Ed è subito sera
Ognuno sta
solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
Salvatore
Quasimodo
[pubblicata
nel 1942 nella raccolta Ed è subito sera]
[Dall’enciclica Laudato
si’ di Papa Francesco - 2015]
229. Occorre
sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una
responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere
buoni e onesti. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci
gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il
momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco.
Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci
l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di
nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura
della cura dell’ambiente.
[Dall’esortazione
apostolica Evangelii Gaudium - La gioia
del Vangelo di papa Francesco -
2013]
53. Così
come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il
valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e
della inequità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia
il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo
sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più
tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame.
Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge
del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa
situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza
lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in
se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato
inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si
tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione,
ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa
radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non
si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli
esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”.
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1.
Viviamo tempi cupi, nei quali ogni parola di speranza sembra fuori luogo e
viene derisa. E questo in Italia, che si trova nella parte più ricca e potente
nel mondo, in Occidente. In un’epoca in cui l’umanità dispone di tante
ricchezze come mai prima d’ora. Come può accadere?
E’ da questo interrogativo che deve partire
ogni programma di formazione alla politica. Dal capire le reali cause della
sofferenza sociale, il posto che si occupa e il ruolo che si svolge nella
società che la produce e, innanzi tutto, l’origine sociale della sofferenza.
Discorsi come questi sono considerati, oggi, sovversivi, e in effetti lo sono,
perché possono spingere a muoversi per cambiare alla radice l’organizzazione
sociale. A questo serve la politica democratica. Dedicarsi ad essi significa
cercare di produrre una coscienza
sociale. E’ appunto a questo che mirano i due più recenti documenti della dottrina sociale, l’esortazione
apostolica Evangelii Gaudium - La gioia
del Vangelo, del 2013, e Laudato si’, del 2015.
«Una fede autentica –
che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di
cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo
il nostro passaggio sulla terra […] Un cambiamento nelle strutture che
non generi nuove convinzioni e atteggiamenti farà sì che quelle stesse
strutture presto o tardi diventino corrotte, pesanti e inefficaci. […] Alcune
persone non si dedicano alla missione perché credono che nulla può cambiare e
dunque per loro è inutile sforzarsi. Pensano così: “Perché mi dovrei privare
delle mie comodità e piaceri se non vedo nessun risultato importante?”. Con
questa mentalità diventa impossibile essere missionari. Questo atteggiamento è
precisamente una scusa maligna per rimanere chiusi nella comodità, nella
pigrizia, nella tristezza insoddisfatta, nel vuoto egoista. Si
tratta di un atteggiamento autodistruttivo perché «l’uomo non può vivere senza
speranza: la sua vita, condannata all’insignificanza, diventerebbe
insopportabile»[II Assemblea speciale per l’Europa del Sinodo dei
Vescovi, Messaggio finale, 1999]. […] Tutti sappiamo per esperienza che a volte
un compito non offre le soddisfazioni che avremmo desiderato, i frutti sono
scarsi e i cambiamenti sono lenti e uno ha la tentazione di stancarsi. Tuttavia
non è la stessa cosa quando uno, per la stanchezza, abbassa momentaneamente le
braccia rispetto a chi le abbassa definitivamente dominato da una cronica
scontentezza, da un’accidia che gli inaridisce l’anima.»
si legge nell’esortazione
apostolica Evangelii Gaudium.
«Ciò che sta
accadendo ci pone di fronte all’urgenza di procedere in una coraggiosa
rivoluzione culturale. […] A problemi sociali si risponde con reti
comunitarie, non con la mera somma di beni individuali: «Le esigenze di
quest’opera saranno così immense che le possibilità delle iniziative
individuali e la cooperazione dei singoli, individualisticamente formati, non
saranno in grado di rispondervi. Sarà necessaria una unione di forze e una
unità di contribuzioni».[Romano Guardini, La fine dell'epoca monderna, 1950] La
conversione ecologica che si richiede per creare un dinamismo di cambiamento
duraturo è anche una conversione comunitaria.»
si legge nell’enciclica
Laudato si’.
2. Nell’affrontare
i problemi sociali, la prima dottrina sociale ragionò di morale: concluse che l’estrema ingiustizia nei
rapporti sociali è immorale. Furono i teologi a prevalere.
Successivamente osservò che l’ingiustizia sociale
conduce al conflitto sociale e alla guerra e che la guerra, per la potenza
degli armamenti moderni e il coinvolgimento globale delle masse che può
produrre, mette in pericolo la sopravvivenza dell’umanità. Quindi correggere l’ingiustizia
sociale non venne visto più solo come un problema etico, ma di vita o di morte
per tutti. Si fece tesoro delle tremende esperienze delle due guerre mondiali
del Novecento, 1914-1918 e 1939-1945, che gli storici tendono a considerare due
fasi di un unico conflitto originato dagli Europei.
Dagli anni Sessanta si iniziò a considerare
che le cause delle guerre risiedevano in un modello di sviluppo e che prevenire
le prime richiedeva di correggere il secondo. Da ultimo prese coscienza che
quel modello di sviluppo costituiva di per sé stesso un pericolo per la
sopravvivenza dell’umanità, anche prima di produrre guerre. E’ questa l’ottica
dell’autore dei due più recenti documenti della dottrina sociale, che ho sopra
citato. Nel primo si avverte più chiaramente il pensiero del Papa, il secondo è
chiaramente il frutto di un lavoro collettivo, come lo stesso Papa ha
dichiarato pubblicamente. Entrambi sono molto di più di libretti sulla
situazione d’oggi: scaturiscono dalla massima autorità religiosa e obbligano in
coscienza. Salvare l’umanità è anche un dovere religioso, ci dicono. Non
possiamo assistere inerti alla sua rovina. Ma - ed è la critica che pervade
quei due documenti - non di rado lo si fa. Chi lo fa? Chi è ad essere
criticato? Qui sta l’aspetto spiacevole della cosa, per noi occidentali.
Acquisendo una coscienza sociale realistica, come quei documenti ci obbligano a
fare, si scopre che i principali responsabili della sofferenza sociale
provocata dal modello di sviluppo corrente sono
quelli che da esso traggono maggiori vantaggi, vale a dire noi europei,
tutti, italiani compresi, tutti. Non è in questione solo la responsabilità
morale e sociale dei politici, di
quelli che sono riusciti a piazzarsi in posti di comando politico a qualche
livello, né solo della parte più ricca e minoritaria della popolazione: siamo
in questione tutti. Questo perché siamo in democrazia e il potere, così come la
responsabilità, è condiviso. Le maggioranze hanno la possibilità di cambiare
molto incisivamente la situazione. Se non si riesce a cambiare è, in
definitiva, perché la maggioranza non ha voluto farlo. E c’è un buon motivo
perché non lo si è voluto: perché ci conviene non cambiare. Ma fino a quando?
Il modello di sviluppo corrente è instabile - ci avverte l’autore dell’enciclica
Laudato si’ - e porta verso la catastrofe.
E’ attualissimo, per tutti noi, il monito che nel 1939 il papa Eugenio Pacelli
- Pio 12°- rivolse ai potenti della Terra: «Ci ascoltino i forti, per non diventar deboli
nella ingiustizia. Ci ascoltino i potenti, se vogliono che la loro potenza sia
non distruzione, ma sostegno per i popoli e tutela a tranquillità nell’ordine e
nel lavoro.» [radiomessaggio del 24-8-1939
Ai governanti e ai popoli nell’imminente
pericolo della guerra].
3. La dottrina sociale ci impegna a cambiare stile di vita. Leggiamo nell’enciclica Laudato si’: «Molte cose devono riorientare la propria
rotta, ma prima di tutto è l’umanità che
ha bisogno di cambiare. Manca la
coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro
condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di
nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge così una
grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi
di rigenerazione. […]
Dal momento che il mercato tende a creare un meccanismo
consumistico compulsivo per piazzare i suoi prodotti, le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti
e delle spese
superflue. Il consumismo ossessivo è il riflesso soggettivo del paradigma
tecno-economico. […] Tale paradigma fa credere a tutti che sono liberi finché conservano una
pretesa libertà di consumare, quando in realtà coloro che possiedono la libertà
sono quelli che fanno parte della minoranza che detiene il potere economico e
finanziario. In questa confusione, l’umanità postmoderna non
ha trovato una nuova comprensione di sé stessa che possa orientarla, e questa
mancanza di identità si vive con angoscia. Abbiamo troppi mezzi per scarsi e
rachitici fini. […] Quando le persone diventano autoreferenziali e
si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore
della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e
consumare. In tale contesto non sembra possibile che qualcuno accetti che la
realtà gli ponga un limite. In questo orizzonte non esiste nemmeno un vero bene
comune. Se tale è il tipo di soggetto che tende a predominare in una
società, le norme saranno rispettate solo nella misura in cui non contraddicano
le proprie necessità. Perciò non pensiamo solo alla possibilità di terribili
fenomeni climatici o grandi disastri naturali, ma anche a catastrofi derivate
da crisi sociali, perché l’ossessione
per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono
sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca.
205. Eppure,
non tutto è perduto, perché gli esseri
umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi,
ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento
psicologico e sociale che venga loro imposto. Sono capaci di guardare a sé stessi con onestà, di far
emergere il proprio disgusto e di intraprendere nuove strade verso la vera
libertà. Non esistono sistemi che annullino completamente l’apertura al bene,
alla verità e alla bellezza, né la capacità di reagire, che Dio continua ad
incoraggiare dal profondo dei nostri cuori. Ad ogni persona di questo mondo
chiedo di non dimenticare questa sua dignità che nessuno ha diritto di
toglierle.
Un
cambiamento negli stili di vita potrebbe arrivare ad esercitare una sana
pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale.
È ciò che accade quando i movimenti dei consumatori riescono a far sì che si
smetta di acquistare certi prodotti e così diventano efficaci per modificare il
comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i
modelli di produzione. È un fatto che, quando
le abitudini sociali intaccano i profitti delle imprese, queste si vedono
spinte a produrre in un altro modo. Questo ci ricorda la responsabilità sociale
dei consumatori.»
Nei discorsi che sento
fare in giro sulla politica, chi li fa pensa di solito di essere nella parte
incolpevole e ingiustamente minacciata dell’umanità. Allora propone azioni di
autodifesa. Se la prende prevalentemente con i politici
e con gli immigrati. Con i primi perché non riescono a rimandare a casa loro i
secondi e, anzi, talvolta vorrebbero cercare di integrarli, dando loro certi
diritti, fino a quello di cittadinanza. Questo può avvenire solo perché si ha
una coscienza sociale insufficiente. Si accetta, ad esempio, l’idea
che non ce n’è per tutti e questo proprio in una società come la nostra,
opulenta, nella quale si spreca tantissimo. Si accetta l’idea che la parte più
ricca, e assolutamente minoritaria, della popolazione, quell’1% che, come avvertono
sociologi ed economisti, è giunto a controllare la quota più grande delle
ricchezze nelle società occidentali, debba essere ancora più ricca, perché merita di esserlo, ed essendolo svolge addirittura
una funzione sociale, comprando lavoro per soddisfare la propria avidità di
lusso. Che debba essere sempre minore la quota della ricchezza privata,
esclusiva solo di alcuni, che viene prelevata per essere destinata a fini
sociali, al bene comune, quindi che le tasse
vadano sempre ridotte, in
particolare per i più ricchi, come avvenuto l’altro giorno negli Stati Uniti d’America,
senza alcuna considerazione dei bisogni sociale, che vadano ridotte e basta,
perché ciò che si spende per la società è sprecato, salvo che serva a
proteggere la ricchezza dei più ricchi.
Chi controlla la politica
e l’economia, la politica quindi l’economia, perché il modello di sviluppo che
consente una certa economia è un fatto politico, ci minaccia: o così o sarà il
disastro anche per tutti. Se si comincia con certi discorsi di giustizia sociale finirà che verrà tolto anche a chi ha di meno
il poco che ha. I potenti dell’Occidente ci terrorizzano: siamo tutti su una
stessa barca, da una stessa parte, noi e loro. Con questi discorsi di giustizia finirà, ci avvertono, che, per pagare la
scuola ai figli degli immigrati, non ce ne sarà più per noi per comprare il
nuovo telefonino. Dobbiamo crederci? Come è possibile che tra il magnate dell’industria,
il grandissimo ricco, e l’impiegato o l’artigiano vi siano comunanza di
interesse privato, che l’uno e gli altri stiano dalla stessa parte nel
conflitto sociale? Non appare, già ad un primo sguardo, strano, e quindi meritevole di approfondimento? Occorre, scrive l’autore
dell’enciclica Laudato si’, «guardare a
sé stessi con onestà, di far emergere il proprio disgusto e di intraprendere
nuove strade verso la vera libertà.» Questo significa, appunto, conquistare una coscienza sociale.
4. Il sociologo Zygumunt Bauman
(1925-1917) è stato un acuto osservatore della realtà sociale d’oggi e un abile
divulgatore di fatti che per gli scienziati sociali sono risaputi. I padroni
dell’economia stanno prevalendo politicamente sulle masse e volgendo le
democrazie a proprio vantaggio, privatizzando
le risorse sociali. Non sono più necessari,
per riuscirci, potenti e pervasivi apparati di polizia: basta il dominio
culturale, quello stesso che si esercita nel marketing, la pressione pubblicitaria per convincerci a comprare
anche prescindendo dai nostri reali bisogni. Si è riusciti a convincere culturalmente chi sta peggio che è lui
stesso colpevole della propria condizione di sofferenza sociale, che sta peggio
perché ha demeritato. I più si allineano ordinatamente e alla fine la rivolta può
scaturire solo da settori marginali della popolazione, dagli scarti di un modello di sviluppo. E’
solo nei confronti di questi che viene esercitata la repressione poliziesca. Le
masse di coloro che in società stanno peggio accettano questa situazione, senza
tener conto che sarà dal loro interno, non dalla parte più ricca della
popolazione, che si produrranno gli ulteriori scarti destinati ad essere repressi. Basta un infortunio, una
malattia grave, un licenziamento, una famiglia più numerosa, un figlio che non
riesce ad integrarsi, ed ecco che famiglie intere vengono scartate, finiscono in rovina. Per gli istituti di sicurezza
sociale le risorse sono sempre minori e quindi servono sempre a meno: le tasse, infatti, calano e ad essere favoriti sono
proprio quelli che ne dovrebbero pagare di più. Da un lato con aliquote che
vengono abbassate, dall’altro con le possibilità di evasione che il sistema
fiscale offre, sia per l’imperfezione delle norme, sia per l’inefficacia dell’attività
di accertamento e riscossione. Nelle città non ci sono più soldi pubblici per
aggiustare gli autobus e i treni della metropolitana che si rompono, la gente è
costretta ad andare con veicoli privati, e innanzi tutto a comprarli, chi non
può è scartato e se protesta per lui
c’è la repressione. Così vanno le cose e sembra che cambiare non si possa. Ci
hanno convinti culturalmente che il cambiamento è impossibile e inutile. Ed è così effettivamente, salvo
che ci si persuada dell’efficacia della solidarietà
per cambiare le cose in democrazia,
dove le maggioranze comandano, quindi che si sviluppi un coscienza sociale che
quella solidarietà renda possibile.
Quando la gente invoca misure di polizia contro gli immigrati poveri e
non ancora integrati, ma addirittura anche contro quelli integrati che
vorrebbero che la loro integrazione fosse riconosciuta giuridicamente con la
cittadinanza, accoglie il principio che contro gli scarti della società, contro
coloro che il modello di sviluppo non integra,
occorre la repressione, e che questo convenga ai più, perché il pericolo non
viene da un modello di sviluppo, ma dagli scarti di esso. Così però i più
costruiscono, per così dire, la forca sulla quale anche loro, ad un certo
punto, potrebbero dover salire. Una coscienza realistica li porterebbe invece a
riconoscere l’origine comune della loro condizione e di quella degli immigrati
non integrati. Come si può pensare che in società opulente come quelle occidentali
non ce ne sia per tutti? Che società così potenti come le nostre non abbiano le
risorse per garantire condizioni minime di vita dignitosa a tutti quelli che
sono in difficoltà, aiutandoli ad integrarsi. Società che sono tanto poco in
difficoltà quanto a risorse pubbliche da programmare costosissimi investimenti
in armamenti che nel giro di pochi anni diverranno obsoleti e dovranno essere
sostituiti con altri ancora più costosi. E’ un vero controsenso, è paradossale,
non ci si può credere: eppure ci si crede.
Siamo
chiamati «tutti a lasciarci alle spalle una fase di autodistruzione e a
cominciare di nuovo, ma non abbiamo ancora sviluppato una coscienza universale
che lo renda possibile. », conclude l’autore dell’enciclica Laudato si’. A questo serve il lavoro di
formazione alla politica che la dottrina sociale oggi richiede pressantemente
in vista dell’azione, di scelte decisive.
Mario Ardigò -
Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli