Il partito del Papa
Con l’enciclica Laudato si’, dell’anno scorso, Bergoglio ha diffuso un progetto
integrato di riforma della società contemporanea, un vero e proprio manifesto
politico. Esso deve essere discusso democraticamente, ma proprio per la fonte
da cui proviene è difficile farlo in religione, e al di fuori dei contesti
religiosi non lo si fa perché non interessa. Infatti il partito del Papa non ha
seguito in Italia. Il nostro è stato il Paese che dal 1948 al 1994 è stato
dominato da un partito cristiano ed è
stato impressionante constatare che nelle ultime elezioni cittadine non solo
nessuno dei movimenti che le animavano si è richiamato a quella tradizione, ma
che anche nessuno ha affrontato il tema di Roma come città della fede, e questo
nonostante il Giubileo in corso. Nessuno si è richiamato ai temi politici della
Laudato si’, che probabilmente è poco
conosciuta anche negli ambienti di fede, e anche laddove è conosciuta viene
presentata attenuandone l’impatto specificamente politico. Sembra che,
assuefatti all’imponente letteratura pontificia, si sia considerato
distrattamente un documento in cui invece ogni parola è importante perché segna
un cambiamento di rotta e l’apertura di nuove opportunità. Si dà uno sguardo ai
titoli, si legge qualche brano scelto traendolo dai commentatori, e poi si
aspetta il prossimo documento, che infatti
è venuto con l’esortazione Letizia
dell’amore.
Fare politica ha a che fare con il potere e, di
solito, in religione, sebbene il potere lo si sia sempre esercitato e anche
piuttosto disinvoltamente, si ritiene sconveniente parlarne. Alla fine si cerca
di assimilarlo proponendolo come una forma
esigente di carità. Questa espressione viene attribuita, sbagliando, al
papa Montini, mentre è del suo predecessore Sarto, il Papa dei Patti lateranensi. La usò nel 1927 in un discorso tenuto ai dirigenti della
Federazione Universitaria Cattolica Italiana, del quale sono riuscito a trovare
uno stralcio sul WEB:
“I giovani talora si chiedono se, cattolici come sono, non debbano
fare alcuna politica. Ed ecco che, dedicando il loro studio ai suddetti
argomenti, vengono a porre in se stessi le basi della buona, della vera, della
grande politica, quella che è diretta al bene sommo e al bene comune, quello
della polis, della civitas, a quel pubblico bene, che è
la suprema lex a cui devono esser rivolte le attività sociali.
E così facendo essi comprenderanno e compieranno uno dei più grandi doveri
cristiani, giacché quanto più vasto e importante è il campo nel quale si può
lavorare, tanto più doveroso è il lavoro. E
tale è il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutta la società,
e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si
potrebbe dire null'altro, all'infuori della religione, essere superiore.
È con questo intendimento che i
cattolici e la Chiesa debbono considerare la politica; poiché la Chiesa e i
suoi rappresentanti, in tutti i gradi di tal rappresentanza, non possono essere
un partito politico, né fare la politica di un partito, il quale per natura sua attende a particolari interessi, o se pur mira
al bene comune, sempre vi mira dietro il prisma di sue vedute particolari.”
In quegli anni la Santa Sede stava
contrattando con il Mussolini quelli che poi, nel 1929, furono stipulati come Patti Lateranensi. Parlando dell’uomo
con cui aveva concluso quegli accordi che oggi molti in religione ritengono disonorevoli
e di cui si volle assumere la piena responsabilità, disse, parlando agli
universitari della Cattolica di Milano il 13 febbraio 1929, due giorni dopo
l’evento:
“Dobbiamo dire che siamo stati anche dall’altra
parte nobilmente assecondati. E forse ci voleva anche un uomo come quello che
la Provvidenza Ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni
della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti
quegli ordinamenti, o piuttosto disordinamenti, tutte quelle leggi, diciamo, e
tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci,
tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi. E con la grazia
di Dio, con molta pazienza, con molto lavoro, con l’incontro di molti e nobili
assecondamenti, siamo riusciti « tamquam per medium profundam eundo»
a conchiudere un Concordato che, se non è il migliore di quanti se ne possono
fare, è certo tra i migliori che si sono fin qua fatti; ed è con profonda
compiacenza che crediamo di avere con esso ridato Dio all’Italia e l’Italia a
Dio.”
Montini, invece, nella lettera apostolica L’Ottantesimo Anniversario [della prima
enciclica sociale Le novità, del 1891] fece un discorso
diverso, sollecitando all’azione:
"Significato dell’azione politica
46 […]È vero
che sotto il termine «politica» sono possibili molte confusioni che devono
essere chiarite; ma ciascuno sente che nel settore sociale ed economico, sia
nazionale che internazionale, l'ultima decisione spetta al potere politico.
Questo, in quanto è il vincolo naturale e necessario per
assicurare la coesione del corpo sociale, deve avere per scopo la realizzazione
del bene comune. Esso agisce, nel rispetto delle legittime libertà degli
individui, delle famiglie e dei gruppi sussidiari, al fine di creare,
efficacemente e a vantaggio di tutti, le condizioni richieste per raggiungere
il vero e completo bene dell'uomo, ivi compreso il suo fine spirituale. Esso si
muove nei limiti della sua competenza, che possono essere diversi secondo i
paesi e i popoli; e interviene sempre nella sollecitudine della giustizia e
della dedizione al bene comune, di cui ha la responsabilità ultima. Tuttavia
non elimina così il campo d'azione e le responsabilità degli individui e dei
corpi intermedi, onde questi concorrono alla realizzazione del bene comune. In
effetti, «l'oggetto di ogni intervento in materia è di porgere aiuto ai membri
del corpo sociale, non già di distruggerli o di assorbirli». Conforme alla
propria vocazione, il potere politico
deve sapersi disimpegnare dagli interessi particolari per considerare
attentamente la propria responsabilità nei riguardi del bene di tutti,
superando anche i limiti nazionali. Prendere
sul serio la politica nei suoi diversi livelli - locale, regionale, nazionale e
mondiale - significa affermare il dovere dell'uomo, di ogni uomo, di
riconoscere la realtà concreta e il valore della libertà di scelta che gli è
offerta per cercare di realizzare insieme il bene della città, della nazione,
dell'umanità. La politica è una maniera esigente - ma non è la sola - di vivere
l'impegno cristiano al servizio degli altri. Senza certamente risolvere
ogni problema, essa si sforza di dare soluzioni ai rapporti fra gli uomini. La
sua sfera è larga e conglobante, ma non esclusiva. Un atteggiamento invadente,
tendente a farne un assoluto, costituirebbe un grave pericolo. Pur riconoscendo
l'autonomia della realtà politica, i
cristiani, sollecitati a entrare in questo campo di azione, si sforzeranno di
raggiungere una coerenza tra le loro opzioni e l'evangelo e di dare, pur in
mezzo a un legittimo pluralismo, una
testimonianza personale e collettiva della serietà della loro fede mediante un servizio efficiente e disinteressato agli
uomini."
Che cosa c’è di diverso tra il pensiero del
Sarto e quello del Montini sulla politica? C’è la democrazia, che significa
anche considerare la politica non come inevitabile sviluppo di interessi particolari, ma come servizio
efficiente e disinteressato per realizzare
insieme il bene della città, della nazione, dell'umanità. E c’è
la mediazione, che significa
concepire la politica come ricerca insieme
ad altri, in un clima di pluralismo.
Esercitare il potere in modo insieme
democratico e conforme allo spirito
evangelico non è innato nei fedeli: è cosa che si impara, della quale occorre
fare tirocinio. Negli anni ’80 se ne aveva chiara consapevolezza e infatti fu
quella l’epoca in cui in Italia fiorirono tante scuole di politica.
Ma poi emerse il pluralismo
della politica e si lasciò perdere. Si riprese a fare politica andando dietro a
un Papa, come negli anni bui dell’intransigentismo
ottocentesco, quelli della polemica durissima con il liberalismo democratico,
che ancora risalta moltissimo nelle parole del papa Sarto che ho sopra
trascritto. Si è persa una tradizione di impegno politico, della quale oggi si
può avere un’idea solo sui libri. Quindi poi la rinnovata esortazione all’impegno
politico democratico di Bergoglio cade nel vuoto. Anzi, mi pare che in genere,
rispetto agli orientamenti politici della Laudato
sì, la maggioranza dei fedeli sia all’opposizione, diciamo su posizioni
francamente di destra, che oggi significano, ad esempio, posizione dura su
migranti ed emarginati sociali, difesa del tenore di vita degli italiani a
scapito di qualsiasi onere di solidarietà sociale che possa comportare più
tasse, posizione ostile all’integrazione sociale di stranieri residenti e
di fedeli di altre religioni, contrarietà a misure di controllo sociale per
preservare ambiente naturale e territorio dai danni delle attività industriali e
dell’edilizia intensiva.
Ad essere cittadini di una democrazia avanzata si impara e se la
politica democratica ha un valore anche religioso si tratta di un lavoro che
deve essere impostato anche negli ambienti di fede, come una parrocchia. Si
inizia con un tirocinio, con fare esperienza di democrazia negli affari minuti,
nella gestione di un gruppo, di un servizio, rifuggendo e contrastando il cesarismo dei capi. Poi ci si ragiona sopra, trovando i
riferimenti culturali. E’ cosa che costa fatica, perché ci si è disabituati.
Anche da noi in parrocchia, per lungo tempo, tutte le sedi di partecipazione
democratica sono cadute un po’ in disuso, a cominciare dal Consiglio pastorale,
che mi pare ormai privo di legittimazione democratica, poiché, a mia memoria,
non riesco più a ricordare quando si svolsero le ultime elezioni di alcuni suoi
componenti e alcune delle stesse persone che vi partecipano, per ciò che mi è
stato riferito, non hanno ben chiaro a che titolo vi partecipino.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa -
Roma, Monte Sacro, Valli