivoluzionario, nel senso che era profondamente insofferente del liberalismo
democratico che fino ad allora aveva egemonizzato il Regno d’Italia e voleva
che la politica nazionale cambiasse orientamento. Su questa esigenza di
trasformazione sociale si basò l’intesa del Papato con il fascismo mussoliniano
che ne manifestava una analoga. Il Papato ritenne di poter guidare l'evoluzione
del fascismo. Non bisogna pensare ad un fatto superficiale. Il fascismo ebbe
aspetti culturali molto importanti, prova ne sia che vi aderì uno dei maggiori
filosofi italiani dell’epoca, Giovanni Gentile. Fu un fatto sociale complesso,
molto lontano dalle approssimazioni che ne fanno certi suoi attuali estimatori.
Non fu solo teppismo di strada. Anzi, abbastanza presto tentò di correggerlo e
contenerlo, per altro servendosene e incoraggiandolo disinvoltamente
all'occorrenza.
Non è fuor di luogo, mi pare,
notare infine, a proposito delle relazioni intense con la Chiesa
italiana, che gli ultimi giorni del fascismo storico e del suo capo
trascorsero a Milano con i tentativi di ottenerne la resa pacifica attuati
dall’arcivescovo Alfredo Ildefonso Schuster. Benito Mussolini nelle sue ultime
ore disperate di relativa libertà (limitata dai militari tedeschi che erano
stati incaricati di seguirne i movimenti) salì e scese le scale
dell'Arcivescovato milanese.
2. Osservo che tra i giovani, anche quelli
colti, gli studenti universitari, si guarda al fascismo come a una possibile
via della politica di oggi. Ne circolano però versioni molto
semplificate, come al tempo in cui fui studente al liceo, negli scorsi anni ’70.
Il giornalista Indro Montanelli
sosteneva, lo potete vedere e ascoltare in un’intervista caricata su YouTube
https://www.youtube.com/watch?v=5-1L5lH2urQ
che il fascismo fu
Mussolini, e solo di Mussolini e che la storia del fascismo è
la storia di Mussolini.
Benito Mussolini, nato in Romagna nel
1883, da padre fabbro e madre maestra elementare, anch’egli di professione
maestro elementare, fu colui che, da un magma sociale preesistente di
rivoltosi, essenzialmente riconducibile al socialismo rivoluzionario,
catalizzò, quindi produsse l’aggregazione, del fascismo come movimento,
divenendone il Duce, il suo esponente egemone dal potere
indiscutibile, trasformando, e quindi segnando, profondamente l’Italia negli
anni, dal 1922 al 1943 come capo del Governo del Regno d’Italia, e poi dal 1943
al 1945, come capo del Governo, con funzioni sostanzialmente di capo di Stato,
di una repubblica fascista denominata Repubblica Sociale Italiana.
Uno degli studiosi più noti tra
quelli che si sono occupati ad alto livello del fascismo italiano fu Renzo De
Felice (1929-1996). Egli non condivideva l’opinione di Montanelli. Condivideva
invece la tesi, già proposta negli anni ’30, che fossero esistiti vari tipi di
fascismi, compresenti in uno stesso tempo e succedutisi in tempi diversi, e che
il fascismo fosse stato un fatto sociale molto complesso. Esso, durante la sua
egemonia politica, coinvolse la gran parte degli italiani e, in particolare,
formò culturalmente le generazioni dei nati dal 1914 al 1930, tra i quali mio padre,
nato nel 1922, i quali, nella gran parte, quando cominciarono a fare vita
sociale fuori della famiglia non conobbero altra politica che quella proposta
dal fascismo, e dunque furono inizialmente, con poche eccezioni, fascisti.
Fino al 1914 Benito Mussolini fu un esponente di primo piano del Partito Socialista
Italiano, che comprendeva una componente di socialismo rivoluzionario. Non se
ne era ancora distaccato il Partito Comunista, che fu fondato, per scissione da
quello Socialista, nel 1921. La frattura di Mussolini con i socialisti di
allora avvenne sul tema della partecipazione dell’Italia alla Prima guerra
mondiale: Mussolini, inizialmente per la neutralità, maturò ed espresse
convinzioni interventiste.
Durante la sua militanza
socialista, Mussolini diresse i giornali Lotta di classe e Avanti!, il
giornale del partito. Espulso dal Partito Socialista Italiano per aver
manifestato convinzioni interventiste, fondò pochi giorni dopo, nel novembre
1914, a Milano, il giornale Il Popolo d’Italia, che poi
divenne quello del Partito Nazionale Fascista, costituito nel novembre 1921.
Al centro dell’ideologia fascista
nel corso di tutta la storia del regime, dal 1922, quando Mussolini fu nominato
capo del Governo del Regno d’Italia - carica che mantenne ininterrottamente
fino al 1943 -, all’aprile 1945, anno della caduta di quel regime al termine
della Seconda Guerra Mondiale in Italia, vi fu l’idea della guerra come
movimento di rigenerazione sociale. Ed effettivamente il fascismo guidò gli
italiani in una serie continua di guerre, fino alla sua caduta come regime, a
partire dalla guerra di Libia (1922-1932), poi nella guerra in Etiopia
(1935-1936, ma preparata fin dal 1933), poi con l’intervento nella guerra
civile spagnola (1936-1939), infine nell’ultima guerra mondiale (1939-1945:
l’Italia entrò in guerra nel 1940).
Quell’idea della guerra era
piuttosto diffusa negli anni a ridosso dell’inizio della Prima Guerra Mondiale.
La proclamavano ad esempio i futuristi italiani, che partecipavano
ad un movimento culturale in gran voga. E’ da loro che viene lo slogan Guerra,
sola igiene del mondo (fu il titolo del loro manifesto,
pubblicato nel 1915).
La rivoluzione comunista
bolscevica in Russia, nell’ottobre 1917, nelle ultime fasi della guerra
mondiale, fu vista come una sorta di esperimento sociale di come potesse essere
trasformata una società impegnata in un conflitto bellico.
Nel fascismo delle origini, al
concetto di classe come motore della trasformazione
sociale, fu sostituito quello di nazione in
guerra. Esso sviluppò carattere antisocialista, in quanto i socialisti
vedevano nellanazione una finzione che nascondeva il dominio
di una classe di privilegiati su classi subalterne, e, contemporaneamente
anti-borghese, perché considerava la borghesia vile e corrotta, e per questo
timorosa della guerra.
Scrisse Renzo De Felice in Il fascismo e
i partiti politici italiani, Cappelli, 1956, pag.13-14:
“[…] Il fascismo, quando arrivò
al potere (con il consenso di gran parte della classe politica liberale che -
in quel momento - non solo vedeva in esso il minore dei mali, ma si illudeva
che esso potesse evolvere in un neoliberalismo dell’età di massa in grado di
ristabilire quei legami con il paese che essa aveva in gran parte
perduti), mantenne potenzialmente la sua duplice caratterizzazione
anticapitalista e antiproletaria, che però non poté prendere corpo in una
concreta azione politica, da un lato per l’estrema stratificazione e divisione
particolaristica della «piccola borghesia», socialmente troppo legata agli
altri strati della società, da un altro lato per l’essenza stessa
dell’ideologia fascista. Questa, se all’origine (sindacalismo rivoluzionario)
era nata come una sorta di «eresia» del socialismo che scopriva sotto
la realtà delle classi quella della Nazione (sotto questo profilo, più che il
nazionalismo a preparare il fascismo, fu il fascismo che assorbì il
nazionalismo) e ne aveva tentato la sintesi corporativa (che fallì perché il
padronato non collaborò che nei limiti dei propri interessi e la
collaborazione degli operai non andò oltre un inquadramento formale),
proprio per la sua necessità di adattarsi alla psicologia e alla realtà piccolo
borghesi finì per estrinsecarsi soprattutto attraverso la valorizzazione delle
elites, della «competenza», della«gerarchia», del «capo». Attraverso
una ideologia cioè che non solo era profondamente antidemocratica, ma
condannava in pratica il fascismo stesso (e gli strati sociali che lo
avevano espresso) poiché, mancando esso per la sua origine storica e
attivistica di una vera e propria elite, finì rapidamente assorbito nelle
strutture burocratiche ed economiche preesistenti, nelle quali si adattò come
gestore di un potere che in buona parte non era - come capacità soprattutto
di determinare lo sviluppo economico-sociale - nelle sue mani, e che
poteva detenere solo in virtù di un compromesso politico con la
preesistente classe dominante e con una parte di quelle forze portate alla
ribalta dalla crisi della guerra, con il ricorso ad un sistema di polizia e con
una serie di diversivi (spesso demagogici), fossero essi di politica
internazionale o di politica sociale (di tipo normativo-assistenziale).”
Nell’ordine di idee esposto dal De
Felice, della necessità per il fascismo, per poter continuare, di assicurarsi
la collaborazione di élite colte, si comprende bene l’importantissimo apporto
derivato al regime fascista a seguito del compromesso con il Papato nei Patti
Lateranensi nel 1929, che consentì al fascismo di beneficiare dell’apporto di
competenze intellettuali e in materia di animazione della società molto
superiori a quelle da esso possedute, quelle appunto che gli furono portate dal
mondo cattolico, indotto dal Papato a collaborare con il regime, almeno fino al
1938. Gli anni tra il 1929 e il 1938 furono quelli del fascismo
trionfante in Italia, con un consenso popolare vastissimo.
Mussolini aveva cultura da
maestro elementare, fu un brillante giornalista e, in primo luogo, un agitatore
sociale al modo dei socialisti rivoluzionari. All’origine si era
manifestato violentemente anticlericale, come i socialisti rivoluzionari.
Eppure fu colui che, in rappresentanza del Regno d’Italia, sottoscrisse i Patti
Laterananensi con il Papato, presentandoli come una
grande vittoria politica e spirituale del regime.
3. Ho cercato di
riassumere in poche righe un fenomeno sociale molto complesso, quale fu il
fascismo storico, tra il 1922 e il 1945.
L’ho fatto per capire che cosa
ancora affascina in esso ai nostri giorni, perché dei giovani guardino ad esso
come a un modello valido.
E’ un lavoro che ho cominciato a
fare già al liceo, dove gran parte dei miei compagni di classe maschi aderiva
al Fronte della Gioventù, l’organizzazione del partito Movimento
Sociale Italiano, che si allacciava ideologicamente, esplicitamente,
all’ideologia fascista. Su questo punto non ho dubbi, non solo perché quei
compagni di classe chiamavano se stessi fascisti, ma perché erano
stati fascisti i fondatori del partito, Giorgio Almirante e Pino Romualdi,
quest’ultimo vicesegretario del Partito Nazionale Fascista nella Repubblica
Sociale Italiana.
Su YouTube potete vedere
un’intervista ad Almirante, nel programmaMixer, in cui egli spiega
perché continuava a definirsi fascista:
https://www.youtube.com/watch?v=JL0nrJf1Tw4
In un’altra intervista su YouTube
https://www.youtube.com/watch?v=ccP9lyosVlE
egli, nato nel 1914, spiega che imparò
il valore della libertà solo dopo la caduta del fascismo, nella vita
democratica della Repubblica italiana, perché prima non gli era stata
insegnata. Un’esperienza comune alle generazioni formatesi
durante il fascismo.
Tra i cattolici italiani, la
libertà cominciò ad essere nuovamente insegnata nel corso degli anni ’30 in
ambienti intellettuali molto limitati, ad esempio nel Movimento Laureati di
Azione Cattolica, fondato nel 1932.
Bene: come già osservai al liceo,
rimane poco del fascismo storico in quelli che oggi se ne proclamano aderenti.
Prendono a modello lo squadrismo delle origini e
si circondano di simboli del fascismo, ma non hanno i suoi stessi nemici e i
suoi obiettivi. Si vuole un certo benessere, come le classi più benestanti che
vengono prese a modello, non ci si vuole sacrificare per gli altri o per la
Nazione. In Italia non è incipiente una rivoluzione socialista e la vita civile
prosegue con ordine. Mi pare anche che manchi completamente un progetto di
riforma sociale analogo a quello fascista, da attuarsi mediante la
guerra di popolo, con una nazione in guerra. “Italia
agli Italiani” non era un problema del fascismo storico, perché, quando
prese il potere, l’Italia era già degli Italiani, a seguito della
vittoria bellica nella Prima Guerra Mondiale. Il suo problema fu semmai quello
di creare un impero per portare l’Italia anche molto fuori
d’Italia, a genti lontane, in particolare in Africa, alle quali, come faceva
una canzone molto popolare del regime, si voleva dare un'altra
legge e un altro Re e per bandiera quella italiana. Si
voleva, quindi, farne degli italiani.
Chi oggi sarebbe disposto ad
andare entusiasticamente in guerra, come veniva proposto dai fascisti di un
tempo? A morire per la Patria. Si fa il soldato come lavoro, come
professione. Si vorrebbe, terminato il lavoro, tornare a casa. E la guerra
viene considerata come è realmente, morte, corpi lacerati e mutilati, tanti
orfani e tanta altra gente che soffre, e distruzione, un male sociale da
superare prima possibile.
Molto di più del fascismo rimane
negli ambienti cattolici conservatori. La loro ideologia ingloba, ad esempio, l’idea
del marito/padre comecapo della famiglia e quella della donna
come destinata essenzialmente a ruoli subordinati di sposa e madre. Così come
l’idea che la religione cristiana, nella versione cattolica, rientri nei
caratteri costitutivi della nazione italiana (è
l’ideologia che fu sviluppata a seguito dei Patti Lateranensi).
Aggiungo un inciso: perché il
Papato non fu travolto con il Mussolini e la monarchia Savoia dopo il disastro
dell’ultima Guerra Mondiale?
Una delle ragioni può essere che
nel marzo del 1939 cambiò il Papa, venendo eletto Eugenio Pacelli,
regnante come Pio XII. Egli subito iniziò a distanziarsi dall’ideologia del
regime, in particolare nel radiomessaggio diffuso il 24 agosto
1939, in cui così parlò della guerra (di cui si avvertivano chiaramente
le gravi minacce):
A tutto il mondo.
Un’ora grave suona nuovamente per la
grande famiglia umana; ora di tremende deliberazioni, delle quali non può
disinteressarsi il Nostro cuore, non deve disinteressarsi la Nostra Autorità spirituale,
che da Dio Ci viene, per condurre gli animi sulle vie della giustizia e della
pace.
Ed eccoCi con voi tutti, che in questo
momento portate il peso di tanta responsabilità, perché a traverso la Nostra
ascoltiate la voce di quel Cristo da cui il mondo ebbe alta scuola di vita e
nel quale milioni e milioni di anime ripongono la loro fiducia in un frangente
in cui solo la sua parola può signoreggiare tutti i rumori della terra.
EccoCi con voi, condottieri di popoli,
uomini della politica e delle armi, scrittori, oratori della radio e della
tribuna, e quanti altri avete autorità sul pensiero e l’azione dei fratelli,
responsabilità delle loro sorti.
Noi, non d’altro armati che della parola
di Verità, al disopra delle pubbliche competizioni e passioni, vi parliamo nel
nome di Dio, da cui ogni paternità in cielo ed in terra prende nome (Eph., III,
15), — di Gesù Cristo, Signore Nostro, che tutti gli uomini ha voluto fratelli,
— dello Spirito Santo, dono di Dio altissimo, fonte inesausta di amore nei cuori.
Oggi che, nonostante le Nostre ripetute
esortazioni e il Nostro particolare interessamento, più assillanti si fanno i
timori di un sanguinoso conflitto internazionale; oggi che la tensione degli
spiriti sembra giunta a tal segno da far giudicare imminente lo scatenarsi del
tremendo turbine della guerra, rivolgiamo con animo paterno un nuovo e più
caldo appello ai Governanti e ai popoli: a quelli, perché, deposte le accuse,
le minacce, le cause della reciproca diffidenza, tentino di risolvere le
attuali divergenze coll’unico mezzo a ciò adatto, cioè con comuni e leali
intese: a questi, perché, nella calma e nella serenità, senza incomposte
agitazioni, incoraggino i tentativi pacifici di chi li governa.
È con la forza della ragione, non con
quella delle armi, che la Giustizia si fa strada. E gl’imperi non fondati sulla
Giustizia non sono benedetti da Dio. La politica emancipata dalla morale
tradisce quelli stessi che così la vogliono.
Imminente è il pericolo, ma è ancora
tempo.
Nulla è perduto con la pace. Tutto può
esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a
trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si
accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole
successo.
E si sentiranno grandi — della vera
grandezza — se imponendo silenzio alle voci della passione, sia collettiva che
privata, e lasciando alla ragione il suo impero, avranno risparmiato il sangue
dei fratelli e alla patria rovine.
Faccia l’Onnipotente che la voce di
questo Padre della famiglia cristiana, di questo Servo dei servi, che di Gesù
Cristo porta, indegnamente sì, ma realmente tra gli uomini, la persona, la
parola, l’autorità, trovi nelle menti e nei cuori pronta e volenterosa
accoglienza.
Ci ascoltino i forti, per non diventar
deboli nella ingiustizia. Ci ascoltino i potenti, se vogliono che la loro
potenza sia non distruzione, ma sostegno per i popoli e tutela a tranquillità
nell’ordine e nel lavoro.
Noi li supplichiamo per il sangue di
Cristo, la cui forza vincitrice del mondo fu la mansuetudine nella vita e nella
morte. E supplicandoli,sappiamo e sentiamo di aver con Noi tutti
i retti di cuore; tutti quelli che hanno fame e sete di Giustizia — tutti
quelli che soffrono già, per i mali della vita, ogni dolore. Abbiamo con Noi il
cuore delle madri, che batte col Nostro; i padri, che dovrebbero abbandonare le
loro famiglie; gli umili, che lavorano e non sanno; gli innocenti, su cui pesa
la tremenda minaccia; i giovani, cavalieri generosi dei più puri e nobili ideali.
Ed è con Noi l’anima di questa vecchia Europa, che fu opera della fede e del
genio cristiano. Con Noi l’umanità intera, che aspetta giustizia, pane,
libertà, non ferro che uccide e distrugge. Con Noi quel Cristo, che
dell’amore fraterno ha fatto il Suo comandamento, fondamentale, solenne; la
sostanza della sua Religione, la promessa della salute per gli individui e per
le Nazioni.
Memori infine che le umane industrie a
nulla valgono senza il divino aiuto, invitiamo tutti a volgere lo sguardo in
Alto ed a chiedere con fervide preci al Signore che la sua grazia discenda
abbondante su questo mondo sconvolto, plachi le ire, riconcilii gli animi e
faccia risplendere l’alba di un più sereno avvenire. In questa attesa e con
questa speranza impartiamo a tutti di cuore la Nostra paterna Benedizione.
Tenendo conto che l’idea
di rigenerazione della nazione mediante la guerra era
nella struttura fondamentale e originaria dell’ideologia fascista, fin dalle
origini nel 1914, non si potrebbe immaginare una critica più forte, anche se
non esplicita. Questa critica continuò negli anni successivi nei radiomessaggi
natalizi dal 1941 al 1944, che segnarono una trasformazione della dottrina
sociale in materia politica con l’inizio dell’assimilazione della democrazia.
4.
Se ci rivolgiamo alla storia per avere indicazioni per il futuro,
occorre averne una visione realistica. Altrimenti ci affidiamo a un sogno.
Il fascismo
storico, che dal suo primo aggregarsi alla sua caduta come regime durò dal 1914
al 1945, ci mostra un fatto politico in tutto il suo sviluppo, dall’inizio alla
fine. E’ stato studiato a fondo. Ne abbiamo una visione affidabile, che non è
più alterata dalla propaganda dell’epoca o dal successivo afflato emotivo.
Sappiamo quindi come si va a finire seguendo quella via.
4.1 Il fascismo prese piede in anni in cui sembrava che i socialisti
potessero andare al potere in Italia per via democratica. I socialisti, come i
cattolici, nei decenni precedenti avevano lavorato alla formazione delle masse.
Entrambe le formazioni raccoglievano i frutti di questo impegno.
Durante la Prima guerra mondiale
(nella quale l’Italia era stata coinvolta dal 1915 al 1918) si era sviluppata
un’economia di guerra, rigidamente governata dallo stato. Nella situazione di
emergenza si provvedeva d’autorità più o meno a tutti. C’erano masse di
militari che non dovevano fare altro che combattere, eseguendo gli ordini
superiori: per il resto a tutto provvedeva lo stato. C’erano anche le loro
famiglie, a cui, anche, provvedeva lo stato con misure straordinarie, nel caso
fossero colpite dalle distruzioni belliche. Anche ai feriti e ai mutilati
provvedeva lo stato. Con la maggior parte degli uomini impegnati nell’esercito,
ci fu la piena occupazione tra quelli che erano rimasti. In particolare le
donne supplirono gli arruolati. L’industria viveva un ciclo favorevole,
trainata dalle commesse militari. Al fronte servivano armi, mezzi meccanici di
trasporto e di combattimento, vestiario, alimenti, prodotti sanitari.
Finita la guerra tutta questa economia
terminò. La sua impostazione generale tornò quella di prima,
capitalistico-liberale. Le masse che erano state sostenute nello sforzo bellico
furono abbandonate a loro stesse. L’economia, privata delle commessi
militari, incominciò a riprendere il ritmo di prima della guerra, a
normalizzarsi. I lavoratori iniziarono a protestare, guidati dai socialisti. Le
autorità dello stato trattarono il fenomeni come un problema di ordine
pubblico. Ecco, quindi, che, alle elezioni del 1919, le prime dopo il conflitto,
i due maggiori partiti furono il socialista, con il 34% dei voti, e il
popolare, ispirato dalla dottrina sociale, con il 20%. Il Governo, fino al
1922, rimase sostenuto da precarie coalizioni tra liberali, popolari e
socialisti non rivoluzionari, ma la sua politica economica fu fondamentalmente
quella liberale.
L’idea di Benito Mussolini,
formatosi nelle file del Partito Socialista Italiano, fu quella di risolvere i
problemi sociali ricreando un’economia di guerra, caratterizzata da un
fortissimo intervento dello stato, sia come misure sociali sia come commesse
all’industria. Un soluzione semplice, che però implicava di fare veramente la
guerra, di suscitare un popolo in armi. Ma come convincere la gente, le masse?
Si utilizzò la propaganda. Del resto la guerra era finita da poco, la gente si
era abituata alla guerra. Non impressionavano più di tanto i racconti delle
atrocità che erano state commesse.
Mussolini era andato in guerra,
ma come militare di truppa. Della guerra sapeva quello che poteva sapere un
soldato di truppa. A quell’epoca la strategia militare era già una scienza
molto sofisticata. Mussolini non aveva la cultura sufficiente per dirigere le
guerre che si proponeva di intraprendere. Si servì, almeno agli inizi,
dell’apparato militare. Ma, con l’affermarsi del regime, sempre più si ingerì
nella gestione militare. Ciò in particolare accadde durante la Seconda guerra
mondiale, specialmente dal 1940, con la campagna militare per la conquista
della Grecia. Questo fu tra i fattori decisivi degli insuccessi italiani nel
conflitto.
Più in generale, Mussolini, con la
cultura di un maestro elementare e di un agitatore socialista, non conosceva il
mondo del suo tempo, ne aveva un’immagine poco realistica. Si convinse, ad
esempio, che le grandi democrazie europee e americane fosse deboli come quella
italiana e quindi inadatte in tempo di guerra. Non aveva una visione realistica
della potenza economica degli Stati Uniti d’America. Alla loro entrata in
guerra vi fu chi fece osservare che nella sola New York era stato installato un
numero di telefoni di sei volte superiore a quelli dell’Italia intera.
Intorno alla figura di Mussolini
fu organizzata un’azione di propaganda molto pervasiva con caratteri di quello
che, con riferimento al despota sovietico Iosif Stalin, venne definito culto
della personalità. Egli era il Duce, indiscutibile: “il Duce
ha sempre ragione”, si insegnava. Fu insegnata addirittura una disciplina
universitaria che si chiamavaMistica fascista. Si cercò di
suscitare un afflato di tipo mistico, religioso. Progredendo il successo del
suo regime, non si sarebbe stati più capaci di dominare le masse in altro
modo. C’era lo spettro della rivoluzione sovietica, nel corso della quale forze
socialiste rivoluzionarie avevano rovesciato in poco tempo, durante il 1917,
un’antica monarchia, con tutto il sistema politico che vi era collegato. Era
avvenuto nella fasi terminali di una guerra che stava cominciando ad andare
male per la Russia. Non si sarebbe potuto dedurre da questo che la via della
guerra poteva portare anche alla catastrofe? Si sarebbe potuto, e anzi
l’obiezione fu posta finché si poté farlo, in un ambiente democratico, in cui
fosse consentita libertà di parola. Ma per il fascismo questo era una
degenerazione dello stato, non si doveva discutere, ma credere,
obbedire, combattere: questa la parola d’ordine che veniva verniciata per
strada, sulle facciate dei palazzi.
Di solito gli estimatori del
fascismo arrivano a giudicare un errore la propaganda e le leggi di
discriminazione antiebraica che il fascismo mussoliniano promosse dal 1938. Ma
in realtà è la via della guerra proposta dal fascismo ad aver prodotto
storicamente il disastro nazionale. La guerra non fu un errore del
fascismo, che possa essere separato da esso come si fa quando da una mela si
taglia la parte bacata. La via del fascismo fu quella della guerra.
E’ su questo che il fascismo deve essere giudicato come fatto politico. Tutto
il resto, ad esempio il tentativo di risolvere d’autorità, con istituzioni
statali, quelle corporative che riunivano lavoratori e imprenditori, la
questione sociale fu solo lavoro per preparare un popolo in guerra,
addestrandolo alle armi fin da quando si era molto piccoli, da bambini.
Riassumendo: la guerra per
promuovere un’economia di guerra e risolvere così, d’autorità, i problemi
sociali.
Negli Stati Uniti d’America nel
1929 si produsse una grave crisi recessiva dell’economia. Lo stato federale,
guidato dal presidente Franklin Delano Roosevelt, intervenne potentemente
nell’economia in crisi, in particolare con speciali misura di sostegno
all’occupazione. Si fece, sostanzialmente, come durante un periodo di guerra,
ma senza impegnarsi in un conflitto bellico, in una guerra vera. L’economia
statunitense superò la crisi. Mussolini poteva prendere esempio da
quell’esperienza, come poi si fece a lungo nel secondo dopoguerra, in tutto il
mondo? Avrebbe potuto, se fosse stato un’altra persona, con un’altra cultura,
con un’altra storia, se fosse stato più aperto a conoscere il mondo. Nel 1929,
assicuratosi l’appoggio del Papato con iPatti Lateranensi e
silenziata ogni opposizione democratica, non pensava di poter imparare nulla da
nessuno.
4.2. Se si condivide
l’ordine di idee che ho sopra esposto, è evidente che la via del fascismo
storico non può essere un’alternativa per l’Italia di oggi. La via della
guerra, infatti, porterebbe ai nostri tempi il mondo, non solo l’Italia, alla
catastrofe globale. Abbiamo armi di distruzione di massa troppo potenti, tanto
da minacciare concretamente la sopravvivenza dell’umanità. Non c’è altro da
dire in merito.
La violenza può apparire una
scorciatoia, per tagliare corto con tante discussioni. Ma quando la situazione
è complessa bisogna avere la pazienza di discutere: non c’è altra via buona.
L’altro ieri ho visto in
televisione un documentario che trattava della banda tedesca di terroristi
comunisti Baader - Meinhof, che si denominava Frazione
dell’Armata rossa. Prese il nome dai suoi fondatori Andreas
Baader e Ulrike Meinhof. Operò a lungo, dagli anni ’70 agli anni ’90, nella
Germania occidentale, quella che all’epoca aveva capitale a Bonn. Facevano
attentati. Baader e Meinhof furono catturati nel 1972. In quella
trasmissione hanno intervistato un uomo che conosceva Baader e Meinhof. Ha
detto che, secondo lui, il primo era un teppista, la seconda, invece, una fine
studiosa. Come hanno potuto unirsi in un’unica banda? Ha osservato
che, quando si sceglie la via della violenza, finiscono per comandare quelli
che sono più bravi ad usare la violenza nel modo più spregiudicato; gli altri,
benché, fini intellettuali, seguono. Questa è anche la mia esperienza,
quello che ho potuto osservare direttamente, in particolare nel tempo in cui
fui al liceo e all’università e in Italia c’era tanta più violenza di piazza di
oggi.
Si parla di Nazione e
ci si emoziona, come durante il fascismo. Ma chi è la Nazione? Noi
e chi? Quando si fa politica bisogna saper avere a che fare con gli
altri come realmente sono, non come li sogniamo o verremmo che fossero. Il
fascismo mussoliniano sognò l’Italia come faro di civiltà per il mondo, ma per
essere civili occorre innanzi tutto percorrere la via
della virtù e della sapienza, distaccarsi dalla brutalità che in ognuno di noi
c’è come retaggio del nostro antico passato di belve. La via della compassione,
in particolare, che in religione viene detta anche misericordia, è
parte di questo stile di civiltà: significa avere cuore per le
sofferenze altrui e quindi non gettare gli altri in esperienze che le
provochino, come ad esempio le guerre. Perchéessere civili, costruire
una civiltà, come noi la intendiamo nelle nostre migliori intenzioni, significa
anche saper includere gli altri. Tutte le grandi civiltà sono state
fortemente inclusive, in particolare quella romana, dalla quale il fascismo
storico voleva trarre lezione. E’ un lavoro che si fa sempre più difficile
quante più sono le persone da includere. E’ qui che entra in campo la sapienza.
Non è cosa da incolti o da gente che decide d’istinto. Bisogna saper ragionare,
prevedere, fare: sapere, in una parola. L’Italia di oggi è
attrezzata, perché la scolarizzazione degli italiani non è mai stata così alta.
Com’è, però, che in Parlamento troviamo il minor numero di laureati di sempre?
Forse è perché si dà troppa poca importanza alla sapienza. Si pensa che la
politica sia decidere d’istinto, un atto di ferma volontà. Questo era un po’ il
fondamento dell’autorità politica di Mussolini come Duce degli
italiani. La storia ci insegna come si va a finire su quella strada.
Italiani si nasce? Il
fascismo storico non fu di questa opinione. Tanto è vero che programmò
istituzioni molto pervasive per costruire gli
italiani in un certo modo, con dei percorsi di formazione individuale e
collettiva molto impegnativi. Voleva infatti creare masse capaci disacrificare
la vita in guerra per il bene della nazione.
Addestrava i bambini alle armi. Era ben consapevole che italiani,
e guerrieri, si diventa. Nasciamo sapendo succhiare il latte e poco
altro. Tutto il resto si impara. E dentro abbiamo anche tante emozioni, che a
volte ci possono fuorviare, come ci insegna la psicologia moderna. Qualche
giorno fa hanno dato il Nobel all’economista Richard Thaler, per aver scoperto
che il comportamento degli attori dell’economia, ad esempio dei consumatori, è
spesso irrazionale, emotivo. Così quando compriamo un telefono cellulare non
teniamo conto solo delle sue specifiche tecniche, ma del suo rivestimento, dei
suoi colori, delle forme delle figurine che compaiono sullo schermo, e del
fatto che nei gruppi che frequentiamo è considerato indispensabile averlo.
Condursi così in politica, soprattutto quando si devono prendere le decisioni
più importanti, può darci poi molti dispiaceri.
5. Cerco di parlarvi del
fascismo come quando ne discutevo al liceo con quelli della mia scuola, senza
far precedere il giudizio all’analisi dei fatti e quindi senza demonizzare i
miei interlocutori. All’epoca non avevo ancora imparato la democrazia: lo feci
all’università e, in particolare, tra gli universitari cattolici della FUCI. A
scuola trovai questa situazione: bisognava schierarsi, o si
era fascisti o si era comunisti, poi
ci si azzuffava. L’idea di schierarsi per la democrazia non era in voga, la
democrazia era screditata, non solo i partiti che vi si richiamavano.
5.1 Uno di quelli con cui parlavo era stato
mio caposquadriglia negli scout, agli Angeli Custodi. Diceva di essere
fascista. Sosteneva che da piccoli si faceva gli scout e, crescendo, bisognava
entrare nel Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile
del Movimento Sociale Italiano, il partito che la fascismo storico
si richiamava. Ogni squadriglia scout aveva un proprio grido di
riconoscimento. La nostra era quella delle Volpi e quel
ragazzo le aveva dato come grido “Vulpes - Memento Audere Semper”. Memento
Audere Semper - Ricordati di osare sempre fu un motto
inventato dal poeta e scrittore Gabriele D’Annunzio per un corpo speciale
di marina che si occupava di condurre i MAS, dei motoscafi lanciasiluri:
D’Annunzio aveva creato intorno a sé un movimento di ex combattenti alla testa
del quale tra il 1919 e il 1921 occupò per qualche tempo la città di Fiume,
rivendicata dall’Italia al termine della Prima guerra mondiale. Quell’agitazione
sociale, detta poi fiumanesimo, fu tra quelle che si coagularono
nel fascismo mussoliniano.
Sosteneva, quel mio ex
caposquadriglia, che il fascismo era superiore alla democrazia, perché, alla
fine, aveva pagato solo il capo, caduto in mano dei suoi nemici e da questi
giustiziato il 28 aprile 1945. In democrazia invece certi errori erano pagati
da tutto il popolo. Quando mi parlava così non avevo ancora studiato la storia
recente d’Italia, alle medie non ci si arrivava e non ero ancora al quinto anno
delle superiori, dove a volte ci si arrivava. Ma sapevo quello che mi avevano
raccontato i miei parenti. Non era stato solo Mussolini ad aver pagato. Anche
molti altri capi del fascismo erano stati uccisi con lui. Ma anche gente che
non aveva avuto ruoli importanti nel regime e si era magari solo arruolata come
volontaria in certi corpi speciali. Più in generale l’Italia era uscita
distrutta dall’ultima guerra voluta dal fascismo. Oltre un milione di soldati
italiani fatti prigionieri, centinaia di migliaia di gli uccisi, feriti,
mutilati, tra quelli sotto le armi, ai quali bisognava aggiungere quelli tra la
popolazione civile rimasti uccisi, feriti, mutilati sotto i bombardamenti o
nelle azioni di guerra durante la risalita degli Alleati su per la Penisola o,
infine, nelle feroci repressioni e rappresaglie attuate dai militari nazisti e
da quelli della Repubblica Sociale Italiana durante la guerra di Resistenza.
Lo stretto collegamento tra il
fascismo e la guerra mi era stato sempre bene chiaro, fin da piccolo. In
particolare me ne aveva parlato la mia nonna materna. Sotto il fascismo,
diceva, c’era stata una guerra dietro l’altra. Studiando, più tardi, la storia,
ho capito che effettivamente era stato così. La guerra era stata al centro
dell’ideologia del fascismo storico. Il suo agente di trasformazione sociale
era stata la nazione in guerra. Era l’idea della guerra che dava
coerenza alla sua politica e che gli consentiva di tagliare corto su ogni
discussione. In guerra conta solo la vittoria, tutto deve esserle subordinato.
Non ci si deve dar tanta pena a cercare obiettivi politici: c’è n’è uno solo,
come gridava Mussolini, “Vincere!”. Questo consentiva al
regime di passare sopra agli egoismi sociali, in particolare agli interessi di
borghesia, le classi più ricche, e del proletariato, la classe dei più poveri,
adottando misure sociali di compensazione, per accrescere il benessere delle
masse con le risorse dello stato. Perché è dalle masse che uscivano i soldati
necessari alle guerre del regime. Tutti, i più ricchi e i più poveri, avrebbero
beneficiato di quelle guerre: i più ricchi per le commesse all’industria per
procurare i mezzi per combattere le guerre, i più poveri da ciò che si sarebbe
riuscito a ricavare dalle terre conquistate, che di voleva colonizzare
trasferendovi genti italiane. Storicamente questi obiettivi non furono mai
completamente raggiunti. I più poveri beneficiarono di misure sociali ma
rimasero poveri. I più ricchi beneficiarono delle commesse pubbliche ma poi si
ritrovarono l’industria distrutta dalla guerra. L’Italia si dissanguò nelle
guerre coloniali, in Africa, in Libia e in Etiopia, che furono imprese in
perdita. Quello che in Africa era stato conquistato a duro prezzo, fu poi perso
quasi del tutto in pochi mesi durante l’ultima guerra mondiale, e poi del
tutto con la sconfitta finale.
Il collegamento tra il fascismo
e l’ideologia della rigenerazione sociale mediante la guerra fu tanto forte che
l’ultimo fascismo, quello durante il quale il Centro e Nord Italia divennero
sostanzialmente un protettorato tedesco, sotto occupazione militare,
cercò ancora di rigenerare mediante la guerra quella parte
d’Italia che ancora dominava, proponendosi di continuare la guerra con i
precedenti alleati, la Germania, gli altri regimi fascisti europei entrati nel
conflitto, e il Giappone, anche quando era ormai evidente che la guerra era
persa. ll fascismo storico, quello mussoliniano, non poteva sopravvivere senza
la guerra. La resa, la sconfitta, avrebbero comportato la fine del regime, che
non aveva altra ideologia, sostanzialmente, che quella della guerra,
della nazione in guerra.
5.2. Dopo la sconfitta
nella Seconda Guerra Mondiale, l’Italia perse la capacità di decidere
autonomamente la guerra. Fu questo a determinare la fine del fascismo storico,
che sarebbe potuto sopravvivere al Mussolini, ma non senza la possibilità di
progettare la trasformazione sociale mediante un nazione in
guerra. Il mondo scaturito dalla Seconda Guerra Mondiale, con la divisione
dell’Europa in due blocchi egemonizzati dagli Stati Uniti d’America e
dall’Unione Sovietica, che avevano il monopolio della guerra e della pace, non
dava alcuno spazio all’ideologia fascista della nazione in
guerra, la sua strategia politica di rigenerazione sociale.
Quando, negli anni ’70, trovai a
scuola fascisti e comunisti, il
fascismo proclamato da alcuni era molto diverso da quello delle origini, anche
se chi si diceva fascista si circondava dei suoi simboli
e ne esaltava la storia. Era un neo-fascismo.
ll neo-fascismo è un’esperienza
politica liberamente ispirata al fascismo storico che però ne conserva solo
alcuni elementi originari, insieme ad altri.
Nelle interviste televisive che
ho citato ieri, sentiamo Giorgio Almirante, segretario politico del Movimento
Sociale Italiano, dirsi francamente fascista ed
esaltare la libertà e il rispetto degli avversari
politici. Queste ultime due idee erano state estranee al fascismo
storico. Il fascismo storico, quello mussoliniano per intenderci, non
consentiva libertà di dissenso e non rispettava, anzi perseguitava, gli
avversari politici. C’erano molti altri elementi che differenziavano
l’ideologia del Movimento Sociale Italiano da quella del
fascismo storico. Non proponeva la trasformazione sociale degli italiani
mediante la guerra. Non si proponeva come partito totalitario, come
partito unico degli italiani. Infine: aveva una vita
democratica, eleggeva i propri segretari politici nel
corso di congressi. Il suo nemico era il comunismo. Giustificava la propria
esistenza con l’anticomunismo. Non era stato così per il fascismo mussoliniano,
anche se la paura del socialismo rivoluzionario gli aveva accattivato
l’appoggio della borghesia italiana all’inizio degli anni ‘Venti. Il fascismo
mussoliniano aveva avuto come scopo la trasformazione sociale mediante la
guerra, in particolare per costruire un impero. I suoi
progetti imperiali non comprendevano, fino all’ultima
guerra mondiale, la guerra all’Unione Sovietica. Pensava ad un impero che
comprendeva parte dei Balcani, la Grecia e l’Africa Orientale, tra Libia
ed Etiopia.
Nel suo anticomunismo, il Movimento
Sociale Italiano finì per schierarsi sostanzialmente con gli
Stati Uniti d’America, gli avversari di un tempo. La sua proposta era quella di
un regime politico presidenziale, in funzione anticomunista, con
uno stato fortemente accentrato non intorno al Parlamento, ma attorno ad
un presidente - capo di stato con poteri molto vasti.
Costituito da fascisti per prolungare le idee del fascismo in ambiente
democratico, il Movimento Sociale Italiano non ebbe mai le
caratteristiche peculiari del partito fascista storico, sia come
ideologia, che come organizzazione, che come obiettivi. E infatti non fu
colpito dalle leggi che puniscono la ricostituzione del disciolto partito
fascista. Divenne un’esperienza politica diversa da quella del suo modello di
ispirazione. Non può essere considerato, quindi, ad una considerazione storica,
neo-fascismo.
Il fascismo storico
italiano non va assimilato ad altri fascismi europei, alcuni dei quali, come
quello spagnolo e portoghese, prolungatisi fino agli anni ’70. Quello spagnolo
di Francisco Franco originò da una dittatura militare, non da una metamorfosi
del socialismo rivoluzionario come quello mussoliniano. Al centro della sua
ideologia vi furono le idee di restaurazione, conservazione e di cattolicesimo
della tradizione. Analoghi obiettivi ebbe il fascismo portoghese di Antonio de
Oliveira Salazar, che però non originò da una dittatura militare, ma da una
dittatura politica. Gli elementi che accumunano questi e altri fascismi al
fascismo mussoliniano furono il divieto di dissenso politico, il partito unico
egemonizzato da un singolo capo politico e lo stato come strumento pervasivo di
controllo sociale burocratico. Mancava l’idea di trasformazione sociale
mediante la nazione in guerra. Tutti questi regimi tesero invece a impedire la
trasformazione sociale, fondamentalmente con misure di polizia, repressive. Il
fascismo mussoliniano ebbe invece sempre, quando più quando meno, e meno dopo
la conciliazione con il Papato, dal 1929,
carattere rivoluzionario, più esattamente di rivoluzione
sociale: infatti scaturì dal socialismo rivoluzionario del
primi del Novecento, quello in cui il Mussolini si era formato. Mirava a creare
un uomo nuovo.
Ancora oggi vi sono gruppi
che si richiamano al fascismo storico, conservandone però solo alcuni elementi.
Possiamo considerarli neo-fascismi solo, però, se non si
distanzino talmente dal modello originario da diventare altro.
Non si può considerare neo-fascista chi
non si proponga la rigenerazione sociale della nazione,
comprendendo tutti. Chi voglia essere solo forza rivoltosa, di ribellione
sociale. Non basta lo squadrismo politico per fare il neo-fascismo.
Un carattere distintivo del neo-fascismo può essere
considerato il rifiuto del dialogo democratico, in particolare di quello
parlamentare. L'insofferenza per il dissenso, considerato come tradimento. Uno
dei tratti caratteristici del fascismo storico fu infatti la svalutazione del
Parlamento. In una formazione neo-fascista al dissenso e
anche al tentativo di dialogo da parte dei dissenzienti si opporrà la violenza
squadristica. Ma se prevale la violenza non si può più parlare di neo-fascismo,
perché nella struttura originaria dell’ideologia fascista c’era la riforma
sociale che richiedeva un certo livello di capacità dialettica e di cultura. Il
fascismo storico era riuscito ad assicurarsi l’appoggio di un grande filosofo
come Giovanni Gentile e del Papato.
Un altro carattere distintivo può essere individuato
nell’organizzazione verticistica, gerarchica. Una formazione neofascista avrà
un capo, o un’oligarchia di comando, vale a dire un gruppo ristretto di capi,
che sceglieranno i livelli sotto-ordinati di comando, per cooptazione, come si
dice, che è appunto quando una organizzazione scende dall’alto.
Si darà molta importanza alla gerarchia e il livelli di potere più
elevati saranno considerati indiscutibili.
Sento
spesso che ci si dice fascisti per dire che si è contro
gli immigrati. Questa idea non rientrava nell’ideologia originaria del fascismo
storico e non basta per fare un neo-fascismo. Chi la professa si
manifesta solo xenofobo, vale a dire avverso agli stranieri e, se
pensa di esserlo perché gli italiani sono superiori ad altri popoli, è un suprematista,
come ci sono negli Stati Uniti d’America. Se si pensa di passare dalle parole
ai fatti, allora si è qualcosa di simile a quelli delKu Klux
Klan americano.
Il fascismo divenne razzista
nella seconda metà degli anni ’30. Gli storici ricordano che all’inizio aveva
avuto tra i suoi sostenitori anche ebrei, che nel ’38 vennero invece
pesantemente discriminati da leggi razziali. Divenne razzista essenzialmente
per le relazioni politiche che intrattenne con il nazismo hitleriano. Quest’ultimo
era razzista dalle origini. Proclamava la superiorità razziale dei
tedeschi su ogni altro popolo, italiani compresi. A quel punto al fascismo
mussoliniano non rimase altra strada, per fronteggiare il razzismo hitleriano,
di inventarsi una superiorità razziale, etnica, di stirpe, degli
italiani, non solo culturale, di civiltà. Gli italiani rimasero sempre
piuttosto tiepidi in merito, non apparendo loro particolarmente evidente questa
superiorità. In precedenza c’erano state leggi che vietavano matrimoni di
italiani e africani, ma più che altro per ragioni di morale familiare non tanto
di razzismo. I soldati e i funzionari italiani in Africa si facevano mogli africane,
che poi lasciavano tornando in patria: questo veniva considerato contrario alla
morale famigliare del regime. L’antisemitismo di tipo razziale creò dei
problemi con il Papato. Quest’ultimo non aveva mai avuto problemi a
discriminare gli ebrei per ragioni religiose, come eretici, ma pensarli come
razza inferiore era tutt’altra cosa. Perché significava comprendere nella razza
inferiore anche Gesù, gli apostoli e tutti i primi cristiani.
Manca, in Italia, un partito
che abbia oggi la minima possibilità, e anche la volontà, di diventare il partito
unico degli italiani per finalità di trasformazione sociale,
come volle essere il partito fascista.
Infine: l’anticomunismo non basta
a giustificare politicamente un neo-fascismo ai nostri tempi,
perché, a differenza ad esempio che negli anni ’70, non c’è alcun partito
comunista, o anche solo socialista, che abbia la minima possibilità di
conquistare il governo nazionale. In genere nell’Europa
contemporanea, i neo-fascismi hanno finito infatti per
trasformarsi in qualche altra cosa, conservatorismi, nazionalismi,
suprematismi. Non c’era più spazio politico per loro. E i regimi fascisti
superstiti, ad esempio quelli spagnolo e portoghese, e quelli dell'America
Latina, in particolare quelli argentino e cileno hanno finito in genere per
evolvere in democrazie di tipo occidentale.
6. Concludo esaminando l’argomento “il fascismo qualcosa di
buono l’avrà pure fatto”. “Se non avesse portato l’Italia in
guerra con la Germania nazista”, “Se non avesse approvato le leggi di
discriminazione etnico-religiosa contro gli ebrei”, “Se” questo e quello, allora…
Di solito a chi mi propone quel ragionamento
faccio l’esempio che segue.
Qualche anno fa il secondo pilota di un aereo
di linea, rimasto solo alla guida, ha mandato l’apparecchio a schiantarsi
contro una montagna. Aveva deciso di farla finita. In quel momento gli è parsa
una buona soluzione e si è trascinato dietro gli altri membri dell’equipaggio e
i passeggeri. Si è scoperto che aveva avuto problemi psichiatrici, che però non
erano stati segnalati alla compagnia aerea. Ma qualcosa di buono l’avrà
pure fatto! Avrà voluto bene a qualcuno. Avrà avuto una famiglia che ha
seguito amorevolmente. Prima di quell’ultimo volo, non aveva fatto sempre quello
che doveva? Eh, sì, qualcosa di buono certamente l’avrà fatto. Ma
voi, se aveste saputo dei problemi psichiatrici che aveva maturato quel pilota,
ci sareste saliti con lui su quell’ultimo volo? E’ così che vanno giudicati i
politici di governo, prima e dopo il loro servizio. Sì, ad esempio, avranno
pure fatto qualcosa di buono, ma ora sono in grado di pilotare la
nazione? Non è che ci manderanno a sbattere contro una montagna?
Nel caso del Mussolini, non è che egli abbia
nascosto le sue intenzioni: voleva fare guerra, diceva, per conquistare uno spazio
vitale, in cui erano comprese Libia ed Etiopia, ma riteneva indispensabili
i propositi di guerra per consolidare e mantenere il suo potere politica. Non
può esistere un fascismo sul modello mussoliniano senza la volontà di fare
guerra. Lo ha detto chiaro e forte e agli italiani, fin da piccoli, ha messo in
mano libro e moschetto (un tipo di fucile utilizzato in guerra).
Seguiva i futuristi, per i quali la guerra era l’unica
igiene del mondo. Bene, l’Italia ebbe la guerra, diverse guerre, prima
quelle coloniali e poi quella mondiale. Gli
italiani, che erano meno ricchi della gente di altre nazioni, speravano di
guadagnarci. Conquistare non significa anche un
po’ rapinare, che è quando con la violenza ci si impossessa
delle ricchezze altrui? Gli italiani ritennero di averne il diritto, perché
anche gli altri europei facevano lo stesso. Quindi poi alla fine sono andati a
sbattere in una disastrosa guerra mondiale, dalla quale la nazione è uscita
pressoché annientata.
Quanto al razzismo
anti-ebraico del fascismo storico, ho spiegato sopra come andò: al fascismo
mussoliniano non rimase altra strada, per fronteggiare il razzismo hitleriano,
di inventarsi una superiorità razziale, etnica, di stirpe, degli
italiani, non solo culturale, di civiltà. Altrimenti gli italiani stessi
sarebbero stati vittime delle fantasie razziste dei tedeschi hitleriani.
Sarebbero stati considerati una razza inferiore tra le altre. Per le sue guerre, il
fascismo mussoliniano ad un certo punto sentì la necessità, e decise, di allearsi
con la Germania egemonizzata dal nazismo e quest’ultima era razzista: il
razzismo antiebraico, costruito ideologicamente come razzismo puro e semplice e
dunque utilizzabile anche verso altre etnie, gli fu indispensabile per cercare
di non soccombere di fronte all’alleato. La storia è quella che è, non può
essere cambiata, ma solo capita meglio.
Alcuni sono ancora tentati da quella via, quella
del fascismo storico, ma capiscono che qualcosa non è andato per il verso
giusto e allora, quando non passano a menare le mani o comunque alla forza
bruta, facendo di questo l’unica argomentazione dialettica, propongono
l’argomento principe dei populisti di sempre a disastro avvenuto, appunto
quello del ma qualcosa di buono l’avrà fatto. Altri sostengono che
però sarebbe meglio vederci chiaro, realisticamente, prima ed ora su
come andrà a finire nel complesso con una politica; a loro non
basta che chi comanda qualcosa di buono l'abbia comunque fatto. E
se poi la storia si ripetesse? E se ci si schiantasse? I saggi invitano ad
imparare dalla storia, che è, dicono, maestra di vita.
Mario Ardigò - Azione
Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli