Crisi
della parrocchia e crisi della politica
La gente viene molto meno in parrocchia che
negli anni ’70 e quando ci viene è
restia ad impegnarsi: viene prevalentemente per consumare servizi religiosi.
E’ un riflesso della crisi della politica, per cui sono spariti i partiti che vengono considerati tradizionali. Si tratta, in
realtà, di una metamorfosi della società molto profonda che è stata descritta
scientificamente dalla sociologia più recente. La sociologia si propone di capire la società e di prevederne gli sviluppi: ai
tempi nostri non riesce più a fare bene
il secondo lavoro perché la società evolve in modo molto più caotico di una
volta. Mio zio Achille fu un grande sociologo italiano, insegnava
all’università di Bologna in un corso avanzato e, da scienziato sociale, parlava e scriveva
molto difficile. Cercò anche di essere un divulgatore
e in questo era molto ascoltato. Le
sue conferenze erano sempre piene di gente. Scrisse anche alcuni libri per
spiegare ciò che accadeva nella società del suo tempo e, in particolare, nella
Chiesa. I due sicuramente più importanti furono: Toniolo: il primato della
riforma sociale, per ripartire dalla società civile, del 1978, e Crisi
di governabilità e mondi vitali del
1980, oggi introvabili. Volevano divulgare, ma rimanevano
libri difficili. Mio zio Achille, quindi, era
molto più ascoltato che letto.
Dalla metà degli anni ’70 alla metà degli anni 80, un decennio fondamentale per
la trasformazione della società italiana, fu molto ascoltato in particolare nel partito principale di governo, la Democrazia Cristiana (era membro del suo Consiglio nazionale), e dal mondo
cattolico. Alcune strategie tentate all’epoca per rivitalizzare politica e
Chiesa furono sostanzialmente ispirate dal suo insegnamento. Mi pare che
l’apice della sua influenza in entrambi i mondi si toccò nel 1986, quando la Festa Nazionale dell’Amicizia, la grande
festa annuale del partito, si tenne a Cervia, in Romagna, nella piazza davanti
a casa sua. All’epoca consigliava al partito, ma anche ad esempio alla FUCI, di
fare grandi raduni nazionali in piccoli paesi, per impregnarli totalmente ed
evocare così una realtà di mondo vitale, vale a dire di quella collettività che dà senso all’esistenza umana. Per lui la crisi di questi mondi vitali era alla base di quella della società nel suo insieme. La cura per la società era quindi quella di rivitalizzarli. Poi tutto
cambiò molto velocemente in Italia, in politica e in religione, e iniziò la
situazione in cui ci troviamo adesso e da cui non riusciamo a liberarci, anche
se ci causa tanti problemi. La metamorfosi accadde a cavallo tra gli anni ’80 e
gli anni ’90, come manifestazione acuta di una crisi iniziata nei vent’anni
precedenti e progressivamente aggravatasi. Il partito si dissolse e la Chiesa cambiò profondamente, seguendo
la via proposta da Karol Wojtyla. Mio
zio criticò pubblicamente il vescovo della sua città sulla questione degli
immigrati, che il vescovo preferiva fossero cristiani, e fu duramente e
lungamente emarginato. Non fu più ascoltato né letto dalla generalità. Fu ancora letto dagli scienziati
sociali e dagli amministratori che si occupavano di sanità e assistenza agli
anziani, il suo campo principale di studio e di azione negli ultimi anni. Per diversi anni
amministrò uno dei principali ospedali ortopedici nazionali, il Rizzoli di Bologna. Fu lui a ideare il CUP, il Centro Unico di Prenotazione,
che ebbe in Emilia Romagna la prima organica attuazione. Egli, sostanzialmente,
fece poi la fine del grillo parlante nella favola di Pinocchio. Ma la storia gli ha
dato ragione. Ho sempre pensato che la sua sorte fosse dipesa dal fatto di non
riuscire a scrivere nel linguaggio comune della gente. Ascoltare non basta, per
generare fatti profondi occorre poter leggere.
La nostra fede non è, in fondo, basata su Scritture? In questa prospettiva, potete capire perché
mi addolora tanto la dispersione della biblioteca parrocchiale, che, per ciò
che so, è stata attuata molto velocemente e per motivi che non ci sono stati
spiegati, e mi auguro siano stati buoni motivi. Quando si è insediato il nuovo parroco, già non c'era più. Probabilmente il fatto è dipeso da spese
indifferibili che occorreva fare o dalla necessità di venire incontro alle
molte famiglie in difficoltà che assistiamo, che in questi anni sono sempre più
aumentate: in questi casi in famiglia ci si priva anche dei gioielli più cari. Faccio delle ipotesi: in realtà non è stata
fornita alcuna spiegazione.
Il sociologo Zygmun Bauman fu, invece, molto
più letto che ascoltato.
Egli non aveva con una Chiesa e con un partito un rapporto forte come
quello di mio zio Achille. Quindi, se non avesse saputo farsi leggere, non sarebbe stato inteso, perché pochi erano
disposti semplicemente ad ascoltarlo.
Il suo libro divulgativo fondamentale è Modernità
liquida, del 2000, in Italia
pubblicato da Laterza, €16,00, che si trova anche in e-book. Lo consiglio come
libro di testo ai gruppi di approfondimento dell’impegno politico e sociale che
sorgono nelle parrocchie dopo le esortazioni contenute nell’enciclica Laudato si'. In quel libro viene spiegato
che cosa sta succedendo nel mondo di oggi e perché sta diventando tanto diverso
da quello che c’è stato fino agli anni ’80. Bauman ha scritto molti altri
interessanti libri divulgativi, che fondamentalmente approfondiscono i temi di Modernità liquida. Bauman è morto il 9 gennaio di quest’anno,
quando era molto anziano, e ora avremmo bisogno di un altro profeta come lui.
In un certo senso mio zio Achille e Bauman svolsero le funzioni che
nell’antichità biblica ci si attendeva dai profeti:
spiegavano alla gente il senso ultimo di ciò che stava accadendo. In mio zio
Achille, rispetto a Bauman, la fede religiosa era una componente fondamentale,
in un modo che i suoi discepoli faticano a spiegare, perché li imbarazza. Si
pensa infatti che la sociologia, come le altre scienze, debba mantenersi neutrale
rispetto alle idee religiose, ma certamente mio zio Achille in materia religiosa neutrale non
era, con riflessi nella sua attività scientifica e nella sua azione politica,
perché egli, oltre che scienziato sociale, fu anche un politico. Questo gli consentì, per
molti anni, dal Secondo dopoguerra, quando qui a Roma, con Dossetti, partecipò
con molti altri ingegni brillanti, all’ideazione della nuova Repubblica
democratica, fino agli anni ’80, quando tutto rapidamente cambiò, di essere
molto ascoltato, ma fu anche
all’origine della sua dura successiva emarginazione. Perché la nostra Chiesa è ancora strutturata come un sistema totalitario, ed è insofferente del pluralismo e del dissenso, in particolare quando si traduce in lesa maestà verso la gerarchia, anche se si sforza di non esserlo (questo va riconosciuto, soprattutto parlando di papa Francesco), ma proprio non le riesce. Ma quella, dell'emarginazione o peggio, è appunto, in genere, la sorte dei grilli parlanti quando parlano in società e alla società, dicendo ciò che in società non si gradisce udire. Se però il grillo della storia di Pinocchio si fosse limitato a scrivere, forse non sarebbe finito acciaccato al muro, perché Pinocchio,
incolto e analfabeta, non lo avrebbe letto,
e amen. Si dice infatti che le parole dette volano, mentre quelle scritte rimangono, ma se uno non sa, non può o non vuole leggerle, queste ultime diventano inutili. Però le rivoluzioni, i cambiamenti radicali, sono guidate da quelle scritte.
Bauman sostiene che si sta passando da una
società di cittadini ad una di consumatori
e questo sta sfasciando i rapporti
sociali, perché ognuno non solo pensa di poter fare da sé, ma è anche spinto a
farlo: se non lo fa, non merita. In definitiva era anche l'analisi di mio zio Achille, benché riferita ad una situazione in cui certi fenomeni erano appena gli esordi. L'ideologia consumista distrugge i mondi vitali che davano e danno senso alle vite delle persone. Quelle vite ora frullano qua e là disordinatamente, andando dietro all'infinita generazione di desideri, mai appagati, come vuole appunto l'ideologia consumista. Un tempo l'appagamento si trovava nelle relazioni di mondo vitale, ma anche ora è così e infatti è comune nei consumatori la sensazione di inappagamento.
Un cittadino non è solo uno che vive in
società, ma è una persona che ha una qualche voce in capitolo in essa e di cui comunque
la società non vuole fare a meno. In una società di cittadini si cerca di
ridurre al minimo gli scarti sociali. Questo accade sia nelle società
democratiche che in quelle totalitarie. Bauman sostiene che questo era legato
con il sistema sociale dell’economia, che aveva necessità di riserve umane in buona salute, da impiegare all'occorrenza nella produzione. La prima legislazione sociale in favore dei lavoratori, quella britannica dell'Ottocento, partì dalle constatazione che la salute dei lavoratori, nelle grandi città industriali, stava rapidamente peggiorando.
In una società di consumatori, sostiene Bauman, conta solo il credito al consumo che si
ha, per cui ci sono molti scarti umani
dei quali non mette conto di prendersi cura perché non hanno credito e quindi non servono al sistema. La loro sofferenza umana non conta
e li si squalifica perché sono nella condizioni di scarti: si pensa che sia colpa loro l'essere stati scartati, perché non hanno meritato abbastanza. Si fossero dati da fare, non
sarebbero diventati scarti. In realtà è la società che decide chi scartare. Prende dalle persone tutto
quello che possono dare, e finché ne hanno; poi, quando ne rimangono senza, ad esempio perché
diventano anziane o malate o tutte e due, le scarta. I poveri che vengono da fuori, gli immigrati economici, come vengono definiti, automaticamente vengono
inseriti tra gli scarti. Se si pensa
che ognuno debba risolvere da sé i propri problemi, meritando, la società non
deve più occuparsi di lui, diventa inutile farlo. In un certo senso però diventa inutile anche la stessa società, in particolare nella sua dimensione politica, e, per questo motivo, essa si va
sfasciando: perché non serve più a certe cose. I problemi sociali allora diventano problemi di sicurezza pubblica, da
risolvere con la polizia. Fondamentalmente lo stato, in quest'ordine di idee, un po’ secondo l’ideologia
del liberalismo della seconda metà dell’Ottocento, dovrebbe ridursi al minimo, occupandosi di diritto, polizia e di protezione dei confini esterni. Poi ognuno
si arrangi come può: meriti.
Questo sviluppo della società del nostro
tempo ha colpito duramente i partiti.
Si parla di partito tradizionale, ma in che senso?
Il modello di partito tradizionale, quello a cui pensiamo istintivamente quando parliamo
di partito, è sorto dopo la Seconda
guerra mondiale, ed è stato il Partito
Nazionale Fascista - PNF. Quest’ultimo aveva preso a modello il partito
comunista bolscevico, che nella Russia zarista nel 1917 aveva preso il potere
con una rivoluzione violenta. Si trattava, quest'ultimo, di un partito organizzato come un
esercito, con una struttura gerarchica molto ben definita e rigida, in cui le
direttive scendevano dall’alto. I suoi iscritti erano militanti fortemente
ideologizzati. Il PNF mussoliniano volle essere qualcosa di simile,
comprendendo però, obbligatoriamente, tutta la gente, senza più distinzione di
classi, di fatto cristallizzando la situazione di dominio di classe esistente. Mussolini si formò politicamente nel socialismo italiano,
differenziandosene sempre più alla vigilia della Prima Guerra Mondiale sulla
questione della partecipazione alla guerra, a cui si manifestò favorevole dopo
che prima era stato di contraria opinione. Egli considerava la partecipazione
alla guerra, quindi la milizia bellica,
il fattore per unificare politicamente e
militarmente il popolo italiano, per iniziarlo velocemente alla milizia politica, e vide giusto. Fu infatti
proprio dai reduci di quella guerra che scaturì la classe dei primi militanti
fascisti.
Il partito comunista bolscevico, strutturato
secondo l’ideologia di Lenin [Lenin, Vladimir Il′ič. - Pseudonimo del rivoluzionario e statista russo Vladimir Il′ič Ul′janov( Simbirsk1870 - Gorki, Mosca, 1924 - fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/vladimir-il-ic-lenin/]
era un partito di classe. In una
società, quella russa zarista, dominata da una vasta classe di nobiltà
terriera, quindi in un impero in cui una classe di nobili di fedeltà zarista
dominava su masse di contadini, quel partito si proponeva di annientare, anche fisicamente,
la classe dominante, affidando il potere a una classe di rivoluzionari di professione che mutasse con la forza il sistema
economico, politico e sociale per metterlo al servizio dei bisogni della classe dominata
e, inoltre, di costruire l’uomo nuovo
vale a dire di fare delle masse un popolo di militanti ideologicamente
consapevoli, quindi con una coscienza di classe. Questo programma politico
comprendeva anche l’annientamento dell’influenza politica della Chiesa ortodossa, che
era fortemente federata con il sistema zarista. Il PNF era invece un partito corporativo. La sua ideologia si
proponeva di fare del popolo italiano, in tutte le sue componenti, una massa militante, ma
comprendendovi tutte la classi sociali, sia quelle dominanti che quelle
dominate, cristallizzando i rapporti di forza che vedevano i pochi dominare sui più. Nell’Italia degli anni ’20 le classi dominanti erano la grande
borghesia industriale settentrionale e quella agraria. La nascita del PNF fu appoggiata da
entrambe queste componenti. Il corporativismo però non rientrava nell’ideologia
socialista dalla quale proveniva Mussolini. In particolare, all'origine il fascismo era anti-borghese. Il corporativismo rientrava invece nell'ideologia della
dottrina sociale moderna della Chiesa cattolica, a partire da quella che viene
considerata la sua prima manifestazione, l’enciclica Le Novità, del 1891, diffusa
del papa Vincenzo Gioacchino Pecci, in religione Leone 13°. Il corporativismo della dottrina sociale concepiva la società come un corpo vivente, in cui ognuno aveva una sua
funzione importante, in cui quindi tutte le classi dovessero collaborare nell’interesse
comune, ciascuna persona però restando al proprio posto, di privilegiata o di non privilegiata, ricca o povera. Si considerava impossibile eliminare l'ingiustizia sociale: essa poteva essere solo mitigata (lo si afferma esplicitamente nell'enciclica Le Novità). Il suo modello era il corporativismo medievale, per cui datori di lavoro e lavoratori erano inquadrati in
corporazioni di mestiere e c’era solidarietà nelle singole corporazioni e tra
le corporazioni, nel quadro di un'organizzazione politica cittadina. In questo quadro, nella prima dottrina sociale, il conflitto sociale veniva dissimulato, il
sindacalismo sconsigliato, lo sciopero vietato. Era una visione premoderna e
irrealistica, come Giuseppe Toniolo cercò incessantemente di far capire ai Papi
della sua epoca, con scarsi risultati. Il fascismo mussoliniano l’adottò come base della sua
rivoluzione sociale. La pace sociale venne imposta dal regime, non era frutto
di accordi sociali. Comportando la cristallizzazione dei rapporti di classe, venne appoggiata dalla classe dominante, la borghesia italiana di quel tempo. Ma anche le masse speravano in un tornaconto. Ognuno doveva rimanere al proprio posto, ordinatamente: se
lo faceva il regime garantiva che ci si sarebbe presi cura di lui, attraverso
una vasta rete di istituzioni sociali che effettivamente vennero costituite.
Aderire al fascismo, prendere la tessera,
e impegnarsi pubblicamente a seguirne l’ideologia, divenne obbligatorio solo
per chi volesse impieghi pubblico, per gli altri era raccomandato come segno di
buona condotta sociale. In un certo senso l'adesione al fascismo era una specie di assicurazione sociale. Il dissenso, l'eresia, come in religione, venne condannato in quanto metteva a rischio l'integrità del corpo sociale e il benessere che esso diffondeva attraverso le sue istituzioni. Negli anni ’30 l’adesione degli italiani al fascismo
divenne quasi totalitaria e nel 1931, il papa Achille Ratti, regnante come Pio
11°, nell’enciclica sociale Il Quarantennale,
in occasione dei quarant’anni dalla prima enciclica sociale Le Novità, invitò i membri dell’Azione Cattolica a collaborare
nelle istituzioni corporative fasciste. Si realizzò così, a quell’epoca, una profonda
integrazione tra Chiesa cattolica italiana e regime fascista, mediante la quale
entrambe le istituzioni si rafforzarono nel popolo italiano. Il PNF divenne il Partito della Nazione, il partito unico
degli italiani, ciò che nessun partito del Regno d’Italia era mai potuto
essere prima per la strenua opposizione politica del papato romano, che ostacolava la
partecipazione dei fedeli cattolici alla politica democratica dello Stato a
causa della conquista del Regno pontificio da parte del Regno d’Italia: la
cosiddetta questione romana. La
controversia fu risolta nel 1929 con una serie di accordi, complessivamente
denominati Patti Lateranensi,
conclusi dal papa Achille Ratti con il Regno d’Italia rappresentato dal
Mussolini. Questo patto tra Chiesa e Stato, così come il fascismo, sarebbe potuto durare molto a lungo,
come nella Spagna di Francisco Franco (il suo regime fascista morì con lui, nel
1975) e nel Portogallo di Antonio De Olivera Salazar (il suo regime fascista
gli sopravvisse e durò fino al 1974), se il Mussolini fosse rimasto neutrale
nella Seconda Guerra Mondiale, come Franco e Salazar. Ma l’ideologia del
Mussolini era fortemente bellicista e lo spinse a seguire la Germania nazista e
gli altri regimi fascisti suoi alleati nel conflitto. Non potendo realizzare una vera giustizia sociale mediante una più equa redistribuzione di risorse tra gli italiani, il regime si proponeva di predarle ad altri popoli, come altre nazioni europee facevano da tempo. La sconfitta bellica ruppe il patto ideologico con il papato e l'incantamento verso gli italiani. Ma ancora negli anni
Cinquanta la gerarchia cattolica simpatizzava per il franchismo spagnolo: se ne lamentava Lorenzo Milani.
La Chiesa, con il patto concluso nel 1929, recuperò una potente capacità di influenza nel popolo italiano, in particolare attraverso il sistema scolastico. Vide inoltre contrastati duramente i suoi principali nemici dall'Ottocento: il liberalismo e il socialismo atei e, in Italia, atei essenzialmente in quanto anticlericali, ritenendo la Chiesa un ostacolo all'emancipazione delle masse come lo era stata nel processo di unificazione nazionale.
Nel dopoguerra, una parte
dell’ideologia corporativa fascista, di matrice cattolica, fu inglobata nell’ideologia
del partito cristiano (come lo
chiamava lo storico Gianni Baget Bozzo), la Democrazia Cristiana. Da corporativismo
divenne interclassimo: in ambiente democratico la collaborazione delle
classi non fu più imposta, ma raccomandata e perseguita politicamente, con una serie di riforme sociali e anche mediante l'intervento pubblico nel sistema economico. La
Democrazia Cristiana, sulla via della dottrina sociale della Chiesa, pensava ad
uno stato che si occupasse dei bisogni di tutti e introducesse norme che
prevenissero il conflitto sociale, impedendo forme estreme di sfruttamento in
danno della classe lavoratrice. Si parlava di stato sociale, perché l’iniziativa privata e la proprietà dovevano
trovare un limite nell’utilità sociale. Poi, con espressione più moderna, di welfare state, stato per il benessere
collettivo. Il principio che nei rapporti di lavoro dipendente il lavoratore
dovesse avere un’equa retribuzione, non solo proporzionata al lavoro svolto, ma
anche sufficiente per mantenere una vita dignitosa per lui e per la sua
famiglia. divenne una norma costituzionale, all’art.36 della Costituzione.
A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 la concezione della società come di un
corpo organico venne progressivamente abbandonata. Al fondo di ciò c’era l’idea
che, nel sistema economico globalizzato, dove occasioni di profitto potevano trovarsi in tutto il mondo e non più solo all'interno di un singolo sistema statale, in un mondo senza più frontiere per il capitale, non tutti erano veramente necessari per il benessere collettivo. C’era gente
di scarto che era solo un peso sociale.
Le pensioni agli anziani e l’assistenza sanitaria gratuita alla popolazione
cominciarono ad essere considerate solo come un costo.
Del resto l’industria dimostrava di poter fare sempre più a meno di mano d’opera
e, comunque, di poterla sostituire rapidamente ed efficacemente, spostando produzioni e richiamando altre persone. Il sistema
economico non aveva più bisogno di riserve
umane in buona salute. Chi merita, vale a dire trova un modo di
cavarsela, ha diritto di sopravvivere, gli altri no: per loro c’è solo l’assistenza
caritativa, lasciata al buon cuore degli altri. Chi protesta crea un problema
di sicurezza pubblica, da risolvere mediante la polizia. Ma la gente protesta
sempre meno: in fondo è convinta della bontà dell’ideologia meritocratica. Solo, spera di essere nella parte che merita, e, se non riesce ad esserlo, se
ne vergogna, si colpevolizza. Se lo stato non è più sociale, non assicura più di
occuparsi dei bisogni fondamentali di tutti, perché parteciparvi? La corporazione
sociale si è sciolta, ognuno fa per sé. I conflitti di classe che sono sempre
rimasti attivi, solo mitigati dalla legislazione sociale sul lavoro che però progressivamente in questi anni si sta cercando di rendere meno pervasiva e incisiva, esplodono liberamente e allora vince il più forte, come nella legge della giungla,
animale grosso mangia animale piccolo. I rapporti di lavoro non sono mai
paritari: c’è sempre una parte più forte, che è quella dei datori di lavoro, ed
è questa che prevale. La politica, in questa situazione, diviene inutile, così come la società, e lo è anche quella, virtuosa,
ancora diffusa dalla dottrina sociale, quella che oggi si vuole approfondire in
parrocchia. Ecco perché la gente non viene in parrocchia quando si parla di
questi temi. La soluzione? E’ difficile, impegnativa, e riguarda la politica
come la parrocchia. Occorre innanzi tutto avere una visione realistica della società e
comprendere che lo scarto è generato da ristrette classi dominanti; che
chi soffre non è che abbia demeritato, ma soffre perché è vittima
della legge della giungla del capitalismo globale; che quando si va da soli
alla guerra secondo la legge della giungla si è vittima dei
più forti; che però una reazione collettiva di massa può ancora cambiare le cose. E,
quindi, innanzi tutto, ripeto: conseguire una visione realistica delle dinamiche sociali.
Un indizio della causa di
ciò che accade, dei mali sociali, è nella proposta, che viene da più parti, di
un reddito di cittadinanza. Sembra
una stranezza, ma molti economisti lo consigliano per tenere in piedi la
società. Non solo funzionerebbe, secondo loro, ma occorre per mantenere in piedi il sistema consumistico. Un tempo lo stato si occupava dei bisogni
della gente e distribuiva risorse che poi venivano spese, si traducevano quindi in consumi di massa; ora che non se ne occupa più perché ci si è trasformati da
cittadini a consumatori e ognuno fa per sé, accade che la platea dei consumatori si riduca sempre
di più, man mano che la legge della giungla fa le sue vittime e produce i suoi scarti umani. Così però il sistema
rischia di saltare per insufficienza di
consumatori: ecco la necessità di crearne artificialmente recuperando una
parte degli scarti. E' una cosa che nelle politiche di governo degli ultimi anni ha prodotto, ad esempio, elargizioni più o meno generalizzate degli "80 euro". Che significa, in
fondo? L’attuale sistema economico globalizzato va verso la rovina se lasciato
alle sue dinamiche selvagge; va verso l’autodistruzione, perché si occupa di
porzioni progressivamente sempre più piccole di popolazione, incrementando le
diseguaglianze sociali. Seguendo l’ideologia della globalizzazione non
riusciremo più, a lungo andare, a garantire la sopravvivenza sul pianeta di sette miliardi di
persone, sempre in aumento. Alla fine il sistema si bloccherà. E’ necessario quindi cambiare, ma non lo si potrà fare che
collettivamente, con movimenti di massa, questa volta però sulla base di un
cambiamento interiore molto più profondo, non solo politico, ma anche di natura religiosa perché legato al senso della vita, come appunto quello che viene raccomandato nella Laudato sì, perché, ed è questa la
novità di ciò che accade oggi, ognuno, ogni consumatore, proprio consumando, si fa carnefice di una parte dell’umanità, rafforzando
il sistema che genera la sofferenza sociale e che, infine, travolgerà anche lui. Non si può quindi cambiare il mondo che sta per travolgerci senza cambiare noi stessi, riscoprendo, così facendo, la cittadinanza.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli