Stile repubblicano, comunità
esplosive, carnevalesche, guardaroba e le neo-religioni
Ieri abbiamo celebrato l’evento fondativo
della Repubblica italiana, che è stato un voto popolare, un referendum, nel 1946. Nella
medesima occasione furono eletti anche i membri dell’Assemblea Costituente. Per
la prima volta nella storia della democrazia italiana votarono e furono elette
delle donne. Si votò sulla base dell’iscrizione alle anagrafi nazionali come
cittadini italiani maggiorenni (la maggiore età si raggiungeva all’epoca a 21
anni). Parteciparono al voto anche gli italiani, nella gran parte cattolici,
che avevano sostenuto politicamente, in massa, il regime fascista, salvo quelli
che furono esclusi dal voto perché ritenuti maggiormente corresponsabili di quel regime per certe posizioni pubbliche
ricoperte. Ecco l’elenco degli esclusi politici:
Decreto
legislativo luogotenenziale n.74 del 1946 - Articolo 6 - Sono altresì esclusi
dal diritto di voto coloro che hanno ricoperto le seguenti cariche: a)
segretario o vice segretario del partito fascista; b) membro del gran consiglio
del fascismo; c) componente del direttorio nazionale o del consiglio nazionale
del partito fascista; d) ispettore nazionale o ispettrice nazionale delle
organizzazioni femminili del partito fascista; e) segretario o vice segretario
federale; fiduciaria o vice fiduciaria delle federazioni dei fasci femminili;
f) ispettore o ispettrice federale, eccettuati coloro che abbiano esercitato
funzioni esclusivamente amministrative; g) segretario politico o segretaria del
fascio femminile di comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti
(censimento 1936); h) qualsiasi carica del partito fascista repubblicano [quello della repubblica sociale con capitale
Salò, fondata nel 1943, nota mia]; i) consigliere nazionale; l) deputato
che, dopo il 3 gennaio 1925, abbia voluto leggi fondamentali intese a mantenere
in vigore il regime fascista; senatore dichiarato decaduto; m) ministro o
sottosegretario di Stato dei governi fascisti in carica o nominati dal 6
gennaio 1925; n) membro del tribunale speciale per la difesa dello Stato o
membro dei tribunali straordinari della pseudo repubblica sociale; o) prefetto
o questore nominati per titoli fascisti, capo della provincia o questore
nominati dal governo della pseudo repubblica sociale; p) «moschettiere del
duce», ufficiale della milizia volontaria sicurezza nazionale, in servizio
permanente retribuito, eccettuati gli addetti ai servizi religiosi, sanitari,
assistenziali e gli appartenenti alle legioni libiche, alle milizie
ferroviaria, postelegrafonica, universitaria, alla G.I.L., alla D.I.C.A.T., e
Da.cos., nonchè alla milizia forestale, stradale e portuaria; q) ufficiale che
abbia prestato effettivo servizio nelle forze armate della pseudo repubblica
sociale; ufficiale della guardia nazionale repubblicana, o componenti delle
brigate nere, delle legioni autonome e dei reparti speciali di polizia politica
della pseudo repubblica sociale. Sono eccettuati dalla privazione del diritto
elettorale coloro che siano dichiarati non punibili ai sensi dell'ultimo comma
dell'art. 7 del decreto legislativo Luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159
[coloro che nella lotta contro i
tedeschi si fossero particolarmente distinti con atti di valore], e
coloro che, prima del 10 giugno 1940, abbiano assunto un deciso atteggiamento
contro il fascismo.
La nostra Repubblica è nata quindi dalla partecipazione politica di tutti. Per questo il Presidente della
Repubblica l’ha definita festa di tutti.
Parteciparono al voto circa 25 milioni di cittadini. I
voti per la repubblica furono circa 12 milioni, quelli per la monarchia circa
10 milioni. Al Nord prevalsero i voti per la repubblica, al Sud quelli per la
monarchia. Di solito si collega l’atteggiamento politico dei settentrionali con
la presa di coscienza civile avvenuta durante la guerra di Resistenza, che durò
molto più a lungo nel Nord Italia.
Narrano che fu un voto di coscienza. La monarchia sabauda si era appoggiata al fascismo mussoliniano, come del
resto quella pontificia. Quest’ultima però aveva iniziato a prendere le
distanze dal regime prima di quella civile. Evitò il discredito per l’azione
politica dei democratici cristiani e le condotte virtuose del clero di base nei
momenti più duri dell’occupazione nazista e della guerra civile. Ma anche
perché, dopo il cedimento al fascismo, il Papa era cambiato: era salito al
trono religioso Eugenio Pacelli al posto di Achille Ratti.
I
Savoia non erano stati molto amati nel Centro e Sud dell’Italia, dopo che avevano assunto il titolo
di Re d’Italia. Inizialmente erano stati considerati come i sovrani di una
dinastia occupante. E’ a partire dalla Prima Guerra Mondiale che
l’atteggiamento degli italiani era
cambiato. Il nazionalismo italiano e sabaudo insieme era diventato un
fatto di massa. I soldati di leva andavano all’assalto e morivano al grido di Avanti Savoia!. Questo fenomeno si era
intensificato negli anni del fascismo e poi, in particolare, a seguito della “conciliazione” tra il Regno e la Santa Sede, mediata dal
Mussolini, nel 1929, che aveva ricomposto Trono e Altare nell’Italia fascista.
Solo negli ultimi due anni il fascismo mussoliniano aveva ripudiato la
monarchia, dopo che il re Vittorio Emanuele 3°, il 25 luglio del 1943, aveva
assecondato il trapasso del regime, facendo arrestare il Duce (questo era il
titolo dato al Mussolini nel partito fascista dell’epoca) dopo che quest’ultimo
gli aveva comunicato il voto del Gran Consiglio del Fascismo del giorno
precedente, che, approvando un ordine del
giorno proposto da Dino Grandi e da altri consiglieri, aveva invitato il Governo a pregare il sovrano di prendere
effettivamente nelle sue mani il potere esecutivo, a norma dell’art.5 dello
Statuto del Regno del 1848. Nel fascismo dominante quel potere era stato esclusivamente nelle
mani del Duce, e solo formalmente in quelle del Re.
Mussolini aveva assunto nell’immaginario
collettivo degli italiani il ruolo di “padre”.
Lo ricordava il giornalista Giorgio Bocca. Quando cadde, una parte degli
italiani, soprattutto i giovani che si erano formati nelle istituzioni sociali
del regime, si sentì “orfana”. Rimanevano
però altri “padri” a cui affidarsi, in Italia: il Re e il Papa.
La scelta repubblicana al referendum del 1946
può essere considerata come il pieno raggiungimento della maturità civile da
parte di un popolo che era stato abituato a sottomettersi e a credere e obbedire a dei grandi padri. Si imparò a condividere in massa la responsabilità genitoriale. Un popolo di madri e di padri e aspiranti tali
prese nelle mani, collettivamente, il proprio destino. Un contributo notevolissimo
in questo senso lo diede sicuramente l’elettorato femminile.
La scelta sulla monarchia non poteva essere
separata da un giudizio sulla dinastia Savoia, che aveva avuto tanta parte nel
conseguimento dell’unità nazionale. La conciliazione tra lo stato italiano e i papi attuata nel 1929, con i Patti
Lateranensi, aveva attenuato il ricordo del vivissimo contrasto politico tra le
due istituzioni al tempo del Risorgimento e le polemiche durissime che ne erano
seguite. La monarchia sabauda dava un’idea di ordine affine a quella
pontificia, quindi di una continuità in una tradizione politica. Un ordine
garantito da padri. Potevano i figli fare a meno di questi padri? Che ne sarebbe stato dei buoni
costumi e, in particolare, della religione senza di essi?
L’attuazione di una democrazia repubblicana
richiese un forte impegno sui princìpi: questo fu il lavoro dell’Assemblea
Costituente e il suo frutto fu la nostra Costituzione. Con essa il popolo si
obbligò anche a rinunciare ad ogni
potere senza limiti: sia a confidarvi, sia ad esercitarlo. Anche la sovranità del popolo infatti ha dei limiti, in questo
quadro. La nuova Costituzione originò da una partecipazione di massa ad un
evento pacifico: il referendum e le elezioni per l’Assemblea Costituente. Da
una ritrovata unità e dall’esigenza del mantenimento di una effettiva pace
sociale. “Il nostro
Paese ritrovò -dopo gli anni terribili della dittatura e della guerra- la
libertà e l’unità perdute. E raggiunse, grazie al voto esteso a tutti, uomini e
donne, una compiuta maturazione democratica.”, ha scritto l’altro giorno il presidente della Repubblica nel
suo messaggio per la festa del Due Giugno.
Il fascismo era invece originato, negli sconvolgimenti sociali seguiti
alla prima Guerra Mondiale, da quelle che i sociologi chiamano comunità esplosive, perché hanno necessità della violenza e di
nemici per rimanere stabili. Si compattano compiendo una sorta di rituale
sacrificale collettivo, partecipando ad un delitto, la soppressione di quello
che di volta in volta viene individuato come nemico. In Italia avevano preso a
manifestarsi come squadrismo. Tendono a trasferire all’esterno dei confini
comunitari la violenza, per preservare la pace all’interno, e all’interno
mirano alla pulizia sociale, a volte etnica. Il sociologo Zygmunt Bauman (ad esempio in uno dei suoi
libri divulgativi più noti, Modernità
liquida, pubblicato in Inghilterra nel 2000 e da edito in italiano da Laterza, €16,00) ha osservato che ai
nostri tempi, di fronte al liquefarsi dei poteri pubblici degli stati, riemergono
dinamiche sociali di quel tipo. Il nemico
contro cui scagliarsi è ora il migrante africano o asiatico, ma anche, da noi,
l’omosessuale. Ai tempi del fascismo storico (1921-1945) i nemici designati
furono, tra gli altri, i borghesi liberali, i socialisti, i comunisti, ogni
tipo di democratici ma in particolare quelli britannici e statunitensi e, da
ultimo, gli ebrei. Gli argomenti politici utilizzati da noi da quelli che
ragionano in quell’ordine di idee non sono poi tanto distanti dalle ideologie
che portarono ad azioni collettive di pulizia etnica nella dissoluzione della Federazione Jugoslava, negli anni
’90. In quest’ottica, ricorda Bauman riprendendo un pensiero di René Girard (antropologo francese,
1923-2015), “la nascita di una comunità è
prima di ogni altra cosa un atto di
separazione”. Il nemico da
sopprimere ritualmente deve essere simile ai membri della comunità esclusiva, ma nello stesso tempo
portatore di qualche elemento diversità evidente, in modo che il suo sangue non
reclami vendetta sociale, che lo si possa sopprimere
(moralmente o realmente) senza problemi di coscienza. E’ costituito da
persone non integrate o difficilmente integrabili in società e viste come un
pericolo sociale: quelle che, secondo il termine tedesco «Nestbeschmutzerin» che in Sud Tirolo venne
riferito agli immigrati italiani, sporcano
il nido. La comunità esplosiva provoca continuamente a prendere posizione sul
nemico di volta in volta individuato: non è ammessa l’indifferenza. Tutti
devono partecipare all’aggressione sociale e questo cementa la comunità. «O noi
o loro», se ne fa una questione di sopravvivenza. Non conta il modo in cui i «nemici»
vengono uccisi, scrive Bauman, ciò che conta è il numero dei carnefici.
Un tratto molto caratteristico del fascismo
storico fu la sua ricerca di spettacolarità, per cui, rivedendo i documentari
dell’epoca, che ritraggono vista vissuta non finzioni sceniche, ci appare come
se la gente che all’epoca venne ripresa si movesse come comparse in un film, in
costume. E’ qualcosa che troviamo in certe neo-comunità di oggi a effetto esplosivo.
Bauman, nel libro che ho citato, le evoca come comunità guardaroba o carnevalesche. Periodicamente chi ne fa
parte è spinto in un mondo irreale, puramente scenografico. In concomitanza con
grandi eventi sociali ci si veste per
l’occasione, lasciando in guardaroba i vestiti (intesi in senso lato come abiti sociali) di tutti i giorni. Ecco
che poi i partecipanti appaiono, ma solo per la durata dell’evento, molto più
simili tra loro di quanto non siano nella vita reale. L’attenzione è centrata
sul palcoscenico e si hanno moti emotivi collettivi in consonanza. Alla fine,
tutti riprendono i propri abiti sociali
e tornano presto ai loro ruoli. Questi spettacoli sociali hanno
sostituito, sostiene Bauman, la causa
comune di un tempo: le comunità che
le vivono offrono una tregua temporanea alle angosce delle quotidiana vita
solitaria. Si tratta tuttavia solo di illusioni.
Secondo Bauman, lo spirito repubblicano è
improntato a diversi presupposti:
“[…]
in netta opposizione alla fede sia patriottica sia nazionalistica, il genere
più promettente di unità è quello che viene conquistato, e conquistato
ripartendo ogni giorno da zero, attraverso il confronto, il dibattito, in
negoziato, il compromesso tra valori, preferenze, modi di vita e
autoidentificazioni di molti e di diversi, ma sempre dotati di libero arbitrio,
membri della polis.
È questo, essenzialmente il modello repubblicano
di unità, di un’unità emergente che rappresenta una conquista comune di tutti
gli agenti impegnati in propositi di autoidentificazione, un’unità che è un
risultato, non una condizione data a priori, della vita in comune, non
attraverso il rifiuto, il soffocamento o l’eliminazione delle differenze.”
Anche in religione, nella nostra fede, e in
particolare da noi in Italia, si giunse ad un evento simile a quello che in
politica si era manifestato nel 1946. Si trattò di un processo molto più lungo
che si sviluppò dagli anni Cinquanta agli anni Settanta del secolo scorso. Si
produssero moti repubblicani e moti esplosivi, nel permanere costante di
tendenze monarchiche. Il papato ne
uscì profondamente trasformato, così come in genere l’episcopato, ma anche i
nostri modi di vivere socialmente subirono mutamenti analoghi. Si potrebbe
parlare, da un punto di vista antropologico e sociologico, non dottrinale
naturalmente, di uno sviluppo di neo-religioni,
su un ceppo comune. In esse l’esercizio
dell’autorità si è fatto molto più complesso.
Ad un inizio di un modello di aggregazione per
democratizzazione, secondo il modello
repubblicano, si è contrapposto il modello
esplosivo dell’aggregazione per distinzione, separazione. Le differenze riguardano i tipi di comunità che si vogliono costruire. I contrasti sono
stati molto duri, anche se negli ambienti del confronto ecclesiale se ne
ovattano gli echi. Sono tornate d’attualità certe polemiche correnti all’epoca
delle persecuzioni anti-moderniste di inizio Novecento.
I
gruppi di tipo esplosivo puntano alla pulizia ideologica facendo leva
su una prassi dell’antico catecumenato battesimale, che, in tempi in cui le
collettività di fede erano immerse in società nelle quali si vivevano collettivamente,
in larga prevalenza, altre fedi religiose, prevedeva numerosi vagli comunitari, detti scrutini, dei candidati al battesimo:
“La
catechesi [fino al 6° secolo della nostra era] affonda le sue radici nel mistero e nel
sacro: è essenzialmente illuminazione e conversione: si acquistano occhi nuovi
per misteri fino allora ignorati; bisogna romperla con il passato e passare
dall’influenza del demonio a quella di Cristo. E questo lavoro si attua
gradualmente: è necessario desiderare, ascoltare, pregare, e ricevere la
preghiera di tutta la comunità: ecco il perché dei numerosi scrutini ed
esorcismi” [da Joseph Colomb, Al
servizio delle fede - Manuale di catechetica, Elle Di Ci, 1969]
Naturalmente variano molto i criteri di
scrutinio, di questo vaglio comunitario. Di solito le neo-religioni a dinamica esplosiva
ne hanno di propri, molto particolari, che non valgono al di fuori dei propri
confini comunitari. Questo può
accentuare molto un certo aspetto tribale
delle loro esperienze collettive. Lo scrutinio
allora vale un po’ come un rito d’iniziazione tribale. In un’ottica di fede dovrebbe essere molto altro.
I gruppi di tipo repubblicano
puntano invece all’inclusione piuttosto che alla selezione, e a costituire
comunità aperte. Si fondano sulla partecipazione
attiva e responsabile. Fanno molto conto sulla libertà di coscienza proclamata solennemente dai saggi dell’ultimo
concilio come inerente alla dignità umana:
“Oggetto e
fondamento della libertà religiosa
2. Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il
diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli
esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli
individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in
materia religiosa nessuno sia forzato ad
agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di
agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale
o associata. Inoltre dichiara che il
diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della
persona umana quale l'hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la
stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa
deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento
giuridico della società.
A motivo della loro dignità, tutti gli esseri umani, in quanto
sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di
personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale
tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E
sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare
tutta la loro vita secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo, però, gli
esseri umani non sono in grado di soddisfare, in modo rispondente alla loro
natura, se non godono della libertà psicologica e nello stesso tempo
dell'immunità dalla coercizione esterna. Il
diritto alla libertà religiosa non si fonda quindi su una disposizione
soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura. Per cui il diritto ad una
tale immunità perdura anche in coloro che non soddisfano l'obbligo di cercare
la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia rispettato
l'ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito.” [Dalla
Dichiarazione La dignità umana, del Concilio Vaticano 2° (1962-1965)]
In
questo nuovo contesto religioso si notano manifestazioni di comunità guardaroba, messe in scena intorno a
grandi eventi collettivi di massa. In genere, per la profondità del pensiero
liturgico delle nostre collettività di fede, non vi sono manifestazioni vere e
proprie di quelle che i sociologi chiamano comunità carnevalesche,
caratterizzate dell’indurre i propri partecipanti a vivere una realtà puramente
sognata, ad esempio impersonando certe stagioni bibliche.
In genere, nelle esperienze di base, ci si trova, se non si è
particolarmente sfortunati tanto da capitare in quegli ambienti dove è stata praticata metodicamente
una pulizia ideologica e sociale, a contatto con esperienze comunitarie di tipo
misto, con aspetti inclusivi ed esclusivi, repubblicani
ed esplosivi in costante
tensione tra loro e al loro interno. Il parroco, in genere, è fattore di unità,
lavora per l’unità e la manifesta, quando non è coinvolto in dinamiche esplosive.
Da dove ci viene l’unità, in religione? Ci viene spiegato che non è cosa
che deriva solo dalle nostre forze: è una dimensione con importanti aspetti
soprannaturali. Il tutto si fonda su un particolare atteggiamento di
benevolenza universale che chiamiamo misericordia,
sul quale stiamo celebrando un Anno Santo. Ma fin dove può spingersi questa
benevolenza? Per andare sul sicuro c’è chi suggerisce di limitarsi a obbedire: c’è qualcuno sopra di te che
ti dirà sempre che fare. Questo naturalmente non lo si pensa in ambienti repubblicani, dove si è
portati a mettere in discussione, davanti al tribunale della coscienza, qualsiasi autorità umana che pretenda
ubbidienza. E questo appunto sulla base del principio della libertà di
coscienza, che è, prima di tutto, libertà.
L’ubbidienza acritica, e che come tale si pretenda anche irresponsabile, non è degna di un essere
umano, hanno insegnato i saggi dell’ultimo concilio, e ancora ci insegnano i
nostri maestri in religione. L’atteggiamento morale ha a che fare con il discernimento, che va fatto in primo luogo nella propria
coscienza e con piena responsabilità personale.
Il nostro problema comunitario è quello di fare pulizia da quelli che sporcano il nido o di includere nel nido, a rischio di farselo
un po’ sporcare? E poi: il nostro principale
problema religioso è fare il nido da qualche parte? A volte sembra che si
cammini e cammini, ma che non si vada mai molto distante da quel nido.
Ogni tanto, in religione, mi sento interpellare in senso esplosivo sui nemici di oggi: ad esempio migranti e
famiglie omosessuali. I migranti!? Con tutto quello che
raccomanda il Papa oggi? E beh, sì. Nelle comunità esplosive, anche in talune di quelle di impronta religiosa, non sono amati,
sono piuttosto temuti. Sporcano il nido.
Di solito intuisco la trappola e rifiuto
il confronto su questi temi, mi pongo fuori dalle dinamiche conflittuali limitandomi
a richiamare la dottrina corrente che (per nostra buona sorte) ora impone accoglienza e misericordia, sulla quale non mi sento
di aggiungere nulla. Ma, più in generale, mi pongo verso gli altri con atteggiamento
repubblicano: non mi propongo di scrutinarli, ma di conoscerli meglio, e questo anche con
riguardo a quelli che non la pensano come me.
Se nel 1946 avessero prevalso dinamiche esplosive la guerra civile
sarebbe continuata, forse con attori diversi. I venticinque milioni che nel
1946 si recarono al voto invece di imbracciare un’arma la pensarono
diversamente. Scoprirono tra loro molto di comune, nonostante le divisioni del
recentissimo passato. La guerra aveva impartito loro una dura lezione. Ne è
prova lo stupefacente art. 3 della nostra Costituzione, che, d’un colpo, fece
fuori tutti i motivi classici di discriminazione utilizzati dai moti esplosivi: “senza distinzione di sesso,
razza, lingua, religione, opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali”. Con che cuore, in questo quadro, posso
sentirmi sporcato da genti di altre razze, lingue e religioni? Ma
anche da persone partecipi di una famiglia omosessuale,
per il solo fatto del loro orientamento sessuale?
La guerra costrinse gli italiani degli anni ’40 a uscire dalla
dimensione scenografica del fascismo di massa e a fare i conti con la
realtà. E’ qualcosa che mi pare occorra fare anche in religione, sempre. Il
rischio è che la storia sacra sostituisca la storia,
invece che esserne un criterio interpretativo. Occorre avere i piedi ben
saldi sul mondo reale, anche se con lo spirito rivolto verso la città ideale
della fede. Ognuno porta nelle fede un frammento del reale e, unendosi in
molti in spirito di dialogo, si ricompone un disegno complessivo, che nessuno potrebbe intuire da sé
solo. Di questo però occorre fare tirocinio. Fu veramente un bel tirocinio
quello del 1946.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli