Perché in Italia non sono più possibili una “politica cattolica” e un partito “cattolico”
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Card.A.Bagnasco-20 sett. 2011 “Rendere politicamente operante la propria fede”
Il documento del quale di seguito si trascrive un estratto è stato considerato l’atto che ha chiuso una stagione politica in Italia e ne ha aperto una nuova
Estratto dalla prolusione del card. A.Bagnasco al Consiglio Permanente della C.E.I. del 20-9-11
(trascrizione in formato Word di Mario Ardigò – le evidenziazione in neretto sono del trascrittore)
1.
Venerati e cari Confratelli, avvio questa riflessione facendo subito riferimento al clima che – a giudizio di molti osservatori, ma è anche la nostra sensazione – appare emergente, ossia il senso di insicurezza diffuso nel corpo sociale, rafforzato da un attonito sbigottimento a livello culturale e morale.
Un’insicurezza che si va cristallizzando, e finisce per prendere una forma apprensiva dinanzi al temuto dileguarsi di quegli ancoraggi esistenziali per i quali ognuno si industria e fatica, essendo essi ragione di una stabilità messa oggi in discussione, per cause in larga parte non dipendenti da noi. Non si era capito, o forse non avevamo voluto capire, che la crisi economica e sociale, che iniziò a mordere tre anni or sono, era in realtà più vasta e potenzialmente più devastante di quanto potesse di primo acchito apparire. E avrebbe presentato un costo ineludibile per tutti i cittadini di questo Paese. Spetta ad altri dar conto degli scenari che si presentano sul versante economico-sociale; per parte nostra siamo specialmente in apprensione per le pesanti conseguenze sulla vita della gente e gli effetti interiori di questa crisi che, a tratti, sembra produrre un oscuramento della speranza collettiva. Se ne vede traccia in certa perplessità trascinata e stanca, in una amarezza dichiarata, in un risentimento talora sordo, in un cinismo che denuncia una sconfortata rassegnazione. Circola l’immagine di un Paese disamorato, privo di slanci, quasi in attesa dell’ineluttabile. Ebbene, in quanto Vescovi non possiamo essere spettatori intimiditi; nostro compito è proporci come interlocutori animati da saggezza, interessati a “rompere questo determinismo dell’immanenza o, meglio, aprirlo alla concezione cristiana della storia e del tempo” (Giandomenico Mucci, ‘Il discernimento dei segni dei tempi’, in La civiltà cattolica, 7 maggio 2011). Vorremmo cioè, con passo lieve, accostarci al cuore di ciascuno dei nostri connazionali, e dire la parola più grande e più cara che abbiamo, e che raccoglie ogni buona parola umana: Gesù Cristo. Noi lo annunciamo a tutti come discepoli e Vescovi: Egli è Dio con noi e per noi, affinché abbiamo a non inaridirci, stanchi prigionieri del nostro “io”. No, non dobbiamo affliggerci come chi non ha speranza (si confronti la prima lettera ai Tessalonicesi 4, 13): una speranza che “attira – dentro il presente – il futuro […]. Il fatto che questo futuro esista cambia il presente; il presente viene toccato dalla realtà futura (enciclica Spe salvi, del Papa Benedetto XV, del 30 novembre 2007, n.7).
Perché questa dinamica salvifica si esplichi non ci stanchiamo, con l’aiuto dello Spirito, di esercitare il nostro arduo quanto irrinunciabile ministero “di ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo, e di saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venire presentata in forma più adatta” (costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, del Concilio Vaticano II, promulgata il 7 dicembre 1965). E’ ciò che ci proponiamo umilmente di perseguire anche nell’attuale sessione autunnale del nostro Consiglio Permanente, agli inizi del nuovo Anno pastorale, e a congedo di una stagione estiva particolarmente densa di eventi e segni. Vorremmo che la n nostra parola, se deve echeggiare nel cuore degli italiani e nell’opinione pubblica, riuscisse a risvegliare la speranza, e ad un tempo stesso tensione alla verità senza la quale non c’è democrazia.
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4.
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“Precisamente oggi, in cui la cultura relativistica dominante rinuncia alla ricerca della verità e disprezza la ricerca della verità, che è l’aspirazione più alta dello spirito umano, dobbiamo proporre con coraggio e umiltà il valore universale di Cristo come salvatore di tutti gli uomini e fonte” (discorso del Papa Benedetto XV con giovani professori universitari, 19 agosto 2011). Non ci vuole molto a rilevare come il Papa condensi qui pagine poderose del magistero ecclesiale degli ultimi decenni, volto a riaffermare ciò che da alcune parti viene messo in discussione: la divinità di Cristo, unico salvator dell’uomo e del mondo. Non ha insomma dispensato briciole, ma ha teso con gentilezza il pane sostanzioso della fede. Per questo aveva avvertito: “Non lasciatevi intimorire da un ambiente nel quale si pretende di escludere Dio e nel quale il potere, il possedere o il piacere sono spesso i principali criteri sui quali si regge l’esistenza. Può darsi che vi disprezzino, come si suole fare verso coloro che richiamano mete più alte o smascherano gli idoli dinanzi ai quali oggi molti si prostrano. Sarà allora che una vita profondamente radicata in Cristo si rivelerà realmente come una novità attraendo con forza coloro giovani che veramente cercano Dio, la verità e la giustizia” (Omelia del Papa Benedetto XV per i seminaristi, 20 agosto 2011).
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5.
E’ vero che le nostre comunità cristiane sono – sociologicamente parlando – una rete di relazioni pressoché unica sul territorio, ma la Chiesa è qualcosa di più, c’è un Oltre che si deve perseguire e va assunto come il dato germinante. Mi ha colpito una confidenza che il Santo Padre ha fatto parlando, in San Giovanni, alla sua diocesi di Roma: “Mi torna alla memoria – egli ha detto –che proprio in questa Basilica, in un intervento durante il Sinodo Romano, citai alcune parole che mi aveva scritto in una piccola lettera Han Urs von Balthasar: “La fede non deve essere presupposta, ma proposta” (Discorso del Papa Benedetto XV all’apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma, 13 giugno 2011). E la fede è la fede in Gesù Cristo dato a noi per la nostra gioia. Ecco ciò che ‘trafigge’ il cuore (si vedano gli Atti degli apostoli 2,37; e anche il citato discorso del 13 giugno 2011), non altro. Il pensiero corre allora nuovamente ai nostri Sacerdoti: mentre solidarizziamo cordialmente con voi, e vi ringraziamo del grande affatto per quanto fate, dobbiamo ricordare una cosa importante, in qualche modo ovvia ma non scontata, e cioè che le nostre comunità sono chiamate ad un continuo itinerario di conversione. Se Cristo è al centro, Lui è anche l’unità di misura che costantemente ci contesta e ci spinge a conversione. Una conversione, di cui sarà bene mostrare anche tutta la convenienza. “Talvolta – diceva il Papa a Venezia – quando si parla di conversione, si pensa unicamente al suo aspetto faticoso, di distacco e di rinuncia Invece la conversione cristiana è anche e soprattutto fonte di gioia, speranza e amore” (Omelia del Papa Benedetto XV alla Messa al Parco di San Giuliano, Venezia, 8 maggio 2011).
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7.
Più volte e da varie parti la popolazione del Nord del mondo era stata avvertita e sensibilizzata sul fatto che l’Occidente viveva al di sopra delle proprie possibilità. Ed era ragionevole pensare che la crisi esplosa tra il 2008 e il 2009 avesse indotto non solo a tamponare le falle che si erano infine aperte, ma a introdurre elementi virtuosi per raddrizzare progressivamente il sistema dell’economia mondiale. Ma così non è stato. E quando infine si sperava di cominciare a vedere la luce, la crisi ha dato segnali di inequivocabile persistenza e per alcuni aspetti di pericolosa recrudescenza. La globalizzazione resta non governata, e sempre più tende ad agire dispoticamente prescindendo dalla politica. La finanza “è tornata a praticare con frenesia dei contratti di credito che spesso consentono una speculazione senza limiti. E fenomeni di speculazione dannosa si verificano anche con riferimento alle derrate alimentari, all’acqua, alla terra, finendo con impoverire ancor di più quelli che già vivono in situazione di grave precarietà” (Discorso del Papa Benedetto XV per il 50° anniversario dell’enciclica “Mater et magistra”, 16 maggio 2011). Nessuna nuova istituzione internazionale è stata nel frattempo messa in campo col potere di regolare appunto la funzionalità dei mercati allorché questi risultino anomali. Le agenzie che classificano l’affidabilità dei grandi soggetti economici hanno continuato a far valere la loro autarchica e misteriosa influenza, imponendo ulteriori carichi alle democrazie. Dal canto suo, l’Europa ha fatto fronte in ritardo e di malavoglia alle emergenze, incapace di esprimere una visione comunitaria inclusiva dei doveri propri della reciprocità e della solidarietà, soprattutto rivelando ancor di più lo squilibrio tra l’integrazione economica, di cui l’euro è espressione, e un’integrazione politica, ancora inadeguata, pesantemente burocratizzata e invasiva.
D’altronde, l’Italia non si era mai trovata tanto chiaramente dinanzi alla verità della propria situazione. Il che significa, tra l’altro, correggere abitudini e stili di vita. Qualcosa di facile a dire, ma estremamente difficile ad applicare, anzitutto per sé. Ci preoccupa come Vescovi l’assenza di un affronto serio e responsabile del generale calo demografico, e quindi del rapporto sbilanciato tra la popolazione giovane e quella matura e anziana. Il fenomeno va ad interessare anche le funzioni previdenziali e pensionistiche non solo delle generazioni a venire ma già di quanti sono oggi giovani. Se non si riescono a far scaturire, nel breve periodo, le condizioni psicologiche e culturali per siglare un patto intergenerazionale che, considerando l’apporto dei nuovi italiani, sia in grado di raccordare fisco, previdenza e pensioni avendo come volano un’efficace politica per la famiglia, l’Italia non potrà invertire il proprio declino: potrà forse aumentare la ricchezza di alcuni, comunque di pochi, ma si prosciugherà il destino di un popolo.
8.
Conosciamo le preoccupazioni che pulsano nel corpo vivo del Paese, e non ci sfugge certo quel che, a più riprese, si è tentato di fare e ancora si sta facendo per fronteggiarle. L’impressione tuttavia è che, stando a quel che s’è visto, non sia purtroppo ancora sufficiente. Colpisce la riluttanza a riconoscere l’esatta serietà della situazione al di là delle strumentalizzazioni e partigianerie; amareggia il metodo scombinato con cui a tratti si procede, dando l’impressione che il regolamento dei conti personali sia prevalente rispetto ai compiti istituzionali e al portamento richiesto dalla scena pubblica, specialmente in tempi di austerità. Rattrista i deterioramento del costume e del linguaggio pubblico, nonché la reciproca, sistematica denigrazione, perché così è il senso civico a corrompersi, complicando ogni ipotesi di riconoscimento anche politico. Mortifica soprattutto dover prendere atto di comportamenti non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui. Non è la prima volta che ci occorre annotarlo: chiunque sceglie la militanza politica deve essere consapevole “della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che comporta, come anche la nostra Costituzioni ricorda”(Prolusione al Consiglio Permanente del 21-24 settembre 2009 e del 24-27 gennaio 2011). Si rincorrono, con mesta sollecitudine, racconti che, se comprovati, a livelli diversi rivelano stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica. Da più parti, nelle ultime settimane, si sono elevate voci che invocavano nostri pronunciamenti. Forse che davvero è mancata in questi anni la voce responsabile del Magistero ecclesiale che chiedeva e chiede orizzonti di vita buona, libera dal pansessualismo e dal relativismo amorale? Annotava giorni fa il professor Franco Casavola, Presidente emerito della Corte Costituzionale: “L’unica voce che denuncia i guasti della società della politica è quella della Chiesa cattolica” (Corriere della sera, 20 settembre 2011). Lo citiamo non per vantare titoli, ma per invitare tutti a non cercare alibi. Ci commuove sentire la fiducia e la gratitudine che vengono espresse quando, come Vescovi, ci rechiamo nei molteplici ambienti di lavoro delle nostre città, campagne, porti. Ci commuovono soprattutto le parole della gente più semplice, dei lavoratori più umili: noi vi siamo grati per la vostra gratitudine che ci riconosce Pastori e amici, riferimenti affidabili là dove, per voi e le vostre famiglie, guadagnate un pane spesso difficile e a volte incerto. I vostri sentimenti ci invitano all’umiltà, responsabili come siamo del patrimonio di fiducia che ci confidate. Ci incoraggiano a esservi sempre più vicini ovunque, per raccogliere le ansie e le gioie dei vostri cuori, continuando a dar loro voce ed espressione. Noi nulla chiediamo, se non di starvi accanto con il rispetto e l’amore di Cristo e della Chiesa.
Tornando allo scenario generale è l’esibizione talora a colpire. Come colpisce l’ingente mole di strumenti di indagine messa in campo su questi versanti, quando altri restano disattesi e indisturbati. Nessun equivoco tuttavia può qui annidarsi. La responsabilità morale ha una gerarchia interna che si evidenzia da sé, a prescindere dalle strumentalizzazioni che pure non mancano. I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà. Ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino comune. Tanto più ciò è destinato ad accadere in una società mediatizzata, in cui lo svelamento del torbido, oltre a essere compito di vigilanza, diventa contagioso ed è motore di mercato. Da una situazione abnorme se ne generano altre, e l’equilibrio generale ne risente in maniera progressiva. E’ noto la difficoltà a innescare la marcia di uno sviluppo che riduca la mancanza di lavoro, ed è noto il peso che i provvedimenti economici hanno caricato sulle famiglie; non si può, rispetto a queste dinamiche, assecondare scelte dissipatorie e banalizzanti. La collettività guarda con sgomento agli attori della scena pubblica e l’immagine del Paese all’esterno ne viene pericolosamente fiaccata. Quando le congiunture si rivelano oggettivamente gravi, e sono rese ancor più complicate da dinamiche e rapporti cristallizzati e insolubili, tanto da inibire seriamente il bene generale, allora non ci sono né vincitori né vinti: ognuno è chiamato a comportamenti responsabili e nobili. La storia ne darà atto.
Solo comportamenti congrui ed esemplari, infatti, commisurati alla durezza della situazione, hanno titolo per convincere a desistere dal pericoloso gioco dei veti e degli egoismi incrociati.
9.
La situazione morale, complessivamente intesa, non è un’invenzione mediatica: nella dimensione politica, come in ciascun altro ambito privato o pubblico, essa è un’evenienza grave, che ha in sé un appello urgente. Non è una debolezza esclusiva di una parte soltanto e non riguarda semplicemente i singoli, ma gruppi, strutture, ordinamenti, a proposito dei quali è necessario che ciascuna istituzione rispetti rigorosamente i propri ambiti di competenza e di azione, anche nell’esercizio del reciproco controllo. Nessuno può negare la generosa dedizione e la limpida rettitudine di molti che operano nella gestione della cosa pubblica, come pure nell’economia, della finanza e dell’impresa: a costoro vanno rinnovati stima e convinto incoraggiamento. Si noti tuttavia che la questione morale, quando intacca la politica, ha innegabili incidenze culturali ed educative. Contribuisce, di fatto, a propagare la cultura di un’esistenza facile e gaudente, quando questa dovrebbe lasciare il passo alla cultura della serietà e del sacrificio, fondamentale per imparare a prendere responsabilità della vita. Ecco perché si tratta non solo di fare in maniera diversa, ma di pensare diversamente: c’è da purificare l’aria, perché le nuove generazioni – crescendo – non restino avvelenate. Chi rientra oggi nella classe dirigente del Paese deve sapere che ha doveri specifici di trasparenza ed economicità: se non altro, per rispettare i cittadini e non umiliare i poveri. Specie in situazioni come quella attuale, ci è d’obbligo richiamare il principio prevalente dell’equità che va assunto con rigore e applicato senza sconti, rendendo meno insopportabili gli aggiustamenti più austeri. E’ sull’impegno a combattere la corruzione, piovra inesausta dai tentacoli mobilissimi, che la politica è oggi chiamata a severo esame. L’improprio sfruttamento della funzione pubblica è grave per le scelte a cascata che esso determina e per i legami che possono pesare anche a distanza di tempo. Non si capisce quale legittimazione possano avere in un consorzio democratico i comitati di affari che, non previsti dall’ordinamento, si auto-impongono attraverso il reticolo clientelare, andando a intasare la vita pubblica con remunerazioni – in genere – tutt’altro che popolari. E pur tuttavia il loro maggior costo sta nella capziosità dei condizionamenti, nell’intermediazione appaltistica, nei suggerimenti interessati di nomine e promozioni. Al punto in cui siamo, è essenziale drenare tutte le risorse disponibili – intellettuali, economiche e di tempo – convogliandole verso l’utilità comune. Solo per questa via si può salvare dal discredito il sistema di rappresentanza, il quale deve dotarsi di anticorpi adeguati, cominciando a riconoscere ai cittadini la titolarità loro dovuta.
10.
L’altro fronte vitale per la nostra democrazia è l’impegno di contrasto all’evasione fiscale. Difficile sottrarsi all’impressione che non tutto sia stato finora messo in campo per rimuovere questo cancro sociale, che sta soffocando l’economia e prosciugando l’affidabilità civile delle classi più abbienti. Il grottesco sistema delle società di comodo che consentono l’abbattimento artificioso dei redditi appare - alla luce dei fatti – non solo indecoroso ma anche insostenibile sotto il profilo etico. Bisogna che gli onesti si sentano stimati, e i virtuosi siano premiati. Sono tanti i cittadini per bene e le famiglie che adempiono positivamente i loro compiti. A un’osservazione attenta, le ragioni per cui guardare avanti ci sono: la strada si è fatta più impervia e i consumismo potrebbe averci fiaccato, ma il popolo italiano odierno sa di non essere da meno delle generazioni che l’hanno preceduto. E sa che le conquiste di ieri hanno oggi bisogno di essere riguadagnate: il “parassitismo esistenziale” infatti è solo l’istinto di psicologie fragili e derelitte. Il brontolio sordo non aiuta a vivere meglio, demotiva anzi ulteriormente. La gente di questo Paese dà il meglio di sé nei momenti difficili: certo, le occorre per questo un obiettivo credibile, per cui valga la pena impegnarsi. Questo obiettivo c’è, e coincide con il portare l’Italia fuori del guado in cui si trova anche per un certo scoramento. Portarla fuori perché sia all’altezza delle proprie responsabilità storiche e culturali. Il che significa darle il futuro che merita, e che serve al mondo intero. L’Italia ha una missione da compiere, l’ha avuta nel passato e l’ha per il futuro. Non deve auto denigrarsi! Bisogna dunque reagire con freschezza di visione e nuovo entusiasmo, senza il quale è difficile rilanciare qualunque crescita, perseguire qualunque sviluppo.
La Chiesa pellegrina in Itala non intende sottrarsi alle attese e alle responsabilità che le competono. Negli ultimi anni, in coincidenza con il dispiegarsi della crisi, essa ha intensificato la propria capillare presenza, a cerniera tra il territorio e i bisogni della gente. Le iniziative molteplici e straordinarie delle diocesi e quella stessa – “Il prestito della speranza” – promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, si sono aggiunte alla fitta rete di vicinanza e di solidarietà quotidiana; e testimoniano la partecipazione sincera della comunità credente alle ansie comuni. Nel frattempo, anche il moltiplicarsi di impegni a favore delle popolazioni più colpite e quelle più derelitte de mondo documenta la tensione che ci pervade, e ci ha indotti a operare ogni risparmio e potare le poste di bilancio consolidate per concentrarci sui fronti oggi più esposti. Fidandoci dell’aiuto di Dio che mai manca, siamo intensamente grati alla Caritas e alla Migrantes per quanto fanno ogni giorno, al di fuori di qualsiasi pubblicità, canalizzando e dando sbocchi ravvicinati e credibili alla carità della Chiesa e di molti italiani. Quanto alla discussione, non sempre garbata e informata, che c’è stata negli ultimi tempi circa le risorse della Chiesa, facciamo solo notare che per noi, sacerdoti e Vescovi, e per la nostra sussistenza, basta in realtà poco. Così come per la gestione degli enti dipendenti dalle diocesi: essa si ispira ai criteri della trasparenza, senza i quali non potrebbe sussistere l’estimazione da parte di molti. Se abusi si dovessero accertare, siano perseguiti secondo giustizia, in linea con le norme vigenti. Per il resto, ci affidiamo all’intelligenza e all’onestà degli uomini, segnalando che le risposte a nostro avviso esaurienti, seppure non troppo considerate, sono già state offerte all’opinione pubblica: segnalo per tutte la pagina a firma Patrizia Clementi pubblicata su Avvenire lo scorso 21 agosto.
11.
Riguardo alla presenza dei cattolici nella società civile e nella politica, siamo convinti che, anche quando non risultano sugli spalti, essi sono per lo più dove vita e vocazione li portano. Gli anni da cui proveniamo potrebbero aver indotto talora a tentazioni e smarrimenti, ma hanno indubbiamente spinto i cattolici, alla scuola dei Papi, a maturare una più avvertita coscienza di sé e del proprio compito nel mondo. Un nucleo più ristretto ma sempre significativo di credenti, sollecitati dagli eventi e sensibilizzati nelle comunità cristiane, ha colto la rinnovata perentorietà di rendere politicamente operante la propria fede. Sono così nati percorsi diversi, a livelli molteplici, per quanti intendono concorrere alla vitalità e alla modernità della polis, percorsi che hanno dato talora un senso anche di dispersione e scarsa incidenza. Tuttavia non si può non riconoscere che si che si è trattato di una sorta di incubazione che, se non ha mancato di produrre qua e là dei primi risultati, sta determinando una situazione nuova, rispetto alla quale un osservatore della tempra di Giuseppe De Rita alcune settimane fa annotava: “Chi fa politica non si rende conto che milioni di fedeli vivono una vicinanza religiosa che si fa sempre più attenta ai ‘fatti della vita politica’, con comuni opinioni socio-politiche, e con ambizioni di vita comunitaria di qualità” (Corriere della Sera, 6 agosto 2011. Sta lievitando infatti una partecipazione che si farebbe fatica a non registrare, e una nuova consapevolezza che la fede cristiana non danneggia in alcun modo la vita sociale. Anzi! A dar coscienza ai cattolici oggi non è anzitutto un’appartenenza esterna, ma i valori dell’umanizzazione: chi è l’uomo, qual è la sua struttura costitutiva, il suo radicamento religioso, la via aurea dell’autentica giustizia e della pace, del bene comune … Valori – e lo diciamo solo di passaggio – che si sta imparando a riconoscere e a proporre con crescente coraggio, e che in realtà finiscono per far sentire i cattolici più uniti di quanto taluno non vorrebbe credere. Nel contempo, sempre di più richiamano anche l’interesse di chi esplicitamente cattolico non si sente. A un tempo, c’è un patrimonio di cultura fatto di rappresentanza sociale e di processi di maturazione comunitaria. Dove avviene qualcosa di simile, nel contesto italiano? Ebbene, questo giacimento valoriale ed esistenziale rappresenta la bussola interiormente adottata dai cattolici, e da esso si sprigionano ormai ordinariamente esperienze che sono un vivaio di sensibilità, dedizione, intelligenza che sempre più si metterà a disposizione della comunità e del Paese. Non sempre tutto è così lineare, è vero. Lentezze, chiusure, intimismi restano in continuo agguato, ma ci sembra che una tensione si vada sviluppando grazie alle comunità cristiane, alle molteplici aggregazioni ecclesiali o di ispirazione cristiana, e grazie anche al lavoro realizzato dai nostri media, che sono diventati dei concreti laboratori di idee e dei riferimenti ormai imprescindibili. Sembra rapidamente stagliarsi all’orizzonte la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica che – coniugando strettamente l’etica sociale con l’etica della vita – sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni.
Sarà bene anche affinare l’attitudine a cercare, sotto la scorza dei cambiamenti di breve periodo, le trasformazioni più profonde e durature, consci, tra l’altro, che una certa cultura radiale – al pari di una mentalità demolitrice – tende a inquinare ogni ambito di pensiero e di decisione. Muovendo da una concezione individualistica, essa rinchiude la persona nell’isolamento triste della propria libertà assoluta, slegata dalla verità del bene e da ogni relazione sociale. Per questo, dietro una maschera irridente, riduce l’uomo solo con sé stesso, e corrode la società, intessuta invece di relazioni interpersonali e legami virtuosi di dedizione e sacrificio.
La transizione dei cattolici verso il nuovo inevitabilmente maturerà all’interno di una transizione più generale del Paese, e oserei dire anche dell’Europa, secondo la linea culturale del realismo cristiano, e secondo quegli atteggiamenti culturali di innovazione, moderazione e sobrietà che da sempre lo connotano. E’ forse “pensabile – si chiedeva il Rettore magnifico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, prof. Lorenzo Ornaghi – che rispetto a tale politica risultino latitanti, facilmente emarginabili, irrilevanti, non tanto singole personalità cattoliche, quanto i cattolici italiani come presenza vitale e immediatamente riconoscibile, perché efficacemente organizzata?” (Intervista ad Avvenire, 24 luglio 2011).
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Il 16 e il 17 ottobre 2011 ha avuto luogo a Todi (PG), nel convento francescano di Montesanto, il Seminario nazionale «La buona politica per il bene comune. I cattolici protagonisti della politica italiana», organizzato dal Forum delle persone e delle associazioni di ispirazione cattolica del mondo del lavoro.
[dal sito WEB
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/il-seminario-di-todi-perplessita-e-prospettive/ ]
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Il 23 ottobre Francia e Germania lanciano l'ultimatum a Berlusconi: "Attui subito le misure per debito e crescita". E fa subito il giro di web e tv il video in cui Angela Merkel e Nicolas Sarkozy da Bruxelles rispondono alle domande dei giornalisti al termine di una riunione del Consiglio europeo. Ai due leader viene chiesto se hanno fiducia nel premier italiano. La Merkel, leggermente imbarazzata, fa timidamente cenno di sì, ma subito dopo incrocia lo sguardo eloquente di Sarkozy ed entrambi scoppiano a ridere. E' poi il presidente francese a spiegare: "Abbiamo fiducia nell'insieme delle autorità italiane, nelle istituzioni politiche, economiche e finanziarie del paese".
Dall'ottovolante si passa all'impennata di novembre, quando il differenziale Btp-Bund tocca il suo record storico a quota 574 punti. E' il 9 novembre e Napolitano nomina Monti [Mario Monti, professore universitario di economia politica, già Commissario europeo e all’epoca presidente dell’Università Bocconi di Milano – nota mia] senatore a vita. Soltanto il giorno prima, con il voto sul Rendiconto alla Camera, il premier capisce di non avere più la maggioranza assoluta. Tre giorni dopo, Silvio Berlusconi sale al Colle per dimettersi: il 12 novembre, il Cav [Berlusconi era stato insignito del titolo di Cavaliere del lavoro e gli veniva attribuito questo nomignolo] getta la spugna al termine di una giornata tesissima. Quel giorno Berlusconi e Monti si incontrano a Palazzo Chigi per un colloquio di 2 ore dedicato a fare il punto su programma e lista dei ministri. Il 16 novembre il presidente della Repubblica darà a Monti l'incarico di formare un governo tecnico. Lo spread scenderà a 368 punti il 6 dicembre. Ma l'anno terminerà con il differenziale di nuovo sopra quota 500 […].
Dall’articolo di Michela Scacchioli, Da Berlusconi a Monti, la drammatica estate 2011 tra spread e rischi di bancarotta, del 10-2-14, pubblicato sul sito WEB La Repubblica
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[da ricerca mediante ChatGPT di OpenAI del 12-1-25]
La crisi economica iniziata negli Stati Uniti nel 2008, spesso associata al crollo del mercato immobiliare e alla crisi finanziaria globale, si diffuse rapidamente in Europa occidentale nello stesso anno, ma con un impatto più marcato a partire dal 2009.
Ecco una sintesi dei tempi e degli effetti principali:
1. 2008: Contagio iniziale
o Il fallimento della banca d'investimento americana Lehman Brothers (settembre 2008) scatenò il panico nei mercati globali.
o Le banche europee, molte delle quali avevano investito in titoli collegati ai mutui subprime americani, iniziarono a soffrire. Ad esempio, istituti come Royal Bank of Scotland e Fortis affrontarono gravi difficoltà.
o Gli Stati europei iniziarono a intervenire per salvare banche e stabilizzare i mercati.
2. 2009: Contrazione economica
o La crisi finanziaria si trasformò in una vera e propria recessione economica in Europa. Il PIL di molti Paesi dell'Europa occidentale crollò.
o Settori come l'industria, l'esportazione e la costruzione furono duramente colpiti.
o La disoccupazione iniziò a salire rapidamente, in particolare nei Paesi del sud Europa.
3. 2010-2012: Crisi del debito sovrano
o La crisi economica si aggravò con la crisi del debito sovrano in Europa, in particolare nei Paesi della zona euro come Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia.
o Le misure di austerità imposte per ridurre il debito pubblico causarono ulteriori sofferenze economiche e sociali.
L'Europa occidentale, quindi, fu colpita dalla crisi quasi contemporaneamente agli Stati Uniti nel 2008, ma i suoi effetti durarono più a lungo a causa delle specificità strutturali dell'economia europea, inclusa la debolezza del settore bancario in alcuni Paesi e i problemi legati all'architettura della zona euro.
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1. Dall’episcopato italiano da anni vengono esortazioni alle persone cattoliche di impegnarsi di più in politica.
1.1. Dal 2002, da quando il nuovo Partito Popolare Italiano succeduto nel 1994 alla Democrazia Cristiana confluì nel nuovo partito Democrazia è libertà – La Margherita non dispone più di un agente politico organizzato per influire sulla politica nazionale.
La Conferenza episcopale italiana aveva appoggiato alcune delle politiche della neo-destra organizzata dal 1993 da Silvio Berlusconi, poliedrico grande imprenditore milanese sceso in politica, in un clima di crescente diffidenza verso le componenti cattolico democratiche in altre formazioni. Nel settembre 2011 le ritirò il sostegno, con la prolusione di Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza episcopale Italiana, ad una assemblea del Consiglio permanente di quell’organismo ecclesiastico. All’epoca Berlusconi era Presidente del Consiglio dei ministri. Le parti di quel documento che seguono furono considerate dure critiche personali al Berlusconi e, in particolare, ai suoi stili di vita e alle politiche del suo Governo in un tempo di grave crisi economica che, innescata nel 2008 negli Stati Uniti d’America, si era abbattuta dall’anno seguente sull’Europa e anche sull’Italia. Nelle settimane precedenti il quotidiano La Repubblica aveva invocato espressamente un pronunciamento in merito della C.E.I.
«Più volte e da varie parti la popolazione del Nord del mondo era stata avvertita e sensibilizzata sul fatto che l’Occidente viveva al di sopra delle proprie possibilità. Ed era ragionevole pensare che la crisi esplosa tra il 2008 e il 2009 avesse indotto non solo a tamponare le falle che si erano infine aperte, ma a introdurre elementi virtuosi per raddrizzare progressivamente il sistema dell’economia mondiale. Ma così non è stato. E quando infine si sperava di cominciare a vedere la luce, la crisi ha dato segnali di inequivocabile persistenza e per alcuni aspetti di pericolosa recrudescenza.
, l’Europa ha fatto fronte in ritardo e di malavoglia alle emergenze, incapace di esprimere una visione comunitaria inclusiva dei doveri propri della reciprocità e della solidarietà, soprattutto rivelando ancor di più lo squilibrio tra l’integrazione economica, di cui l’euro è espressione, e un’integrazione politica, ancora inadeguata, pesantemente burocratizzata e invasiva.
[…] l’Italia non si era mai trovata tanto chiaramente dinanzi alla verità della propria situazione. Il che significa, tra l’altro, correggere abitudini e stili di vita. Qualcosa di facile a dire, ma estremamente difficile ad applicare, anzitutto per sé. […]
Conosciamo le preoccupazioni che pulsano nel corpo vivo del Paese, e non ci sfugge certo quel che, a più riprese, si è tentato di fare e ancora si sta facendo per fronteggiarle. L’impressione tuttavia è che, stando a quel che s’è visto, non sia purtroppo ancora sufficiente. Colpisce la riluttanza a riconoscere l’esatta serietà della situazione al di là delle strumentalizzazioni e partigianerie; amareggia il metodo scombinato con cui a tratti si procede, dando l’impressione che il regolamento dei conti personali sia prevalente rispetto ai compiti istituzionali e al portamento richiesto dalla scena pubblica, specialmente in tempi di austerità. Rattrista i deterioramento del costume e del linguaggio pubblico, nonché la reciproca, sistematica denigrazione, perché così è il senso civico a corrompersi, complicando ogni ipotesi di riconoscimento anche politico. Mortifica soprattutto dover prendere atto di comportamenti non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui. Non è la prima volta che ci occorre annotarlo: chiunque sceglie la militanza politica deve essere consapevole “della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che comporta, come anche la nostra Costituzioni ricorda”(Prolusione al Consiglio Permanente del 21-24 settembre 2009 e del 24-27 gennaio 2011). Si rincorrono, con mesta sollecitudine, racconti che, se comprovati, a livelli diversi rivelano stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica. Da più parti, nelle ultime settimane, si sono elevate voci che invocavano nostri pronunciamenti. […]
Tornando allo scenario generale è l’esibizione talora a colpire. Come colpisce l’ingente mole di strumenti di indagine messa in campo su questi versanti, quando altri restano disattesi e indisturbati. Nessun equivoco tuttavia può qui annidarsi. La responsabilità morale ha una gerarchia interna che si evidenzia da sé, a prescindere dalle strumentalizzazioni che pure non mancano. I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà. Ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino comune. Tanto più ciò è destinato ad accadere in una società mediatizzata, in cui lo svelamento del torbido, oltre a essere compito di vigilanza, diventa contagioso ed è motore di mercato. Da una situazione abnorme se ne generano altre, e l’equilibrio generale ne risente in maniera progressiva. […]
Solo comportamenti congrui ed esemplari, infatti, commisurati alla durezza della situazione, hanno titolo per convincere a desistere dal pericoloso gioco dei veti e degli egoismi incrociati.
La situazione morale, complessivamente intesa, non è un’invenzione mediatica: nella dimensione politica, come in ciascun altro ambito privato o pubblico, essa è un’evenienza grave, che ha in sé un appello urgente. Non è una debolezza esclusiva di una parte soltanto e non riguarda semplicemente i singoli, ma gruppi, strutture, ordinamenti, a proposito dei quali è necessario che ciascuna istituzione rispetti rigorosamente i propri ambiti di competenza e di azione, anche nell’esercizio del reciproco controllo. […]
Nessuno può negare la generosa dedizione e la limpida rettitudine di molti che operano nella gestione della cosa pubblica, come pure nell’economia, della finanza e dell’impresa: a costoro vanno rinnovati stima e convinto incoraggiamento. Si noti tuttavia che la questione morale, quando intacca la politica, ha innegabili incidenze culturali ed educative. Contribuisce, di fatto, a propagare la cultura di un’esistenza facile e gaudente, quando questa dovrebbe lasciare il passo alla cultura della serietà e del sacrificio, fondamentale per imparare a prendere responsabilità della vita. Ecco perché si tratta non solo di fare in maniera diversa, ma di pensare diversamente: c’è da purificare l’aria, perché le nuove generazioni – crescendo – non restino avvelenate. Chi rientra oggi nella classe dirigente del Paese deve sapere che ha doveri specifici di trasparenza ed economicità: se non altro, per rispettare i cittadini e non umiliare i poveri. […]»
Questa presa di posizione della C.E.I. fu considerata concausa della crisi del Governo Berlusconi, insieme ai gravi problemi della finanza pubblica con la differenza tra gli interessi sui titoli del debito pubblico tedesco e quelli sugli analoghi titoli italiani schizzati ad oltre 300 centesimi di punto [arrivarono a 500]. Berlusconi rassegnò le dimissioni del suo Governo il 12 novembre 2011, senza un voto parlamentare di sfiducia.
Il 16 e il 17 ottobre 2011 si tenne a Todi (PG), nel convento francescano di Montesanto, un Seminario nazionale, riservato solo ad esponenti dell’associazionismo cattolico specificamente invitati, sul tema «La buona politica per il bene comune. I cattolici protagonisti della politica italiana», organizzato dal Forum delle persone e delle associazioni di ispirazione cattolica del mondo del lavoro, per rispondere all’esortazione di Bagnasco, nella prolusione citata.
Al punto in cui siamo, è essenziale drenare tutte le risorse disponibili – intellettuali, economiche e di tempo – convogliandole verso l’utilità comune. Solo per questa via si può salvare dal discredito il sistema di rappresentanza, il quale deve dotarsi di anticorpi adeguati, cominciando a riconoscere ai cittadini la titolarità loro dovuta. […]
Un nucleo più ristretto ma sempre significativo di credenti, sollecitati dagli eventi e sensibilizzati nelle comunità cristiane, ha colto la rinnovata perentorietà di rendere politicamente operante la propria fede. Sono così nati percorsi diversi, a livelli molteplici, per quanti intendono concorrere alla vitalità e alla modernità della polis, percorsi che hanno dato talora un senso anche di dispersione e scarsa incidenza.[…]
Sembra rapidamente stagliarsi all’orizzonte la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica che – coniugando strettamente l’etica sociale con l’etica della vita – sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni.
Mi parve poi che questo coordinamento svolgesse un qualche ruolo nelle politiche del successivo governo di Mario Monti [dal 16 novembre 2011 al 28 aprile 2013]. Tuttavia non produsse un soggetto politico come quello che Bagnasco aveva delineato nel settembre 2011. Si aprì una fase politica sostanzialmente rivoluzionaria, con veloci cambiamenti di schieramenti politici di governo inscenati da nuove formazioni politiche o da formazioni preesistenti ma radicalmente rinnovate, che sembra essersi conclusa con l’insediamento del Governo Meloni, il 22 ottobre 2022, il quale, stando ai sondaggi, gode ad oggi di uno stabile consenso elettorale.
2. Ogni dominio politico sfrutta opportunità contingenti, e così accadde nel caso della lunga egemonia del partito cattolico, la degasperiana Democrazia Cristiana.
Il primo elemento favorevole fu un Papato indebolito in quanto screditato dal compromesso con il fascismo mussoliniano, che era stato realmente assentito dai clericali, non solo come scelta necessitata. Il secondo elemento furono masse cattoliche, in particolare femminili, lungamente educate all’azione politica in Azione Cattolica per sostenere la linea politica del Papato e organizzate nella capillare rete delle parrocchie. Il terzo elemento fu un ceto di fini intellettuali, educato nei rami intellettuali dell’Azione Cattolica e nell’Università Cattolica del Sacro Cuore proprio al fine di riforma dello stato, esperto nelle discipline più utili in quel campo: diritto, economia, sociologia. Il quarto elemento fu la capacità di quel ceto dirigente, sempre mantenuta nonostante l’ostracismo pontificio, di relazionarsi positivamente con socialisti, comunisti e liberali, che gli consentì di assumere un ruolo di primo piano nella guerra di Resistenza e nelle fasi del trapasso dal regime fascista ad uno di transizione defascistizzato e poi alla Repubblica democratica, mantenendo una sufficiente funzionalità delle istituzioni pubbliche, sedando, ad un certo punto, la guerra civile e le sue efferatezze. Il quinto elemento furono le relazioni internazionali consentite dall’organizzazione ecclesiastica cattolica e, in particolare, dal corpo diplomatico della Santa Sede, diretto dalla Segreteria di Stato. Il sesto elemento, importantissimo, fu la presenza di organizzazioni del socialismo rivoluzionario con largo consenso popolare, già emerso nelle elezioni politiche successive alla Prima guerra mondiale e che presto si concentrò sul Partito Comunista Italiano guidato dal genovese Palmiro Togliatti, già brillante studente di diritto all’Università di Torino, il quale non esprimeva la violenta polemica propriamente antireligiosa dei socialisti italiani ed anche dei bolscevichi sovietici.
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[ricerca mediante ChatGPT di OpenAI del 12-1-25]
La posizione di **Palmiro Togliatti** nei confronti dei cattolici italiani fu pragmatica e segnata da un atteggiamento di dialogo e apertura, soprattutto nel contesto della politica italiana del dopoguerra. Questo approccio si inserisce nella strategia più ampia del **"partito nuovo"** che Togliatti volle costruire a partire dal suo ritorno in Italia nel 1944.
### 1. **Il contesto storico**
- L’Italia del dopoguerra era un paese fortemente cattolico, con la Chiesa che esercitava un'influenza decisiva sia sulla società sia sulla politica. La Democrazia Cristiana (DC) era il principale partito di riferimento per i cattolici.
- Togliatti, segretario del **Partito Comunista Italiano (PCI)**, comprese l'importanza di trovare una posizione che permettesse al PCI di dialogare con i cattolici, evitando uno scontro diretto con la Chiesa e cercando di costruire una base di consenso più ampia.
### 2. **L’apertura ai cattolici**
- Nel famoso **Discorso di Salerno** (1944), Togliatti lanciò un appello all'unità nazionale, invitando tutte le forze politiche, compresi i cattolici, a collaborare nella ricostruzione dell’Italia.
- Togliatti riconobbe il ruolo storico e sociale della Chiesa cattolica in Italia e mostrò rispetto per la fede religiosa dei cittadini, evitando toni antireligiosi o anticlericali che avrebbero potuto alienare il consenso dei cattolici.
### 3. **La "via italiana al socialismo"**
- Togliatti sviluppò l'idea di una **"via italiana al socialismo"**, distinta da quella sovietica, che teneva conto delle peculiarità italiane, inclusa la centralità del cattolicesimo.
- Questo implicava il riconoscimento della possibilità per i cattolici di essere parte del processo di trasformazione sociale, senza dover rinunciare alla loro fede.
### 4. **Il dialogo con i cattolici progressisti**
- Togliatti cercò di attrarre nel PCI quei cattolici che si riconoscevano nelle istanze di giustizia sociale, pace e solidarietà. Questa strategia era diretta soprattutto verso i **cattolici del dissenso** e i movimenti progressisti interni al mondo cattolico.
- In questo senso, Togliatti si mosse per evitare una contrapposizione frontale con la Democrazia Cristiana, cercando invece di sottrarle consenso tra le fasce popolari e i lavoratori cattolici.
### 5. **La politica verso la Chiesa**
- Sul piano istituzionale, Togliatti accettò il **Concordato del 1929** tra Stato e Chiesa, ritenendolo parte della realtà italiana da rispettare. Questo evitò al PCI un conflitto aperto con il Vaticano.
- Allo stesso tempo, il PCI si oppose con fermezza all’uso della religione come strumento politico da parte della DC e del Vaticano.
### 6. **Le critiche**
- Nonostante questa apertura, il PCI di Togliatti fu spesso accusato di strumentalizzare il dialogo con i cattolici a fini politici.
- Dal lato cattolico, il Vaticano e gran parte della gerarchia ecclesiastica rimasero ostili al comunismo, considerato incompatibile con la dottrina cristiana.
### 7. **Eredità**
- La strategia di Togliatti gettò le basi per un dialogo più maturo tra il mondo cattolico e quello comunista negli anni successivi, aprendo la strada a figure come **Enrico Berlinguer**, che proseguirono sulla stessa linea con il **compromesso storico**.
In sintesi, la posizione di Togliatti verso i cattolici italiani fu caratterizzata da una combinazione di rispetto, realismo politico e ricerca del dialogo, che mirava a integrare il cattolicesimo nella visione di un’Italia democratica e progressista.
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Il settimo elemento, fondamentale, fu che l’Italia, assegnata dai vincitori, negli accordi raggiunti a Jalta in Crimea nel 1945 tra britannici, sovietici e statunitensi, all’area di influenza politica degli statunitensi e da questi ultimi controllata militarmente, come tutt’ora, doveva essere organizzata politicamente, istituzionalmente ed economicamente secondo un regime di democrazia liberale e di economia capitalista sul modello statunitense, quindi con ampia partecipazione popolare e pluripartitismo, ma con politiche pubbliche di sostegno dell’occupazione e del benessere della popolazione – il Welfare state, e, nella fase di costruzione di questo nuovo stato, nella seconda metà degli anni ’40, solo i cattolici democratici si trovarono a disporre di un progetto già pronto e di una forza di masse popolari per sostenerne politicamente l’attuazione. I cattolici democratici avevano iniziato a discuterne sistematicamente, sulla base dell’esortazione contenuta nel radiomessaggio natalizio del ’42 del papa Pio 12º, dall’incontro svoltosi nella foresteria del monastero di Camaldoli, sede storica degli incontri estivi di universitari e laureati di Azione Cattolica, nel luglio 1943. Ne era scaturito un primo documento programmatico usualmente denominato Codice di Camaldoli.
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Il **Codice di Camaldoli** è un importante documento storico e politico, redatto nel luglio del **1943** durante un incontro che si tenne presso il monastero di Camaldoli, in Toscana. Questo testo rappresenta un momento cruciale per la riflessione politica e sociale dei cattolici italiani, gettando le basi per la partecipazione attiva dei cattolici alla costruzione dell’Italia democratica nel dopoguerra.
### **Origini del Codice di Camaldoli**
1. **Contesto storico**:
- Il 1943 fu un anno di svolta per l’Italia: l'armistizio e la caduta del regime fascista aprirono un nuovo scenario politico e sociale.
- In questo contesto, alcuni intellettuali cattolici sentirono l’urgenza di elaborare un programma politico e sociale per il futuro del Paese, ispirato ai principi cristiani.
2. **Incontro di Camaldoli**:
- L'incontro si svolse tra il **18 e il 24 luglio 1943** presso il monastero di Camaldoli. Fu organizzato dal **Movimento Laureati dell’Azione Cattolica**, un’associazione che promuoveva la riflessione culturale tra i giovani cattolici.
- Parteciparono figure di rilievo del mondo cattolico, tra cui **Giorgio La Pira**, **Giuseppe Dossetti**, **Amintore Fanfani**, **Sergio Paronetto** e altri, che successivamente avrebbero avuto un ruolo di primo piano nella politica italiana.
3. **Obiettivi**:
- L’incontro aveva lo scopo di definire i principi e le linee guida per un programma di riforma sociale e politica, basato sulla dottrina sociale della Chiesa e orientato a costruire un’Italia più giusta e solidale.
### **Contenuto del Codice di Camaldoli**
Il Codice di Camaldoli è un documento articolato che affronta diversi aspetti della vita sociale, economica e politica, alla luce dei valori cristiani. Tra i temi principali:1. **Centralità della persona**:
- La persona umana è al centro di ogni organizzazione sociale e politica. Lo Stato e l’economia devono essere al servizio della dignità e dei diritti dell’individuo.
2. **Principio di solidarietà**:
- Viene sottolineata l’importanza della solidarietà come fondamento dei rapporti sociali. Lo Stato ha il dovere di intervenire per ridurre le disuguaglianze e promuovere il bene comune.
3. **Ruolo dello Stato**:
- Lo Stato deve avere un ruolo attivo nella tutela dei diritti fondamentali, garantendo il lavoro, la salute, l’istruzione e il benessere per tutti i cittadini.
- Tuttavia, si riconosce il principio di **sussidiarietà**, secondo cui lo Stato interviene solo quando le iniziative private non sono sufficienti.
4. **Economia e giustizia sociale**:
- L’economia deve essere al servizio dell’uomo, non viceversa. Si propone un sistema che combini libertà di impresa con una forte attenzione alla giustizia sociale.
- Si condanna lo sfruttamento dei lavoratori e si promuove la necessità di una distribuzione più equa della ricchezza.
5. **Lavoro e diritti sociali**:
- Il lavoro è visto come un elemento fondamentale per la dignità dell’uomo. È necessario garantire condizioni di lavoro giuste e salari adeguati.
6. **Famiglia e società**:
- La famiglia viene considerata il nucleo fondamentale della società e va tutelata in ogni aspetto, sia economico sia sociale.
7. **Educazione**:
- Si attribuisce grande importanza all’istruzione come strumento per lo sviluppo della persona e per la promozione del bene comune.
### **Importanza storica del Codice di Camaldoli**
1. **Riferimento per la Democrazia Cristiana (DC)**:
- Il Codice di Camaldoli fu il punto di riferimento ideologico per la **Democrazia Cristiana**, il partito che avrebbe dominato la politica italiana nel dopoguerra.
- Molti degli ideali e dei programmi delineati nel Codice si riflettono nella **Costituzione italiana del 1948**, in particolare nei principi fondamentali e nella parte dedicata ai diritti e doveri dei cittadini.
2. **Dottrina sociale della Chiesa**:
- Il Codice rappresenta una traduzione pratica della dottrina sociale della Chiesa, influenzata dalle encicliche **Rerum Novarum** (1891) di Leone XIII e **Quadragesimo Anno** (1931) di Pio XI.
3. **Eredità culturale e politica**:
- Sebbene sia stato concepito in un periodo di transizione, il Codice di Camaldoli ha lasciato un'impronta duratura sulla politica e sul pensiero sociale cattolico in Italia.
- La sua visione integrale dell'uomo e della società ha continuato a influenzare il dibattito politico e culturale negli anni successivi.
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In Italia, le componenti clericofasciste e liberali erano state ostili al cattolicesimo democratico, le prime in quanto antidemocratiche, le seconde in quanto contrarie a misure di Welfare State. La sconfitta e la proscrizione del fascismo mussoliniano e l’esigenza di organizzare un forte sostegno popolare per impedire l’evoluzione socialista del nuovo regime democratico repubblicano italiano, che rimase possibile fino all’eclatante successo democristiano nelle elezioni politiche del 1948 e che avrebbe probabilmente causato un intervento militare delle forze di occupazione statunitensi, accreditarono invece le forze cattolico-democratiche che progettavano un capitalismo controllato dalla politica statale con varie misure sociali, e anche con l’intervento diretto in economia. Questo contribuì anche a compattare le varie componenti del cattolicesimo democratico italiano, di per sé fortemente pluralistico, consentendo una politica cattolica, mediante lo strumento del partito cattolico, la Democrazia Cristiana.
Oggi può sembrare veramente strano, ma quando, negli anni ’70, cominciò il fenomeno dei politici cattolici non democristiani, sembrava una sorta di stranezza e il candidarsi tra le file dei comunisti, anche quando per statuto professare il marxismo leninismo non fu più obbligatorio per gli iscritti al partito, costava serie crisi di coscienza, e in genere ci si candidava da indipendenti.
3.Ai tempi nostri non ci sono più le condizioni per un’egemonia cattolica, dunque di una politica cattolica.
Il Papato, ancora organizzato secondo il neopapismo autocratico e assolutistico impersonato da Karol Wojtyla, è tutt’altro che screditato, anzi gode in generale di ottima reputazione anche tra non credenti dichiarati. Esso non è disposto a lasciare autonome le componenti cattolico-democratiche e lo si è visto nel deludente cammino sinodale delle Chiese del mondo, recentemente conclusosi in sordina.
Le componenti cattoliche sono profondamente divise. C’è una ripresa del clericofascismo e il cattolicesimo democratico, quasi annientato politicamente come forza organizzata benché presente in ruoli importanti con molti suoi esponenti, primo fra tutti il Presidente della Repubblica, ha subito lo stesso calo di consensi elettorali di socialisti e comunisti, in masse nelle quali si fa più affidamento sulla possibilità di cavarsela da sé piuttosto che partecipando ad azioni politiche collettive, e questo secondo il vangelo liberista diffuso per decenni dalle televisioni commerciali e poi anche da quelle pubbliche, più recentemente dalle reti sociali. Questo ha portato nell’ultimo ventennio addirittura ad un calo del potere d’acquisto dei salari e alla precarizzazione dei rapporti di lavoro dipendente, ma questo non sembra preso in molta considerazione dall’elettorato italiano.
Non penso che, al di là della condivisione di principi umanitari con radice evangelica, vi sia la reale possibilità di superare quelle divisioni tra le componenti cattoliche, che a volte hanno anche una componente teologica che le rende più profonde.
La gerarchia ecclesiastica ha il problema di gestire un enorme (e spesso costoso e improduttivo) patrimonio immobiliare, un ingente patrimonio finanziario, e l’organizzazione del clero e dei religiosi, che la spinge a compromessi con i poteri pubblici per i quali l’altra gente di fede non mostra nessuna passione, specialmente in tempi di perdurante crisi economica, nei quali per le giovani coppie trovare la prima casa è spesso impossibile. Destano scandalo gli affari finanziari e immobiliari in cui istituzioni ecclesiastiche sono state trovate coinvolte nel quadro di scandali di vario genere. In un quadro di opacità di gestione a tutti i livelli in cui i rendiconti o non ci sono del tutto o appaiono propagandistici. La Chiesa italiana è quasi totalmente dipendente dal finanziamento statale che giunge per vari canali, non solo mediante l’ automatismo dell’8 per mille, e questo la rende apparentemente troppo accondiscendente o tollerante verso le politiche governative, salvo che in campo limitati, come quello delle questioni riproduttive, dove però si accanisce contro le donne e altri gruppi di sofferenti, affliggendo la gente. Non sorprende che non ci sia grande entusiasmo a sostenere certe ragioni clericali.
Le organizzazioni della Chiesa cattolica italiana rimangono tuttavia le maggiori scuole di politica, dove si può imparare a pensare la politica e soprattutto farne tirocinio. La politica ecclesiastica, vale a dire il governo ecclesiastico, è comunque politica. Una certa sinodalità si è effettivamente diffusa e l’Azione Cattolica italiana è oggi una grande organizzazione democratica, con circa 250.000 iscritte e iscritti. Quindi il dialogo politico può senz’altro essere avviato anche in quegli ambiti. Questo spiega il gran numero di persone cattoliche che lavorano, e anche bene, nelle amministrazioni pubbliche.
Da ultimo voglio accennare che la componente di derivazione missina delle attuali forze politiche di governo origina culturalmente dall’ultimo fascismo mussoliniano, quello fondamentalista e particolarmente efferato dei tempi della cosiddetta Repubblica di Salò, ed ebbe, come dire, un conto aperto, con i democristiani e i loro sostenitori nella Santa Sede, quindi anche un po’ con tutto il cattolicesimo democratico. Può vedersi rappresentata da Giorgio Almirante. Ricordo che in quegli ambienti i cattolici democratici venivano appellati come comunistelli da sagrestia. Piaceva il prete della Bassa immaginato fantasiosamente da Giovanni Guareschi nella saga di Don Camillo e veniva spregiato Lorenzo Milani, da considerare uno dei maggiori esponenti del cattolicesimo democratico italiano.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli