Martedì Santo
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[Dalla voce Settimana Santa dell’Enciclopedia italiana Treccani
on line –
https://www.treccani.it/enciclopedia/settimana-santa_(Enciclopedia-Italiana)/#
di Nicola Turchi]
Martedì santo. - Anche questa giornata era in origine, come s'è
detto, aliturgica. Istituita la stazione a Santa Prisca sull'Aventino, il
popolo vi si recava processionalmente muovendo dall'antica diaconia di Santa
Maria in Portico (in porticu Gallae) situata proprio sul luogo della chiesa di Santa Galla,
demolita nel 1935. La messa svolge altri motivi del solito tema. In luogo del
Vangelo, che narrava la lavanda dei piedi agli Apostoli (Giov., XIII, 1-15), si legge ora la Passione secondo Marco.
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Conobbi mia moglie in FUCI, l’organizzazione
degli universitari cattolici. All’epoca abitava nel rione San Saba, sull’Aventino
minore. Andavamo a passeggiare sull’altro colle, l’Aventino maggiore, dove si trovano la chiesa di Santa Prisca, e diverse altre chiese di importanza storica, come
anche il Giardino degli Aranci.
Salutate
Prisca e Aquila, miei collaboratori nel servizio di Gesù Cristo. Essi
hanno rischiato la loro vita per salvare la mia. Non io soltanto, ma anche
tutte le comunità dei credenti non ebrei devono essere loro grati. Salutate
anche la comunità che si raduna in casa loro.
[Dalla Lettera ai Romani di Paolo di Tarso, capitolo 16, versetti da 3
a 5 – Rm 16, 3-5 – versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale
in lingua corrente]
Si ritiene attendibile
che la casa di Prisca e Aquila di cui si parla nel brano della Lettera ai
Romani che ho sopra trascritto fosse
lì dove ora sorge la chiesa di Santa Prisca. Si era negli anni 50 del Primo
secolo, a circa vent’anni dalla morte del Maestro. Cristiani a quell’epoca,
cristiani noi, circa 1930 anni dopo, appena un battito di ciglia nell’evoluzione
naturale del nostro mondo, cose e organismi, ma un periodo non indifferente nella
storia delle culture umane che conosciamo, la storia per antonomasia, vale a dire la storia a cui ci riferiamo quando parliamo di storia,
che si fa iniziare circa 5.000 anni fa.
La mia fede negli scorsi anni ’80 si legò
indissolubilmente all’amore per mia moglie, come pure, successivamente a quello
per le mie figlie, dalle quali imparai che significa la paternità, un’idea molto
importante nella nostra esperienza religiosa.
Quando, a proposito della nostra religione, si
parla di credere o di non credere come discrimine tra chi vive la
fede e chi non, si fa riferimento, per il credere, ad una sensazione mentale di sicura
convinzione infarcita di emotività che una persona potrebbe raggiungere da sé,
applicandosi o per virtù soprannaturale. Nella mia esperienza si tratta di tutt’altro.
Non mi pare che, in genere, le persone credenti
“credano” in quel senso. E, se riescono
a farlo, dura poco, è un credenza che in fondo non è distinguibile dall’illusione.
La persona religiosa non vede di più e più lontano di quella che non lo è. Fa
solo un’esperienza umana più profonda.
Ora
la nostra visione è confusa,
come
in un antico specchio;
ma
un giorno saremo a faccia a faccia
dinanzi
a Dio.
[dalla
Prima lettera ai Corinzi di Paolo
di Tarso, capitolo 13, versetto 12 – 1 Cor 13, 12 – versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale
in lingua corrente]
La nostra fede è un modo di vivere. E’ questo
che coinvolge. La cultura, anche la teologia e tutto il resto, vengono dopo.
In religione si insegna che non possiamo conoscere
se non ciò che ci è stato rivelato.
La rivelazione cristiana corre lungo il secoli della nostra storia, un
complesso di vicende sociali e comunitarie di straordinaria varietà. Non si
incontrano le parole se non dopo aver incontrato le persone e quella storia. Da
qui l’importanza che si dà alle tradizioni e anche alla Tradizione, che è l’essenziale
di quel modo di vivere.
Le storie degli ultimi giorni del Maestro ci
fanno confrontare con una realtà della nostra esistenza che di solito mettiamo
in secondo piano, l’inevitabilità della fine di tutto ciò che è umano. La
Tradizione ci guida; il rito ci conforta. Ma per ogni persona è un’esperienza
diversa. Ci si fa coraggio a vicenda.
Anche per coloro che si erano messi alla sequela
del Maestro fu tremendo vederlo morire come tutti muoiono.
I riti della Settimana Santa non nascondono nulla.
Anche che la speranza fu una difficile conquista, come lo è ancor oggi. Perché
tutto la smentisce. Ci si viene guidati, non si basta a se stessi. Guidare in
questo è l’essenziale del ministero del pastore, che non è solo dei
preti: tutte le persone di fede vi collaborano, a partire dai genitori verso i
figli. Così la Settimana Santa non è, per
chi vive religiosamente, solo rito e tradizioni culturali, diciamo il folklore
locale, ma ha un’importante componente dialogica, che si intreccia con la
preghiera.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli