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  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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venerdì 3 giugno 2016

Stile repubblicano, comunità esplosive, carnevalesche, guardaroba e le neo-religioni

Stile repubblicano, comunità esplosive, carnevalesche, guardaroba e le neo-religioni



 Ieri abbiamo celebrato l’evento fondativo della Repubblica italiana, che è stato un voto popolare, un referendum, nel 1946. Nella medesima occasione furono eletti anche i membri dell’Assemblea Costituente. Per la prima volta nella storia della democrazia italiana votarono e furono elette delle donne. Si votò sulla base dell’iscrizione alle anagrafi nazionali come cittadini italiani maggiorenni (la maggiore età si raggiungeva all’epoca a 21 anni). Parteciparono al voto anche gli italiani, nella gran parte cattolici, che avevano sostenuto politicamente, in massa, il regime fascista, salvo quelli che furono esclusi dal voto perché ritenuti maggiormente corresponsabili di  quel regime per certe posizioni pubbliche ricoperte. Ecco l’elenco degli esclusi politici:
Decreto legislativo luogotenenziale n.74 del 1946 - Articolo 6 - Sono altresì esclusi dal diritto di voto coloro che hanno ricoperto le seguenti cariche: a) segretario o vice segretario del partito fascista; b) membro del gran consiglio del fascismo; c) componente del direttorio nazionale o del consiglio nazionale del partito fascista; d) ispettore nazionale o ispettrice nazionale delle organizzazioni femminili del partito fascista; e) segretario o vice segretario federale; fiduciaria o vice fiduciaria delle federazioni dei fasci femminili; f) ispettore o ispettrice federale, eccettuati coloro che abbiano esercitato funzioni esclusivamente amministrative; g) segretario politico o segretaria del fascio femminile di comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti (censimento 1936); h) qualsiasi carica del partito fascista repubblicano [quello della repubblica sociale con capitale Salò, fondata nel 1943, nota mia]; i) consigliere nazionale; l) deputato che, dopo il 3 gennaio 1925, abbia voluto leggi fondamentali intese a mantenere in vigore il regime fascista; senatore dichiarato decaduto; m) ministro o sottosegretario di Stato dei governi fascisti in carica o nominati dal 6 gennaio 1925; n) membro del tribunale speciale per la difesa dello Stato o membro dei tribunali straordinari della pseudo repubblica sociale; o) prefetto o questore nominati per titoli fascisti, capo della provincia o questore nominati dal governo della pseudo repubblica sociale; p) «moschettiere del duce», ufficiale della milizia volontaria sicurezza nazionale, in servizio permanente retribuito, eccettuati gli addetti ai servizi religiosi, sanitari, assistenziali e gli appartenenti alle legioni libiche, alle milizie ferroviaria, postelegrafonica, universitaria, alla G.I.L., alla D.I.C.A.T., e Da.cos., nonchè alla milizia forestale, stradale e portuaria; q) ufficiale che abbia prestato effettivo servizio nelle forze armate della pseudo repubblica sociale; ufficiale della guardia nazionale repubblicana, o componenti delle brigate nere, delle legioni autonome e dei reparti speciali di polizia politica della pseudo repubblica sociale. Sono eccettuati dalla privazione del diritto elettorale coloro che siano dichiarati non punibili ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 7 del decreto legislativo Luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159 [coloro che nella lotta contro i tedeschi si fossero particolarmente distinti con atti di valore], e coloro che, prima del 10 giugno 1940, abbiano assunto un deciso atteggiamento contro il fascismo.
  La nostra Repubblica è nata quindi dalla partecipazione politica di tutti. Per questo il Presidente della Repubblica l’ha definita festa di tutti.
  Parteciparono al voto circa 25 milioni di cittadini. I voti per la repubblica furono circa 12 milioni, quelli per la monarchia circa 10 milioni. Al Nord prevalsero i voti per la repubblica, al Sud quelli per la monarchia. Di solito si collega l’atteggiamento politico dei settentrionali con la presa di coscienza civile avvenuta durante la guerra di Resistenza, che durò molto più a lungo nel Nord  Italia.
  Narrano che fu un voto di coscienza. La monarchia sabauda si era  appoggiata al fascismo mussoliniano, come del resto quella pontificia. Quest’ultima però aveva iniziato a prendere le distanze dal regime prima di quella civile. Evitò il discredito per l’azione politica dei democratici cristiani e le condotte virtuose del clero di base nei momenti più duri dell’occupazione nazista e della guerra civile. Ma anche perché, dopo il cedimento al fascismo, il Papa era cambiato: era salito al trono religioso Eugenio Pacelli al posto di Achille Ratti.
 I Savoia non erano stati molto amati nel Centro e  Sud dell’Italia, dopo che avevano assunto il titolo di Re d’Italia. Inizialmente erano stati considerati come i sovrani di una dinastia occupante. E’ a partire dalla Prima Guerra Mondiale che l’atteggiamento degli italiani era  cambiato. Il nazionalismo italiano e sabaudo insieme era diventato un fatto di massa. I soldati di leva andavano all’assalto e morivano al grido di Avanti Savoia!. Questo fenomeno si era intensificato negli anni del fascismo e poi, in particolare, a seguito della “conciliazione”  tra il Regno e la Santa Sede, mediata dal Mussolini, nel 1929, che aveva ricomposto Trono e Altare nell’Italia fascista. Solo negli ultimi due anni il fascismo mussoliniano aveva ripudiato la monarchia, dopo che il re Vittorio Emanuele 3°, il 25 luglio del 1943, aveva assecondato il trapasso del regime, facendo arrestare il Duce (questo era il titolo dato al Mussolini nel partito fascista dell’epoca) dopo che quest’ultimo gli aveva comunicato il voto del Gran Consiglio del Fascismo del giorno precedente, che, approvando un ordine del giorno proposto da Dino Grandi e da altri consiglieri,  aveva invitato il Governo  a pregare il sovrano di prendere effettivamente nelle sue mani il potere esecutivo, a norma dell’art.5 dello Statuto del Regno del 1848. Nel fascismo dominante quel potere era stato esclusivamente nelle mani del Duce, e solo formalmente in quelle del Re.
 Mussolini aveva assunto nell’immaginario collettivo degli italiani il ruolo di “padre”. Lo ricordava il giornalista Giorgio Bocca. Quando cadde, una parte degli italiani, soprattutto i giovani che si erano formati nelle istituzioni sociali del regime, si sentì “orfana”. Rimanevano però altri “padri”  a cui affidarsi, in Italia: il Re e il Papa.
 La scelta repubblicana al referendum del 1946 può essere considerata come il pieno raggiungimento della maturità civile da parte di un popolo che era stato abituato a sottomettersi e a credere e obbedire a dei grandi padri. Si imparò a condividere  in massa la responsabilità genitoriale.  Un popolo di madri e di padri e aspiranti tali prese nelle mani, collettivamente, il proprio destino. Un contributo notevolissimo in questo senso lo diede sicuramente l’elettorato femminile.
 La scelta sulla monarchia non poteva essere separata da un giudizio sulla dinastia Savoia, che aveva avuto tanta parte nel conseguimento dell’unità nazionale. La  conciliazione  tra lo stato italiano e  i papi attuata nel 1929, con i Patti Lateranensi, aveva attenuato il ricordo del vivissimo contrasto politico tra le due istituzioni al tempo del Risorgimento e le polemiche durissime che ne erano seguite. La monarchia sabauda dava un’idea di ordine affine a quella pontificia, quindi di una continuità in una tradizione politica. Un ordine garantito da padri. Potevano i figli  fare a meno di questi padri? Che ne sarebbe stato dei buoni costumi e, in particolare, della religione senza di essi?
  L’attuazione di una democrazia repubblicana richiese un forte impegno sui princìpi: questo fu il lavoro dell’Assemblea Costituente e il suo frutto fu la nostra Costituzione. Con essa il popolo si obbligò anche  a rinunciare ad ogni potere senza limiti: sia a confidarvi, sia ad esercitarlo. Anche la sovranità  del popolo infatti ha dei limiti, in questo quadro. La nuova Costituzione originò da una partecipazione di massa ad un evento pacifico: il referendum e le elezioni per l’Assemblea Costituente. Da una ritrovata unità e dall’esigenza del mantenimento di una effettiva pace sociale. “Il nostro Paese ritrovò -dopo gli anni terribili della dittatura e della guerra- la libertà e l’unità perdute. E raggiunse, grazie al voto esteso a tutti, uomini e donne, una compiuta maturazione democratica., ha scritto l’altro giorno il presidente della Repubblica nel suo messaggio per la festa del Due Giugno.
   Il fascismo era invece originato, negli sconvolgimenti sociali seguiti alla prima Guerra Mondiale, da quelle che i sociologi chiamano comunità esplosive,  perché hanno necessità della violenza e di nemici per rimanere stabili. Si compattano compiendo una sorta di rituale sacrificale collettivo, partecipando ad un delitto, la soppressione di quello che di volta in volta viene individuato come nemico. In Italia avevano preso a manifestarsi come squadrismo.  Tendono a trasferire all’esterno dei confini comunitari la violenza, per preservare la pace all’interno, e all’interno mirano alla pulizia  sociale, a volte etnica. Il sociologo Zygmunt Bauman (ad esempio in uno dei suoi libri divulgativi più noti, Modernità liquida, pubblicato in Inghilterra nel 2000 e da edito in italiano da Laterza, €16,00) ha osservato che ai nostri tempi, di fronte al liquefarsi  dei poteri pubblici degli stati, riemergono dinamiche sociali di quel tipo. Il nemico contro cui scagliarsi è ora il migrante africano o asiatico, ma anche, da noi, l’omosessuale. Ai tempi del fascismo storico (1921-1945) i nemici designati furono, tra gli altri, i borghesi liberali, i socialisti, i comunisti, ogni tipo di democratici ma in particolare quelli britannici e statunitensi e, da ultimo, gli ebrei. Gli argomenti politici utilizzati da noi da quelli che ragionano in quell’ordine di idee non sono poi tanto distanti dalle ideologie che portarono ad azioni collettive di pulizia etnica nella dissoluzione della Federazione Jugoslava, negli anni ’90. In quest’ottica, ricorda Bauman riprendendo un pensiero  di René Girard (antropologo francese, 1923-2015), “la nascita di una comunità è prima di ogni altra cosa  un atto di separazione”.  Il nemico da sopprimere ritualmente deve essere simile ai membri della comunità esclusiva, ma nello stesso tempo portatore di qualche elemento diversità evidente, in modo che il suo sangue non reclami vendetta sociale, che lo si possa sopprimere (moralmente o realmente) senza problemi di coscienza. E’ costituito da persone non integrate o difficilmente integrabili in società e viste come un pericolo sociale: quelle che, secondo il termine tedesco «Nestbeschmutzerin» che in Sud Tirolo venne riferito agli immigrati italiani, sporcano il nido.  La comunità esplosiva  provoca continuamente a prendere posizione sul nemico di volta in volta individuato: non è ammessa l’indifferenza. Tutti devono partecipare all’aggressione sociale e questo cementa la comunità. «O noi o loro», se ne fa una questione di sopravvivenza. Non conta il modo in cui i «nemici» vengono uccisi, scrive Bauman, ciò che conta è il numero dei carnefici.
  Un tratto molto caratteristico del fascismo storico fu la sua ricerca di spettacolarità, per cui, rivedendo i documentari dell’epoca, che ritraggono vista vissuta non finzioni sceniche, ci appare come se la gente che all’epoca venne ripresa si movesse come comparse in un film, in costume.  E’ qualcosa che troviamo  in certe neo-comunità di oggi a effetto esplosivo. Bauman, nel libro che ho citato, le evoca come comunità guardaroba  o  carnevalesche. Periodicamente chi ne fa parte è spinto in un mondo irreale, puramente scenografico. In concomitanza con grandi eventi sociali ci si veste per l’occasione, lasciando in guardaroba i vestiti (intesi in senso lato come abiti sociali) di tutti i giorni. Ecco che poi i partecipanti appaiono, ma solo per la durata dell’evento, molto più simili tra loro di quanto non siano nella vita reale. L’attenzione è centrata sul palcoscenico e si hanno moti emotivi collettivi in consonanza. Alla fine, tutti riprendono i propri abiti sociali  e tornano presto ai loro ruoli. Questi spettacoli sociali hanno sostituito, sostiene Bauman, la causa comune  di un tempo: le comunità che le vivono offrono una tregua temporanea alle angosce delle quotidiana vita solitaria. Si tratta tuttavia solo di illusioni.
  Secondo Bauman, lo spirito repubblicano  è improntato a diversi presupposti:
“[…] in netta opposizione alla fede sia patriottica sia nazionalistica, il genere più promettente di unità è quello che viene conquistato, e conquistato ripartendo ogni giorno da zero, attraverso il confronto, il dibattito, in negoziato, il compromesso tra valori, preferenze, modi di vita e autoidentificazioni di molti e di diversi, ma sempre dotati di libero arbitrio, membri della polis.
 È questo, essenzialmente il modello repubblicano di unità, di un’unità emergente che rappresenta una conquista comune di tutti gli agenti impegnati in propositi di autoidentificazione, un’unità che è un risultato, non una condizione data a priori, della vita in comune, non attraverso il rifiuto, il soffocamento o l’eliminazione delle differenze.”
   Anche in religione, nella nostra fede, e in particolare da noi in Italia, si giunse ad un evento simile a quello che in politica si era manifestato nel 1946. Si trattò di un processo molto più lungo che si sviluppò dagli anni Cinquanta agli anni Settanta del secolo scorso. Si produssero moti  repubblicani  e moti  esplosivi, nel permanere costante di tendenze monarchiche. Il papato ne uscì profondamente trasformato, così come in genere l’episcopato, ma anche i nostri modi di vivere socialmente subirono mutamenti analoghi. Si potrebbe parlare, da un punto di vista antropologico e sociologico, non dottrinale naturalmente, di uno sviluppo di neo-religioni,  su un ceppo comune. In esse l’esercizio dell’autorità si è fatto molto più complesso.
 Ad un inizio di un modello di aggregazione per democratizzazione, secondo il modello  repubblicano, si è contrapposto il modello esplosivo  dell’aggregazione per distinzione, separazione. Le differenze riguardano i tipi di comunità  che si vogliono costruire. I contrasti sono stati molto duri, anche se negli ambienti del confronto ecclesiale se ne ovattano gli echi. Sono tornate d’attualità certe polemiche correnti all’epoca delle persecuzioni anti-moderniste  di inizio Novecento.
 I gruppi di tipo  esplosivo  puntano alla pulizia ideologica facendo leva su una prassi dell’antico catecumenato battesimale, che, in tempi in cui le collettività di fede erano immerse in società nelle quali si vivevano collettivamente, in larga prevalenza, altre fedi religiose, prevedeva numerosi vagli comunitari, detti  scrutini, dei candidati al battesimo:
“La catechesi [fino al 6° secolo della nostra era] affonda le sue radici nel mistero e nel sacro: è essenzialmente illuminazione e conversione: si acquistano occhi nuovi per misteri fino allora ignorati; bisogna romperla con il passato e passare dall’influenza del demonio a quella di Cristo. E questo lavoro si attua gradualmente: è necessario desiderare, ascoltare, pregare, e ricevere la preghiera di tutta la comunità: ecco il perché dei numerosi scrutini ed esorcismi” [da Joseph Colomb, Al servizio delle fede - Manuale di catechetica, Elle Di Ci, 1969]
  Naturalmente variano molto i criteri di scrutinio, di questo vaglio  comunitario. Di solito le neo-religioni a dinamica esplosiva ne hanno di propri, molto particolari, che non valgono al di fuori dei propri confini comunitari. Questo  può accentuare molto un certo aspetto tribale delle loro esperienze collettive. Lo scrutinio  allora vale un po’ come un rito d’iniziazione tribale. In un’ottica di fede dovrebbe essere molto altro.
  I gruppi di tipo repubblicano puntano invece all’inclusione piuttosto che alla selezione, e a costituire comunità  aperte. Si fondano sulla partecipazione attiva e responsabile. Fanno molto conto sulla libertà di coscienza proclamata solennemente dai saggi dell’ultimo concilio come inerente alla dignità umana:

Oggetto e fondamento della libertà religiosa
2. Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l'hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società.
A motivo della loro dignità, tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo, però, gli esseri umani non sono in grado di soddisfare, in modo rispondente alla loro natura, se non godono della libertà psicologica e nello stesso tempo dell'immunità dalla coercizione esterna. Il diritto alla libertà religiosa non si fonda quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura. Per cui il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro che non soddisfano l'obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito.” [Dalla Dichiarazione  La dignità umana,  del Concilio Vaticano 2° (1962-1965)]

 In questo nuovo contesto religioso si notano manifestazioni di comunità guardaroba, messe in scena intorno a grandi eventi collettivi di massa. In genere, per la profondità del pensiero liturgico delle nostre collettività di fede, non vi sono manifestazioni vere e proprie di quelle che i sociologi chiamano  comunità carnevalesche, caratterizzate dell’indurre i propri partecipanti a vivere una realtà puramente sognata, ad esempio impersonando certe stagioni bibliche.
   In genere, nelle esperienze di base, ci si trova, se non si è particolarmente sfortunati tanto da capitare in quegli  ambienti dove è stata praticata metodicamente una pulizia ideologica e sociale, a contatto con esperienze comunitarie di tipo misto, con aspetti inclusivi ed esclusivi, repubblicani  ed esplosivi  in costante tensione tra loro e al loro interno.  Il parroco, in genere, è fattore di unità, lavora per l’unità e la manifesta, quando non è coinvolto in dinamiche esplosive.
  Da dove ci viene l’unità,  in religione? Ci viene spiegato che non è cosa che deriva solo dalle nostre forze: è una dimensione con importanti aspetti soprannaturali. Il tutto si fonda su un particolare atteggiamento di benevolenza universale che chiamiamo misericordia, sul quale stiamo celebrando un Anno Santo. Ma fin dove può spingersi questa benevolenza? Per andare sul sicuro c’è chi suggerisce di limitarsi a obbedire: c’è qualcuno sopra di te che ti dirà sempre che fare. Questo naturalmente non lo si  pensa in ambienti  repubblicani, dove si è portati a mettere in discussione, davanti al tribunale della coscienza, qualsiasi autorità umana che pretenda ubbidienza. E questo appunto sulla base del principio della libertà di coscienza, che è, prima di tutto, libertà. L’ubbidienza acritica, e che come tale si pretenda  anche irresponsabile, non è degna di un essere umano, hanno insegnato i saggi dell’ultimo concilio, e ancora ci insegnano i nostri maestri in religione. L’atteggiamento morale ha a che fare con il discernimento,  che va fatto in primo luogo nella propria coscienza e con piena responsabilità personale.
  Il nostro problema comunitario è quello di fare pulizia da quelli che sporcano il nido o di includere nel nido, a rischio di farselo un po’ sporcare?  E poi: il nostro principale problema religioso è  fare il nido  da qualche parte? A volte sembra che si cammini e cammini, ma che non si vada mai molto distante da quel nido.
  Ogni tanto, in religione, mi sento interpellare in senso esplosivo  sui nemici di oggi: ad esempio migranti e famiglie omosessuali.  I migranti!? Con tutto quello che raccomanda il Papa oggi? E beh, sì. Nelle comunità esplosive, anche in talune di quelle di impronta religiosa,  non sono amati, sono piuttosto temuti. Sporcano il nido. Di solito intuisco la trappola e  rifiuto il confronto su questi temi, mi pongo fuori dalle dinamiche conflittuali limitandomi a richiamare la dottrina corrente che (per nostra buona sorte) ora impone accoglienza  e misericordia, sulla quale non mi sento di aggiungere nulla. Ma, più in generale, mi pongo verso gli altri con atteggiamento repubblicano: non mi propongo di scrutinarli,  ma di conoscerli meglio, e questo anche con riguardo a quelli che non la pensano come me.
  Se nel 1946 avessero prevalso dinamiche  esplosive la guerra civile sarebbe continuata, forse con attori diversi. I venticinque milioni che nel 1946 si recarono al voto invece di imbracciare un’arma la pensarono diversamente. Scoprirono tra loro molto di comune, nonostante le divisioni del recentissimo passato. La guerra aveva impartito loro una dura lezione. Ne è prova lo stupefacente art. 3 della nostra Costituzione, che, d’un colpo, fece fuori tutti i motivi classici di discriminazione utilizzati dai moti esplosivi: senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.  Con che cuore, in questo quadro, posso sentirmi  sporcato  da genti di altre  razze, lingue e religioni? Ma anche da persone partecipi di una famiglia omosessuale, per il solo fatto del loro  orientamento sessuale?
  La guerra costrinse gli italiani degli anni ’40 a uscire dalla dimensione scenografica  del fascismo di massa e a fare i conti con la realtà. E’ qualcosa che mi pare occorra fare anche in religione, sempre. Il rischio è che la storia sacra  sostituisca  la storia, invece che  esserne un criterio interpretativo. Occorre avere i piedi ben saldi sul mondo reale, anche se con lo spirito rivolto verso la città ideale della fede. Ognuno porta nelle fede un frammento del reale e, unendosi in molti in spirito di dialogo, si ricompone un disegno complessivo, che nessuno potrebbe intuire da sé solo. Di questo però occorre fare tirocinio. Fu veramente un bel tirocinio quello del 1946.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli