Ogni mito è legato alle società che lo
condividono, non necessariamente a quella da cui originò.
L'estensione della mitologia a società diverse da quella originaria è
particolarmente evidente nella storia dei cristianesimi, che recepirono
teogonia e cosmogonia dalle tradizioni dell'antico giudaismo. Quest'ultimo ne
può essere considerato come il progenitore, che è tale anche per gli ebraismi
contemporanei. La condivisione di un certo patrimonio culturale non comporta però
che le genti che esprimono cristianesimi ed ebraismi attuali costituiscano
ancora, per questo, una qualche unità
sociale: in particolare le rispettive mitologie sul "popolo" sono
incomponibili, quella dei cristianesimi carica com'è di un caratteristico
messianismo divinizzato costruito dogmaticamente nel Quarto secolo.
Questo non esclude che, prescindendo dalla mitologia, possano essere
condivisi certi valori umani. Di fatto solo con il Concilio Vaticano 2º la
Chiesa cattolica abbandonò il precedente orientamento conflittuale.
Poiché
i miti sono legati a certe società, essi creano problemi nelle ere in cui
società diverse prendono ad intersecarsi e, poi, a ibridarsi componendo le
rispettive culture, scambiandosene elementi. E noi si è attualmente proprio in
una situazione di questo tipo. I cristianesimi delle origini si vennero
organizzando ibridando elementi del giudaismo con quelli dell’ellenismo: via
via ne integrarono altri di altre culture. Da qui la loro capacità di espansione,
per la verità sorretta anche dall’estrema violenza espressa dagli europei nelle
guerre scatenate nel mondo intero per imporre la loro egemonia, fase storica che
raggiunse il culmine tra la seconda metà dell’Ottocento e la Prima guerra
mondiale (1914-1918).
L'esperienza ha dimostrato che le società umane non possono fare a meno dei
miti e nemmeno delle religioni. Essi sono strumenti indispensabili per
orientarsi, superando i limiti cognitivi che dipendono dalla fisiologia che
sorregge i nostri processi mentali.
I miti, e di conseguenza le religioni che li
contengono, sono carichi di elementi emotivi, e l'emotività caratterizza
fortemente la fisiologia dei nostri processi mentali. In un certo senso non
pensiamo solo con la "testa", ma, veramente, con tutto il corpo,
dalla quale la nostra emotività scaturisce.
Questa struttura della nostra mente ci limita:
possiamo interagire solo in gruppi di individui molto piccolo, grosso modo di
una trentina di persone o poco più. Proprio le dimensioni dei gruppi dei
nostri progenitori ancestrali e anche quello al cui interno vivono ancora i
primati non umani.
Si ritiene che sia stata la "rivoluzione
cognitiva" manifestatasi cifra 70.000 anni fa per l'homo sapiens, quando
la nostra mente ci rese capaci della cultura, e quindi anche di parlare di cose
che non vedevamo ma solo pensavamo, a consentire alle società umane di
integrare molta più gente, fino agli otto miliardi di oggi. E appunto a
quell'epoca che verosimilmente si divenne anche capaci del pensiero religioso,
e quindi di pensare a teogonie e cosmogonie. Insomma, in qualche modo gli dei iniziarono
ad apparirci tali proprio allora. La religione divenne un potente fattore di costruzione
di grandi società. Da essa prese a distinguersi il diritto. Religione e diritto
sono tuttora gli elementi fondamentali delle dottrine organizzative delle
entità politiche.
Si pensa che inizialmente gli dei
siano stati identificati con le potenze della natura, indifferenti verso
l'umanità, poi che ne siano stati pensati altri, intermediari tra quelli e gli
umani, attivi in società, fino a manifestare le nostre stesse emozioni. Di
questo ci parla l’antropologia delle religioni. Io mi sono informato su un
testo considerato datato dagli specialisti, ma che ha due pregi: vuole
comprendere tutto ed è disponibile in e-book, del romeno Mìrcea Eliàde (si
pronuncia mìrcia eliàde, 1906-1986), Trattato di storia delle
religioni, pubblicato tra il 1949 e il 1964, disponibile in traduzione
italiana pubblicato da Bollati Boringhieri, appunto anche in e-book e Kindle.
Tempo fa ho sentito per radio una riflessione
interessante: è stato un bene che le lingue fin dall’antichità sia state
molte e non una sola, ha detto la
persona intervistata (ho ascoltato la trasmissione in macchina e mi è sfuggito
chi fosse). Così infatti hanno potuto seguire l’evoluzione delle società umane,
in modo da non dover affrontare il problema
di organizzare una società troppo
grande per le capacità dei tempi più antichi. In realtà, mi sembra più convincente
dire che la formazione delle lingue è
stata una produzione sociale e che quindi la costituzione delle aree
linguistiche ha accompagnato l’integrazione sociale e la costruzione delle
società, anche nelle loro migrazioni. Insomma, ogni società si è creata la sua
lingua. L’intensità delle interazioni linguistiche è stata fondamentale. Ai
tempi nostri essa è ancora in corso, ma fatica ad affermarsi una lingua globale,
salvo che in una ristretta classe di quelli che il sociologo polacco, trasferitosi
nel 1971 in Inghilterra dove insegnò a lungo e dove morì, Zygmunt Bauman (1925-2017) definì cittadini
globali. Infatti la grande maggioranza delle persone rimane confinata nell’area
culturale originaria o in quella in cui si è trasferita definitivamente. Per lo
stesso motivo fatica ad affermarsi una religione globale. Le dinamiche
sociali delle lingue e delle religioni mi appaiono simili.
Anche i cristianesimi si sono andati
differenziando per aree culturali e questo nonostante che lo strutturarsi
giuridico delle Chiese tendesse a ridurre la differenziazione. In realtà essa è
ancora molto marcata, tra le Chiese e anche a loro interno, come, anche solo
frequentando una parrocchia come la nostra, ci si può avvedere.
Dalla seconda metà dell’Ottocento si è costruito,
a partire dalle Chiese protestanti, il movimento ecumenico, fino alla
Costituzione, nel 1948, ad Amsterdam (Paesi Bassi) del Consiglio ecumenico
delle Chiese, alla quale la nostra Chiesa partecipa del 1965 (anno in cui si
concluse il Concilio Vaticano 2°) come osservatrice:
In quanto fenomeno storico
dotato di una sua peculiare fisionomia, l'ecumenismo è sorto all'interno del
variegato mondo protestante nel corso della seconda metà dell'Ottocento. Negli
anni venti del Novecento si è poi avuto un allargamento all'ortodossia, che
però soltanto nel secondo dopoguerra è diventata una componente veramente
significativa del CEC; quanto alla Chiesa cattolico-romana, fino al Concilio
Vaticano II (1962-1965) essa ha mantenuto nei confronti dell'ecumenismo una
posizione di rigida chiusura.Se è vero che, dal punto di vista teologico, i
tentativi di promuovere una riunificazione delle Chiese hanno una lunga e
complessa preistoria che si può far risalire almeno alla Riforma (v. Rouse e
Neill, 1967, una raccolta fondamentale di studi promossa dal CEC in occasione
della sua costituzione), è altresì vero, da un punto di vista storico-sociale,
che soltanto nel corso dell'Ottocento si sono venute costituendo le condizioni
generali per un'organizzazione internazionale del protestantesimo, la quale a
sua volta è poi diventata, nel corso del Novecento, il motore propulsivo di un
ecumenismo esteso a tutte le Chiese cristiane. In quest'ottica, storicamente
più corretta, il problema delle tensioni alla riunificazione della cristianità
dispersa, che attraversa tutta la storia del cristianesimo europeo moderno,
assume le forme istituzionali della riorganizzazione di un mondo protestante
che corre ormai il rischio della dissoluzione.
[dalla voce Ecumenismo dell’Enciclopedia delle scienze sociali
Treccani on line https://www.treccani.it/enciclopedia/ecumenismo_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/
)
Il movimento
ecumenico non mira attualmente alla creazione di un’unica Chiesa cristiana,
intesa come organizzazione ecclesiastica, sopprimendo tutte quelle storiche e quelle
altre che successivamente si sono andate organizzando. Cerca invece di promuovere
l’integrazione pacifica delle varie teologie e di promuovere la collaborazione
nell’evangelizzazione. Tra le Chiese protestanti italiane questo lavoro mi
sembra aver prodotto buoni risultati. Ne sono stati raggiunti anche con la
collaborazione della Chiesa cattolica. Ad esempio, con la Dichiarazione
congiunta sulla dottrina della Giustificazione, sottoscritta nel 1999 a Augsburg\Augusta (Germania – Baviera)
da luterani e cattolici, si è superato uno dei temi storicamente più
controversi tra le rispettive Chiesa: negli anni a seguire diverse altre Chiese
protestanti hanno aderito. Ma gli sviluppi sono lentissimi e, soprattutto,
molto difficoltosi, perché si procede essenzialmente lasciando fare ai teologi,
i cui discorsi sono fortemente legati alle rispettive mitologie religiose.
Problemi ancora maggiori si hanno, sul fronte teologico, nelle relazioni con le
religioni non cristiane.
Questo anche se, in Europa e altrove, l’integrazione
sociale tra culture diverse, realizzata su larga scala in particolare a seguito
degli imponenti fenomeni migratori dall’Asia, dall’Africa e dall’America
latina, è andata molto più avanti non avvalendosi più delle mitologie
religiose, in fondo incomponibili, ma di quelle democratiche.
L’integrazione sociale precede sempre di un
passo quella linguistica, religiosa e, in senso più ampio, culturale. Lingua,
religione, diritto e culture ci appaiono come strumenti per intensificare quell’integrazione
e per prevenire conflitti. E lo sono, naturalmente, anche i miti. Modificare
questi ultimi presenta però degli aspetti problematici, per l’emotività che vi
è collegata. Bisogna tener presente anche che la fascinazione dei miti è tanto più marcata quanto più essi
appaiono antichi e questo può essere considerato uno sviluppo dell’autorevolezza
degli ancestrali culti degli antenati.
Ormai anche i cristianesimi appaiono
religioni antiche, benché, quando si formarono, a partire da una prima
fase tra la metà del Primo secolo e la metà del secolo successivo, essi furono
in realtà nuove religioni, costruite per distacco culturale, in un
drammatico processo, dal giudaismo delle
origini.
Se il processo di evoluzione culturale dei
miti che creano problemi all’integrazione è troppo veloce, la religione in tal
modo riformata perde capacità di fascinazione.
Tentativi di costruire una nuova integrazione
dei miti religiosi cristiani con le culture moderne sono stati incessanti nei
cristianesimi degli ultimi due secoli, a partire dal pensiero del filosofo illuminista
tedesco Immanuel Kant (1724-1804) al teologo protestante tedesco Rudolf Karl Bultmann (1884-1976).
Procedimento critico-ermeneutico,
applicato soprattutto a testi religiosi, teso a eliminare da una figura, da un
racconto ecc. gli elementi considerati irrazionali o leggendari, per farne
emergere la realtà storica o il significato razionale. Il
termine (ted. Entmythologisierung) è stato adoperato da R. Bultmann per indicare il metodo di interpretazione critica del Nuovo Testamento, tesa
a cogliere il significato esistenziale, in rapporto all’uomo d’oggi, del
messaggio evangelico, una volta liberato dalle forme di espressione mitica che l’avvolgono.
[voce Demitizzazione in Enciclopedia
Treccani on line https://www.treccani.it/enciclopedia/demitizzazione/
)
Tuttavia l’esperienza
ha dimostra che le religioni demitizzate perdono presa popolare e fascino: segno che i
miti ci sono ancora essenziali. Non ne possiamo fare a meno. Senza di essi le
religioni decadono, sia quelle basate su soprannaturali divinizzati, sia quelle
basate su elementi immanenti, come in fondo è la religiosità insita nelle
dottrine democratiche. Fanno la fine della neo-religione dell’Essere supremo
che i rivoluzionari francesi di fine Settecento si proposero di sostituire
ai cristianesimi storici.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma,
Monte Sacro, Valli