Venerdì Santo
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Dalla voce Settimana Santa dell’Enciclopedia
italiana Treccani on line –
https://www.treccani.it/enciclopedia/settimana-santa_(Enciclopedia-Italiana)/#
di Nicola Turchi]
Venerdì santo. - Giornata aliturgica, con
stazione a Santa Croce in Gerusalemme, dove il popolo si recava dopo essersi
radunato al Laterano. Attualmente consta di tre elementi:
1. una sinassi o riunione, in cui
si leggono profezie dell'Antico Testamento, poi la Passione secondo Giovanni, e infine si recita
la grande litania, in cui il celebrante invita a pregare per la Chiesa, per il
papa, per i vescovi e il clero, per l'imperatore, per i catecumeni, per la
purgazione del mondo da mali e da errori, per gli eretici e scismatici, per gli
Ebrei, e infine per i pagani. Questa litania, che non ha nulla che
specificamente si riferisca al venerdì santo, può considerarsi come il tipo
della preghiera offertoriale che doveva aver luogo in ogni liturgia dopo la
lettura del Vangelo. Questa prima parte nella più antica liturgia romana doveva
essere unica;
2. l'adorazione della croce.
Questa cerimonia ha la sua origine in Gerusalemme e fu introdotta in Roma da
papa Sergio I. Aveva luogo nel pomeriggio, ed era presieduta dal pontefice che
usciva dal Laterano a piedi scalzi, dietro la S. Croce che egli incensava lungo
tutto il percorso, dirigendosi alla basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
Oggi quest'adorazione segue in ogni chiesa il canto del passio, ed è fatta dal clero
che a piedi scalzi muove verso un crocifisso posto nel mezzo del presbiterio;
3. la messa dei
"presantificati" ossia la consumazione dell'Ostia
"preconsecrata", cioè consacrata nel giorno precedente (v. Giovedì santo). Terminata
l'adorazione, si procede verso l'altare del "Sepolcro" donde viene
tratta la sacra Ostia che e solennemente portata verso l'altare al canto
del Vexilla Regis
prodeunt di Venanzio Fortunato, mostrata al popolo e consumata
dal sacerdote sull'altare; questo poi viene subito spogliato della sua
tovaglia.
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Io penso che le sofferenze del tempo presente
non siano assolutamente paragonabili alla gloria che Dio manifesterà verso di
noi. Tutto l’universo aspetta con grande impazienza il momento in cui Dio
mostrerà il vero volto dei suoi figli. Il creato è stato condannato a non
aver senso, non perché l’abbia voluto, ma a causa di chi ve lo ha trascinato.
Vi è però una speranza: anch’esso sarà liberato dal potere della
corruzione per partecipare alla libertà e alla gloria dei figli di
Dio. Noi sappiamo che fino a ora tutto il creato soffre e geme come una
donna che partorisce. E non soltanto il creato, ma anche noi, che già
abbiamo le primizie dello Spirito, soffriamo in noi stessi perché
aspettiamo che Dio, liberandoci totalmente, manifesti che siamo suoi
figli. Perché è vero che siamo salvati, ma soltanto nella speranza. E se
quel che si spera si vede, non c’è più una speranza, dal momento che nessuno
spera ciò che già vede. Se invece speriamo quel che non vediamo ancora, lo
aspettiamo con pazienza.
Allo
stesso modo, anche lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza, perché noi
non sappiamo neppure come dobbiamo pregare, mentre lo Spirito stesso prega Dio
per noi con sospiri che non si possono spiegare a parole. Dio, che conosce
i nostri cuori, conosce anche le intenzioni dello Spirito che prega per i
credenti come Dio desidera.
Noi
siamo sicuri di questo: Dio fa tendere ogni cosa al bene di quelli che lo
amano, perché li ha chiamati in base al suo progetto di salvezza. Da
sempre li ha conosciuti e amati, e da sempre li ha destinati a essere simili al
Figlio suo, così che il Figlio sia il primogenito fra molti fratelli. Ora,
Dio che da sempre aveva preso per loro questa decisione, li ha anche chiamati,
li ha accolti come suoi, e li ha fatti partecipare alla sua gloria.
[Dalla Lettera ai Romani di Paolo di Tarso, capitolo 8, versetti
da 18 a 30 – Rm 8, 18-30, versione in italiano TILC Traduzione
interconfessionale in lingua corrente]
Si pensa che il testo che ho sopra trascritto sia stato composto a
Corinto verso la metà degli anni 50 del Primo secolo. Precede quindi di vari
decenni la composizione del testo dei Vangeli, e in particolare del Vangelo
secondo Giovanni, dal quale è tratta una lunga lettura che sarà proclamata
stasera nella nostra parrocchia durante la Celebrazione della Passione del
Signore.
Contiene
una visione grandiosa che parla di un universo tutto in attesa, e noi in esso, e
della nostra speranza.
La Lettera ai Romani risale ad un epoca precedente la rottura dei
seguaci del Maestro con l’antico giudaismo, vale a dire il sistema sociale,
politico e religioso centrato sulle istituzioni di vertice che ruotavano
intorno al Tempio di Gerusalemme, in Giudea. A quell’epoca i seguaci del
Maestro frequentavano ancora le sinagoghe, dove ci si radunava per insegnare e
imparare la Legge divina, per la preghiera comune per i riti organizzati
intorno alle Scritture. Si ritiene che gli autori del Vangelo di Giovanni (in genere si
ritiene che il testo di quel Vangelo non sia stato scritto dal discepolo
prediletto del Maestro, ma che sia un’opera collettiva di maestri, capaci
esprimere nel greco antico sofisticati ragionamenti e che operavano lontano dalla Palestina) siano
vissuti quando invece si era già consumata la frattura con l’antico giudaismo, dopo
la radicale distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte degli occupanti romani
e l’allontanamento di quelli che ormai si chiamavano cristiani dalle
sinagoghe.
Nella Lettera ai Romani non c’è l’idea che la Chiesa debba
sostituire i giudei quale popolo destinatario delle promesse divine (che, come
ho letto, cominciò ad affacciarsi nel 2°
Secolo, quando la polemica con l’ebraismo cominciò a incrudelire. Raggiunse
presto livelli di incredibile ferocia).
Viene considerato significativo del clima
sociale e religioso in cui fu composto il Vangelo secondo Giovanni questo brano
che si trova nel capitolo 16, versetti da 1 a 4 – Gv 16, 1-4:
Vi ho parlato così perché questi fatti non
turbino la vostra fede. Sarete
espulsi dalle sinagoghe; anzi verrà un momento in cui vi uccideranno
pensando di fare cosa grata a Dio. Faranno questo perché non hanno
conosciuto né il Padre né me. Ma io ve l’ho detto perché, quando verrà il
momento dei persecutori, vi ricordiate che io ve ne avevo parlato. Non ne ho
parlato fin dal principio, perché ero con voi».
Nel
Vangelo secondo Giovanni si parla in genere dei giudei come avversari del Maestro. Questo traspare
anche nella lettura evangelica che si fa stasera.
Eppure,
è stato notato che Gesù di Nazareth morì da giudeo. Tutti i primi suoi seguaci furono giudei. Gesù,
stando a quello che emerge nel Nuovo Testamento, non sembra che abbia voluto
fondare una nuova religione. Per
la verità nemmeno Paolo di Tarso.
All’epoca della morte del Maestro i giudei
erano già emigrati in molte parti dell’impero romano, e in particolare a
Roma, ad Alessandria in Egitto, in Asia Minore e in Grecia, come anche avevano
costituito un importante centro culturale a Babilonia. La prima espansione dei
cristianesimi si ebbe nelle sinagoghe e, in particolare, in quelle fuori della
Palestina. Esse avevano conquistato una condizione giuridica riconosciuta nei
confronti delle autorità imperiali.
Insomma, i racconti della Passione che troviamo nei Vangeli, e in
particolare in quello Secondo Giovanni, il più tardo, potrebbero non
corrispondere precisamente alla situazione che si ebbe in quel difficile frangente alla fine dei
ministero pubblico del Maestro. Ma si tratta di congetture, perché le fonti sui
cristianesimi delle origini sono scarsissime, Quei racconti neotestamentari sono centrati sul
riconoscimento o negazione della divinità del Maestro, problema che però si
affermò progressivamente lungo il Primo secolo,
e sul quale ancora negli anni 50 e 60 di quell’epoca c’erano problemi. La
definizione dei dogmi cristologici, per rispondere alla domanda chi fosse stato
Gesù e imporre precise definizioni in merito, li creò almeno fino all’Ottavo
secolo, ma per certi versi anche oltre.
Le
notizie sul Maestro da fonti extra-neotestamentarie sono estremamente scarse. In
tempi molto turbolenti, nella Palestina sotto lo spietato Pilato, procuratore
del potere romano in Giudea, probabilmente
la sua morte in croce non ebbe quella
risonanza che ha per noi. L’accusa con cui il Maestro fu condotto presso Pilato per ordine dei capi del Tempio fu
essenzialmente quella di essere un agitatore sociale. E, dai racconti
evangelici, non pare che Pilato si sia reso bene conto di chi aveva davanti e
soprattutto del problema di ordine religioso che poneva.
Per
noi, oggi, è naturalmente molto diverso.
In
religione si ritiene che la morte in croce del Maestro sia stata salvifica. Come è spiegato nella Lettera ai Romani al capitolo 5, versetti da 14 a 21 – Rm 5, 14-21:
Adamo
era la figura di colui che doveva venire. Ma quale differenza tra il
peccato di Adamo e quel che Dio ci dà per mezzo di Cristo! Adamo da solo, con
il suo peccato, ha causato la morte di tutti gli uomini. Dio invece, per mezzo
di un solo uomo, Gesù Cristo, ci ha dato con abbondanza i suoi doni e la sua
grazia. Dunque, il dono di Dio ha un effetto diverso da quello del peccato
di Adamo: il giudizio provocato dal peccato di un sol uomo ha portato alla
condanna, mentre il dono concesso dopo tanti peccati ci ha messi nel giusto
rapporto con Dio. Certo, la morte ha dominato per la colpa di un solo
uomo; ma ora si ha molto di più: quelli che ricevono l’abbondante grazia di Dio
e sono stati accolti da lui parteciperanno alla vita eterna unicamente per
mezzo di Gesù Cristo.
Dunque
uno solo è caduto, Adamo, e ha causato la condanna di tutti gli uomini; così,
uno solo ha ubbidito, Gesù Cristo, e ci ha ristabiliti nella giusta relazione
con Dio che è fonte di vita per tutti gli uomini. Per la disubbidienza di
uno solo, tutti risultarono peccatori; per l’ubbidienza di uno solo, tutti sono
accolti da Dio come suoi.
In
seguito venne la Legge, e così i peccati si moltiplicarono. Ma dove era
abbondante il peccato, ancora più abbondante fu la grazia. Il peccato ha
manifestato il suo potere nella morte; la grazia manifesta il suo potere nel
fatto che Dio ci accoglie e ci dà la vita eterna per mezzo di Gesù Cristo,
nostro Signore.
Questo brano appartiene ad un universo di significati o semiosfera
molto distante da quello della nostra cultura. Ci presenta una divinità
capace di ira al pari degli umani, di condanne, della colpa di un progenitore
mitico che avrebbe provocato la disgrazia per tutta l’umanità e via dicendo. Per
la verità era anche la cultura a cui fece riferimento Gesù di Nazareth.
Come possiamo farlo capire alla gente del
nostro tempo che è poco acculturata alla semiosfera biblica?
Gli antichi teismi precristiani presentavano
gli dei come figure capricciose e violente, al modo dei potenti del mondo. Rispetto
ad essi i cristiani si negavano, tanto da essere accusati di ateismo. Tali
quegli dei come le persone che in essi confidavano. L’orizzonte cristiano è diverso. La via che indica è diversa ed è quella
indicata dal nostro Maestro. Siamo accolti e accogliamo, essere accolti è la
nostra speranza e l’accogliere è il comandamento nuovo. Una prospettiva
grandiosa al pari della redenzione universale evocata nel brano biblico che
ho citato all’inizio.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli